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Tunisia: il sindacato reagisce alla repressione convocando uno sciopero generale
Dopo l’ondata di arresti che ha messo in galera con la scusa di “complotto contro la sicurezza dello Stato” alcuni dei principali oppositori al regime, il principale sindacato tunisino, l’Union Générale des Travailleurs Tunisiens” (UGTT) ha proclamato uno sciopero generale per il 21 di Gennaio. Di fronte alle pressioni del governo, il segretario generale dell’UGTT, Nourredine Taboubi ha dichiarato “Non ci lasciamo intimidire dalle vostre minacce o dalle vostre prigioni. Non temiamo il carcere”. L’UGTT ha svolto un ruolo centrale nella transizione democratica della Tunisia dopo il 2011, ma in un primo tempo aveva appoggiato il presidente Kais Saied quando aveva nel 2021 sospeso i poteri del parlamento in quello che è stato considerato dall’opposizione un autentico colpo di stato. Pressenza IPA
Donne d’Eritrea al centro del cambiamento
Nei mercati di Asmara e nei villaggi rurali, le donne eritree reggono l’economia familiare tra agricoltura, artigianato e cura domestica. Un progetto di cooperazione internazionale offre formazione e strumenti per trasformare resilienza in autonomia, aprendo nuove opportunità di lavoro dignitoso, inclusione sociale ed empowerment femminile. In Eritrea il lavoro delle donne è molto più di una necessità economica: è un atto quotidiano di resilienza, di costruzione del futuro e di partecipazione silenziosa allo sviluppo del Paese. Nei mercati di Asmara, nei villaggi rurali del Gash Barka e nelle regioni montuose del nord, le donne sono protagoniste della sopravvivenza delle famiglie, combinando la cura dei figli e della casa, con il lavoro nei campi, le attività artigianali di piccolo commercio e l’allevamento di animali. Le testimonianze raccolte restituiscono un quadro complesso: da un lato la fierezza di contribuire al benessere della comunità, dall’altro la consapevolezza delle difficoltà legate alla mancanza di strumenti, di formazione e di accesso a opportunità lavorative, dignitose e stabili. La trasmissione di competenze e l’accesso a percorsi di formazione professionale diventano quindi leve fondamentali per garantire sicurezza alimentare e nuove prospettive occupazionali. Allo stesso tempo, la formazione diventa anche uno strumento di empowerment che rafforza la consapevolezza dei propri diritti e che favorisce una partecipazione più attiva e inclusiva ai processi di cambiamento. Questo concetto diventa ancora più fondamentale per le donne, maggiormente escluse dalle opportunità educative e formative e quindi dal mondo del lavoro, in particolare per coloro che fanno parte del 75% della popolazione del Paese che vive in zone rurali, lontane dalla capitale Asmara. È in questo contesto che si inserisce il progetto di cooperazione internazionale “Miglioramento della sicurezza alimentare e dell’accesso al mercato del lavoro in Eritrea”, promosso da Nexus Emilia Romagna ETS con l’obiettivo di migliorare le condizioni di inclusione socio-economica delle fasce di popolazione più vulnerabili. Attraverso interventi di formazione tecnico-professionale e dotazione di materiali, il progetto intende migliorare la sicurezza alimentare, la consapevolezza e la possibilità di lavoro dignitoso per le persone più vulnerabili e residenti nelle aree rurali del Paese, con un’attenzione particolare a donne, giovani e persone con disabilità. l progetto pone grande enfasi sulla parità di genere e sull’inclusione sociale. La maggioranza dei beneficiari dei corsi di formazione professionale sono donne, in particolare provenienti da piccoli villaggi rurali. Donne con voglia di apprendere e avere alternative per il futuro che non siano solo la cura dei figli e della casa: un desiderio di empowerment economico che va oltre al desiderio di inclusione sociale. Le attività formative pratiche e teoriche sono state pensate per creare prospettive professionali