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Hamas denuncia l’uccisione e la tortura sistematiche dei detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane
Gaza – PressTv. Il movimento di resistenza palestinese Hamas ha condannato l’uccisione e la tortura sistematiche dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane come “crimini di guerra a tutti gli effetti”, esortando la comunità internazionale ad agire. In una dichiarazione di giovedì, Hamas ha accusato Israele di aver deliberatamente trasformato le proprie strutture detentive in luoghi di uccisioni sistematiche e torture dei detenuti palestinesi. Ha sottolineato che, dall’inizio della guerra genocidaria del regime occupante contro la Striscia di Gaza assediata, nell’ottobre 2023, decine di detenuti palestinesi sono stati uccisi e molti altri sottoposti a maltrattamenti brutali nell’ambito di una campagna organizzata di repressione. Secondo Hamas, almeno 94 palestinesi sono morti mentre erano sotto custodia israeliana, dall’ottobre 2023, con sopravvissuti e gruppi per i diritti umani che riferiscono abusi scioccanti, inclusi pestaggi gravi, ustioni con acqua bollente, attacchi di cani, violenze sessuali, nonché negazione di cibo, sonno e cure mediche. “Ciò riflette un approccio criminale organizzato che ha trasformato queste prigioni in campi di sterminio diretti per eliminare la nostra gente”, si legge nella dichiarazione. Hamas ha inoltre denunciato le pratiche israeliane come “crimini di guerra a tutti gli effetti ai sensi del diritto umanitario internazionale, che rivelano la natura brutale del regime di occupazione (israeliano)”. Il gruppo di resistenza con base a Gaza ha anche esortato le Nazioni Unite, le organizzazioni internazionali per i diritti umani e la comunità globale a fare pressione su Israele affinché ponga fine a tali abusi e garantisca i diritti dei detenuti secondo il diritto internazionale. Le stime attuali suggeriscono che più di 10.000 palestinesi, tra cui donne e bambini, sono detenuti nelle prigioni israeliane. Israele ha ucciso quasi 70.000 palestinesi e ne ha feriti almeno 170.000 nella Striscia di Gaza dall’ottobre 2023, quando ha lanciato la sua guerra genocidaria contro il territorio.
Acqua bollente, attacchi dei cani e morte: 9.000 palestinesi subiscono torture nelle prigioni israeliane
Gaza – Quds News. Organizzazioni israeliane hanno rivelato che Israele sta torturando i detenuti e gli ostaggi palestinesi in condizioni orribili. Il rapporto, pubblicato da Haaretz, descrive scioccanti forme di tortura disumana nei centri di detenzione israeliani dall’inizio del genocidio a Gaza. Secondo il rapporto, le forze israeliane hanno versato acqua bollente su ostaggi palestinesi immobilizzati e bendati. I detenuti hanno affrontato condizioni climatiche estreme, pestaggi, attacchi di cani e aggressioni sessuali. Gli abusi sono avvenuti in tutte le fasi della detenzione. Almeno 94 ostaggi e detenuti palestinesi sono morti sotto tortura nelle strutture israeliane dall’inizio del genocidio. Il rapporto avverte che circa 9.000 palestinesi vivono attualmente in condizioni insopportabili. Molti sono detenuti in quella che il documento definisce condizioni “infernali”, con pochissimo o nessun controllo esterno. I gruppi hanno sottolineato che questi abusi sono sistematici e diffusi. Negligenza medica, fame, tortura fisica e psicologica sono comuni. Nonostante la gravità, pochissime indagini sono state avviate e la responsabilità rimane praticamente inesistente. Il rapporto chiede alle Nazioni Unite e agli organismi per i diritti umani di affrontare le crescenti violazioni e di proteggere la vita dei detenuti e degli ostaggi palestinesi.
