Italians for Mamdani
Articolo di Elisabetta Raimondi
Uno dei fenomeni conseguenti all’entusiasmo per Zohran Mamdan è la nascita degli
Italians for Zohran, un gruppo creato quasi per gioco su Instagram la primavera
scorsa. La sua storia, che potrebbe sembrare folcloristica o patriottica, anche
se in un’accezione lontana dall’ideologia della destra, rappresenta una novità,
o una rivoluzione, per la comunità italo-americana. Il gruppo, che ha intenzione
di continuare la sua attività politica, offre infatti una visione molto
differente da quella che generalmente caratterizza gli italo-americani come
conservatori e reazionari.
Gli Italians for Zohran hanno anche una chat whatsapp che riunisce gli attivisti
più impegnati, la maggior parte dei quali sono millennials simpatizzanti e/o
iscritti ai Dsa (Democratic Socialists of America). Appartengono generalmente a
famiglie che vivono in America da alcune generazioni, come lo studioso della
diaspora italo-americana Steve Cerulli, ma vi sono anche italiani trasferitisi a
New York per lavoro negli ultimi anni. Un pilastro del gruppo è ad esempio
l’accademico specializzato in sistemi carcerari mondiali Sergio Grossi, docente
di criminologia alla Cuny (City University of New York) dove è strettissimo
collaboratore di Alex Vitale, il celebre autore di The End of Policing sulla
giustizia trasformativa. Nei primi mesi del 2025 Vitale e Grossi hanno
incontrato Zohran Mamdani per la costituzione, in caso di vittoria, di un
Department of Community Safety gestito non dalla polizia ma da un organo civico.
Ora la progettazione sta per partire dato che tra i recenti incarichi in vari
settori appena conferiti da Mamdani vi è quello ad Alex Vitale.
Della realtà italo-americana newyorkese, dei legami dei giovani con l’Italia e
di molto altro abbiamo parlato in particolare con Jesse Ortiz, trentunenne
fondatore di Italians for Zohran, prossimo alla laurea in medicina, e con
Alessandra Ferrara, trentottenne preparatissima attivista dei Dsa. Ne riportiamo
alcuni estratti.
Per prima cosa raccontaci come ti è venuta l’idea di creare un gruppo di
supporto a Zohran formato da italo-americani.
Jesse Ortiz: È successo quasi per gioco la primavera scorsa, un giorno in cui
scorrendo su Instagram gli affinity group creati per Mamdani, ho pensato che
sarebbe stato divertente averne uno italiano e così ho twittato Italians for
Zohran. Non immaginavo che la proposta avrebbe suscitato interesse, perché so
che gli italoamericani di New York sono prevalentemente conservatori e vengono
inquadrati in un cliché che li fa sentire emarginati, in quanto generalmente
percepiti come un’etnia diversa da quella bianca anglosassone. Invece le
risposte e le adesioni mi hanno fatto sentire responsabile come se con quel
tweet mi fossi preso un impegno. Inoltre mi sono reso conto sia di come Andrew
Cuomo avesse monopolizzato l’identità italo-americana, sia del gran desiderio
dei giovani di prenderne le distanze. Ho quindi pensato che un gruppo per Zohran
avrebbe potuto creare uno spazio fino a quel momento inesistente in cui noi
giovani italo-americani potessimo conciliare le nostre idee politiche più
progressiste e socialiste con la nostra identità di italiani.
Tu, come tanti altri affiliati al gruppo, sei un italo-americano la cui famiglia
è qui da diverse generazioni. Eppure sentite ancora un forte attaccamento
all’Italia, al punto che parecchi di voi, pur essendo cresciuti anglofoni e con
genitori che non parlano l’italiano, hanno deciso di studiare la lingua in età
adulta. Come mai questo attaccamento?
Jesse Ortiz: L’italia la sento nel sangue essendo cresciuto con nonni, zii e
parenti che mi hanno raccontato delle loro vite da immigrati e di quelle dei
loro genitori venuti qui a lavorare sodo, a far parte dei sindacati, a versare
sangue, sudore e lacrime per la città. È un’esperienza comune a molti di noi.
Però i nostri vecchi, se così posso definirli, pur raccontando delle difficoltà
e discriminazioni vissute, sono molto duri quando parlano degli immigrati di
oggi che secondo loro vogliono solo trarre vantaggio da realtà che non hanno
contribuito a creare. Sono razzisti e islamofobici. E questa è una cosa che noi
giovani vogliamo cambiare. Quanto al fatto che generalmente i nostri genitori
non parlino l’italiano, dipende dal desiderio dei loro genitori di vedere i
propri figli integrati in un modello di società che discriminava i bianchi non
anglosassoni.
Il cliché dell’italo-americano conservatore è legato a un particolare partito o
va oltre? E riguardo al Partito democratico, qual è la tua posizione e più in
generale quella del gruppo?
Jesse Ortiz: Sebbene lo stereotipo dell’italo-americano, in particolare a New
York, sia quello di essere conservatore e reazionario credo che la realtà sia
molto più complicata e che gli italo-americani si trovino in tutto lo spettro
politico. Ci sono sicuramente dei fascisti e dei trumpiani, ma anche persone
legate a diverse tipologie di destra. E poi ci sono persone come mia madre, che
ha 69 anni e pur non considerandosi socialista è liberal e femminista. È una dei
tanti elettori ed elettrici Democratici più che mai deluse dal partito, cosa che
l’ha portata a sostenere Mamdani. Quanto al Partito democratico sia io sia il
gruppo lo consideriamo un corporate party senza alcuna visione per il futuro.