concrete per chi in genere è escluso da tali opportunità. I moduli proposti garantiscono loro l’acquisizione delle competenze necessarie per l’accesso al mondo del lavoro e per raggiungere un’autonomia economica. Una beneficiaria del progetto ha raccontato quanto sia difficile conciliare vita lavorativa e familiare in un contesto che richiede forza, sacrificio e una costante capacità di adattamento. Grazie al corso di formazione in cucina ha trovato lavoro in una mensa dotata di asilo, che le permette di lavorare e contemporaneamente accudire il figlio. Altre beneficiarie, impegnate in attività agricole informali, hanno sottolineato come spesso il loro contributo non venga riconosciuto come “lavoro vero e proprio”, pur rappresentando una parte essenziale del reddito familiare. Una giovane donna, che ha partecipato al corso di formazione in agricoltura, ha trasformato il suo campo in una fonte affidabile di cibo per la sua famiglia e riesce a vendere l’eccedenza al mercato locale; ha raccontato che questo nuovo lavoro le ha permesso non solo di guadagnare un reddito che prima non aveva, ma anche di rivendicare diritti e riconoscimento sociale. Inoltre, la partecipazione al corso le ha permesso di conoscere altre donne, confrontarsi e scambiare idee. Queste testimonianze mettono in luce il cuore della questione: in Eritrea, come in molti altri Paesi del mondo, il lavoro femminile è imprescindibile, ma resta ancora fragile e necessita tutele. Il progetto si inserisce nel percorso intrapreso dall’Eritrea nel 1995 con la ratifica della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) che, pur complesso, sta aprendo nuovi spazi di partecipazione femminile. Uno degli attori principali di questo processo, e partner del progetto, è NCEW (National Confederation of Eritrean Workers), l’organizzazione sindacale nata ufficialmente nel 1994, ma con radici che affondano nella lunga storia del movimento operaio eritreo. La parità di genere è uno degli ambiti fondamentali del lavoro sindacale: NCEW promuove momenti di formazione, sensibilizzazione e iniziative volte a prevenire discriminazioni, molestie e violenze. Attraverso corsi, seminari e programmi di empowerment, l’organizzazione fornisce strumenti concreti alle lavoratrici per accedere a differenti opportunità professionali e, quindi, contribuire attivamente alla vita sociale ed economica del Paese. La parità di genere – insieme ad altri temi cruciali, quali lavoro dignitoso, salute e sicurezza sul lavoro – è stata inoltre al centro della campagna di advocacy, promossa nell’ambito del progetto e portata avanti da NCEW, che ha raggiunto un ampio pubblico attraverso incontri e iniziative comunitarie. Una tematica trasversale a tutto il progetto è la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutte le attività formative prevedono infatti un modulo di base sugli aspetti principali in materia, tra cui la prevenzione di rischi e infortuni. Il progetto prevede inoltre la realizzazione di un percorso formativo specifico su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. La formazione è organizzata da esperti dei sindacati italiani ed è rivolta a persone appartenenti a unità sindacali di base; è prevista anche la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e di toolkit di diversa natura per poter replicare la formazione a cascata nei luoghi di lavoro. L’attenzione alle questioni di genere, alle disabilità e alla sicurezza nei luoghi di lavoro dimostra come l’iniziativa stia andando oltre l’obiettivo immediato della sicurezza alimentare, ponendo le basi per un cambiamento strutturale, in grado di incidere nel lungo periodo sulle dinamiche del mercato del lavoro in Eritrea. In un Paese complesso come l’Eritrea, dove la memoria della lotta per la libertà si intreccia con le sfide dello sviluppo contemporaneo, il lavoro femminile e giovanile diventa non solo un mezzo di sostentamento, ma anche uno strumento di emancipazione e coesione