La devastante situazione nelle carceri israeliane
Ma’an. La Commissione per gli Affari dei Prigionieri palestinesi e il Club dei Prigionieri palestinesi, sulla base di decine di visite sul campo condotte dalle loro squadre legali nel novembre 2025, hanno rivelato un aumento senza precedenti di torture, maltrattamenti e carestie nelle carceri e nei centri di detenzione israeliani, in quello che hanno descritto come uno “sterminio prolungato” di detenuti palestinesi. In una dichiarazione congiunta rilasciata giovedì 27 novembre, la Commissione e il Club dei Prigionieri hanno segnalato il continuo uso di scosse elettriche, proiettili ricoperti di gomma, la negazione di cure mediche e le aggressioni sistematiche ai danni di prigionieri malati e feriti, oltre all’epidemia di scabbia in diverse carceri, con centinaia di casi registrati. Le squadre legali hanno potuto visitare diversi detenuti di Gaza trattenuti nella sezione sotterranea “Rakeft” del carcere di Ramle. Le équipe hanno trasmesso testimonianze strazianti sul trattamento subito dai detenuti dal momento dell’arresto, durante gli interrogatori e, in seguito, durante la loro detenzione nella sezione sotterranea chiusa. Per quanto riguarda la questione delle donne e dei minori detenuti, la situazione e le condizioni di prigionia sono rimaste sostanzialmente invariate. Nel mese di novembre, sono stati registrati numerosi atti repressivi sistematici nei loro confronti e donne e minori detenuti sono stati sottoposti a varie forme di abuso. Le prigioniere hanno descritto dettagli duri e degradanti che riflettevano la politica di privazione e negazione praticata nei loro confronti dall’amministrazione penitenziaria. Le prigioni visitate includevano: Negev, Ofer, Damon, Shatta, Megiddo, Gilboa, il campo di Ofer (Gilad), il carcere di Ganot (ex Ramon e Nafha) e la sezione di Rekefet del carcere di Ramle. La Commissione e il Club per i Prigionieri palestinesi hanno sottolineato che questo aggiornamento giunge in un momento in cui l’occupazione sta rapidamente tentando di promulgare una legge per giustiziare i prigionieri palestinesi, una delle leggi più pericolose che abbia mai tentato di imporre. Nel bel mezzo della guerra di sterminio in corso nelle carceri e nell’ambito di una serie di leggi che prendono di mira la presenza palestinese, l’occupazione, che per decenni ha perpetrato esecuzioni extragiudiziali attraverso una serie di politiche, tra cui le uccisioni lente che hanno colpito centinaia di prigionieri, sta lavorando per legalizzare e sanzionare ufficialmente le esecuzioni. Campo di Gilad e Sezione Rekafet: testimonianze terrificanti. Le squadre legali hanno confermato che nel campo di Gilad sono state osservate ripetute scosse elettriche, i prigionieri costretti a dormire su duri letti di ferro, oltre a fame e umiliazioni costanti. Nella sezione sotterranea di Rekafet del carcere di Ramle, le organizzazioni hanno documentato testimonianze scioccanti di detenuti di Gaza riguardanti percosse, privazione del sonno, negazione di cure mediche, restrizioni alla preghiera e fornitura di pasti scarsi. Prigione del Negev: la tortura continua e i prigionieri muoiono. La prigione del Negev continua a registrare gravi violazioni, tra cui l’uso di proiettili di gomma all’interno delle celle e nel cortile, la negazione di cure mediche e il peggioramento dei casi di scabbia. I prigionieri vengono inoltre lasciati morire di fame e le loro razioni alimentari vengono ridotte nonostante una sentenza della Corte Suprema israeliana che impone pasti migliori. L’epidemia di scabbia continua, e il sistema carcerario la sta trasformando in un ulteriore strumento di tortura e abusi. Il numero di casi è aumentato drasticamente ed è ora impossibile da tracciare. Persino i prigionieri, per i quali il gruppo legale ha ottenuto un ordine di trasferimento per le cure nella clinica, vengono spostati solo limitatamente dall’amministrazione carceraria. Sono costretti a firmare documenti che dichiarano di aver ricevuto cure, quando in realtà non ricevono alcuna assistenza medica. Al contrario, subiscono abusi e umiliazioni durante il trasferimento in clinica. I prigionieri hanno anche confermato la continuazione degli abusi sistematici durante il “controllo di sicurezza” (conteggio), durante il quale sono costretti a inginocchiarsi con le mani sopra la testa e poi ad abbassarle. Ogni prigioniero è costretto a sedersi in una piccola area designata all’interno della propria cella e, se ne esce, è sottoposto a percosse e abusi. I prigionieri hanno