Suliman e Fatima contano i morti e i torturati in famiglia

Pressenza - Tuesday, September 2, 2025

A casa di Suliman e Fatima al Cairo è arrivato un ragazzo: è spaventosamente magro e provato nel corpo e nello sguardo da vessazioni e torture. E’ il loro nipote Abdullah Abdel-Rahman, che racconta la sua storia: arrestato dalle Forze di Supporto Rapido a El Fashir insieme ad altri quattro giovani il giorno della caduta di Zamzam, è stato torturato insieme agli altri tre; gli altri sono morti per le sevizie e per la fame, mentre lui è stato gettato in una discarica vicino a Zamzam. Questo succedeva il 10 agosto, mentre infuriava la battaglia. Lì nella discarica è stato individuato e messo in salvo da uomini delle Forze Congiunte, che lo hanno caricato sui loro veicoli e trasportato fino ad Al-Judud; qui Abdullah è stato affidato ad alcuni sudanesi che si recavano nelle zone aurifere al confine tra Sudan ed Egitto (molto sudanesi cercano lavoro in quella zona: forse questa attività è uno dei pochi lavori possibili in questo momento). Nella dolorosa e tristissima vicenda di Abdullah ci sono stati anche tanti incontri positivi, con persone che lo hanno di fatto salvato: così è stato per i cercatori d’oro che gli hanno pagato il biglietto per arrivare ad Assuan e da lì al Cairo.

“Oggi lo abbiamo ricoverato al Pronto Soccorso”: così termina il messaggio di Suliman. Le notizie continuano la sera: il nuovo messaggio dice che all’ospedale hanno deciso di fargli esami del sangue approfonditi, ecografie ed altro; il ragazzo soffre di rigidità allo stomaco perché per quattro mesi ha mangiato soltanto mangime per animali e pane secco. In un successivo messaggio vengo a sapere che la madre di Abdullah è la cugina di Suliman e che in questi giorni è lì a casa con lui e Fatima. Aggiunge che appena avranno i risultati delle varie analisi andranno dal medico, ma “le sue condizioni sono molto critiche”.

Non mancano purtroppo i lutti in famiglia ed ecco che ricevo l’elenco: “Sei persone sono morte di fame nel campo profughi di Naivasha e nessuno ne ha saputo nulla”. Sembra che i vicini si siano accorti della loro morte soltanto pochi giorni dopo. Questa precisazione mi lascia di stucco: anche in un campo profughi, anche fra tenda e tenda può esserci così tanta distanza da ignorare l’agonia e la morte di sei persone? Forse non ho capito bene. Questa parte del messaggio si conclude con: “Che Dio abbia pietà di loro e li perdoni”. Segue l’elenco dei nomi che voglio qui riportare perché non è un numero a essere stato ucciso da questa insulsa e gravissima guerra di fazioni, ma sono persone specifiche, ognuna còlta a un certo stadio della vita – con il suo carattere, la sua voce, i suoi modi, i suoi pensieri, con i suoi sogni per un futuro che è svanito con violenza inenarrabile. Eccoli:

Hajja Mariam Tandel Suleiman

Hajja Saliha Suleiman Bedi

Madre Amani Fath Al-Rahman

Bambino Saber Salem Mustafa

Bambino Saeed Salem Mustafa

Bambino Sabry Salem Mustafa

Ho fatto bene a scriverli anche perché scrivendoli me li sono immaginati: i loro nomi chiamati dalla mamma e loro, i bambini, che corrono.

La comunicazione con il mio amico Suliman continua per Whatsapp. Due giorni dopo ricevo un articolo intitolato “Darfur e la sua reputazione offuscata a causa dei Janjaweed”. Mi sembra un pezzo importante perché ristabilisce la verità delle cose anche per tutti quelli che, poco informati, prendono con superficialità le notizie che arrivano (di rado, a dire il vero) dal Sudan. Soprattutto illumina il Darfur di una luce diversa da quella che implicitamente gli si dà sentendolo nominare solo per atti di brutalità, feroci assassini e stragi gratuite. “In tutto il Darfur non troverete mai una persona che uccida il proprio fratello per il suo bestiame, tranne i Janjaweed”. Se conflitti si sono verificati tra le varie tribù, movimenti e organizzazioni dei diversi Stati del Darfur – continua l’articolo – si è trattato di contrasti di tipo politico-sociale. Per il resto il Darfur era e rimane terra di diversità e convivenza e la sua gente sostiene i valori della generosità, del coraggio e della protezione dei propri ospiti; non certo dell’odio, del saccheggio e dell’omicidio, modalità che sono sempre e solo appartenute ai Janjaweed, con i vari nomi che negli anni questa milizia si è auto-attribuita: Guardie di Frontiera, Ambaga, Consiglio del Risveglio, Forze di Supporto Rapido. E dietro ci sono sempre loro, impegnati ad annientare le comunità, a impadronirsi delle terre e degli animali, a distruggere i villaggi e a uccidere i loro abitanti. E quello che nel 2023 hanno fatto nei vari Stati del Darfur oggi lo stanno ripetendo ancora in Darfur e purtroppo anche in tutto il Sudan, compresa la sua bella capitale Khartoum. La distruzione di un Paese. Il genocidio di un popolo.

