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La solitudine dei palestinesi – di Ahmed Frenkel
L’attacco da parte dell’esercito israeliano deciso unilateralmente dal governo Netanyahu contro Gaza City assomiglia sempre più a una sorta soluzione finale di tragica memoria. Avviene nella totale complicità e indifferenza non solo del mondo occidentale (con sporadiche eccezioni, vedi Spagna e Irlanda) ma anche del mondo arabo. In questi giorni a Bruxelles si è [...]
Maghismo, malattia senile dello stalino-razzismo
-------------------------------------------------------------------------------- unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- Negli Stati Uniti precipita la guerra civile. Domenica 21 settembre a Glendale, Arizona, si terranno i funerali di un razzista bianco ucciso con una fucilata da un altro razzista bianco. Chi semina vento raccoglie tempesta. La sanguinosa guerra interna al popolo del Secondo Emendamento è iniziata, mentre viene cancellato il popolo del Primo Emendamento con misure di polizia che mettono a tacere chiunque dica la verità sull’assassinio di Kirk. Il funerale di Kirk sarà l’occasione per radicalizzare e portare a compimento il colpo di stato freddo scatenato dal Maghismo. Le caratteristiche del Maghismo si stanno delineando con chiarezza: Make America Great Again è un’onda reazionaria razzista che si innesta sulla tradizione del Ku Klux Klan e del Maccartismo, ma sta prendendo forme sempre più simili allo Stalinismo: repressione di ogni libertà di parola, controllo totale sugli apparati di stato, adorazione della Verità Indiscutibile del Capo. A questo il Maghismo aggiunge una venatura di mistificazione religioso-magica, un culto della personalità di uno stupratore mafioso. Scrive Jianwei Xun in un articolo dal titolo Kirk, la censura americana e la pedagogia dell’impotenza, (probabilmente l’analisi più interessante che io abbia letto su questo argomento): “La conoscenza diffusa dell’ingiustizia, combinata con l’impossibilità di porvi rimedio, genera uno stato di paralisi cosciente che è il cuore della trance ipnocratica… questa combinazione di consapevolezza e impotenza produce uno stato alterato di coscienza più profondo di qualsiasi manipolazione o inganno. Sapere e non poter agire frantuma la psiche in modo più efficace di qualsiasi propaganda…”. La campagna di aggressione sequestro e deportazione lanciata dall’amministrazione Maghista e l’occupazione armata delle città non allineate configurano da tempo le linee di una guerra civile. Ma si tratta di una guerra civile fredda, perché non esistono le condizioni politiche per un’opposizione armata all’aggressione. Né esistono le condizioni soggettive per un’opposizione sociale efficace. La generazione che sta emergendo è paralizzata cognitivamente, intrappolata nell’alienazione cellulare e psichicamente depressa. Dunque cosa possiamo attenderci per i prossimi mesi e anni? La mia opinione è che il Maghismo rappresenti una disperata reazione al declino demografico e psichico della civiltà bianca. L’avanzata del Maghismo appare inarrestabile in tutto l’Occidente (con l’eccezione del mondo ispanico che merita un discorso a parte). Ma non dobbiamo pensare che ci sarà una stabilizzazione di lungo periodo del Maghismo come accadde con il Fascismo italiano o il Nazismo tedesco o lo stalinismo russo. Credo che il Maghismo abbia messo in moto un processo di disintegrazione dell’Occidente che sta procedendo con estrema rapidità, mentre il sud del mondo si prepara sul piano economico e militare alla guerra. Intanto, venerdì 19 settembre mattina a New York undici rappresentanti del partito democratico sono stati arrestati perché chiedevano di poter visitare i locali in cui l’Immigration Custom Enforcement detiene i migranti in attesa di deportazione. In tutti i media, nelle università, nelle scuole, negli uffici del sistema pubblico, nella Sanità… vengono licenziati funzionari che non accettano l’umiliazione dei razzisti Maga. Sono quelli che, bene o male, hanno fatto e fanno funzionare il sistema. Qualche giorno fa sul New York Times è uscito We Are Watching a Scientific Superpower Destroy Itself, un articolo di Stephen Greenblatt che analizza le conseguenze dell’Inquisizione razzista e sionista sul futuro dell’Università statunitense e sul sistema della ricerca (mentre già oggi otto su dieci delle università più produttive secondo criteri di efficienza capitalistica, sono cinesi). Una sorta di Nazismo Barocco è l’espressione di una società profondamente bigotta, ignorante e psichicamente disastrata. Questa non può che produrre la disintegrazione della potenza americana e dell’intera società occidentale. So che molti dei miei lettori si rallegrano nel leggere queste mie previsioni. Ma c’è poco da rallegrarsi. La mia previsione è che l’occidente non accetterà il suo declino e dispone degli strumenti per scatenare l’Armageddon tanto atteso dai fanatici maghisti. La disintegrazione dell’Occidente è ormai in corso, e credo che di qui alla fine del 2025 assisteremo al suo precipitare. Ma questo non è che l’inizio di una guerra civile globale che non sarà più tanto fredda. È l’Europa? È irrilevante e divisa. Attaccata dal fascismo putiniano e disprezzata dagli Stati Uniti di Vance e di Trump, sta per essere risucchiata in una spirale auto-distruttiva perché non sa accettare di non esistere più. Secondo l’agenzia di informazioni Politico.eu è iniziato il secolo dell’umiliazione europea. Per fortuna (o per disgrazia) non ci sono molte probabilità che tra un secolo ci sia ancora qualcuno che possa testimoniarlo. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Maghismo, malattia senile dello stalino-razzismo proviene da Comune-info.