denunciato una recente repressione dopo il ritrovamento di una busta di plastica in una delle celle. I prigionieri sono stati aggrediti, picchiati ed è stato negato loro l’accesso al cortile del carcere. Le loro sofferenze sono peggiorate con l’arrivo dell’inverno e il freddo sempre più intenso, soprattutto di notte, mentre l’amministrazione penitenziaria continua a negare loro coperte e indumenti adeguati. La pratica della fame continua ad aumentare, con ulteriori riduzioni della quantità di alimenti. Nonostante una sentenza della Corte Suprema israeliana che impone di rivedere la questione del cibo fornito a prigionieri, il sistema carcerario ha ignorato la decisione e, di fatto, ha ulteriormente ridotto le razioni alimentari. Carcere di Ofer: epidemia diffusa di scabbia e retate in aumento. A novembre, decine di prigionieri sono stati visitati nel carcere di Ofer, uno dei più importanti, che ospita migliaia di detenuti palestinesi. Secondo numerose testimonianze, la scabbia è stata un argomento di discussione importante, soprattutto dopo la sua diffusa epidemia, persino nella sezione destinata ai minori. Il rapporto ha rilevato che, nonostante l’amministrazione penitenziaria affermi di fornire un trattamento a base di unguento e capsule, la realtà è ben diversa. Il tubetto di unguento distribuito a decine di prigionieri non è sufficiente, poiché ogni prigioniero necessita di più di un tubetto per ricevere cure adeguate. A causa della diffusione della malattia e della formazione di foruncoli, i prigionieri non sono in grado di stare in piedi, muoversi o dormire. L’epidemia a questo livello è dovuta a una serie di pratiche del sistema carcerario, in particolare: privare i detenuti di indumenti e articoli per l’igiene personale adeguati, indebolire il loro sistema immunitario a causa della fame, impedire loro di prendere aria fresca o luce solare e continuare a isolarli in celle sovraffollate. Oltre al rischio di epidemie, gli abusi persistono: repressioni e perquisizioni sistematiche, durante le quali vengono sparati proiettili di gomma e vengono utilizzati cani poliziotto. A novembre, una cella è stata perquisita dopo che l’amministrazione carceraria ha scoperto che i detenuti avevano borse che usavano per bloccare le finestre aperte da cui entrava freddo estremo. La situazione delle detenute nel carcere di Damon. Nel carcere di Damon, oltre 50 detenute sono sottoposte a perquisizioni corporali, negligenza medica e privazione dei beni di prima necessità; alcune sono affette da cancro. Sono inoltre sottoposte a isolamento, pressione psicologica e proibizione delle visite dei familiari. Diverse detenute hanno parlato delle dure e difficili condizioni sopportate durante gli interrogatori prima di essere trasferite nel carcere di Damon, dove alcune sono state interrogate per oltre un mese. Tra le questioni più importanti sollevate, le esigenze specifiche delle detenute sono state la grave carenza di assorbenti igienici e la necessità di un ginecologo per affrontare numerosi problemi di salute aggravati dalle oppressive condizioni di detenzione e dall’indebolimento del sistema immunitario dovuto alla fame. Nelle loro testimonianze, le prigioniere hanno anche descritto le gravi difficoltà psicologiche che affrontano nelle oppressive condizioni di isolamento, considerate una delle misure più pericolose e impattanti sulla loro salute mentale. Questo peso è aggravato dal continuo diniego delle visite dei familiari, soprattutto per le madri che sono state sradicate dalle loro case e separate dai loro figli. Dati statistici. A novembre 2025, il numero di prigionieri nelle carceri israeliane superava i 9.250, tra cui 1.242 condannati, più di 50 donne, 350 minori, 3.368 detenuti amministrativi e 1.205 classificati come “combattenti illegali”. Il numero di martiri all’interno del movimento dei prigionieri dall’inizio della guerra di sterminio è salito a oltre 100. La Società per i Prigionieri palestinesi e il Club dei Prigionieri palestinesi hanno invitato la comunità internazionale ad aderire al parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia sull’illegalità dell’occupazione, a condurre un’indagine internazionale sui crimini di tortura e di esecuzioni extragiudiziali, a respingere il progetto di legge che autorizza l’esecuzione dei prigionieri, a deferire tali crimini alla Corte Penale Internazionale, a imporre sanzioni all’occupazione e a consentire alle organizzazioni internazionali, in particolare alla Croce Rossa, di accedere alle carceri senza restrizioni.