sociale. E proprio qui, nelle storie delle donne e nella capacità di valorizzarne il contributo, si intravede la speranza di un futuro più giusto, stabile e sostenibile. Medeber, Asmara, Eritrea Lavoro, diritti e inclusione Il progetto “Miglioramento della sicurezza alimentare e dell’accesso al mercato del lavoro in Eritrea” (AID 012848/01/0)intende promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso il miglioramento delle condizioni di lavoro e l’integrazione socio-economica di gruppi vulnerabili, con un’attenzione particolare a donne, giovani e persone con disabilità. Finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) – sede di Addis Abeba, è realizzato da Nexus Emilia Romagna ETS con Progetto Sud ETS e ISCOS e il partner locale NCEW, in collaborazione con CGIL, CISL e UIL. Nexus Emilia Romagna ETS Per sostenere Nexus Emilia Romagna ETS Codice Fiscale: 92036270376 Via Marconi 69, 40122 Bologna Tel.: 051 294775 Sito: www.nexusemiliaromagna.org Email: er.nexus@er.cgil.it Iban: IT85 O053 8702 Africa Rivista
Tunisia: arrestato un altro oppositore politico
Ahmed Néjib Chebbi è stato arrestato oggi giovedì 4 dicembre a Tunisi  dopo essere stato condannato a 12 anni di prigione in un processo farsa in cui era accusato di “complotto contro la sicurezza dello Stato”. Chebbi, che ha 81 anni, è uno degli oppositori di sinistra più conosciuti nel paese e con una lunga carriera politica che lo ha portato ad essere candidato alla presidenza della Tunisia nel 2009, ministro nel primo governo di unità nazionale dopo la caduta di Ben Alì e membro della Costituente. Nei giorni scorsi Chebbi aveva dichiarato in un video:” vado in prigione con la coscienza tranquilla e sapendo di non aver commesso nessun errore”. Il suo arresto non è un caso isolato, segue infatti l’arresto dell’avvocato Ayachi Hammami e dell’attivista Chaïma Issa, condannati nello stesso processo. Dure le reazioni delle associazioni di difesa dei Diritti Umani. Secondo Sara Hashash, direttrice regionale di Amnesty International, “queste detenzioni confermano l’allucinante determinazione delle Autorità nel soffocare l’opposizione pacifica”; Ahmed Benchemsi, portavoce locale di Human Rights Watch sottolinea che l’opposizione tunisina è ormai in prigione o in esilio. Pressenza IPA
Madagascar: la Generazione Z ha vinto, ma non è lei a riscrivere le regole
Abbiamo assistito di recente a una svolta storica in Madagascar, che ha visto protagonisti i giovani della Generazione Zeta. A distanza di poco tempo rimangono molti interrogativi e sfide. Tra il 25 settembre e il 14 ottobre scorsi, il Madagascar ha vissuto una svolta storica. La Generazione Z, nata e organizzata sui social network, è riuscita a far cadere il regime di Andry Rajoelina. Ora però i ragazzi della Gen Z tra i 15 e i 25 anni, arrabbiati, connessi e determinati, si trovano di fronte a un interrogativo cruciale: come evitare che il loro sogno di cambiamento venga neutralizzato? Il rischio principale per la Generazione Z malgascia è che il “momento rivoluzionario” venga normalizzato dentro logiche militari, clientelari e internazionali che non controlla, trasformando una vittoria di piazza in una riconfigurazione del vecchio sistema con volti nuovi. La specificità della Generazione Z malgascia è il suo nucleo motore: una galassia di gruppi urbani connessi che ha usato piattaforme cifrate per coordinare scioperi, sit-in, occupazioni, manifestazioni e presidi in spazi simbolici come la Place de la Démocratie, aggirando partiti e notabili. Questa “rivoluzione digitale” ha prodotto due effetti ambivalenti: ha mostrato che una generazione con poco da perdere può rovesciare rapidamente un presidente, ma ha anche aperto spazio a un arbitraggio di potere da parte dei militari, delle élite economiche e degli attori esterni che ora cercano di incanalare l’energia giovanile in una transizione controllata. Un governo senza consultazione La scelta del primo ministro e la formazione