Antisemitismo presunto e nuovo maccartismo
Articolo di Corey Robin Judith Butler è una dei 160 membri del corpo docente, studente e personale dell’Università della California, Berkeley, il cui nome è stato  fornito all’amministrazione Trump per contribuire alle indagini del governo federale sul presunto antisemitismo nel campus di Berkeley. Proviamo a spiegare più lentamente questa affermazione, così da comprenderne più chiaramente i componenti. Sin da febbraio, il Dipartimento dell’Istruzione (Doe) di Donald Trump ha avviato  un’indagine  sulle università, tra cui Berkeley e altri campus dell’Università della California (Uc), per la gestione di presunti episodi di antisemitismo nei loro campus. A marzo, il Dipartimento di Giustizia  ha annunciato un’indagine separata ma parallela sui campus dell’Uc. A luglio, una commissione congressuale della Camera  ha convocato  tre dirigenti universitari per testimoniare su presunti episodi di antisemitismo nei loro campus. Uno dei convocati è il rettore della City University of New York, o Cuny (tornerò sull’argomento). Un altro è il rettore di Berkeley. Tutti e tre sono stati messi a dura prova da un gruppo di rappresentanti repubblicani che si sono accaniti contro di loro. Nessuno si è impegnato abbastanza nel difendere i diritti di docenti, studenti o personale. Allo stesso tempo, l’amministrazione Trump ha trattenuto mezzo miliardo di dollari in sovvenzioni federali per la ricerca dall’Università della California di Los Angeles (Ucla), che il presidente dell’intero sistema Uc, James Milliken, ex cancelliere della Cuny sta cercando disperatamente di recuperare.Così, quando il Dipartimento dell’Istruzione ha chiesto a Berkeley di consegnare i nomi, l’Università della California ha acconsentito. Ciò è accaduto, secondo vari  resoconti giornalistici , il 18 agosto, quasi un mese fa. Da allora, il principale avvocato di Berkeley ha inviato lettere individuali a ciascuno dei 160 docenti, studenti e personale, tra cui Butler, informandoli che i loro nomi sono stati consegnati all’amministrazione Trump. Ma cosa significa? Consegnare nomi? Suona minaccioso, ma è facile perdere di vista il nocciolo della questione. Secondo l’avvocato di Berkeley, il Dipartimento dell’Istruzione ha “richiesto la produzione di documenti completi, inclusi fascicoli e relazioni relativi a presunti episodi antisemiti”. Poiché le indagini del Dipartimento dell’Istruzione sono in corso, aggiunge l’avvocato, “l’Università potrebbe essere soggetta a ulteriori obblighi di produzione”. In altre parole, quando l’Uc consegna i nomi, non sta semplicemente consegnando un elenco di nomi e nient’altro. Sta consegnando – scusate, «producendo» – «documenti completi, inclusi fascicoli e relazioni» che, per qualsiasi motivo, coinvolgono o menzionano i nomi di queste persone. A causa di “ulteriori obblighi di produzione” – adoro questa espressione; come se fossero una copisteria – l’Uc  potrebbe dover produrre molti altri documenti di questo tipo. Secondo un portavoce di Berkeley, questi documenti potrebbero persino riguardare solo il «potenziale collegamento» di questi individui a segnalazioni di presunto antisemitismo a Berkeley. Capito? Solo il loro «potenziale collegamento» a quei presunti incidenti. Come spiega Butler  in vari articoli, nessuno degli individui che hanno ricevuto una lettera ha la minima idea di quale specifica condotta, azione o dichiarazione gli venga imputata (anche se circola la sensazione che, qualunque cosa sia, riguardi  la Palestina). In effetti, come chiarisce il portavoce di Berkeley, potrebbe semplicemente essere che i nomi di questi docenti, personale o studenti abbiano solo una “potenziale connessione” con segnalazioni di presunto antisemitismo da parte di altre persone. Torniamo al Cuny. Negli ultimi anni, l’istituzione è stata impegnata in molteplici indagini su presunti episodi di antisemitismo nei suoi numerosi campus di New York. Il suo  rettore  e l’istituzione  hanno anche concordato una  definizione  di antisemitismo che potrebbe imporre indagini su chiunque, da Zohran Mamdani all’ex direttore del  Jewish Theological Seminary,  ai principali esperti e organizzazioni per i diritti umani in Israele, fino a… me. Negli ultimi tre mesi, quattro docenti a contratto del  Brooklyn College sono stati licenziati e gli amministratori hanno convocato per interrogarli anche cinque docenti a tempo pieno e un membro dello staff. In qualsiasi momento, l’amministrazione Trump potrebbe chiedere al Cuny di consegnare «documenti completi, compresi fascicoli e rapporti» che semplicemente implicano il «potenziale collegamento» di questi individui a segnalazioni di presunto antisemitismo. Cerchiamo di essere chiari sulle conseguenze della consegna di questi fascicoli esaustivi. Butler, nei suoi  commenti  alla  stampa , invoca giustamente l’esperienza del maccartismo. Ma per chiarire cosa significhi concretamente, ricordiamo i dettagli del funzionamento del maccartismo. Come spiega la storica Ellen Schrecker nel suo prezioso studio Many Are the Crimes , come fosse una rete («Redbaiters, Inc.» è il titolo del suo secondo capitolo) di funzionari