AMO: il leader Abbas al-Sayyid è sottoposto a gravi abusi nell’isolamento di Megiddo
Gaza – PIC. L’Ufficio Media dei Prigionieri (AMO) ha accusato l’amministrazione carceraria israeliana di aver commesso “gravi violazioni” contro il detenuto veterano e leader della resistenza Abbas al-Sayyid, che è tenuto in isolamento in condizioni dure e degradanti. In una dichiarazione rilasciata martedì, l’AMO ha affermato che testimonianze legali hanno documentato chiari segni di aggressione fisica su al-Sayyid, 59 anni, tra cui un’estrema perdita di peso, lividi, gonfiore agli occhi e profonde tracce lasciate dalle manette metalliche. Secondo il gruppo, è stato trascinato incatenato in modo umiliante mentre veniva portato nella sala colloqui. Le testimonianze indicano, inoltre, che il 4 novembre 2025 al-Sayyid è stato picchiato durante il trasferimento in tribunale, sia quando è stato prelevato dall’isolamento sia mentre si trovava nella cella di attesa, come parte di una politica mirata ai leader di spicco del movimento dei prigionieri palestinesi. L’AMO ha affermato che il trattamento riservato ad al-Sayyid equivale a un “assassinio lento”, condotto lontano dal controllo pubblico, in diretta violazione del diritto umanitario internazionale e delle Convenzioni di Ginevra, che proibiscono la tortura e i maltrattamenti dei detenuti. Il gruppo ha avvertito che la vita di al-Sayyid è gravemente a rischio e ha ritenuto le autorità israeliane pienamente responsabili della sua sicurezza. Ha esortato il Comitato Internazionale della Croce Rossa e le organizzazioni internazionali per i diritti umani a intervenire immediatamente, ad avviare un’indagine urgente e a inviare squadre di ispezione per visitare al-Sayyid e monitorare le condizioni all’interno delle carceri israeliane.
Il dottor Abu Safiya soffre di gravi problemi di salute nelle carceri israeliane
Gaza-PIC. L’organizzazione israeliana Physicians for Human Rights ha rivelato un grave peggioramento delle condizioni di salute del dott. Hossam Abu Safiya, direttore dell’ospedale Kamal Adwan nel nord della Striscia di Gaza, incarcerato dalle autorità israeliane dal dicembre 2024. In una dichiarazione rilasciata in seguito a una visita dell’avvocato dell’organizzazione, Nasser Odeh, al carcere di Ofer, dove è detenuto il dott. Abu Safiya, l’organizzazione ha riferito che non è stato portato davanti a un giudice da marzo, non è stato sottoposto a interrogatorio e non è stato informato dei motivi del suo arresto. È inoltre detenuto in condizioni difficili e pericolose. I prigionieri ricevono porzioni di cibo estremamente limitate, il che comporta una significativa perdita di peso. Il dott. Abu Safiya ha perso circa 25 kg dal suo arresto, si legge nella dichiarazione. “I detenuti sono sottoposti a violenze da parte delle guardie carcerarie israeliane durante le frequenti perquisizioni”. La dichiarazione sottolineava che il dott. Abu Safiya ha contratto la scabbia, insieme ad altri detenuti, e ha ripetutamente richiesto visite mediche, comprese cure specialistiche a causa di preesistenti problemi cardiaci, ma non ha ricevuto risposta. Sebbene riceva farmaci per l’ipertensione, non è stato visitato da alcun medico carcerario israeliano dal suo arresto. Indossa gli stessi vestiti dalla sua detenzione, ricevendo solo indumenti puliti la mattina della visita dell’avvocato. Durante la visita, il dott. Abu Safiya ha dichiarato all’avvocato di ritenere che la sua detenzione sia dovuta esclusivamente alla sua qualità di medico e dipendente del ministero della Salute di Gaza, invitando tutte le parti interessate a impegnarsi per il suo immediato rilascio. Medici per i Diritti Umani ha sottolineato che sono trascorsi sei mesi dalla pubblicazione del suo rapporto completo che documenta la detenzione arbitraria di oltre 100 operatori sanitari palestinesi di Gaza. Da allora, l’organizzazione ha visitato oltre 25 detenuti, raccogliendo testimonianze di abusi fisici, ripetute incursioni, carenza di cibo, negazione di cure mediche e uso prolungato di indumenti sporchi. L’organizzazione ha inoltre osservato che nessuno di questi operatori sanitari è stato formalmente incriminato; alcuni sono detenuti da oltre un anno, il che costituisce una flagrante violazione del giusto processo e una grave violazione del diritto alla salute per la popolazione di Gaza. Naji Abbas, direttore della divisione prigionieri dell’organizzazione, ha affermato che il caso del dottor Abu Safiya è un esempio lampante di sistematiche violazioni contro il personale medico palestinese. “Stiamo assistendo a detenzioni senza processo, condizioni disumane e negazione di cibo e cure. Invece di prendersi cura di migliaia di feriti a Gaza, medici e infermieri vengono trattenuti illegalmente in Israele. Questo è un crimine sia morale che legale”, ha affermato Abbas. Ha chiesto l’immediato rilascio del dott. Abu Safiya e di tutto il personale medico detenuto, esortando la comunità internazionale a intervenire con urgenza per porre fine a queste violazioni. Il dott. Abu Safiya è stato arrestato mentre era in servizio e le autorità israeliane lo hanno classificato come “combattente illegale”, anziché sottoporlo a un processo regolare, sulla base di una decisione del Comando Meridionale dell’esercito israeliano. In particolare, il dott. Abu Safiya ha perso uno dei suoi figli durante la guerra, ucciso dalle forze israeliane.
