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Trump incendia i Caraibi
Solo poche ore fa Trump ha smentito l’intenzione di attaccare obiettivi legati al narcotraffico in territorio venezuelano. Tuttavia, resta assai difficile fidarsi dell’uomo più potente, ma soprattutto ancor più volubile, del mondo, in particolar modo se trovasse conferma la creazione di una Joint Task Force creata ad hoc per i Caraibi. Inoltre, prosegue l’avvicinamento minaccioso della portaerei Ford, mentre costantemente decollano e tornano negli Usa i bombardieri che sembrano cercare volutamente un casus belli, come se già non bastasse il tiro al bersaglio che prosegue ormai da troppo tempo su imbarcazioni ritenute lo strumento principale utilizzato dai cartelli del narcotraffico per il commercio della droga. Finora sono state 14 le navi colpite dagli Stati Uniti, con un saldo di circa 60 morti. Trump ha deciso di trasformare i Caraibi in un laboratorio di operazioni militari che finirà per colpire non solo il Venezuela (e forse anche la Colombia), ma l’intera America latina che, in occasione dell’incontro tenutosi all’Avana il 28 e 29 gennaio 2014, è stata dichiarata “zona di pace” dal II Vertice della Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici. Oggi la poco credibile guerra al narcotraffico serve a Trump per riattivare l’essenza della Dottrina Monroe. La guerra al traffico di droga e alle reti criminali transnazionali rappresenta soltanto un pretesto per promuovere un cambio di governo non solo a Caracas, ma probabilmente anche a Bogotá, tutelandosi dal punto di vista legale e spinta soprattutto da personaggi quali Marco Rubio, segretario di Stato Usa, e Pete Hegseth, a capo del Pentagono. Tuttavia, almeno alle nostre latitudini, si presentano l’operazione Usa e la presenza di circa 4.500 militari sulla portaerei Ford in maniera acritica, ignorando la denuncia del presidente colombiano Gustavo Petro del 21 ottobre scorso: la guerra alla criminalità organizzata rappresenta il cavallo di Troia per impossessarsi del petrolio venezuelano. E ancora, si dimenticano i moltissimi latinoamericani morti a causa della guerra per la droga scatenata dai narcotrafficanti, ma nessuno sottolinea come la domanda di cocaina negli Stati Uniti non sia mai diminuita nel corso di questi anni e così, mentre gli antichavisti auspicano l’invasione del loro stesso paese per far cadere Maduro e il governo bolivariano, a partire dal poco credibile Premio Nobel María Corina Machado, si ignorano le molteplici raccomandazioni dell’Onu a non attaccare Caracas, semplicemente perché non ritiene il Venezuela il centro del narcotraffico. I Caraibi corrono seriamente il rischio di divenire un teatro di guerra operativo poiché gli Usa puntano a recuperare il controllo geopolitico di una regione su cui, da tempo, ha messo gli occhi anche la Cina a livello di infrastrutture, logistica e tecnologia, ma, ipocritamente, utilizzano le scuse più diverse, dalla guerra alla droga all’urgenza di far rispettare i diritti umani nell’intera aerea pur di attaccare il Venezuela. La denuncia di Gustavo Petro è costata al presidente colombiano l’inserimento nella lista statunitense delle personalità sospettate di terrorismo, un’accusa decisamente surreale, soprattutto se rivolta ad un capo di stato che sta spendendo gran parte del suo mandato nel tentativo di riportare la pace in un paese martoriato da una guerra sporca senza fine, a partire dal suo impegno per una pacificazione volta a coinvolgere sia le guerriglie presenti nel paese sia le organizzazioni militari di estrema destra che continuano ad uccidere attivisti sociali, sindacalisti, leader indigeni e contadini nella più totale impunità. La crescente presenza di navi da guerra Usa nel Caribe indebolisce l’autonomia diplomatica della regione e, soprattutto, non si configura come una minaccia nei confronti dei cartelli della droga che, al contrario, sceglieranno di privilegiare le rotte terrestri e aerei per trasportare i loro carichi. Sotto questo punto di vista, per quanto risulti paradossale, quelle che Trump definisce minacciosamente come Organizzazioni Criminali Transnazionali non possono far altro che ringraziare la Casa Bianca per permetter loro di aprire altre strade utili all’esportazione della droga. Lo stesso presidente brasiliano Lula, che pure negli ultimi tempi non ha nascosto le divergenze con Maduro, ha sottolineato la pericolosità e l’inutilità dei bombardamenti Usa: l’America latina potrebbe trasformarsi da zona di pace a zona senza alcuna legge se passerà l’idea che ognuno può invadere il territorio di un altro paese e farla franca. La miopia, o l’incoscienza della Casa Bianca, a seconda dei punti di vista, è tale che l’insieme di minacce militari ed estorsioni economiche messe in atto contro Caracas potrebbero incendiare Caraibi e America latina, dove non è in corso alcuna guerra che giustifichi lo schieramento del complesso militare-industriale a stelle e strisce, se non per degli oppositori assai poco credibili nel ruolo di democratici come María Corina Machado, basti pensare alla sua adesione ai numerosi eventi promossi dall’estrema destra spagnola di Vox e alle responsabilità nell’attuazione delle guarimbas allo scopo di destabilizzare il paese. È stata proprio lei, in un video, ad augurarsi l’intervento di colui al quale ha dedicato il Nobel, rimasto a sua volta abbastanza irritato dalla scelta emersa dai giurati di Oslo, promettendo petrolio, gas, minerali e molto altro, in un’aperta svendita delle risorse del paese a Usa e multinazionali. Oggi, più che mai, il futuro del Venezuela, della Colombia, e, più in generale, dell’intera regione latinoamericana e caraibica rimane incerto, appeso ad un filo, nelle mani di uno dei presidenti più inaffidabili che gli Usa abbia mai avuto e in quelle di alleati in loco, da Milei a Noboa fino agli oppositori di estrema destra che auspicano l’intervento militare di Washington. A questo proposito, non risulta alcuna mobilitazione di Washington per liberare l’Ecuador, un paese, questo sì, dove la criminalità e il narcotraffico sono realmente dilaganti.   Firma l’appello a difesa del Venezuela e per la pace La Bottega del Barbieri
“L’opportunità da 1000 miliardi di dollari”. Il Venezuela Working Group e l’apertura ai capitali USA
Il Venezuela detiene le più vaste riserve di petrolio del pianeta. È impossibile prescindere da questo dato per comprendere i fatti e gli eventi che gravitano intorno al suo oro nero. La Petróleos de Venezuela S.A. (PDVSA), la compagnia petrolifera statale del Venezuela fondata nel 1976, dopo la nazionalizzazione dell’industria petrolifera, nacque come risposta a decenni di sfruttamento straniero da parte delle multinazionali angloamericane come Shell, Exxon, Mobil, Chevron, Gulf. Dal 2017 le sanzioni statunitensi hanno tagliato fuori PDVSA dal sistema finanziario internazionale rendendo impossibile vendere liberamente il petrolio, sbloccare fondi, acquistare ricambi o tecnologia. Un assedio economico che ha fatto crollare la produzione: da oltre 3 milioni di barili al giorno negli anni ’90 a meno di 700.000 nei periodi più duri. Le lobby filo-occidentali chiedono da anni di privatizzare PDVSA e aprire il mercato agli investitori stranieri. Tradotto: “solo il capitale privato può rilanciare la produzione”. In questo scenario, il Nobel assegnato a María Corina Machado appare non tanto come un premio alla pace, quanto come un investimento simbolico. Si tratta di un riconoscimento concepito per costruire un volto presentabile, spendibile, in vista di un futuro change-regime. Da questo punto di vista Maria Corina Machado risulta la persona perfetta, soprattutto per chi non conosce il suo passato. Machado ha modellato la sua ideologia politica su figure come Margaret Thatcher e Ronald Reagan e ha apertamente abbracciato una presunta dottrina economica un tempo chiamata “capitalismo popolare”, originariamente attuata dalla dittatura fascista di Augusto Pinochet in Cile, il primo esperimento formale di neoliberismo selvaggio in Sud America. Si tratta di un programma politico che promuove la privatizzazione totale dei settori statali strategici, tra cui l’industria petrolifera e mineraria, che in Venezuela sono stati storicamente controllati dallo Stato attraverso aziende come PDVSA. La macelleria sociale che sta portando avanti l’anarcocapitalista Milei in Argentina – che Machado tanto ammira – non è nient’altro che il “modello Thatcher” che l’Occidente vorrebbe estendere al Venezuela dove c’è un’abbondanza di risorse