governativi, investigatori privati, leader istituzionali e politici. Le indagini su persone politicamente sospette spesso iniziano, sotto pressione del governo, collaborando con attivisti di varie organizzazioni di destra, del settore privato e di quella che chiamiamo società civile, ovvero università, chiese, sindacati, organizzazioni non profit e così via. Trattandosi degli Stati uniti, le indagini vengono spesso subappaltate ad altre organizzazioni private e studi legali specializzati in questo genere di attività, combinando un mix di iperideologia e pseudo-proceduralità. I rapporti vengono redatti e conservati al sicuro negli schedari – ora computer – di queste istituzioni. Il governo – all’epoca era invariabilmente l’FbiI – entra in possesso di quei rapporti, che costituiscono parte del dossier dell’Fbi su un individuo. Questi rapporti circolano nuovamente nel settore privato e nella società civile. Ancora più importante ai nostri fini, finiscono anche nelle mani delle commissioni del Congresso, che spesso collaborano con quegli investigatori privati e attivisti professionisti di cui ho parlato sopra. Da lì, si arriva alle famose udienze che ricordiamo della Commissione per le Attività Antiamericane della Camera (Huac), della commissione McCarthy e di altre commissioni. A cui si aggiunge l’intensa copertura mediatica che, se non è già avvenuta, rovina la vita delle persone. Per non parlare di tutti gli altri effetti collaterali: passaporti revocati (Paul Robeson), posti di lavoro negati, possibili processi penali e punizioni (se ci si rifiuta di rispondere alle domande o si commette un errore e si commette falsa testimonianza) e altro ancora. Oggi dovremmo aggiungere la possibilità molto concreta di violenza o, come minimo, di molestie e minacce prolungate. Tutto questo, dovremmo ricordarlo, è dovuto all’esercizio del discorso politico. All’epoca, il discorso poteva essere qualsiasi cosa, dal sostenere l’Unione sovietica al sostenere prematuramente la guerra contro il fascismo (che era una cosa normale) all’organizzare la desegregazione delle scorte di sangue della Croce Rossa (anche quello era una cosa normale). Oggi potrebbe significare, come  ci ha ricordato Mamdani  lo scorso fine settimana al Brooklyn College, la difesa dei diritti umani fondamentali dei palestinesi. In altre parole, chiunque di noi nei campus universitari ha motivo di preoccuparsi per queste indagini universitarie sul presunto antisemitismo; per il fatto che Berkeley abbia consegnato i fascicoli su Butler e altri 159 tra docenti, personale e studenti; per cosa potrebbe derivarne; e se qualcosa di simile stia accadendo nelle nostre istituzioni accademiche. O sia già accaduto. Nel mio  libro sulla paura, ho sostenuto che i regimi di paura dipendono in modo cruciale da due tipi di individui: i carrieristi e i collaborazionisti. Oggi la parola che sentiamo è «complicità». Ciò che tutte queste parole intendono suggerire è che i regimi di paura non sono mai semplicemente un’azione dall’alto verso il basso. Hanno anche una forte componente dal basso verso l’alto. Purtroppo, nel nostro discorso odierno, anche a sinistra, quell’elemento dal basso viene spesso interpretato come una massa di razzisti a caso sui social media o di ingenui negli stati repubblicani. Ma questa è una consolazione e una presunzione. La verità è che i collaboratori sono agenti particolari, a cui vengono affidate responsabilità discrete e potere concreto a vari livelli, in molteplici istituzioni, che prendono decisioni, a volte per le migliori ragioni, con conseguenze che potrebbero non aver previsto ma che probabilmente si verificheranno comunque. *Corey Robin è autore di The Reactionary Mind: Conservatism from Edmund Burke to Donald Trump e collaboratore di JacobinMag, da dove è tratto questo articolo. L'articolo Antisemitismo presunto e nuovo maccartismo proviene da Jacobin Italia.
Perché la Silicon Valley sostiene Trump
-------------------------------------------------------------------------------- Apple park, Silicon Valley (California). Foto unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- Nei racconti della Silicon Valley scritti da sé medesima, tutti disponibili in rete o in libreria, si legge di un capitalismo eccezionale, guidato da uomini fuori dal comune. E di un ambiente di lavoro magnifico, dove l’alienazione è pregata di accomodarsi fuori della porta. Ma i volti sempre sorridenti, gli spazi condivisi e gli edifici a emissione zero nascondono due zone d’ombra. La prima è l’estrattivismo nei confronti di persone e territori. Nel 2023 in Kenya, per fare solo uno dei tanti esempi possibili, OpenAI fa ripulire i suoi modelli d’intelligenza artificiale a migliaia di “schiavi del clic”, impiegati in turni massacranti a meno di due dollari l’ora. L’estrazione forzosa di risorse opera anche sull’ambiente. Mentre enormi quantità d’acqua ed energia vengono consumate nei centri di calcolo necessari all’intelligenza artificiale, le cryptomonete, oggetto dell’amore maniacale dei tecno-capitalisti, bruciano nel solo 2023 tanta energia quanto l’intera Australia nello stesso periodo di tempo. La seconda zona oscura è la