Suliman e Fatima contano i morti e i torturati in famiglia
A casa di Suliman e Fatima al Cairo è arrivato un ragazzo: è spaventosamente magro e provato nel corpo e nello sguardo da vessazioni e torture. E’ il loro nipote Abdullah Abdel-Rahman, che racconta la sua storia: arrestato dalle Forze di Supporto Rapido a El Fashir insieme ad altri quattro giovani il giorno della caduta di Zamzam, è stato torturato insieme agli altri tre; gli altri sono morti per le sevizie e per la fame, mentre lui è stato gettato in una discarica vicino a Zamzam. Questo succedeva il 10 agosto, mentre infuriava la battaglia. Lì nella discarica è stato individuato e messo in salvo da uomini delle Forze Congiunte, che lo hanno caricato sui loro veicoli e trasportato fino ad Al-Judud; qui Abdullah è stato affidato ad alcuni sudanesi che si recavano nelle zone aurifere al confine tra Sudan ed Egitto (molto sudanesi cercano lavoro in quella zona: forse questa attività è uno dei pochi lavori possibili in questo momento). Nella dolorosa e tristissima vicenda di Abdullah ci sono stati anche tanti incontri positivi, con persone che lo hanno di fatto salvato: così è stato per i cercatori d’oro che gli hanno pagato il biglietto per arrivare ad Assuan e da lì al Cairo. “Oggi lo abbiamo ricoverato al Pronto Soccorso”: così termina il messaggio di Suliman. Le notizie continuano la sera: il nuovo messaggio dice che all’ospedale hanno deciso di fargli esami del sangue approfonditi, ecografie ed altro; il ragazzo soffre di rigidità allo stomaco perché per quattro mesi ha mangiato soltanto mangime per animali e pane secco. In un successivo messaggio vengo a sapere che la madre di Abdullah è la cugina di Suliman e che in questi giorni è lì a casa con lui e Fatima. Aggiunge che appena avranno i risultati delle varie analisi andranno dal medico, ma “le sue condizioni sono molto critiche”. Non mancano purtroppo i lutti in famiglia ed ecco che ricevo l’elenco: “Sei persone sono morte di fame nel campo profughi di Naivasha e nessuno ne ha saputo nulla”. Sembra che i vicini si siano accorti della loro morte soltanto pochi giorni dopo. Questa precisazione mi lascia di stucco: anche in un campo profughi, anche fra tenda e tenda può esserci così tanta distanza da ignorare l’agonia e la morte di sei persone? Forse non ho capito bene. Questa parte del messaggio si conclude con: “Che Dio abbia pietà di loro e li perdoni”. Segue l’elenco dei nomi che voglio qui riportare perché non è un numero a essere stato ucciso da questa insulsa e gravissima guerra di fazioni, ma sono persone specifiche, ognuna còlta a un certo stadio della vita – con il suo carattere, la sua voce, i suoi modi, i suoi pensieri, con i suoi sogni per un futuro che è svanito con violenza inenarrabile. Eccoli: Hajja Mariam Tandel Suleiman Hajja Saliha Suleiman Bedi Madre Amani Fath Al-Rahman Bambino Saber Salem Mustafa Bambino Saeed Salem Mustafa Bambino Sabry Salem Mustafa Ho fatto bene a scriverli anche perché scrivendoli me li sono immaginati: i loro nomi chiamati dalla mamma e loro, i bambini, che corrono. La comunicazione con il mio amico Suliman continua per Whatsapp. Due giorni dopo ricevo un articolo intitolato “Darfur e la sua reputazione offuscata a causa dei Janjaweed”. Mi sembra un pezzo importante perché ristabilisce la verità delle cose anche per tutti quelli che, poco informati, prendono con superficialità le notizie che arrivano (di rado, a dire il vero) dal Sudan. Soprattutto illumina il Darfur di una luce diversa da quella che implicitamente gli si dà sentendolo nominare solo per atti di brutalità, feroci assassini e stragi gratuite. “In tutto il Darfur non troverete mai una persona che uccida il proprio fratello per il suo bestiame, tranne i Janjaweed”. Se conflitti si sono verificati tra le varie tribù, movimenti e organizzazioni dei diversi Stati del Darfur – continua l’articolo – si è trattato di contrasti di tipo politico-sociale. Per il resto il Darfur era e rimane terra di diversità e convivenza e la sua gente sostiene i valori della generosità, del coraggio e della protezione dei propri ospiti; non certo dell’odio, del saccheggio e dell’omicidio, modalità che sono sempre e solo appartenute ai Janjaweed, con i vari nomi che negli anni questa milizia si è auto-attribuita: Guardie di Frontiera, Ambaga, Consiglio del Risveglio, Forze di Supporto Rapido. E dietro ci sono sempre loro, impegnati ad annientare le