primarie nel sottosuolo da potersi accaparrare mediante privatizzazioni. Machado ha ripetutamente promesso che, in un “Venezuela libero”, le compagnie petrolifere, del gas e minerarie statunitensi avrebbero avuto la priorità assoluta nello sfruttamento di queste risorse. Ciò costituisce un’offerta diretta di cessione della ricchezza nazionale in cambio del sostegno politico internazionale e, in particolare, del sostegno di Washington alla sua ascesa personale al potere. Attualmente, María Corina Machado e l’ex candidato alla presidenza Edmundo González Urrutia – insieme ad alcuni loro familiari, consiglieri e altri membri della destra venezuelana che componevano il governo golpista “ad interim” di Juan Guaidò – costituiscono il Venezuela Working Group, un gruppo di “esperti” tecnocrati costituitosi presso Americas Society/Council of the Americas (AS/COA) che nel giugno 2025 ha proposto di aprire le porte agli imprenditori americani. L’AS/COA è un’organizzazione non governativa con sede a New York, fondata nel 1965 dal miliardario David Rockefeller e composta da due organismi: l’Americas Society, un forum di discussione sulle politiche all’interno del sistema interamericano; e il Consiglio delle Americhe, un organismo che riunisce gruppi imprenditoriali internazionali che promuovono politiche neoliberiste nell’emisfero occidentale. AS/COA si è affermato come un think tank per la discussione di questioni politiche ed economiche ed ha pubblicato diversi rapporti sul Venezuela. Machado ha dichiarato esplicitamente che, in un possibile governo guidato dall’attuale opposizione della destra radicale, il Venezuela potrebbe aprire agli “investimenti esteri” con il potenziale di generare “un trilione di dollari” di ricchezza in soli 15 anni. A tal fine, Machado ha fatto riferimento alla privatizzazione delle compagnie nazionali di idrocarburi, nonché alla transnazionalizzazione delle riserve di petrolio e gas del Paese, definendo le vaste riserve petrolifere del Venezuela come “le più grandi al mondo” e ha affermato che il loro controllo da parte di interessi stranieri rappresenterà un'”opportunità” per la creazione di ricchezza a vantaggio delle aziende statunitensi e occidentali. Questa opportunità, secondo Machado, “copre l’intero emisfero e gli investitori che trarranno vantaggio da condizioni senza precedenti fin dal primo giorno”. Sulla stessa linea, ha fatto riferimento alle altre risorse strategiche del Paese: “Abbiamo anche abbondanti risorse di ferro, oro e minerali”. Il riferimento alle riserve minerarie del Paese è importante, considerando che la Machado è l’erede dell’impero metallurgico di Sivensa (Siderúrgica Venezolana, SA), costruito da suo padre, Henrique Machado Zuloaga. Interessante sapere che fu proprio durante la Quarta Repubblica che in Venezuela, governato da governi neoliberisti, il magnate della siderurgia – insieme agli altri magnati filo-USA – si arricchì a dismisura, mentre nello stesso periodo la povertà assoluta del paese passò dall’8% al 36%, il tasso di povertà salì dal 18% al 65% e si verificarono circa 100mila morti per indigenza. È in questo contesto che i chavisti unendo popolo ed esercito, spirito patriottico e socialismo, presero il potere e lo tennero respingendo diversi tentativi di colpi di Stato. Maduro, succeduto a Chavez nel 2013, ha proseguito nel disegno politico antimperialista volto a garantire la difesa dell’interesse nazionale e delle sue sterminate ricchezze, ma questo non piace all’opposizione della destra venezuelana che vuole privatizzare ogni cosa si muova. Nel suo intervento al Venezuela Working Group, Machado ha parlato della strategia di nearshoring, ovvero la costruzione di una catena del valore in Venezuela vicina ai mercati chiave, facendo esplicito riferimento agli Stati Uniti per ragioni di posizionamento geografico. Come ha scritto Mision Verdad: “Dal suo punto di vista di erede di Sivensa, deduce che la sua azienda, insieme a multinazionali straniere, potrebbe sviluppare processi per sfruttare le risorse minerarie nazionali con l’obiettivo di proiettarle sul suolo statunitense, il che implicherebbe l’uso della base mineraria, che fa parte del patrimonio nazionale, per soddisfare gli interessi della sua famiglia.” In seguito – da buon neo-Premio Nobel – ha fatto riferimento alle riserve di acqua dolce del Paese, ai 30 milioni di ettari di “terra fertile non sviluppata” e ai 2.800 chilometri di costa caraibica, pronti per essere piovrizzati dal capitale straniero. L’offerta di Machado di milioni di ettari del Paese a beneficio di aziende straniere suggerisce un’altra strada di privatizzazione, poiché un territorio così vasto comprende terreni agricoli nelle mani dello Stato, ma anche vaste quantità di terra di proprietà privata e circa 14 milioni di ettari ceduti a famiglie e organizzazioni contadine in più di 20 anni, secondo i modelli di allocazione delle terre esistenti nel Paese. Afferma Mision Verdad: “La cifra di 30 milioni di ettari “non sviluppati” è estremamente impressionante perché dichiara inutilizzato il territorio fertile del Paese, proprio quando il Venezuela ha raggiunto il 97% del suo fabbisogno alimentare grazie alla produzione interna.In questo modo, Machado distorce la realtà facendo un’offerta ingannevole al capitale americano e mettendo in vendita i terreni agricoli del Paese, che hanno già proprietari e affittuari.” Machado ha parlato di un processo di transizione democratica “in soli 100 giorni” per realizzare “cambiamenti strutturali” e quindi attuare quella strategia, ma tuttavia, privatizzare la Petróleos de Venezuela SA (PDVSA), implementare un sistema di concessioni di idrocarburi con capitale straniero in maggioranza e concedere riserve nazionali a società straniere a condizioni fraudolente, come propone Machado, sarebbe impossibile secondo l’attuale Costituzione Bolivariana del Venezuela. Allo stesso modo, perseguire investimenti minerari a condizioni svantaggiose per il Paese, come propone Machado, implica lo smantellamento delle leggi che definiscono l’attuale sistema di concessioni nazionali. Per attuare questa massiccia espropriazione di terreni sarebbe necessario abrogare l’attuale legge sullo sviluppo fondiario e agricolo; ciò comporterebbe anche misure energiche per esercitare il controllo territoriale e attuare una politica di sfratti senza precedenti nella storia. L’attuazione di queste vaste strategie politicamente regressive in soli 100 giorni sarebbe possibile solo attraverso l’ascesa di un governo a matrice autoritaria e neoliberista nel Paese, cosa ben diversa da ciò che è il governo di Maduro. Una manovra autoritaria comporterebbe l’abrogazione dell’attuale Costituzione, la soppressione dei controlli naturali al potere parlamentare e il degrado del quadro giuridico esistente, oltre al diffuso uso della forza contro la popolazione, senza distinzione tra proprietari e lavoratori. “L’opportunità da mille miliardi di dollari” si riferisce tacitamente al trasferimento del potere politico alla stessa Machado. Ma quel potere avrebbe condizioni e caratteristiche assolutistiche. Per questa proposta, Andrés Gluski, presidente del consiglio di amministrazione dell’AS/COA, ha consegnato la medaglia d’oro dell’Americas Society a María Corina Machado. Il premio è stato ritirato dalla figlia sul suolo statunitense, poche ore prima dell’incontro “da un trilione di dollari”. Durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) tenutasi a fine settembre 2025, l’opposizione venezuelana, guidata da María Corina Machado, ha intensificato i suoi sforzi diplomatici e mediatici per promuovere un cambio di regime in Venezuela, con l’obiettivo esplicito di rovesciare il presidente Nicolás Maduro. Queste azioni vengono presentate come una campagna di lobbying internazionale coordinata con settori dell’amministrazione di Donald Trump e con chiari interessi aziendali legati alle vaste risorse naturali del Venezuela, in particolare alle sue riserve di petrolio, gas e minerali, tra le più grandi al mondo. María Corina Machado prosegue lo stesso percorso di Juan Guaidó, visitando gli stessi luoghi e rivolgendosi alle stesse persone. In sostanza, l’intera manovra con l’AS/COA consiste nel fare lobbying e cercare sostegno per un violento cambio di regime in Venezuela, offrendo il Venezuela come vetrina per il capitale statunitense. La “transizione democratica” della Machado propone una restaurazione, dove il mercato – ovvero le corporation americane – tornano a controllare le fonti di energia. María Corina Machado è