composizione demografica della dirigenza. Le donne rappresentano il 50,9% della popolazione totale degli Stati Uniti, gli ispanici il 19,5% e gli afroamericani il 13%. Nella Silicon Valley i tre gruppi occupano, rispettivamente, l’8,8%, l’1,6% e meno dell’1% di tutte le posizioni direttive. La Silicon Valley non è solo un posto dove persone, tecnologia e ricchezza sono straordinarie. È anche il luogo dove questa eccezionalità viene trasformata in buona novella. Peter Thiel, fondatore di PayPal e Palantir, è il tecno-capitalista più impegnato nel diffondere il Vangelo che sale dalla valle. Lo fa con esemplare chiarezza in un saggio del 2009, The Education of a Libertarian, in cui rivendica per sé, in quanto capitalista, una libertà assoluta. Essere liberi è la precondizione per raggiungere obiettivi più alti: sfuggire agli apparati fiscali, sconfiggere il collettivismo, battere l’ideologia dell’inevitabilità della morte. Ma Thiel aggiunge: “Non credo più che la libertà e la democrazia siano compatibili”. Non sopporta, in altri termini, che in democrazia esistano regole valide per tutti, poveri cristi o ricchi a palate che siano. L’ideologia della libertà assoluta del capitalista si accorda alla perfezione con il secondo punto dell’ideologia di Thiel, il capitalismo come sistema che non conosce limiti. Il nemico numero uno del capitale senza confini è l’ambientalismo, più pericoloso perfino della Sharia e del comunismo. Il simbolo di un possibile futuro autoritario diventa così Greta Thunberg, secondo Thiel l’Anticristo del nostro tempo. È l’idea stessa di bene comune, su cui si basa l’ambientalismo, a farne il primo nemico del capitalismo. Quest’ultimo non può tollerare l’esistenza di ricchezze che non appartengono agli individui ma alle comunità che vivono sui territori. Nel caso dell’aria che respiriamo e dell’acqua dei mari e dei fiumi, è la collettività di tutte e tutti noi abitanti della Terra ad esserne proprietaria. Nel suo odio per l’ambientalismo, Thiel si muove nel solco di Ayn Rand (1905-1982), teorica del capitalismo assoluto: il legame sociale è schiavitù perché l’unico rapporto possibile fra l’individuo e il mondo è la proprietà. Ma se possono esistere solo proprietari isolati, il principio dell’ambiente come casa comune, che nessun privato ha il diritto di possedere, non può che innervosire gli ideologi della libertà totale del capitalismo. Nel contesto appena delineato, la Silicon Valley fa propria l’auto-rappresentazione dei capitalisti come la migliore classe dirigente possibile, perché frutto di una selezione naturale. È un’idea con una tradizione lunga oltre un secolo. Andrew Carnegie, il più importante industriale dell’acciaio negli Stati Uniti di fine Ottocento, la spiega così: “Anche se la legge [della competizione] può a volte risultare dura per l’individuo, rappresenta la cosa migliore per la razza perché assicura la sopravvivenza dei migliori in ogni settore”. I dirigenti prodotti dal capitalismo sono i più capaci perché escono vincenti dalla corsa al possesso di beni e denaro: il migliore non è Van Gogh, ma il mercante che riesce a venderne i quadri. In quanto superiori a tutti nell’accumulare ricchezza, i capitalisti non ne sbagliano una. A sentire Alex Karp, amministratore delegato di Palantir, “Se qualcuno fa un sacco di soldi con qualcosa, allora deve aver ragione”. Posizioni come quelle appena descritte spiegano il sostegno a Donald Trump da parte di Silicon Valley in occasione delle elezioni presidenziali dello scorso novembre. Il passaggio al trumpismo dei tecno-capitalisti consente la pratica del capitalismo alla Thiel, libero da qualsiasi limite. Se la crescita del capitale oggi si scontra col riscaldamento del pianeta, Silicon Valley non può che riconoscersi con entusiasmo nel negazionismo climatico della presente amministrazione repubblicana. In secondo luogo, schierandosi con Trump, Silicon Valley salda il suo elitismo, fondato sul dominio della tecnologia, con quello basato sul genere e/o il colore della pelle, con il sessismo e il razzismo, in perfetta coerenza con la composizione demografica della sua dirigenza. Il tecno-capitalismo si arruola così nel conflitto del secolo, la guerra del Nord contro il Sud, combattuta nelle banlieux parigine come nei campi di concentramento per immigrati, nei quartieri ispanici delle metropoli statunitensi come nelle strade di Gaza. Un’oligarchia di ultraricchi cafoni, quella che noleggia Venezia per un matrimonio, pretende di dominare il mondo. Ma non può agire da classe dirigente perché è incapace di affrontare i problemi della collettività. Salta allora sul carro del fascismo. Starà alla nostra Resistenza impedire che il presente stato delle cose si cristallizzi in un mondo neofeudale, con un’aristocrazia di tecno-miliardari esenti dal fisco al comando, un clero di informatici a gestire il sapere e una massa di servi a tenere in piedi la baracca. -------------------------------------------------------------------------------- Originariamente pubblicato su Officina Primo Maggio -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Perché la Silicon Valley sostiene Trump proviene da Comune-info.