del nuovo governo sono avvenute senza il diretto coinvolgimento dei giovani protagonisti della rivolta. I 29 membri dell’esecutivo odierno includono qualche nuovo volto e alcuni esperti, ma l’insieme resta un sapiente dosaggio di vecchi politici, oppositori storici e persino rappresentanti del regime appena cacciato come Christine Razanamahasoa già presidente dell’Assemblea Nazionale ed ex ministro con Andry Rajoelina, che oggi nel nuovo governo ha ottenuto lo strategico Ministero degli Esteri. Sariaka Senecal, giovane attivista malgascia (poco più che ventenne) descrive così al settimanale francese Le Point il rapporto ambivalente con le nuove autorità: “E’ vero, siamo stati ricevuti dalla presidenza e al Ministero della Gioventù. Da questo punto di vista c’è stato ascolto. Ma sulle nomine politiche non siamo stati minimamente consultati. Dalla scelta del premier a quella dei ministri, non siamo mai stati coinvolti. Stiamo assistendo a una rifondazione di facciata. Non è prevista alcuna revisione costituzionale, nessuna riforma strutturale. Cambiano le facce, non le logiche. Ci ascoltano, fingono di prenderci sul serio. Ma hanno già i loro piani”. Dal movimento orizzontale alla struttura organizzata La difficoltà di questa “rivoluzione della Generazione Z” era prevedibile. Nata in modo spontaneo e orizzontale, la mobilitazione giovanile manca, come in altri contesti simili, di rappresentatività formale. Per acquisire maggior peso, il movimento starebbe valutando di modificare la pura orizzontalità e organizzarsi in una struttura più tradizionale, con portavoce, comitati e leader riconoscibili. La Generazione Z dispone oggi di reti e strumenti che le danno un’influenza senza precedenti, ma oscilla ancora tra la forma organizzata di un movimento e quella assembleare e fluida di un organo consultivo. L’obiettivo comunque resta invariato: influenzare le decisioni del potere. Per ora una delle sfide principali per il nuovo governo è mantenere il sostegno finanziario della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, da cui dipendono numerosi progetti in corso per migliorare l’accesso all’acqua e all’energia: solo il 36% della popolazione malgascia ha accesso all’elettricità, quando c’è. Un brief “Poverty and Equity” su Madagascar dell’ottobre 2025 stima che nel 2024 circa l’80% dei malgasci viva sotto la soglia internazionale di povertà di 2,15 dollari al giorno Intanto la Russia in queste settimane ha manifestato ufficialmente la volontà di rafforzare la cooperazione con il Madagascar in questa fase di transizione. Una mossa sostenuta dal nuovo Presidente dell’Assemblea Nazionale malgascia, Siteny Randrianasoloniaiko, noto per la sua vicinanza a Mosca. “I russi sono specialisti nella risoluzione di problemi urgenti. possono fornirci carburante. La scelta è nelle nostre mani se vogliamo davvero trovare soluzioni ai nostri problemi” ha dichiarato lunedì 24 novembre, durante la discussione sulla legge finanziaria per il 2026. Il giorno seguente ha convocato i fornitori della Jirama, la società pubblica di distribuzione di acqua ed elettricità sostenendo che il supporto tecnico russo sarebbe il benvenuto dato che nella capitale sono già ripresi i tagli di corrente. Non è la prima volta che Mosca prova a esercitare la sua influenza sul Madagascar. Nel 2018, pochi mesi prima delle presidenziali, un’indagine di BBC Africa Eye aveva rivelato come una squadra di consulenti politici russi (entrati nel Paese come “turisti” o “osservatori”) avesse offerto denaro e supporto tecnico ad almeno sei candidati. L’obiettivo era influenzare l’esito del voto sostenendo più candidati in parallelo. Da allora gli attori esterni non hanno smesso di cercare spazio a Antananarivo, tra contratti minerari e offerte di ‘cooperazione strategica’. Ma sette anni dopo, quel copione non funziona più: per i ragazzi della Generazione Z la vera battaglia comincia adesso.   Africa Rivista
Radio Solaire. Hackrocchio.