tutto tranne che una figura “popolare” e democratica. Proviene da una delle famiglie più ricche di Caracas, legata storicamente agli ambienti imprenditoriali filo-statunitensi. La sua idea di “libertà economica” coincide con una privatizzazione selvaggia dell’economia venezuelana: banche, infrastrutture, compagnie minerarie e, soprattutto, PDVSA, il cuore pulsante della sovranità economica nazionale. Machado ha sostenuto apertamente le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, anche nei momenti più duri, quando mancavano medicine, cibo e carburante. È arrivata a chiedere un intervento militare straniero per “liberare il paese dalla dittatura di Maduro”. Il Venezuela detiene infatti le maggiori riserve di petrolio al mondo e nonostante sanzioni unilaterali e bloqueo economico decise da USA e suoi scagnozzi riesce a garantire scolarizzazione e sanità a tutta la sua popolazione. Di fronte a tutto questo ci si chiede come mai Machado, che ha solo il 3% di voti presi alle ultime elezioni, continui ad avere un impatto internazionale di queste dimensioni. Se è così paladina dei diritti democratici, perchè non ammette di avere il 3% dei consensi ed inizia a rispettare la democrazia, continuando ad esercitare la propria opposizione democraticamente? La sua “pace”, dunque, corrisponde a quella formula usata decine di volte per giustificare invasioni, golpe e cambi di regime, dall’Iraq alla Libia. Donald Trump ha già dichiarato più volte che il Venezuela è un “obiettivo strategico”: non per la democrazia, ma per riprendersi il petrolio che oggi gestiscono Cina e Russia. Il Nobel si presenta come l’ennesima carta per tentare di sostenere un colpo di Stato che per essere completato dovrà necessariamente passare per una guerra civile come recentemente avvenuto in tante Nazioni negli ultimi anni (Siria, Libia, Ucraina ecc.). Le si da il Nobel per ripulirle l’immagine e fornire autorevolezza internazionale alla richiesta d’invasione militare del suo Paese per “combattere il comunismo”. È il vecchio schema: elevare un’oppositrice neoliberale a paladina dei diritti, creare il consenso mediatico internazionale, giustificare l’ingerenza o addirittura il colpo di Stato. Da anni del resto il Comitato Norvegese per il Premio Nobel di Oslo è diventato un specchio dell’ideologia dominante: raramente premia chi mette davvero in discussione i poteri globali, e quando l’ha fatto ha capito di aver generato miti incrollabili nonché esempi etici, morali, spirituali e politici per l’umanità (Mandela, Rigoberta Menchu Tum, Adolfo Perz Esquivel etc…) che è meglio non enfatizzare. Premiare Machado oggi equivale a legittimare un eventuale cambio di regime, un’eventuale “rivoluzione colorata”  funzionale all’ordine occidentale. È un messaggio chiaro: la “pace” è accettabile solo se coincide con l’obbedienza a Washington e con l’apertura dei pozzi. Come può definirsi una “pacifista” chi invoca le sanzioni e la forza armata contro il proprio paese? È il paradosso perfetto di un mondo in cui la guerra viene venduta come salvezza.   https://misionverdad.com/venezuela/maria-corina-machado-ofrece-venezuela-por-un-billon-de-dolares https://misionverdad.com/venezuela/washington-nueva-york-y-el-lobby-guerrerista-contra-venezuela https://misionverdad.com/venezuela/lucha-clandestina-y-terrorismo-la-opcion-machado   Lorenzo Poli
La fascista Maria Corina Machado, Nobel per le guarimbas
Dopo gli articoli di Gianmarco Pisa sull’ultimo Premio Nobel per la Pace (Un Premio Nobel senza pace), l’articolo di Enzo Abbinanti sui commenti quantomeno strani che lo hanno accolto nella sinistra istituzionale (“Nobel alla Machado: i commenti “a sinistra”…”), l’interessante articolo di Marco Consolo e la lettera del grande Premio Nobel per la Pace argentino Adolfo Pérez Esquivel proponiamo un articolo che ripercorre la storia politica della Machado, tra casi giudiziari, filo-atlantismo e un ruolo centrale nei tentativi di golpe fascisti del 2002 contro Chavez, del 2019 di Juan Guaidò contro il presidente costituzionale Maduro e del 2024 contro Maduro gridando falsamente ai brogli elettorali. Ho aspettato molti giorni a scrivere questo articolo. Un po’ per mantenere la calma; un po’ per poter gestire la rabbia in questi tempi veramente difficili, accompagnati da strenua impotenza. Ho preferito che si sedimentassero gli animi. Ho preferito che le assurdità del mainstream continuassero a vagare e vedere, in modo palese, come si concretizzavano sia nella carta stampata nazionale, sia nei telegiornali, sia nei talkshow, sia nelle nostri menti di cittadini-utenti che assorbono – spesso passivamente – le notizie che ci vengono propinate. Ho preferito vedere fino a che punto si potesse raccontare, quasi “allegramente”, un fattaccio di queste dimensioni e in che modo si potesse fa digerire in massa l’erosione totale del significato stesso del Premio Nobel per la Pace. Ho preferito guardare come i media nostrani – attraverso la fantomatica pretesa di “neutralità” dei nostrani “professionisti dell’informazione” – siano stati in grado di far digerire Maria Corina Machado nella categoria dei Premi Nobel per la Pace al pari dei grandi Premi Nobel per la Pace di sempre: Linus Carl Pauling, Martin Luther King, Sua Santità il XIV Dalai Lama, Desmond Tutu, Nelson Mandela, Rigoberta Menchù Tum, Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), Adolfo Pérez Esquivel, Mairead Corrigan, Madre Teresa di Calcutta, Michail Sergeevič Gorbačëv, Yasser Arafat, Amnesty International, Campagna Internazionale per il Bando delle mine antiuomo (ICBL), Medici Senza Frontiere, International Physicians for the Prevention of Nuclear War, Wangari Maathai, Muhammad Yunus, Malala Yousafzai e Nihon Hidankyō (organizzazione giapponese rappresentante degli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki e noti per la loro lotta internazionale per l’abolizione delle armi nucleari). Ed è stato proprio così. Sabato 11 ottobre, tutti i quotidiani mainstream incensavano la sua vittoria senza minimamente raccontare la storia di questa strana attivista. La stampa liberale-borghese nazionale, rappresentata dal Corriere della Sera titolava: “A Machado il Nobel per la pace. Premiata l’attivista anti-Maduro. La “signora di ferro” del Venezuela da anni si oppone al regime”. La stampa borghese liberal-democratica, rappresenta da La Repubblica scriveva “Nobel a Machado, l’anti-Maduro. La Casa Bianca: “Scelta politica””, volendo far intendere assurdamente che l’assegnazione del Nobel a Machado fosse un dispetto a Trump, una risposta “a sinistra” rispetto alla candidatura di Trump al Nobel. La becera stampa vicina all’alt right italiana, rappresentata da Libero, invece titolava: “Sinistra sempre dalla parte sbagliata. Nobel in testa ai comunisti” – con tanto di elogio all’anticomunista Machado che ha dedicato il suo Nobel proprio a Trump, quasi a sottolineare che è come se l’avesse vinto de facto Trump. I media occidentali l’hanno chiamata positivamente “Iron Lady venezuelana”, equiparandola alla Iron Lady europea Margareth Thatcher; l’imprenditrice di successo che in Venezuela ha rifiutato l’esilio”, “pasionaria di destra” o addirittura “Libertadora”, declinazione femminile dell’epiteto Libertador storicamente associato alla figura di Simon Bolivar, condottiero militare e politico venezuelano che, insieme a José Martín, il principale artefice dell’indipendenza latino-americana. Mentre l’Occidente si beve passivamente la vittoria di questa sconosciuta ai più, c’è chi conosceva bene la sua storia ed ha scritto molto delle sue gesta. Puntuale è arrivata l’analisi di Geraldina Colotti, una delle massime esperte di Venezuela in Italia. Oltre agli importanti siti di controinformazione come L’Indipendente, L’Antidiplomatico, Contropiano, OttolinaTV, Altrenotizie.org, Pressenza Italia e molte altre testate online, gli unici quotidiani cartacei che l’11 ottobre hanno dato una notizia – quanto meno bilanciata – dando informazioni sulla figura della Machado sono stati Il manifesto e il Il Fatto Quotidiano. E’ stato proprio Il Fatto a definire la Machado “Magazuela”, in riferimento alla sua appartenenza all’estrema destra venezuelana vicina al movimento MAGA (“Make America Great Again”) di Trump e al suo sostegno al anarcocapitalista Milei in Argentina, alle sue simpatie per Bolsonaro in Brasile e al governo sionista d’estrema destra di Benjamin Netanyahu in Israele artefice dell’attuale genocidio contro la popolazione gazawi, oltre che responsabile delle razzie continue in Cisgiordania. La leader