Kamikaze sociali e omicidio politico
Articolo di Andrea Natella «Ogni divieto fondamentale della società, e in particolare quello contro l’omicidio, ha lo scopo di proteggere il gruppo e di sancire il rispetto delle regole comuni; la trasgressione di tali divieti provoca indignazione collettiva e rituali di espiazione, perché minaccia l’integrità della solidarietà sociale». (Émile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, 1912) Secondo la sociologia classica, l’omicidio deliberato di un essere umano è un tabù la cui violazione segna i confini etici e rafforza la coesione sociale. Le reazioni all’assassinio di Charlie Kirk come quelle in precedenza per il CEO della United HealthCare di Brian Thompson o per i due funzionari israeliani uccisi a Washington, segnano l’emergere di due atteggiamenti speculari che vanno entrambi nella direzione opposta. Da una parte c’è la giustificazione più o meno diretta del gesto («chi semina vento raccoglie tempesta») dall’altra l’attribuzione del delitto a un intero campo politico («la sinistra è il partito dell’omicidio», Elon Musk). In entrambi i casi la funzione sociale della devianza come elemento di coesione della società nel suo complesso viene falsificata. L’omicidio di Charlie Kirk non ha generato alcun rafforzamento della coesione sociale. La stessa definizione di «omicidio politico» che è stata data, si concentra sul ruolo della vittima, che è evidentemente un obiettivo politico, ma falsifica quella del carnefice che anche questa volta è un «lupo solitario», un individuo isolato, slegato da qualsiasi comunità politica reale e che ha preso la sua decisione omicidiaria in una condizione di debolezza relazionale. Ci si può interrogare a lungo sul percorso psicologico, e gli eventuali traumi, che hanno portato un ragazzo della middle class di una famiglia Repubblicana a imbracciare un fucile Mauser, salire sul tetto di un’università e poi sparare da 120 metri di distanza al più importante influencer dell’estrema-destra americana. Quello che sappiamo è che Tyler Robinson viene descritto come un ragazzo riservato, poco socievole, appassionato di videogiochi. Le frasi impresse sulle munizioni testimoniano che la sua comunità di appartenenza è più quella di una certa internet culture che il risultato di una formazione all’interno di circuiti di partecipazione o di spazi collettivi. Hey fascist! Catch! («Ehi fascista! Prendi!») è presa di peso dal videogioco Helldivers II e accompagnata dalle frecce della tastiera. Il riferimento a Bella Ciao proviene probabilmente da Far Cry 6, un altro videogioco, oppure dalla visione della serie Netflix La casa di carta, piuttosto che da una conoscenza della storia partigiana italiana. L’omicidio di Kirk è l’esito di quel processo di mediatizzazione della conoscenza e indebolimento delle agenzie di socializzazione informali che caratterizza questo periodo storico. Scuola, lavoro, famiglia continuano a svolgere la loro missione di istituzioni totali, ma sono una cornice di socializzazione sempre più precaria e che, proprio per questo, dovrebbero essere affiancate da maggiori spazi non istituzionali. Spazi dove le pulsioni che scaturiscono da quella pressione incostante possano confrontarsi e trovare uno sviluppo politico, culturale e sociale. La risposta non possono essere i dibattiti estemporanei che Charlie Kirk portava in giro per le università americane (Prove me wrong – «dimostrami che sbaglio») in cui come in un incontro di wrestling vince chi è più rapido a trovare un’argomentazione logica per schiacciare l’avversario al tappeto. Sono sempre più necessarie delle reti informali che facciano da cuscinetto tra individuo e società, prevenendo isolamento e marginalizzazione. Luoghi di ritrovo, spazi associativi, centri sociali anche al di fuori della legalità formale, sono fondamentali per l’integrazione e la coesione urbana. Insistere esclusivamente su «legge e ordine», aumentare le pene per incontri informali o sgomberare spazi sociali, come avviene in Italia, significa garantire la produzione di nuove marginalità esplosive. Il sociologo francese Loïc Wacquant ha avvertito che privare le persone di reti di sostegno e spazi di mediazione, porta gli individui accumulare frustrazione e isolamento, aumentando il rischio di violenza urbana e terrorismo individuale. Le società più dinamiche non sono quelle prive di devianza, ma quelle capaci di gestire e mantenere spazi di alegalità in cui norme formali ed effervescenze informali coesistono. Spetta alla politica, a seconda degli schieramenti, definire quali debbano essere questi spazi e quali limiti debbano essere posti, ma invocare la pena di morte e pene esemplari, sempre più severe, per ogni tipo di reato sociale è una garanzia per la moltiplicazione di kamikaze sociali come Tyler Robinson. La gestione consapevole di queste zone grigie serve a preservare reti di inclusione e appartenenza, riducendo l’isolamento e il rischio di violenza anomica. Società che reprimono ogni trasgressione e che comprimono le tensioni sociali continueranno a generare marginalità esplosive che colpiscono ciecamente, a destra come a sinistra.  *Andrea Natella è sociologo, pubblicitario e design fiction artist. Ha attraversato le controculture degli anni Novanta dal cyberpunk al Luther Blissett Project e creato guerrigliamarketing.it. È stato consulente per la comunicazione istituzionale del ministro della salute. L'articolo Kamikaze sociali e omicidio politico proviene da Jacobin Italia.