Tuttavia, in mancanza di un terzo partito lo utilizziamo come strumento per
fare pressione su istanze più progressiste e socialiste, proprio come ha fatto
Mamdani. E come prima di lui ha fatto Bernie Sanders, le cui campagne hanno
evidenziato l’enorme numero di persone, sia dentro sia oltre il Partito
democratico, che vogliono un’agenda progressista.
Alessandra Ferrara, terza generazione, laureata in Politiche Internazionali con
indirizzo in Medio Oriente e conoscenza dell’arabo, oltre che dell’italiano, non
imparato in famiglia, hai conoscenze molto vaste che sa diffondere con notevole
competenza e senza ostentazione. Tu sei molto attiva tra i Dsa, dove fai
volontariato soprattutto conducendo gruppi di lettura. Vuoi parlarci in
particolare di quello intitolato Da Marx alla Palestina e del perché hai
strutturato questo corso?
Alessandra Ferrara: Perché sento la necessità che i giovani interessati al
cambiamento politico siano in grado di interpretare la realtà di oggi con una
conoscenza del passato visto da una prospettiva socialista. Prima di affrontare
i temi odierni cerco di insegnare i fondamentali del marxismo e del socialismo
in modo che tutti possano avere non solo delle conoscenze di base, ma anche il
linguaggio giusto per parlarne.Tra i testi che leggiamo c’è il recente The ABCs
of Socialism dove ci sono anche saggi di Chris Maisano che fa parte degli
Italians for Zohran. Stiamo cercando di smontare il linguaggio dell’illusione
che vuole farci credere all’impossibilità di certi obiettivi, dimostrando che
una vera possibilità sociale nasce da solidarietà e empatia radicali. Perciò,
quando parliamo di concetti come «una città accessibile a tutti», cosa significa
davvero in termini politici? Cerchiamo anche di rispondere a domande sul perché
abbiamo Trump o la guerra in Palestina, partendo dal passato ed esaminando anche
le azioni dei presidenti americani che ci hanno portato al punto in cui siamo
oggi. In un certo senso stiamo risalendo la storia attraverso il filtro
interpretativo del linguaggio con cui la leggiamo.
Jesse mi ha parlato di una sorta di emarginazione percepita dalla comunità
Italo-americana, quasi sentisse di far parte più della popolazione di colore che
non di quella bianca. Condividi questa considerazione?
Alessandra Ferrara: Sì. Ed è una cosa che vogliamo sovvertire. Rifiutiamo l’idea
che la nostra dignità derivi dalla nostra prossimità con la cultura bianca
anglosassone, con la ricchezza e l’accumulazione, elementi tipici del
capitalismo. La nostra dignità deriva dallo stare dalla parte dei poveri, della
working class e degli immigrati, perché tali sono stati i nostri nonni e
bisnonni. Ma molte associazioni culturali italo-americane attive a New York sono
culturalmente italiane ma politicamente conservatrici. Pur facendo alcune cose
buone per diffondere le nostre tradizioni, per la verità soprattutto religiose,
e insegnare l’italiano, si tratta prevalentemente di associazioni politicamente
conservatrici che hanno nostalgia di tutte le cose brutte del nostro passato.
Anche di Mussolini?
Alessandra Ferrara: Altroché. E in particolare dell’idea che le donne devono
stare a casa a cucinare e a fare le madri. Condividono le posizioni di Giorgia
Meloni quando dice «sono una donna, una madre, una cristiana». Non capiscono che
sono idee anacronistiche che non hanno più giustificazione. Sono retaggio di un
passato che poteva avere senso molti decenni fa, quando le nostre nonne si
conquistarono il diritto di fare le casalinghe perché volevano differenziarsi
dalla working class immigrata. Volevano essere uguali alle donne americane
anglosassoni del loro tempo e assimilarsi con il progresso sociale di allora
secondo il quale il regno della donna era la casa. E volevano soprattutto che le
proprie figlie e i propri figli si integrassero totalmente.
A che classe sociale appartengono i componenti di gruppi come quello che hai
citato o come la Lacrl (Italian American Civil Rights League) tra i cui post ne
ho visto uno che rivendicava il duro lavoro di nonni e bisnonni per costruire la
città, proprio come dite tu e Jesse, traendone però conclusioni opposte alle
vostre?
Alessandra Ferrara: L’ironia è che parecchi di questi gruppi sono composti da
persone della working class che però non sono a favore della working class, non
sono pro-liberal, non si interessano di problemi sociali come casa, lavoro e
reddito. Sono ancora legati a un passato in cui l’essere coinvolti con la
politica più conservatrice, come quella di Cuomo, ha permesso loro di avere
benefici finanziari e un passaporto per entrare a tutti gli effetti nella
società bianca cattolica socialmente rispettata. Noi invece proponiamo un
cambiamento come quello proposto da Zohran, e gli siamo grati perché finalmente
possiamo essere italiani e socialisti.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola media secondaria
pubblica per oltre 40 anni. Attiva in ambito artistico e teatrale, ha cominciato
a seguire la Political Revolution di Bernie Sanders nel 2016 per la rivista
Vorrei.org. Collabora con Fata Morgana Web e con Libertà e Giustizia.
L'articolo Italians for Mamdani proviene da Jacobin Italia.