dell’opposizione venezuelana ha telefonato ieri al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, congratulandosi per “i successi di Israele” nella settimana in cui è entrato in vigore il cessate il fuoco, dopo un’operazione militare israeliana durata due anni che ha causato la morte di oltre 67.000 persone a Gaza. Non solo, nel 2020 il partito della Machado, Vente, ha sottoscritto un patto di gemellaggio con il Likud, partito d’estrema destra israeliano di cui è membro Benjamin Netanyahu. Nel 2021 la Machado definì  Netanyahu su Twitter “un genuino alleato della libertà”, promettendogli lo spostamento della Ambasciata venezuelana a Gerusalemme e l’ingresso commerciale nel paese con acquisto di armi qualora lei o un suo candidato fossero diventati presidenti del Venezuela. Nonostante queste dichiarazioni, la Machado sembra avere l’appoggio incondizionato della maggioranza di governo italiana oltre che il sostegno dei neoliberali del PD (dalla Picierno alla Boldrini), di Azione di Calenda, di Italia Viva di Renzi e dello scrittore Roberto Saviano, i quali hanno espresso elogio alla Machado insieme a tutto il coro della destra italiana. La chiosa arriva dal Vaticano: “Spero che possa aiutare il Venezuela a ritrovare la via della democrazia” – ha dichiarato il Cardinal Parolin, segretario di Stato vaticano. Infatti i motivi del Nobel sembrano eccelsi. Il premio va a una “coraggiosa e impegnata paladina della pace” – ha annunciato l’Istituto Nobel durante la cerimonia in Norvegia – “Una donna che mantiene accesa la fiamma della democrazia in mezzo a un’oscurità crescente”. Nella sua motivazione, il comitato norvegese ha sottolineato “il suo instancabile lavoro nel promuovere i diritti democratici del popolo venezuelano e la sua lotta per raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”. Ma davvero Maria Corina Machado mantiene viva la fiamma della democrazia o è parte dell’oscurità crescente? Davvero promuove i diritti democratici per il popolo venezuelano e per una transizione giusta e pacifica alla democrazia? Queste sono solo opinioni di chi forse non conosce la storia della Machado o fa di tutto per ignorarla. Infatti, questa signora dell’estrema destra venezuelana è stata fautrice di innumerevoli piani golpisti e destabilizzanti contro il governo socialista bolivariano sia con Chavez, quando Machado dirigeva l’ONG Sumate, finanziata dagli USA; sia con Maduro, essendo ispiratrice delle guarimbas del 2014, episodi di violenza politica scatenata dall’opposizione venezuelana e da movimenti paramilitari d’estrema destra sia contro la popolazione sia contro i militanti chavisti. La sua figura emerse già durante il fallito colpo di Stato dell’aprile 2002 contro Hugo Chávez, quando partecipò attivamente alle proteste e fu tra le firmatarie del Decreto di Pedro Carmona, con cui si tentò di instaurare un golpe e sciogliere le istituzioni democratiche. Quel gesto venne sostenuto da settori imprenditoriali e dagli Stati Uniti. Da allora, Machado è rimasta un punto di riferimento della destra radicale venezuelana, filo-occidentale e apertamente contraria a ogni forma di compromesso politico, assumendo posizioni incompatibili con i princìpi di dialogo, sovranità e non-interferenza che un riconoscimento dedicato alla pace dovrebbe invece rappresentare (la “filosofia del dialogo” apertamente sostenuta dal governo bolivariano sia con Chavez sia con Maduro). Nel 2002, si avvicina alla politica fondando, insieme all’ingegnere Alejandro Plaz, l’ONG Súmate un’organizzazione “civica” apartitica di monitoraggio elettorale e la promozione della partecipazione democratica in Venezuela. Almeno così venne ufficialmente presentata, ma ben presto divenne un potente strumento politico dell’opposizione anti-chavista. L’associazione ottenne notorietà internazionale nel 2004 quando organizzò la raccolta firme per il referendum revocatorio contro Hugo Chávez. Emersero i legami finanziari con il National Endowment for Democracy (NED), l’ente statunitense che da decenni finanzia progetti di “promozione della democrazia” all’estero, spesso in contesti geopoliticamente sensibili. Documenti pubblici del NED confermano un finanziamento di circa 53.400 dollari a Súmate per «programmi di educazione elettorale» e «partecipazione civica». Il governo di Chavez denunciò l’operazione come un tentativo di ingerenza politica diretta, visto che alcuni rapporti d’analisi suggerivano chiaramente che il NED, oltre a finanziare Súmate, abbia sostenuto altre organizzazioni dell’opposizione venezuelana, servizi d’informazione e campagne politiche indirette, contribuendo a una rete di supporto esterno alla dissidenza. Nel 2005, in piena invasione statunitense dell’Iraq (che causò un milione di morti civili), Machado fu ricevuta da George W. Bush a cui chiese di intervenire per abbattere il governo Chávez. Nello stesso anno Machado e Plaz furono incriminati per “cospirazione” e “ricezione di fondi esteri illegali”, poiché la Costituzione venezuelana vieta il finanziamento straniero a iniziative di carattere politico. Il NED, da parte sua, difese l’operazione come un normale sostegno alla società civile, mentre Washington accusò Caracas di «criminalizzare l’attivismo democratico». Analisti indipendenti e inchieste giornalistiche hanno mostrato come i progetti del NED in Venezuela abbiano storicamente agito in sinergia con le strategie di destabilizzazione del Dipartimento di Stato. Súmate, pur definendosi “neutrale”, ha operato in costante opposizione al chavismo, promuovendo azioni che hanno avuto un chiaro impatto politico. Di fatto, l’associazione ha rappresentato il trampolino di lancio per l’ascesa politica di Machado e il suo consolidarsi come riferimento dell’ala filo-USA, fascista e neoliberale dell’opposizione venezuelana. Nel 2011 è stata eletta deputata nazionale, restando fino al 2014. Machado si autodefinisce da sempre una “liberale centrista profondamente anticomunista”, e ha sostenuto pubblicamente la destituzione di Maduro a tutti i costi, anche attraverso “processi non democratici”. Nel 2014 scrisse all’ex ambasciatore all’Onu Diego Arria, esponente del cartello di opposizione Mesa de la Unidad Democratica (Mud), riferendosi a Maduro: “Bisogna eliminare questa porcheria, cominciando dalla testa, approfittando del clima mondiale con l’Ucraina e ora con la Thailandia. Prima si fa, meglio è”. Ancora più espliciti i messaggi rivolti da Machado ai nazisti del gruppo Juventud Activa Venezuela Unida (Javu), finanziati da Henrique Salas Romer, economista, fondatore del partito Proyecto Venezuela ed ex governatore dello stato Carabobo: “La lobby internazionale è nel suo miglior momento”, incitando alle violenze di piazza. Per tale motivo si è meritata negli anni l’epiteto di “Maria Violenza” oltre al soprannome che le hanno affidato i suoi sostenitori: la dama de acero, “signora d’acciaio”. Nel febbraio 2014 è tra i volti noti dell’opposizione venezuelana nelle manifestazioni, chiamate La Salida, sfociate nella prima ondate di guarimbas.  Nel marzo 2014 è stata rimossa dall’incarico di deputata, per la presunta flagrante violazione degli articoli 149 e 191 della Costituzione del Venezuela del 1999, dopo aver accettato l’incarico di “ambasciatore supplente” di Panama presso l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) Il suo nome è infatti legato alle violenze paramilitari e golpiste delle guarimbas del 2017, dove fascisti venezuelani misero a ferro e fuoco le città del Venezuela in funzione anti-chavista colpendo i cittadini, saccheggiando negozi, bruciando vivi i militanti chavisti e commettendo femminicidi politici contro le femministe bolivariane. All’inizio di aprile 2017, i leader dell’opposizione al presidente costituzionale venezuelano Nicolás Maduro hanno iniziato a indire una serie di proteste per chiedere la destituzione dei giudici della Corte Suprema, che ritenevano avessero messo in atto un “autogolpe” o “colpo di Stato” annullando i poteri dell’Assemblea Nazionale. Sebbene i giudici avessero corretto le sentenze, l’opposizione ha continuato a organizzare una serie di marce senza annunciarne la fine o in luoghi non autorizzati. Queste marce sono quasi sempre culminate in episodi di violenza: attacchi alla polizia e alla Guardia Nazionale Bolivariana; distruzione di enti pubblici e privati e infrastrutture pubbliche; erezione di barricate; messa a fuoco dei Centri diagnostici integrati gestiti dai medici cubani e scontri con civili che non sostengono l’opposizione. Ciò ha causato un numero significativo di vittime. La violenza dei guarimberos, organizzati dal leader di destra Leopoldo López del partito Volontad Popular, causò la morte di 43 persone di ogni orientamento politico. I disordini politici hanno suscitato numerose speculazioni, sia a livello nazionale che internazionale, sulle morti. Si è sostenuto che le vittime decedute in varie circostanze siano state presumibilmente causate dalla “repressione” del governo Maduro, mentre i casi in cui i gruppi di opposizione sarebbero stati gli autori delle violenze sono stati messi a tacere.  