comunità, a impadronirsi delle terre e degli animali, a distruggere i villaggi e a uccidere i loro abitanti. E quello che nel 2023 hanno fatto nei vari Stati del Darfur oggi lo stanno ripetendo ancora in Darfur e purtroppo anche in tutto il Sudan, compresa la sua bella capitale Khartoum. La distruzione di un Paese. Il genocidio di un popolo. Ieri però è arrivato un nuovo messaggio in Whatsapp: Abdullah verrà dimesso dall’ospedale domenica prossima perché “le sue condizioni sono in continuo miglioramento”. Questa sì che è una bellissima notizia. Da una telefonata che infine riusciamo a fare vengo a sapere che Abdullah era arrivato a casa loro non camminando sulle sue gambe, ma accompagnato e sostenuto da altri ragazzi sudanesi, anche loro in fuga. Ora riesce a camminare e anche a “chiacchierare”. Circa il nutrimento, per il momento bisogna limitarsi a latte e succhi di frutta, oltre alle flebo. Suliman continua a ringraziare per una piccola somma che con una rapida colletta avevo inviato non appena saputa la notizia di questo arrivo inaspettato: senza quei soldi non avrebbe potuto pagare gli esami medici, le cure e la degenza ospedaliera. Perché è tutto a pagamento per gli stranieri. “Anche se devo parlare devo pagare soldi in Egitto” dice, con tono più amaro che ironico. Solo quando si ottiene l’asilo politico si può andare nell’ospedale dell’Onu o anche in un ospedale normale a carico (non intero) dell’Onu stessa. Gli chiedo del suo asilo politico, quanto manca per avere la convocazione: ancora quattro mesi, sarà a dicembre (dal dicembre scorso che ha presentato la domanda). E’ arrivato in questi giorni il suo amico italiano Domenico, già console (o qualcosa del genere) in Sudan e gli ha portato diverse scatole della sua medicina per la prostata. E anche questa è una buona notizia. Il figlio Ahmed, che lavora nelle zone aurifere del nord Sudan occupandosi della telefonia satellitare, gli invia tutti i mesi i soldi dell’affitto, e anche le figlie, una dagli Stati Uniti e l’altra dalla Germania si danno da fare come possono. Affetto e premure non mancano dalla famiglia stretta, ma oggi Suliman ha una voce diversa, quella di una persona sfinita, che ha completamente esaurito la sua “sabur” (pazienza, proverbiale in lui). Glielo dico. Mi risponde che i motivi sono il vivere fra persone malate – Abdullah, la moglie Fatima, lui stesso – e “la povertà”. Ma come si può non essere immensamente, eternamente tristi e pieni di dolore quando non ci sono più la tua casa, la tua città, il tuo Paese, la tua gente? Link agli articoli precedenti: https://www.pressenza.com/it/2024/07/storia-di-suliman-e-fatima-in-fuga-da-sudan-ed-etiopia/ https://www.pressenza.com/it/2024/07/suliman-e-fatima-di-nuovo-in-sudan-ma-solo-di-passaggio/ https://www.pressenza.com/it/2024/07/suliman-fatima-e-la-guerra-infinita-in-sudan/ https://www.pressenza.com/it/2024/08/suliman-fatima-e-legitto-che-non-li-vuole/ https://www.pressenza.com/it/2024/08/suliman-e-fatima-in-attesa-della-risposta-dellegitto/ https://www.pressenza.com/it/2024/09/suliman-fatima-e-i-certificati-medici-che-non-si-trovano/ https://www.pressenza.com/it/2024/10/suliman-fatima-e-legitto-che-si-avvicina/ https://www.pressenza.com/it/2024/10/suliman-e-fatima-da-un-port-sudan-di-tutti-matti-a-un-egitto-non-amato/ https://www.pressenza.com/it/2024/10/suliman-e-fatima-finalmente-in-egitto/ https://www.pressenza.com/it/2024/11/suliman-e-fatima-il-nilo-del-cairo-non-e-il-nilo-di-khartoum/ https://www.pressenza.com/it/2024/12/suliman-e-fatima-i-janjaweed-fanno-tante-cose-non-bene/ https://www.pressenza.com/it/2024/12/suliman-e-fatima-in-egitto-ma-ancora-invisibili/ https://www.pressenza.com/it/2025/01/la-mia-amica-fatima-che-resiste-come-al-fashir-in-darfur/ https://www.pressenza.com/it/2025/07/suliman-fatima-e-la-tenace-resistenza-di-al-fashir-in-darfur/         Francesca Cerocchi
La maledetta condizione dei palestinesi nelle prigioni israeliane
È stato sconvolgente leggere della morte di Ahmad Saeed Tazazaa (20 anni) il 3 agosto 2025 nella prigione israeliana di Megiddo. Solo pochi mesi prima, erano emerse notizie su un altro prigioniero palestinese ucciso nello stesso carcere, Walid Khaled Abdullah Ahmad (16 anni), il 24 marzo. Entrambi giovani, anzi, ragazzi, erano stati prelevati dalla Cisgiordania: Ahmad da Jenin, Walid […] L'articolo La maledetta condizione dei palestinesi nelle prigioni israeliane su Contropiano.