Radio Solaire. Radio Diffusion Rurale, è un film documentario sull’esperienza radiofonica di Giorgio Lolli in Africa. Ex operaio e sindacalista bolognese, porta in africa, con la sua impresa Solaire, i mezzi, le tecniche e le conoscenze che permetteranno a centinaia di radio FM indipendenti di prendere vita e alle persone di acquisire le conoscenze necessarie per crearne di nuove. Ne parliamo con i registi Federico Bacci e Francesco Eppesteingher. Presentiamo poi il programma di Hackrocchio, immancabile evento a cura dell’hacklab underscore.
Mozambique LNG: inglesi e olandesi si ritirano, le italiane SACE e CDP invece no
A seguito della denuncia presentata da ECCHR / European Center for Constitutional and Human Rights *, le agenzie di credito all’export di Gran Bretagna e Paesi Bassi hanno deciso di non finanziare il progetto nella cui realizzazione in Mozambico la società multinazionale Total Energies si è resa complice di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.   «Chiediamo che il governo italiano prenda posizione su questa vicenda così drammatica e obblighi SACE e CDP a ritirarsi finanziariamente da Mozambique LNG – ha dichiarato Simone Ogno di ReCommon – Dopo l’uscita delle agenzie di credito all’export di Regno Unito e Paesi Bassi, sarebbe scandaloso se centinaia di milioni di euro dei contribuenti italiani continuassero a essere destinati per un progetto così rischioso e macchiato da possibili gravi violazioni dei diritti umani». Con decisioni che hanno pochi precedenti, i governi di Gran Bretagna e Paesi Bassi hanno scelto di interrompere il sostegno finanziario al progetto Mozambique LNG, gestito dalla multinazionale francese TotalEnergies per l’opera che vede un considerevole coinvolgimento italiano, dal momento che l’agenzia di credito all’esportazione SACE / Servizi Assicurativi per il Commercio Estero dovrebbe rilasciare una garanzia di 950 milioni di euro, con cui coprire i prestiti per le operazioni di SIPEM, tra cui quello di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) del valore di 650 milioni di euro. Lo scorso novembre, l’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), una delle più importanti Ong europee per la difesa dei diritti umani, ha presentato in Francia una denuncia penale contro TotalEnergies per complicità in crimini di guerra, tortura e sparizioni forzate. Come riportato dal quotidiano Politico, lunedì scorso il ministro britannico per gli Affari economici Peter Kyle ha comunicato l’annullamento dell’operazione da oltre 1 miliardo di dollari a sostegno del progetto di gas naturale liquefatto del colosso fossile transalpino, poiché metterebbe a rischio i soldi dei contribuenti alla luce delle gravi vicende riguardanti l’infrastruttura. Nella stessa giornata, il ministro delle Finanze olandese Eelco Heinen ha confermato al Parlamento nazionale che «i Paesi Bassi non saranno più coinvolti nel finanziamento del progetto in Mozambico». La multinazionale del petrolio e del gas è accusata di aver finanziato direttamente e sostenuto materialmente la Joint Task Force, composta dalle forze armate mozambicane, che tra luglio e settembre 2021 avrebbe arrestato, torturato e ucciso decine di civili sul perimetro del sito estrattivo in quello che è stato definito “il massacro dei container”. Una vicenda ripresa nel settembre 2024 sempre da Politico in un’inchiesta curata dal giornalista indipendente Alex Perry e, successivamente, da Le Monde e Source Material, e in cui si segnalava, grazie anche a una richiesta di accesso agli atti