Uno dei primi attacchi da parte di gruppi violenti di destra è stato l’attacco alla sede della Direzione Esecutiva del Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ), situata nel comune di Chacao, nello stato di Miranda. L’attacco avvenne l’8 aprile 2017, dopo che l’opposizione venezuelana aveva indetto una manifestazione. L’allora Ministro delle Comunicazioni venezuelano, Ernesto Villegas, dopo aver relazionato sulla morte di cittadini e sulle violenze nei confronti della Polizia Nazionale Bolivariana (PNB) e della Guardia Nazionale Bolivariana (GNB) dichiarò: “Il governo invita i rappresentanti politici dell’opposizione venezuelana a prendere le distanze da questi eventi, a non mostrare solidarietà con coloro che hanno confuso la politica con la criminalità e a tornare ad approcci pacifici e basati sul dialogo”. La condanna da parte della destra venezuelana non avvenne mai. Ci si chiede come possa razionalmente e logicamente un Premio Nobel avere a che fare con episodi di violenza politica paramilitare, senza dimenticare che ha invocato più volte l’intervento militare di Washington contro il Venezuela. Nel 2018 la Machado arrivò addirittura a scrivere una lettera a Netanyahu e a Macri (ex-presidente argentino filo-USA) chiedendo un intervento contro il presidente Maduro: era l’epoca in cui dalla Colombia venivano infiltrati in Venezuela paramilitari di ultradestra per compiere sabotaggi alle strutture elettriche ed attentati a leader politici chavisti. Pochi mesi, durante l’attacco militare di Israele all’Iran, tornò a chiedere “un intervento analogo contro il Venezuela”. Chiedere l’invasione del proprio paese è un reato che nelle democrazie occidentali viene punito col carcere, la Machado in questi decenni è stata libera di farlo senza essere arrestata. Non solo, nel 2019 Machado ha giocato un ruolo fondamentale nella creazione del “governo parallelo”, avallato da istituzioni artificiali costruite ad hoc, che avrebbe portato all’ “autoproclamazione” del golpista Juan Guaidó: il tutto permesso grazie all’espulsione del Venezuela dagli organismi multilaterali in seguito alla morte di Chavez. Nel 2023 Machado si è candidata alle primarie dell’opposizione vincendo, tra i suoi elettori, con il 93% dei consensi, ma poco dopo è stata esclusa dalla vita politica poichè la Contraloría General de la República – l’organo supremo di controllo contabile e amministrativo dello Stato venezuelano – l’ha dichiarata ineleggibile per 15 anni, una misura che le ha impedito formalmente di partecipare al voto, con l’accuse di finanziare attività contro lo Stato e collusione con il golpe di Juan Guaidó del 2019. La Corte Suprema del Venezuela, il 26 gennaio 2024, ha confermato l’interdizione a ricoprire cariche pubbliche per 15 anni per la Machado, confermando l’ineleggibilità anche del supplente della Machado, il due volte candidato alle presidenziali Henrique Capriles. La Corte Suprema ha ridichiarato che la Machado è stata interdetta “per essere stata coinvolta… nel complotto di corruzione orchestrato” dall’ex leader dell’opposizione Juan Guaido (fautore del tentato golpe del 2019) legato alla compagnia energetica transnazionale ExxonMobil (1). Dopo la notizia della sua ineleggibilità, la coalizione di destra ha presentato la filosofa e docente venezuelana Corina Yoris come sua successora, per poi anch’ella essere sostituita in favore di Edmundo González Urrutia, già Ambasciatore del Venezuela in Algeria tra il 1991 e il 1993, e in Argentina tra il 1998 e il 2002, nonchè tra i principali “agenti della morte” in El Salvador negli anni Ottanta – insieme all’ambasciatore Leopoldo Castillo, noto con il soprannome di El Mata Curas (“Il prete assassino”) – che lavorò all’attuazione del “Piano Condor”, il quale consisteva nell’eliminazione – anche fisica – degli oppositori di sinistra in tutta la regione latinoamericana. Nel luglio 2024, il Woodrow Wilson International Center for Scholars (o Wilson Center) – uno degli United States Presidential Memorial, fondato a Washington DC come parte dello Smithsonian Institution, riconosciuto come uno dei primi dieci più importanti think tank al mondo – ha pubblicato un paper dal titolo “Venezuela Desk – How to stop a coup”, ovvero “come fermare un colpo di Stato in Venezuela”. Un titolo che potrebbe trarre in inganno, in quanto potrebbe far pensare ad un documento che voglia prevenire un colpo di Stato, ma in realtà si tratta del suo opposto: il dossier illustra i piani golpisti di stampo fascista che gli Stati Uniti avevano preparato per le elezioni presidenziali del 28 luglio 2024 contro il governo socialista di Nicolas Maduro. E’ proprio quello che si è avverato: la destra venezuelana gridò ai brogli elettorali, per poi scoprire che fu tutta una messa in scena dell’opposizione scovata proprio grazie al sistema elettorale automatizzato con riconteggio manuale che il Venezuela adotta fin dai tempi di Chavez e che il Centro Carter ha definito tra i migliori al mondo. Machado è legata alla piattaforma “Comando Con Venezuela” (ConVzla), che ha coordinato la sua candidatura nel 2024 e le attività elettorali (anche dall’estero) quando lei è stata inabilitata. Il governo venezuelano accusa tale struttura di operare come una cabina politica di orientamento esterno, vista come un mezzo per influenzare dall’estero il processo elettorale venezuelano. Non è un caso che mentre l’opposizione gridava ai brogli elettorali, fosse proprio ConVzla – a cui Machado faceva da megafono – a fornire i dati falsati degli esiti elettorali, che in seguito sarebbero stati smascherati. In Spagna, il partito Podemos ha dichiarato che assegnare il Nobel della Pace a Machado equivale a premiare «golpisti e criminali di guerra». La portavoce Ione Belarra ha dichiarato che il riconoscimento indebolisce il prestigio e la credibilità dell’Istituto Nobel se viene destinato a chi ha una storia politica che non esclude l’uso della destabilizzazione e della violenza. Ormai da tempo che questo premio – con i suoi corrispondenti 930.000 euro – viene consegnato a personaggi su cui gli USA investono per sovvertire governi e che non hanno nulla a che vedere con la pace. La decisione del comitato norvegese di darle il Nobel per la Pace è un chiaro gesto politico filo-Trump: in un’epoca segnata da guerre geograficamente distanti, da pressioni statunitensi in America Latina camuffate da lotta al narcotraffico e dalla polarizzazione tra blocchi internazionali, Machado diventa il volto perfetto per una nuova manovra ideologica che intreccia Stati Uniti, destra radicale latino-americana, neoliberismo e nuove forme di ingerenza neocoloniale. Oggi ci si chiede: il premio alla Machado sarà usato dagli USA, attualmente presenti con 10.000 marines, una portaerei ed un sottomarino nucleare, di fronte alle coste venezuelane, per giustificare un intervento armato da tempo voluto ma a cui manca la scusa per giustificarlo di fronte all’opinione pubblica? D’altronde la sua idea di pace coincide con la Pax Americana: privatizzazioni, sottomissione e obbedienza agli interessi imperialisti USA. Premiarla significa consacrare il Nobel come un marchio di “guerra umanitaria”. Maria Corina si colloca dunque proprio tra i peggiori Premi Nobel per la Pace di cui la storia è ormai sazia: Norman Borlaug (fautore della Green Revolution in India, dell’industrializzazione e della chimicizzazione dell’agricoltura), Henry A. Kissinger (Segretario di Stato USA nonchè noto guerrafondaio ed artefici di numerosi conflitti contemporanei), Lech Wałęsa (agente della CIA che tramite essa finanziò il sindacato Solidarnosc in funzione anti-sovietica), l’Unione Europea (impegnata in decine di conflitti nel mondo attraverso i suoi singoli eserciti nazionali), Fredrik Willem De Klerk (a capo del governo dell’apartheid bianca in Sudafrica, nonchè per anni complice di quel regime), Barack Obama (il primo “Premio Nobel preventivo”, noto continuatore di molti conflitti ed iniziatore di molti altri come  Yemen e