Dopo soli sette giorni di detenzione: muore il detenuto Samir Al-Rifai di Jenin
Jenin. La Commissione per gli Affari dei detenuti ed ex detenuti e la Società dei Prigionieri palestinesi hanno annunciato la morte di Samir Muhammad Al-Rifai, 53 anni, originario della cittadina di Rummanah, nel governatorato di Jenin, mentre si trovava in custodia israeliana. In una dichiarazione congiunta diffusa giovedì, le due organizzazioni hanno riferito che Al-Rifai, sposato e padre di cinque figli, era stato arrestato dalle forze di occupazione israeliane nella sua abitazione il 10 luglio. Era atteso per la sua prima udienza presso il tribunale militare di Salem, ieri. Hanno inoltre sottolineato che, secondo i referti medici forniti dalla famiglia, Al-Rifai soffriva già di problemi cardiaci prima dell’arresto e necessitava urgentemente di cure mediche continuative. Con il suo decesso, il numero complessivo di prigionieri palestinesi morti dall’inizio dell’attuale guerra di genocidio condotta da Israele — iniziata quasi due anni fa — è salito a 74, mentre molti altri risultano ancora vittime di sparizioni forzate, rendendo questo periodo uno dei più cruenti nella storia del movimento palestinese dei prigionieri. Dal 1967, il numero totale di prigionieri martiri documentati ha raggiunto 311. Il comunicato ha evidenziato che l’aumento dei decessi tra i detenuti è divenuto una conseguenza inevitabile, e sta assumendo proporzioni sempre più gravi, poiché migliaia di prigionieri sono ancora rinchiusi nelle carceri israeliane, sottoposti a sistematici abusi, tra cui torture, fame, violenze di ogni tipo, crimini medici, violenza sessuale, e l’imposizione deliberata di condizioni che provocano gravi malattie infettive, in particolare la scabbia. A ciò si aggiungono politiche di privazione senza precedenti. Le due organizzazioni hanno affermato che la morte di Samir Al-Rifai rappresenta un ulteriore crimine che si aggiunge al lungo elenco di atrocità commesse da Israele, che continua a perseguitare e uccidere i prigionieri con ogni mezzo, come parte integrante del genocidio in corso. Hanno ritenuto Israele pienamente responsabile della sua morte e hanno rinnovato l’appello alla comunità internazionale e alle organizzazioni per i diritti umani affinché adottino misure concrete per perseguire i responsabili israeliani per i crimini di guerra commessi contro il popolo palestinese. Hanno infine richiesto sanzioni internazionali per isolare Israele sul piano diplomatico e ristabilire il ruolo originario del sistema internazionale per i diritti umani, oggi paralizzato da questa guerra genocida. Hanno anche sollecitato la fine dell’impunità eccezionale che consente a Israele di agire al di sopra della legge, sfuggendo a ogni forma di responsabilità, giustizia e punizione. Traduzione per InfoPal di F.L.