You have no idea
SOLTANTO NEL 2024 LE SPARATORIE DI MASSA NEGLI USA SONO STATE 503, LE STRAGI 30 E I MORTI PER ARMA DA FUOCO 16.725. EPPURE ADESSO RACCONTANO CHE SI TRATTA DI UN OMICIDIO POLITICO. “NON HAI IDEA DI CIÒ CHE HAI SCATENATO” HA DETTO LA MOGLIE DI KIRK, RIVOLGENDOSI AL RESPONSABILE DELL’OMICIDIO. CIÒ CHE ACCADE NEGLI USA È UN COLLASSO PSICO-POLITICO DI CARATTERE SUICIDARIO. MA IL VERO PROBLEMA, SCRIVE BIFO, È CHE ORA QUEL SUICIDE BY COP SI STA PROIETTANDO SU SCALA MONDIALE Unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- Ventiquattro anni dopo l’attentato al World Trade Organization che segnò l’inizio della guerra civile globale, siamo di fronte a un salto che potrebbe precipitare definitivamente nel caos gli Stati Uniti. “You have no idea of what you have unleashed”, ha detto la moglie di Charlie Kirk (rivolgendosi al responsabile dell’omicidio). Cerchiamo allora di farcene un’idea poiché la cosa non riguarda solo gli statunitensi, – che forse entrano in una sanguinosa agonia -, ma tutti gli abitanti del pianeta poiché sappiamo che la guerra civile statuntense ha e avrà sempre più una proiezione globale. Il collasso psico-politico del gigante imperialista ha carattere suicidario, ma si tratta di un suicidio micidiale (suicide by cop), come quello che da anni compiono migliaia di giovani statunitensi. Prendono il fucile e vanno a sparare davanti a una scuola nella speranza che arrivi qualcuno armato per aiutarli a uscire dall’incubo che è stata la loro esistenza. Da Columbine in poi abbiamo imparato a riconoscere questo tipo di suicidio delegato come una particolarità della vita interna a questo paese disgraziato. Ora il suicide by cop si sta proiettando su scala mondiale. 11 settembre 2025 La pallottola che ha ucciso Charlie Kirk (pace all’anima sua) è partita proprio mentre lui stava dicendo che le vittime innocenti che capitano durante i mass shooting sono un piccolo sacrificio che dobbiamo sopportare per difendere la libertà di portare armi. Questa volta la vittima dello shooting non è innocente, dal momento che ha sempre difeso la proliferazione di armi da fuoco. Perciò è difficile unirsi all’ipocrita rammarico generale: chi di spada ferisce di spada perisce, e qui la spada è un fucile di precisione che ha sparato dalla distanza di duecento metri. Per un giorno e mezzo ci siamo chiesti chi fosse lo sparatore. Qualcuno ha fatto l’ipotesi che l’assassino fosse un tiratore scelto dello stato profondo, poi ci hanno detto che si chiama Tyler Robinson, ha ventidue anni, e sui proiettili aveva scritto Bella Ciao e “beccati questa fascista”. Hanno trovato quello che stavano cercando, e adesso racconteranno che si tratta di un omicidio politico. Non so se Tyler ha scritto davvero quelle frasi, ma so che secondo il Gun Violence Archive nel 2024 le sparatorie di massa sono state 503, le stragi sono state trenta e i morti per arma da fuoco 16.725. Tyler Robinson, come Thomas Crooks, il ventenne che mancò la testa di Donald Trump, come innumerevoli altri da Columbine (1999) ha preso il fucile per partecipare a questo sport nazionale: una guerra civile psicotica. Un popolo di bambini incattiviti ha sostituito la ragione politica con la demenza aggressiva amplificata dai media. La crisi psicotica della più grande potenza militare di tutti i tempi iniziò l’11 settembre 2001 con l’abbattimento delle due torri simbolo. Seguirono due guerre inconcludenti e catastrofiche, poi il suprematismo umiliato trovò in Donald Trump la sua vendetta. Poi un’armata caricaturale diede l’assalto al Campidoglio, e la grande democrazia fu incapace di reagire alla violenza e soprattutto al ridicolo. Infine Trump ha vinto di nuovo, e questa volta fa sul serio: ha condotto e sta conducendo una guerra contro le città governate dal Partito democratico. Una guerra ridicola se volete, ma c’è poco da ridere. Al contempo l’Immigration and Custom enforcement (ICE) è stato trasformata in una milizia finanziata dai contribuenti direttamente al servizio del presidente: un corpo di agenti incappucciati e armati che vanno in giro a minacciare malmenare e sequestrare persone per poi deportarle in campi di concentramento sul territorio nazionale e fuori del territorio nazionale. Il Ku Klux Klan come guardia pretoriana dell’Imperatore. Ross Douthat del NYT (Will Trump’s Imperial Presidency Last?) parla del cesarismo di Trump e si chiede se le sue riforme autoritarie sono destinate a cambiare la natura dello stato sul lungo periodo. Io direi che la questione non è di lungo periodo, perché nel breve periodo assisteremo a una disintegrazione politica, sociale e soprattutto psichica, del paese che con Israele si contende il primato di più violento del mondo. È questa disintegrazione ormai in corso che cambierà il lungo periodo, forse cancellandolo anticipatamente. Che fare in una tempesta di merda? Nel 2001 l’Occidente entrò in una sorta di guerra civile che l’ha progressivamente travolto. Da quel momento la democrazia venne liquidata. Il 20 luglio del 2001, a Genova, il governo di Berlusconi e Fini scatenò la violenza armata contro una manifestazione pacifica di trecentomila persone. Da allora capimmo che la vita sociale non sarebbe più stata la stessa. Nel ventesimo secolo, in Europa, il potere politico funzionava secondo le regole della “democrazia”: la politica si fondava sul consenso, e conviveva con il dissenso: l’oggetto del contendere era il “senso” della relazione sociale. Nel nuovo secolo il “senso” della relazione sociale è perduto: la legge ha lasciato il posto alla forza. La persuasione ideologica ha ceduto il posto alla pervasione mediatica. La ragione ha ceduto il posto alla psicosi di massa. Nelle condizioni del secolo passato “dimostrare” aveva una funzione utile: parlare, gridare, manifestare erano modi per spostare il senso condiviso della società: esprimere dissenso serviva a spostare il consenso, poiché l’esercizio del potere si fondava sulla mediazione e sul consenso. A Genova capimmo che questa dinamica era finita. Da quel momento il potere ha modificato la sua forma e la fonte della sua legittimità. La società, investita da una tempesta mediatica sempre più intensa, non ruotava più intorno alla persuasione – ma intorno alla pervasione, al dominio bruto. La psicosi ha preso il posto della politica, e si tratta di una psicosi omicida, con una fortissima vocazione suicida. Ma la questione è: che fare in questa tempesta di merda? Possiamo continuare a dimostrare finché ce lo permettono: possiamo essere contenti di essere tanti a protestare nelle piazze, ma dobbiamo sapere che la forza non si piega alla ragione. Dimostrare non è inutile: in piazza incontriamo amiche e amici, e testimoniamo l’esistenza di una resistenza etica al genocidio. Ma la resistenza etica non cambia i rapporti di forza. Siamo costretti a guardare lo spettacolo, attendiamo che la psicosi armata conduca alla disintegrazione del mostro occidentale. Ma intanto quanto costa alla società questa guerra civile psicotica? Una crisi di gelosia Mentre a Pechino si incontrano quelli che preparano la vendetta e le armi ultra della vendetta, Trump e Vance fanno i bulli ammazzando undici persone su una barchetta davanti alla costa venezuelana. Trump rappresenta la maggioranza del popolo americano, ma questo vuol dire solo che la maggioranza del popolo statunitense ha perduto ogni contatto con la realtà e che gli US sono precipitati in un vortice di demenza autodistruttiva. Tradito e dileggiato dall’amato Putin Trump potrebbe reagire come fanno talora gli amanti traditi: con un’aggressione suicida ovvero suicidio aggressivo. “You’ll see things happen”, ha minacciato il presidente rivolgendosi a Putin. E ha scritto un messaggio stizzito, stizzitissimo a Xi Jin Ping: “Please give my warmest regards to Vladimir Putin, and Kim Jong Un, as you conspire against The United States of America”, “ti prego di rivolgere i miei più calorosi saluti a Vladimir Putin e Kin Jong Un, mentre cospirate insieme contro gli Stati Uniti d’America”. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo You have no idea proviene da Comune-info.