Siria), il controverso colombiano Juan Manuel Santos Calderón, oltre alla lunga lista di massacratori di palestinesi come Menachem Begin, Shimon Peres e Yitzhak Rabin. Penso a tutti quei grandi personaggi contemporanei che il premio Nobel lo avrebbero meritato o che sono stati candidati al Nobel per la Pace, senza mai riceverlo: l’indiana Shri Mataj Nirmala Devi (pacifista, attivista e satguru del Sahaja Yoga), Vandana Shiva (fisica, economista e ecologista indiana da sempre agitatrice mondiale nelle lotte new-global in difesa della Terra e dei diritti umani dei contadini e delle popolazioni indigene), Daisaku Ikeda (maestro buddhista e terzo presidente della Soka Gakkai International che per tutta la sua vita è stato assertore della pace, del disarmo e della nonviolenza), Mario Luis Rodriguez Cobos (filosofo argentino, padre del Nuovo Umanesimo Universalista ed assertore della Nonviolenza Attiva), Gino Strada (il grande medico chirurgo italiano e fondatore dell’ONG Emergency noto per le sue prese di posizioni antimilitariste), Julian Assange (giornalista investigativo, fondatore di Wikileaks, perseguitato per aver smascherato crimini di guerra occidentali in Iraq e Afghanistan), le Brigate Mediche Internazionaliste Cubane (candidate al Nobel per la Pace negli anni della Covid-19 per il loro lavoro di cooperazione umanitaria in molti Paesi del mondo, offrendo la loro competenza nei casi di crisi sanitaria) e infine il  Mahatma Gandhi che non ha mai ricevuto il Premio Nobel per la Pace, nonostante sia stato candidato cinque volte, inclusa l’ultima volta poco prima del suo assassinio nel 1948.   (1) Come noto, il Procuratore Generale della Repubblica, Tarek William Saab, ha emesso mandati di arresto contro Yon Goicochea, Juan Guaidó, Julio Borges, Andrés Izarra, David Smolanski, Carlos Vecchio, Léster Toledo, Savoi Jandon Wright, Leopoldo López e Rafael Ramírez , identificati come operatori all’estero. https://www.cubainformazione.it/?p=86516     Intervista di Maria Corina Machado al Corriere della Sera dell’11 ottobre 2025 https://www.corriere.it/politica/25_ottobre_11/intervista-machado-vittoria-nobel-maduro-trump-90c7b169-a49f-40b9-994b-6ad6e0f19xlk.shtml   Ulteriori fonti: https://ilmanifesto.it/caracas-la-corsa-di-machado-deputata-di-opposizione https://rivistapaginauno.it/venezuela-la-destra-clerico-liberista-anti-maduro/  https://www.farodiroma.it/venezuela-maria-corina-machado-e-la-liberta-che-piace-ai-chicago-boys-di-g-colotti/ https://www.altrenotizie.org/spalla/10381-venezuela-il-mostro-del-golpismo.html https://www.altrenotizie.org/primo-piano/10385-venezuela-il-manuale-di-un-golpe.html https://www.blog-lavoroesalute.org/venezuela-cronaca-di-una-democrazia-popolare/ https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-ecco_da_dove_arrivano_le_fake_news_sul_venezuela/5694_19961/ https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_stampa_europea_al_servizio_della_golpista_machado/52331_56389/  https://www.pressenza.com/it/2025/03/usaid-ha-speso-piu-di-11-miliardi-di-dollari-per-destabilizzare-il-venezuela-bolivariano/ https://www.pressenza.com/it/2020/09/pubblicati-file-di-wikileakes-che-svelano-piani-usa-per-destabilizzare-il-venezuela/ https://www.pressenza.com/it/2024/07/tentativo-di-colpo-di-stato-in-venezuela-la-destra-eversiva-ricorre-alla-violenza/ https://www.pressenza.com/it/2024/08/la-conferma-anche-giudiziaria-della-vittoria-di-nicolas-maduro-alle-elezioni-presidenziali-in-venezuela/ https://www.pressenza.com/it/2024/02/venezuela-la-fascista-marina-machado-si-candida-alle-elezioni-presidenziali-2024-con-il-sostegno-di-usa-e-ue/ > Guarimbas, i tentativi di colpo di stato “soft” in Venezuela > Il “Narco-Venezuela”: la grande bufala   Lorenzo Poli
Il Nobel delle cannoniere. Prima parte
La grottesca assegnazione del Premio Nobel per la Pace alla golpista venezuelana María Corina Machado è senza dubbio uno dei punti più bassi raggiunti dall’Istituto Nobel. Lungi dall’essere una coincidenza casuale, è parte dell’agenda bellica dell’Occidente e di una precisa strategia di aggressione nei confronti del Venezuela bolivariano e delle altre esperienze di trasformazione del sub-continente. Oggi, i venti di guerra soffiano anche nelle acque del Mar dei Caraibi e Machado ha un ruolo centrale nel tentativo di “regime change” per rovesciare il chavismo con un intervento militare diretto degli Stati Uniti. Il sorriso ingessato di María Corina Machado  Nata nel 1967, Machado è quella che i venezuelani chiamano “sifrina”: una donna di origini privilegiate, ricca figlia di un imprenditore siderurgico, nel 2005 ha dichiarato di aver avuto “un’infanzia al riparo dalla realtà”. Ha studiato prima in un esclusivo collegio di Caracas e poi, come è tradizione tra le antiche élite venezuelane, negli Stati Uniti. Nonostante il tentativo dei latifondi mediatici internazionali di ripulire la sua immagine e di trasformarla in una moderna Giovanna d’Arco dal sorriso ingessato, Machado ha un lungo curriculum golpista, fatto di appelli all’intervento militare straniero contro il proprio Paese e al colpo di Stato. Già nel 2002, Machado aveva preso parte all’effimero golpe contro Hugo Chávez (con la presidenza de facto di Pedro Carmona “il breve”), firmando il decreto di scioglimento di tutti i poteri della Repubblica. La sua “Ong” Sumate è da tempo finanziata dalla NED (che fa capo al Partito Repubblicano negli USA) e dall’USAID. Dopo la sua elezione a deputata nel 2011, Machado è stata inabilitata politicamente per aver rappresentato un altro Paese (Panama, incredibile dictu) in un vertice dell’OEA del 2014, per discutere della crisi venezuelana. Ritenendo che ciò violasse in modo flagrante la Costituzione, il potere giudiziario le ha revocato il seggio, con una decisione ratificata nel 2014 dalla Corte Suprema di Giustizia venezuelana. Machado è stata anche parte attiva dell’enorme trama di corruzione dell’autoproclamato “presidente” del Venezuela, il “signor nessuno” ex deputato Juan Guaidó. Nel 2014 e nel 2017, è stata tra le promotrici de “La salida” con le cosiddette “guarimbas”, una strategia insurrezionale paramilitare per abbattere il chavismo, con un saldo di 43 morti, 486 feriti e 1.854 arrestati. Nel 2017 ha invocato a gran voce la “massima pressione” di Washington contro il governo di Maduro, e l’approvazione di ennesime misure coercitive unilaterali (le mal chiamate sanzioni) contro l’economia del Paese caraibico. Nel 2019 ha chiesto l’applicazione del TIAR, un vecchio trattato militare in seno alla Organizzazione degli Stati Americani (OEA), per intervenire militarmente in Venezuela, definendo il governo bolivariano come una “associazione criminale transnazionale”. Nel 2019, in una intervista alla BBC, ha affermato che “…le democrazie occidentali devono comprendere che un regime criminale lascerà il potere solo di fronte alla minaccia credibile, imminente e grave dell’uso della forza”. Un saggio di uso della forza c’è stato nel 2020, con l’avventura dello sbarco di mercenari nella Operación Gedeón. Il suo partito “Vente Venezuela” ha firmato un patto di gemellaggio con il Likud del sionista Beniamin Netanyahu, a cui ha chiesto di intervenire militarmente in Venezuela, promettendo di spostare l’ambasciata venezuelana a Gerusalemme in caso di una sua vittoria elettorale. Il suo appoggio al sionismo non è mai cessato, neanche durante gli ultimi due anni di genocidio a Gaza. Per quanto riguarda la concezione economica, è vicina al turbo-capitalismo di Trump e all’argentino Javier Milei, con un marcato profilo autoritario, retorica anticomunista e un modello vende-patria. Machado propone di privatizzare la compagnia petrolifera statale PDVSA, la Corporación Eléctrica Nacional e le altre aziende pubbliche, liberalizzare l’economia e ri-privatizzare le imprese nazionalizzate. Oggi, l’assegnazione del Nobel è quindi parte del complesso intreccio di operazioni e narrative che cercano di far rivivere in America Latina e nei Caraibi i tempi del big stick e della antica diplomazia delle cannoniere. Anche in questo caso, come in Palestina, con la loro abituale arroganza coloniale, attori stranieri vogliono decidere chi deve governare il Venezuela, senza tenere conto dei venezuelani. Babbo Natale e la testa dura dei fatti Per quanto riguarda la strategia statunitense di questi mesi, i fatti hanno la testa dura e c’è poco da credere a Babbo Natale. Diamo un’occhiata alla tempistica degli ultimi avvenimenti. Ad aprile c’era stata la visita a Panama del Segretario della Difesa (ora della Guerra) Pete Hegseth, seguita da un via vai di alti comandi del Pentagono e da esercizi militari e spiegamento di truppe per consolidarne la presenza. A settembre, Trump ha ordinato l’invio di una flotta militare nel Mar dei Caraibi con 8 navi da guerra (fregate, cacciatorpedinieri ed un sottomarino nucleare) e circa 4000 marines, con il ridicolo pretesto della “lotta al narcotraffico”. Subito dopo c’è stato lo spostamento di dieci caccia F35 in una delle basi a stelle e strisce di Puerto Rico, protagonisti immediati di provocazioni ai limiti dello spazio aereo venezuelano. Il 6 ottobre, Trump ha ordinato all’inviato speciale della Casabianca, Richard Grenell, di sospendere tutti i contatti diplomatici con il governo bolivariano. Contatti che avevano portato ad un parziale allentamento del blocco petrolifero, alla liberazione di alcuni mercenari statunitensi catturati e alla ripatriazione di decine di venezuelani espulsi dagli Stati Uniti. Secondo il New York Times, Trump lo ha fatto per la sua “crescente frustrazione per il fatto che Maduro non abbia acconsentito alle richieste degli Stati Uniti di abbandonare volontariamente il potere (sic) e per la continua insistenza dei funzionari venezuelani nel sostenere di non avere nulla a che fare con il traffico di droga”.  