Il dottor Abu Safiya sta affrontando torture, negligenza medica e dure condizioni carcerarie
Cisgiordania. L’avvocato palestinese Ghaid Qassem ha affermato che il dottor Hussam Abu Safiya, direttore dell’ospedale Kamal Adwan, rapito da Gaza il 27 dicembre 2024, soffre di gravi problemi di salute a causa della sua esposizione a torture e deliberata negligenza medica nelle carceri israeliane. In recenti dichiarazioni sui social media, l’avvocato Qassem ha spiegato che il dottor Abu Safiya ha perso oltre 40 chili da quando è stato rapito da Gaza e ha iniziato ad affrontare condizioni di detenzione dure e pericolose per la vita. L’avvocato ha affermato di aver appreso che il peso del dottor Abu Safiya era sceso da 100 chili a meno di 60 quando gli ha fatto visita il 9 luglio 2025, confermando che era stato duramente picchiato dai carcerieri israeliani il 24 giugno nella sua cella nel carcere di Ofer. A seguito di quell’aggressione, durata più di mezz’ora, il dottor Abu Safiya ha riportato gravi ferite e contusioni al petto, al viso, alla testa, alla schiena e al collo, secondo l’avvocato. L’avvocato di Abu Safiya ha riferito che quest’ultimo ha ripetutamente e urgentemente richiesto esami medici approfonditi e una valutazione da parte di un cardiologo specializzato. Nonostante i suoi continui problemi di battito cardiaco irregolare e ipertensione cronica, l’amministrazione penitenziaria ha costantemente respinto tali richieste. L’avvocato ha inoltre osservato che anche gli occhiali da vista prescritti di recente ad Abu Safiya erano rotti, aggravando i suoi problemi di salute. “Abu Safiya continua a indossare abiti invernali mentre è confinato nel sottosuolo, privato della luce solare e tenuto in completo isolamento”, ha dichiarato l’avvocato.
10.800 palestinesi nelle carceri israeliane: il numero più alto dalla Seconda Intifada
InfoPal. Il numero di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane è salito a 10.800, il più alto dalla Seconda Intifada, con un forte aumento delle detenzioni amministrative di donne, bambini e detenuti provenienti da Gaza. Le organizzazioni palestinesi di supporto ai prigionieri hanno riferito martedì che il numero di palestinesi detenuti nelle carceri dell’occupazione israeliane è salito a circa 10.800 all’inizio di luglio, segnando il più alto dalla Seconda Intifada, nel 2000. Questo totale non include i detenuti nei campi militari di occupazione, il cui status rimane in gran parte sconosciuto. In una dichiarazione congiunta, le organizzazioni hanno osservato che il numero di detenuti amministrativi è salito a 3.629, la percentuale più alta rispetto ai prigionieri condannati e a quelli etichettati come “combattenti illegali”. Questo sistema consente alle autorità di occupazione di detenere individui senza accusa né processo, una pratica ampiamente condannata dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani. Nel frattempo, il numero di prigionieri classificati come “combattenti illegali” ha raggiunto quota 2.454, esclusi i numerosi cittadini di Gaza detenuti nei campi militari. Secondo la dichiarazione, questa cifra è la più alta registrata dall’inizio della guerra genocida in corso condotta dall’occupazione contro Gaza. Il rapporto ha aggiunto che la classificazione di “combattenti illegali” include anche detenuti arabi provenienti da Libano e Siria, riflettendo ulteriormente la più ampia portata regionale delle politiche di detenzione di “Israele”. Ad oggi, 50 donne palestinesi sono detenute nelle carceri israeliane, tra cui due di Gaza, mentre il numero di minorenni palestinesi ha superato i 450. Le organizzazioni per i diritti umani hanno ripetutamente espresso preoccupazione per le condizioni e il trattamento di questi gruppi vulnerabili sotto custodia dell’occupazione. Secondo una dichiarazione dell’Ufficio Stampa dei Prigionieri palestinesi, le prigioniere palestinesi stanno sopportando condizioni sempre più dure nel carcere di Damon, sotto l’occupazione israeliana, il che mette in guardia da una grave e senza precedenti escalation da parte dell’amministrazione penitenziaria. Secondo quanto riferito, le autorità carcerarie israeliane hanno ridotto il tempo di ricreazione giornaliero a soli 15 minuti, che ora è dedicato esclusivamente all’uso dei servizi igienici. Per il resto del tempo, la sezione rimane chiusa per ore con il pretesto delle “procedure di sicurezza”. Parallelamente, le razioni alimentari sono state significativamente ridotte, peggiorando ulteriormente le condizioni umanitarie. Il rapporto ha anche descritto la brutale repressione attuata all’inizio dell’aggressione dell’occupazione israeliana contro l’Iran, durante la quale cinque detenuti palestinesi, Islam Shouli, Tasneem Odeh, Lin Misk, Samah Hijjawi e Fatima Jasrawi, sono stati aggrediti violentemente, sottoposti a isolamento, a sputi, insultati e persino minacciati di stupro. Le istituzioni palestinesi continuano a chiedere conto alla comunità internazionale, mentre il numero dei prigionieri aumenta a livelli mai visti da oltre due decenni, in una crescente campagna di arresti, incursioni e detenzioni arbitrarie. (Fonti: Al-Mayadeen, Quds News, PIC).