Ieri però è arrivato un nuovo messaggio in Whatsapp: Abdullah verrà dimesso dall’ospedale domenica prossima perché “le sue condizioni sono in continuo miglioramento”. Questa sì che è una bellissima notizia. Da una telefonata che infine riusciamo a fare vengo a sapere che Abdullah era arrivato a casa loro non camminando sulle sue gambe, ma accompagnato e sostenuto da altri ragazzi sudanesi, anche loro in fuga. Ora riesce a camminare e anche a “chiacchierare”. Circa il nutrimento, per il momento bisogna limitarsi a latte e succhi di frutta, oltre alle flebo.

Suliman continua a ringraziare per una piccola somma che con una rapida colletta avevo inviato non appena saputa la notizia di questo arrivo inaspettato: senza quei soldi non avrebbe potuto pagare gli esami medici, le cure e la degenza ospedaliera. Perché è tutto a pagamento per gli stranieri. “Anche se devo parlare devo pagare soldi in Egitto” dice, con tono più amaro che ironico. Solo quando si ottiene l’asilo politico si può andare nell’ospedale dell’Onu o anche in un ospedale normale a carico (non intero) dell’Onu stessa. Gli chiedo del suo asilo politico, quanto manca per avere la convocazione: ancora quattro mesi, sarà a dicembre (dal dicembre scorso che ha presentato la domanda). E’ arrivato in questi giorni il suo amico italiano Domenico, già console (o qualcosa del genere) in Sudan e gli ha portato diverse scatole della sua medicina per la prostata. E anche questa è una buona notizia.

Il figlio Ahmed, che lavora nelle zone aurifere del nord Sudan occupandosi della telefonia satellitare, gli invia tutti i mesi i soldi dell’affitto, e anche le figlie, una dagli Stati Uniti e l’altra dalla Germania si danno da fare come possono.

Affetto e premure non mancano dalla famiglia stretta, ma oggi Suliman ha una voce diversa, quella di una persona sfinita, che ha completamente esaurito la sua “sabur” (pazienza, proverbiale in lui). Glielo dico. Mi risponde che i motivi sono il vivere fra persone malate – Abdullah, la moglie Fatima, lui stesso – e “la povertà”.

Ma come si può non essere immensamente, eternamente tristi e pieni di dolore quando non ci sono più la tua casa, la tua città, il tuo Paese, la tua gente?

Link agli articoli precedenti:

https://www.pressenza.com/it/2024/07/storia-di-suliman-e-fatima-in-fuga-da-sudan-ed-etiopia/

https://www.pressenza.com/it/2024/07/suliman-e-fatima-di-nuovo-in-sudan-ma-solo-di-passaggio/

https://www.pressenza.com/it/2024/07/suliman-fatima-e-la-guerra-infinita-in-sudan/

https://www.pressenza.com/it/2024/08/suliman-fatima-e-legitto-che-non-li-vuole/

https://www.pressenza.com/it/2024/08/suliman-e-fatima-in-attesa-della-risposta-dellegitto/

https://www.pressenza.com/it/2024/09/suliman-fatima-e-i-certificati-medici-che-non-si-trovano/

https://www.pressenza.com/it/2024/10/suliman-fatima-e-legitto-che-si-avvicina/

https://www.pressenza.com/it/2024/10/suliman-e-fatima-da-un-port-sudan-di-tutti-matti-a-un-egitto-non-amato/

https://www.pressenza.com/it/2024/10/suliman-e-fatima-finalmente-in-egitto/

https://www.pressenza.com/it/2024/11/suliman-e-fatima-il-nilo-del-cairo-non-e-il-nilo-di-khartoum/

https://www.pressenza.com/it/2024/12/suliman-e-fatima-i-janjaweed-fanno-tante-cose-non-bene/

https://www.pressenza.com/it/2024/12/suliman-e-fatima-in-egitto-ma-ancora-invisibili/

https://www.pressenza.com/it/2025/01/la-mia-amica-fatima-che-resiste-come-al-fashir-in-darfur/

https://www.pressenza.com/it/2025/07/suliman-fatima-e-la-tenace-resistenza-di-al-fashir-in-darfur/

 

 

 

 

Francesca Cerocchi