inoltrata da ReCommon a CDP, come TotalEnergies avesse tutti gli elementi a disposizione per essere a conoscenza degli abusi commessi dai militari mozambicani già prima dell’estate del 2021. A seguito di un attacco alla città di Palma da parte del gruppo armato Ahl al-Sunnah wa al Jamma’ah nel marzo e nell’aprile 2021, l’esercito mozambicano – compresi i membri della Joint Task Force sostenuta da TotalEnergies – avrebbe arbitrariamente detenuto decine di civili in container metallici situati all’ingresso dello stabilimento tra luglio e settembre 2021. I civili stavano fuggendo dai loro villaggi a causa degli attacchi degli insorti quando sono stati intercettati dall’esercito. Secondo le ricostruzioni, i detenuti sono stati torturati, sottoposti a sparizioni forzate e alcuni di loro sono stati uccisi sommariamente. Nel settembre 2021, gli ultimi 26 detenuti sono stati rilasciati. La Joint Task Force è stata istituita con un memorandum del 2020 tra la filiale mozambicana di TotalEnergies e il governo mozambicano come unità di sicurezza dedicata alla protezione delle operazioni del progetto Mozambique LNG. Il sostegno finanziario britannico e olandese, sotto forma di prestiti e garanzie pubblici per gli esportatori e le banche che sostengono il progetto, era stato sospeso dopo che TotalEnergies aveva invocato la forza maggiore – una clausola contrattuale che consente alle aziende di sospendere gli obblighi in caso di calamità – a seguito del deterioramento della situazione della sicurezza nella regione. SACE ha già supportato finanziariamente un altro progetto in Mozambico, con una garanzia di 700 milioni di euro: si tratta di Coral South FLNG, progetto offshore di ENI, la multinazionale energetica occidentale più attiva in Mozambico insieme proprio a TotalEnergies. Nella penisola di Afungi, dove è in fase di costruzione Mozambique LNG, dovrebbe sorgere anche l’impianto Rovuma LNG di ExxonMobil ed ENI. * La francese TotalEnergies denunciata per presunti crimini di guerra in Mozambico, in cui è coinvolta l’italiana SACE / PRESSENZA – 18.11.2025 Re: Common
Uganda, l’infermiera che scala le montagne coi vaccini
In Uganda c’è una scala di tronchi alta quasi 300 metri. E ogni giorno un’infermiera la sale per salvare dei bambini. Si chiama Agnes Nambozo, ogni mattina parte alle 6: moto–fango–foresta, e poi quella scala incredibile. La cima del monte Elgon la raggiunge solo dopo quattro ore e mezza. Lassù l’aspettano bambini da vaccinare, madri da assistere, le comunità dei villaggi arroccati che senza di lei non vedrebbe mai un operatore sanitario. In Uganda, la mortalità infantile è scesa da 145 a 40 bambini ogni 1000 nati in venticinque anni. Questo risultato è stato possibile anche grazie a infermiere come lei che portano la salute dove nessuno arriva. Oggi però la sfida è enorme: i tagli ai fondi USAID hanno lasciato interi distretti senza personale. Colleghi licenziati, servizi ridotti, comunità isolate. Eppure Agnes continua a salire. Sempre. Guarda il servizio di Stefano Pancera.   Africa Rivista
SENEGAL: 81 ANNI FA IL MASSACRO DI THIAROYE, I FRANCESI SPARARONO AI SOLDATI AFRICANI CHE CHIEDEVANO GLI ARRETRATI