La reazione di Grenell all’assegnazione del Nobel a Machado sul suo profilo di X è stata lapidaria: “il Premio Nobel è morto da anni”. Lo scorso 7 ottobre, il Presidente venezuelano Nicolás Maduro ha denunciato un piano per compiere un attentato esplosivo contro l’ambasciata degli Stati Uniti a Caracas, fortunatamente sventato. Un attentato di “falsa bandiera”, organizzato da un settore dell’estrema destra venezuelana, alla ricerca di un pretesto per un attacco militare statunitense. La sede diplomatica è chiusa dal 2019, quando si sono interrotti i rapporti diplomatici. Il governo Maduro ha comunicato “ufficialmente” a Washington i dettagli del complotto. “Gli Stati Uniti dispongono delle informazioni, dei nomi e cognomi, dell’ora dell’incontro, di ciò che è stato discusso e dove si è discusso di questo attentato, approvato e richiesto da una persona che sarà presto resa nota”, ha affermato il Presidente venezuelano senza fornire ulteriori dettagli. Secondo il New York Times, in queste settimane il numero dei militari statunitensi nei Caraibi è aumentato a circa diecimila, la maggioranza dei quali a Puerto Rico. Al largo delle coste del Venezuela, si sarebbe poi aggiunta la nave da guerra “fantasma” Ocean Trader, che funge da supporto alle forze speciali statunitensi con una capacità di navigazione senza tracciabilità. E nei giorni scorsi, Washington si è assicurato l’appoggio allo spiegamento militare del governo di Trinidad Tobago, grazie alla promessa dell’esplorazione congiunta di un giacimento di gas al limite delle acque territoriali venezuelane. La minaccia militare è oggi a circa 11 chilometri dalle coste venezuelane. Il 15 ottobre, tre caccia-bombardieri statunitensi, partiti dalla Luisiana, sono entrati nello spazio aereo venezuelano, per l’ennesima provocazione, mentre il New York Times filtrava l’informazione di un semaforo verde dato da Trump alla CIA per operazioni in territorio venezuelano. Dulcis in fundo, l’assegnazione del premio Nobel per la pace a Machado. Redazione Italia
Nobel alla Machado: i commenti “a sinistra”…
Dopo aver proposto “a caldo” l’articolo di Gianmarco Pisa sull’ultimo Premio Nobel per la Pace (Un Premio Nobel senza pace), proponiamo qui una riflessione sui commenti quantomeno strani che lo hanno accolto nella sinistra istituzionale Ora che il pericolo è scampato ed al pacificatore The Donald non è toccato l’ambíto riconoscimento che prima di lui avevano ricevuto persone come Mandela, Rigoberta Menchú e Martin Luther King, l’internazionale della destra grida al complotto; ci sono invece alcuni esponenti della sinistra liberal, pochi per la verità, e più a titolo personale che a nome dei propri partiti, che hanno plaudito senza riserve all’attribuzione del Nobel per la Pace a Maria Corina Machado, conferitole per il suo instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici per il popolo venezuelano e per la sua lotta per raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia. Ma chi è anzitutto Maria Corina Machado? La leader venezuelana dell’opposizione a Maduro vanta un curriculum che, al di là di come la si pensi sui governi di ispirazione bolivarista dell’America Latina, non è certo riconducibile alla storia delle lotte per i diritti umani, civili e sociali che la sinistra ha condotto e conduce in ambito internazionale, né consente di iscriverla fra coloro che possono definirsi pacifisti.  Infatti, solo per citare qualche passaggio del suo excursus, ha firmato assieme a Bolsonaro, Milei, Giorgia Meloni e altri esponenti governativi di diversi paesi, la Carta di Madrid lanciata nel 2020 dal partito di estrema destra spagnolo Vox per riunire la destra spagnola e sud-americana contro il narco-comunismo, la sinistra e la criminalità organizzata; è una sostenitrice di Trump al punto da chiedere proprio a lui un intervento (militare?) per liberare il suo Paese da Maduro e dal suo Governo e proprio a lui ha dedicato il premio Nobel per la Pace che le è stato appena conferito; inoltre, sostiene Netanyahu ed il Likud nell’azione genocidiaria condotta contro il popolo palestinese. Tuttavia, questo non impedisce a Fiorella Zabatta, AVS, co-portavoce nazionale di Europa Verde, di affermare che l’attribuzione del Nobel alla Machado è una scelta che premia il coraggio e la tenacia di una donna che da anni si batte pacificamente per la libertà e la democrazia in Venezuela. Salvo poi essere corretta da Bonelli e Fratoianni, leader nazionali di AVS, i quali in una nota ufficiale chiariscono che si tratta di una scelta che risponde più all’egemonia politica che la destra conservatrice e i suoi adepti nel mondo stanno cercando di rendere predominante.  Neanche Davide Faraone, ex DS, poi PD ed ora fra i leader di IV di Renzi, si sottrae al coro di plaudenti affermando che con questo Nobel, Oslo restituisce al mondo un segnale politico e morale: la pace non si firma nei palazzi, si semina tra le persone. E chi la difende, come María Corina Machado, la merita davvero. Poi c’è Roberta Mori, PD, portavoce nazionale della Conferenza delle Donne Democratiche,  a rimarcare il fatto che questo Nobel rappresenta un segnale forte e universale per tutte le persone che ogni giorno combattono con tenacia e resilienza per i propri diritti e per la libertà. […] Questo riconoscimento internazionale amplifica la forza del suo messaggio e della sua storia, parlando non solo ai venezuelani, ma a chiunque creda nella democrazia e nei diritti umani come pilastri della convivenza civile”. Le fa eco sui social Mila Spicola, già PD ora indipendente, docente e consulente del MIUR, la quale, dopo aver rievocato la propria vita personale fatta di lotte nel movimento studentesco, in quello per la Pace, per i diritti civili, per il diritto all’istruzione e via discorrendo, al grido di El Pueblo unido jamás será vencido, conclude con un Viva il Nobel per la Pace a Maria Corina Machado che simboleggia tutto questo: la forza  delle donne e delle persone unite che alzano la voce in piazza per le cause giuste. Forse andrebbe fatto un minimo di riflessione da parte di chi a sinistra pensa che basta che il Nobel non lo diano a Trump, soprattutto quando esprimendo determinati apprezzamenti a chi difficilmente li merita si ha la responsabilità di consegnare al mondo della sinistra un’idea compiuta e coerente di cosa voglia proprio dire oggi essere di sinistra.  Perché se vuol dire acritico riconoscimento della funzione svolta dalle democrazie liberali e dai valori che esse propugnano per dimenticare che l’obiettivo originario era e rimane quello di costruire una società diversa dove pace, giustizia sociale e libertà siano concrete alternative a sfruttamento, neocolonialismo e capitalismo, allora sarà il caso di trovare un’altra definizione da parte di queste persone per sé stesse che non sia più di sinistra. In definitiva, questo è il mio pensiero: anche se i sostenitori di Trump gridano al complotto, chi ha avuto il Nobel al posto suo trova proprio in The Donald fonte di ispirazione, ma qualcuno ancora non lo ha capito.   Enzo Abbinanti
Un Premio Nobel senza pace