L’omicidio Kirk è una tragedia e un disastro
Articolo di Ben Burgis, Meagan Day Charlie Kirk non ha mai ricevuto un caloroso benvenuto sulle pagine di questa rivista. Ora però non ha più importanza. L’assassinio di Kirk è una tragedia. Moralmente, è ingiustificabile. Politicamente, è motivo di grave timore. Una spirale più ampia di violenza politica sarebbe una catastrofe per la sinistra. Nel momento in cui scriviamo, nessuno conosce l’ideologia o le motivazioni dell’attentatore. Ma alcuni punti chiave sono abbastanza chiari. Nessuno dovrebbe essere ucciso come punizione per le proprie posizioni politiche, a prescindere da quanto possano essere discutibili. Oltre al nostro fondamentale orrore per la violenza, siamo anche sostenitori della democrazia, che si basa sulla libertà di parola e sulla libera inchiesta. Senza di essi, l’autogoverno collettivo è impossibile e la tirannia diventa inevitabile. Imporre il silenzio agli oppositori politici con la forza, sia sotto forma di repressione statale del dissenso che con l’assassinio di leader da parte di lupi solitari, mina un principio da sempre fondamentale per dei socialisti democratici. Inoltre, la prospettiva di cadere in una spirale violenta da «occhio per occhio» è uno sviluppo inquietante che minaccia di restringere lo spazio per un’azione politica significativa. Non è di buon auspicio per la cultura politica in generale, e in particolare per la sinistra. Diciamo continuamente cose che altri trovano estremamente discutibili e ci aspettiamo di essere accolti con feroci controargomentazioni, non con rappresaglie violente. Sebbene la violenza politica sia sempre esistita, generalmente è stata sempre confinata in ambiti ragionevolmente marginali. È come se fossimo vissuti dentro un fragile consenso: nella nostra cultura altrimenti straordinariamente violenta, leader politici e commentatori ne sono usciti per lo più indenni. Ora il consenso sembra sgretolarsi, con implicazioni agghiaccianti. I tentativi di omicidio e gli omicidi di leader politici sono in aumento, così come le uccisioni per motivi politici di personaggi meno noti. Sebbene questo tipo di violenza provenga da tutto lo spettro politico, da diversi decenni la destra ne è responsabile in misura molto maggiore rispetto alla sinistra. Negli ultimi anni, gli aggressori sembrano provenire sempre più da fasce della popolazione americana politicamente confuse, mentalmente disturbate e pesantemente armate, la cui paranoia e disorientamento si sono intrecciati con una cultura politica incoerente ma ferocemente polarizzata. Persino la violenza armata comune di massa ha una valenza sempre più politica: se gli autori di stragi nelle scuole di un tempo erano inclini a una sorta di nichilismo totalizzante e depoliticizzato, oggi scarabocchiano slogan politici contraddittori sulle loro armi. L’omicidio di Charlie Kirk sembra già un’ulteriore prova che la mania violenta americana si sta scontrando frontalmente con il tribalismo disumanizzante della nostra cultura politica. Questa combinazione tossica minaccia di corrodere gravemente le norme democratiche e di spegnere ogni speranza di crescita della sinistra. POTENZIALE REPRESSIONE Kirk gestiva una macchina di propaganda politica ben finanziata che promuoveva un messaggio semplice. «Liberal», «radicali» e «socialisti» – raramente si preoccupava di fare distinzioni – stanno rovinando il paese. Le università sono insidiose fabbriche di indottrinamento di sinistra. L’America è sopraffatta da immigrati violenti. Le donne dovrebbero dedicarsi alla sfera domestica. L’America è una nazione cristiana e dovrebbe rimanere tale. Donald Trump è una forza del bene. Quattro anni fa, uno di noi (Ben) ha tenuto un dibattito con Kirk su «Socialismo Democratico contro Populismo Conservatore». Da allora, la sua posizione politica ha preso una direzione ancora peggiore, flirtando con forme ben più orribili di nazionalismo e xenofobia, ma anche nel 2021 la sostanza della posizione di Kirk era indifendibile. Pur rivendicando la bandiera del «populismo», difendeva una serie di posizioni che sarebbero state perfettamente in linea con gli  editoriali del Wall Street Journal. Era fermamente contrario anche a piccoli passi verso una società più equa, come l’assistenza sanitaria universale e la costruzione di un movimento sindacale più forte. Allo stesso tempo, non è sceso in attacchi personali. Si è attenuto alla sostanza delle argomentazioni, evitando ampiamente i tranelli a buon mercato e dando a Ben lo spazio per ribadire la contraddizione tra la retorica populista di Kirk e la sostanza orribile e ineguale della sua proposta politica. In un paese in cui purtroppo un numero considerevole di nostri concittadini concorda con la prospettiva di Kirk, discussioni come questa sono assolutamente