Il Senegal ricorda il massacro da parte dell’esercito coloniale francese dei fucilieri africani a Thiaroye avvenuto 81 anni fa. Il mattino del 1 dicembre 1944, nel campo militare non lontano dalla capitale Dakar, truppe coloniali spararono per ordine di ufficiali dell’esercito francese su fucilieri rimpatriati dopo aver combattuto per l’esercito francese in Europa, durante la Seconda Guerra Mondiale. I soldati, originari di Senegal, Mali, Costa d’Avorio, Guinea e Burkina Faso, chiedevano il pagamento degli arretrati prima di tornare a casa, ricevendo in risposta il piombo dell’esercito coloniale transalpino. Le vittime ufficiali furono 35, ma storici africani, considerando che nel campo erano radunati quasi 2mila fucilieri, parlano in realtà di svariate centinaia di morti. Ricordiamo quanto accaduto a Thiaroye con Cornelia Toelgyes, vicedirettrice di www.africa-express.info con la quale facciamo anche il punto su alcune altre notizie che giungono dal Sudafrica e dal Mali. Ascolta o scarica
Dal cuore del Kenya, il nostro viaggio tra sostenibilità e ittiturismo
Serata di raccolta fondi, venerdì 5 dicembre alle 19 Comunità Il Bostano, via Bostano 20, Laveno Mombello (VA) Durante la serata i viaggiatori del progetto ECOS condivideranno la loro esperienza sulla costa di Kilifi, in Kenya, dove hanno esplorato le attività del progetto tra cultura, natura e sostenibilità.  Racconteranno dei momenti vissuti accanto alle comunità locali, delle esperienze di ittiturismo e del fantastico safari. Il tutto sarà accompagnato da un delizioso apericena africano, con un calice di vino dell’azienda vitivinicola I due Filari. Costo Apericena: offerta libera a partire da 15 euro (piatto africano vegetariano e calice di vino o altra bevanda). Tutto il ricavato andrà a sostegno del progetto ECOS in Kenya. Prenotate il vostro posto qui: https://forms.gle/vR7KjHS76YWtGK259 Un’occasione speciale per vivere una serata all’insegna della condivisione e della scoperta, contribuendo al tempo stesso a una causa importante. CAST – Centro per un Appropriato Sviluppo Tecnologico Redazione Italia
Maltempo, SOS Humanity chiede invano un porto più vicino per lo sbarco delle 85 persone soccorse
Dopo aver soccorso 85 persone in pericolo in mare mercoledì, la nave di ricerca e soccorso Humanity 1 è attualmente costretta a ripararsi nel Golfo di Taranto a causa del maltempo in peggioramento mentre era in rotta verso il lontano porto di Ortona, che era stato assegnato dalle autorità italiane come porto sicuro. Ortona dista più di 1.300 chilometri dal luogo del salvataggio e l’attuale ritardo prolungherà ulteriormente il tempo che i sopravvissuti dovranno trascorrere a bordo, nonostante le loro condizioni fisiche e mentali già compromesse. “Questa lunga traversata è inutile e pericolosa per la salute fisica e mentale delle persone che abbiamo a bordo”, afferma Stefania, responsabile della protezione a bordo. “Abbiamo diversi casi di scabbia, infezioni respiratorie, febbre alta, dolori muscolari, malattie parassitarie e alcuni stanno ricevendo un trattamento antibiotico. I sopravvissuti sono partiti dalla Libia, dove alcuni ci hanno già rivelato di aver subito torture”. “Nonostante SOS Humanity abbia ripetutamente chiesto l’assegnazione di un porto vicino per lo sbarco in sicurezza delle 85 persone che abbiamo soccorso tre giorni fa, il Centro di coordinamento marittimo di Roma (MRCC) continua a rifiutarlo“ afferma Sofia Bifulco, coordinatrice della comunicazione a bordo della Humanity 1. “Il diritto internazionale prescrive in modo inequivocabile che i sopravvissuti in pericolo in mare debbano essere sbarcati senza indugio, e davanti a noi ci sono porti a poche ore di navigazione. Anziché esporre persone vulnerabili alle intemperie e prolungare le loro sofferenze per quasi sette giorni di transito inutile, deve essere loro concesso il diritto di sbarcare il più rapidamente possibile”.   Redazione Italia