Da un lato, politicizzare la questione della pace, con l’adozione della politica dei “doppi standard”, serve alle potenze imperialistiche per le loro aggressioni “umanitarie” in giro per il mondo; dall’altro, strumentalizzare la questione dei diritti umani, impugnandone la bandiera in maniera selettiva e interessata, serve alle stesse potenze per alimentare campagne di delegittimazione e supportare interventi, guerre e aggressioni. Come si legge nel sito istituzionale, il Premio Nobel per la Pace tra il 1901 e il 2025 è stato assegnato 106 volte a 143 vincitori, di cui 112 persone e 31 organizzazioni, con il Comitato Internazionale della Croce Rossa che ha ricevuto il Premio tre volte (1917, 1944 e 1963) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati due volte (1954 e 1981). Personalità e organizzazioni importanti sono state premiate con il prestigioso riconoscimento; d’altra parte, è inevitabilmente vero che, trattando di una materia specificamente politica, l’impegno per la pace, tale premio sia condizionato da motivazioni e interessi che spesso esulano dal merito, che riguardano cioè considerazioni e fattori di carattere selettivo, se non strumentale. La politicizzazione delle questioni internazionali afferenti alla pace, ai diritti umani, e alla sicurezza è una delle grandi problematiche e, potenzialmente, una delle grandi minacce del nostro tempo, come più volte hanno messo in luce sia gli analisti più avveduti sia i principali Paesi del Sud globale. Da un lato, politicizzare la questione della pace, unitamente all’adozione della politica dei “doppi standard”, dei “due pesi e due misure”, serve ad attivare i meccanismi propri della cosiddetta R2P, la “responsabilità di proteggere” che, aliena alla giustizia internazionale, diventa lo strumento di cui le potenze imperialistiche si servono per le loro campagne di guerra ed aggressioni “umanitarie” in giro per il mondo (dal Kosovo alla Libia, solo per citare due tra i casi più noti). Dall’altro, strumentalizzare la questione dei diritti umani, impugnandone la bandiera in maniera selettiva, interessata e strumentale, serve alle medesime potenze per alimentare campagne di delegittimazione e mostrificazione del “nemico” di turno e supportare interventi e aggressioni in totale dispregio del diritto internazionale e dei principi di rispetto della eguaglianza sovrana delle nazioni, di libera autodeterminazione dei popoli e di non ingerenza nelle questioni interne dei singoli Paesi. Tornando al Nobel per la Pace, sarà sufficiente dunque vedere alcune delle più recenti assegnazioni per avere chiara l’immagine di un premio che, con la pace, ha spesso ormai poco o nulla a che vedere se non la denominazione e le sincere intenzioni che accompagnano determinate candidature, e che spesso, invece, serve precisi scopi politici e propagandistici. Negli ultimi anni sono stati premiati, per dire, Al Gore (2007), vicepresidente degli Stati Uniti quando questi lanciarono la campagna militare contro l’Iraq (1998) e la brutale aggressione contro la Jugoslavia (1999); Barack Obama (2009), presidente degli Stati Uniti e “Comandante in capo” nello svolgimento di sette guerre, le aggressioni in Siria, Libia, Iraq e Afghanistan, e i bombardamenti in Yemen, Somalia e Pakistan; Juan Manuel Santos (2016), già presidente della Colombia, del quale sarebbe sufficiente una rapida lettura anche di una semplice pagina Wikipedia per ricostruire fatti e carriera. Per non parlare poi, a metà tra l’incredibile e il grottesco, del premio conferito alla Unione Europea nel 2012: la stessa Unione Europea che oggi si autodefinisce “complementare e interoperabile” con la Nato (non esattamente un’organizzazione umanitaria) e che adotta programmi ufficiali, anche solo in riferimento agli ultimi in ordine di tempo, come l’Agenda Readiness 2030 che, parole della Presidente della Commissione Europea, “mobiliterà fino a 800 miliardi di euro” in misure per la difesa (per il complesso militare e per la guerra) nonché “un piano paneuropeo preciso, strettamente coordinato con la Nato, su come procedere”. Se dunque questa è la storia, l’attualità non può stupire. Nelle motivazioni del premio conferito a Maria Corina Machado (2025) se ne elogiano “l’instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici” e “la lotta per raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”. Si tratta della stessa Maria Corina Machado che, il 21 marzo 2014, pur essendo parlamentare venezuelana, accettò l’incarico di “rappresentante supplente” di un altro Stato (Panama) presso l’Organizzazione degli Stati Americani, giungendo addirittura a richiedere, in quel contesto, un intervento straniero contro il Venezuela, motivo per il quale è naturalmente decaduta dalla carica di parlamentare ai sensi degli articoli 149 e 191 della Costituzione del suo Paese, la Repubblica Bolivariana del Venezuela (per chiarezza, immaginare un deputato o deputata italiana che, ponendosi come rappresentante di un altro Stato, si presenti ufficialmente in un consesso istituzionale internazionale a chiedere un intervento straniero contro l’Italia: nulla di sbagliato?). E’ la stessa Maria Corina Machado che, come leader della formazione di estrema destra Vente Venezuela e capo della campagna elettorale del candidato sconfitto Edmundo González in occasione delle ultime elezioni presidenziali nella Repubblica Bolivariana del Venezuela (28 luglio 2024), ha politicamente ispirato addirittura un tentativo di golpe, rifiutando di riconoscere il risultato delle elezioni e lanciando proclami come quello, riferito dal presidente dell’Assemblea Nazionale (il Parlamento venezuelano) Jorge Rodríguez, per cui il legittimo presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela sarebbe stato scalzato “solo con la forza”. Per capire di cosa stiamo parlando, nelle giornate del tentato golpe, poi sventato, tra il 29 luglio e il 2 agosto, si sono avuti 25 morti e 192 feriti, di cui 97 appartenenti alle forze di sicurezza venezuelane. Quanto alla presunta “dittatura venezuelana”, tutti sanno che si tratta di una ben singolare “dittatura”, nella quale si vota, le opposizioni, appunto, partecipano regolarmente alle elezioni e sono rappresentate nel Parlamento nazionale e nelle istituzioni locali. Dal 1999 a oggi, da quando Hugo Chávez è arrivato al governo, si sono tenute in Venezuela 32 consultazioni elettorali di cui 30 vinte e 2 perse dal chavismo. Quella cui fa riferimento la motivazione del premio, “una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”, in Venezuela c’è già stata: fu la vittoria alle presidenziali di Hugo Chávez del 6 dicembre 1998. Riferimenti: I Premi Nobel per la Pace: https://www.nobelprize.org/prizes/lists/all-nobel-peace-prizes Le guerre di Obama, Il Post, 12 febbraio 2017: https://www.ilpost.it/2017/02/12/le-guerre-di-obama Juan Manuel Santos, Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Juan_Manuel_Santos María Corina Machado forjó su camino a la exclusión política, Mision Verdad, 6 luglio 2023: https://misionverdad.com/memoria/maria-corina-machado-forjo-su-camino-la-exclusion-politica L’avvertimento di von der Leyen: “Contro Ue guerra ibrida, rispondere a minaccia russa”, Adnkronos, 08 ottobre 2025: https://www.adnkronos.com/internazionale/esteri/lavvertimento-di-von-der-leyen-contro-ue-guerra-ibrida-rispondere-a-minaccia-russa_3mAoGM6BWGkfmOxLO4da34 Protestas de la oposición de extrema derecha venezolana han dejado un rastro de destrucción, TeleSur, 4 agosto 2024: https://www.telesurtv.net/protestas-de-la-oposicion-de-extrema-derecha-venezonala-han-dejado-un-rastro-de-destruccion La Fiscalía de Venezuela confirma 25 muertos en las protestas contra resultado electoral, SwissInfo, 12 agosto 2024: https://www.swissinfo.ch/spa/la-fiscal%C3%ADa-de-venezuela-confirma-25-muertos-en-las-protestas-contra-resultado-electoral/86692383 Gianmarco Pisa, Sulla regolarità e la trasparenza delle elezioni nella Repubblica Bolivariana del Venezuela, Pressenza, 11 agosto 2024: https://www.pressenza.com/it/2024/08/sulla-regolarita-e-la-trasparenza-delle-elezioni-nella-repubblica-bolivariana-del-venezuela Gianmarco Pisa, La conferma (anche) giudiziaria della vittoria di Nicolás Maduro alle elezioni presidenziali in Venezuela, Pressenza, 24 agosto 2024: https://www.pressenza.com/it/2024/08/la-conferma-anche-giudiziaria-della-vittoria-di-nicolas-maduro-alle-elezioni-presidenziali-in-venezuela Fabrizio Verde, Il Nobel come arma di guerra ibrida: il curriculum (senza filtri) di Maria Corina Machado, l’Antidiplomatico, 10 ottobre 2025: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_nobel_come_arma_di_guerra_ibrida__il_curriculum_senza_filtri_di_maria_corina_machado/52961_62991   Gianmarco Pisa