necessarie. La sparatoria di ieri indica la strada di un percorso molto più orribile, che non porterà e non potrà portare dove vorremmo andare. La premessa fondamentale della politica di sinistra è che le persone comuni siano capaci di autogovernarsi, nei loro luoghi di lavoro e nella società nel suo complesso. Quest’obiettivo è coerente solo se confidiamo nella capacità dei nostri concittadini di confrontarsi con ogni punto di vista, anche il peggiore, e di farsi una propria opinione. E i nostri obiettivi democratici possono essere raggiunti solo con mezzi democratici. Cerchiamo di rovesciare strutture di ricchezza e potere profondamente radicate. Non esiste un modo realistico per farlo se non quello di portare la stragrande maggioranza della popolazione dalla nostra parte. La nostra forza sta proprio nel fatto che la working class, che trarrebbe beneficio dalla nostra piattaforma, costituisce la maggior parte della popolazione. In altre parole, le idee convincenti e i numeri sono entrambi dalla nostra parte. Ma l’effetto inevitabile dell’introduzione di una violenza modello «occhio per occhio» in politica è di ridurre drasticamente la rilevanza di entrambi questi fattori. In scenari dominati da spargimenti di sangue tra fazioni, non è più importante chi ha il programma politico più convincente o l’elettorato potenzialmente più numeroso, ma solo chi ha gli ideologi più militanti e pesantemente armati, con la minore riluttanza a uccidere. La sinistra non vincerà questa battaglia. Inoltre, l’omicidio di Kirk quasi certamente si ritorcerà contro la sinistra anche in altri modi. In primo luogo, l’amministrazione Trump potrebbe benissimo usarlo come pretesto per reprimere gli attivisti di sinistra. Subito dopo l’omicidio di Kirk, la destra ha iniziato a chiedere proprio questo tipo di reazione. Le loro richieste di epurare e censurare l’intera sinistra come rappresaglia per l’omicidio di Kirk sono state rapide, onnipresenti e dure. Prima che la serata finisse, Donald Trump si è rivolto alla nazione, dicendo: «Per anni, la sinistra radicale ha paragonato meravigliosi americani come Charlie ai nazisti e ai peggiori assassini di massa e criminali del mondo. Questo tipo di retorica è direttamente responsabile del terrorismo a cui assistiamo oggi nel nostro paese, e deve cessare immediatamente». L’aggressore non è stato ancora identificato e nessun movente è stato confermato, ma ciò non ha impedito al presidente di addossare la responsabilità dell’omicidio di Kirk all’intera sinistra e di promettere vendetta. Se la storia ci insegna qualcosa, la sinistra corre seri pericoli da questo sviluppo degli eventi. La teoria secondo cui gli atti di violenza politica individuale possano in qualche modo innescare movimenti di massa per la giustizia (quella che un tempo veniva chiamata «azione dimostrativa») è stata messa alla prova, in diverse circostanze in tutto il mondo, per secoli. È stata costantemente un disastro, portando quasi sempre a una maggiore repressione della sinistra e ad attacchi alla democrazia in generale. Le conseguenze dell’omicidio di Kirk potrebbero facilmente seguire questo schema familiare e cupo. Che l’assassino si riveli o meno di sinistra, ci sono buone ragioni per temere che possa essere usato come pretesto per nuove misure repressive contro il dissenso da parte di un’amministrazione che si è già dimostrata disposta a impegnarsi in un grado di autoritarismo che non abbiamo mai visto nella storia americana recente. Negli ultimi otto mesi, titolari di green card sono stati arrestati e rinchiusi in carcere per aver partecipato a proteste o anche solo per aver scritto editoriali critici nei confronti di Israele; truppe federali sono state inviate nelle città, nonostante le proteste di sindaci e governatori, in risposta a mobilitazioni di piccola portata o persino a reati di strada; e immigrati semplicemente sospettati di reati sono stati rinchiusi in prigioni a El Salvador senza il minimo accenno a un giusto processo. Non è azzardato immaginare che qualsiasi cosa che assomigli anche solo vagamente alla violenza di sinistra (qualunque siano le motivazioni dell’attentatore) possa portare a rappresaglie estreme da parte dell’amministrazione Trump. MARTIRE IN DIVENIRE Negli anni successivi alla seconda e più decisiva sconfitta di Bernie Sanders nel 2020, la sinistra ha subito gravi battute d’arresto. Se, solo pochi anni fa, eravamo in corsa per arrivare al potere, ora siamo spesso ridotti a una rabbia impotente di fronte alle depravazioni dell’amministrazione Trump, all’incapacità dell’opposizione liberal e al vero e proprio genocidio perpetrato a Gaza. Di recente ci sono stati segnali incoraggianti che fanno sperare di poter riprendere piede nella politica americana, in particolare la campagna ricca di ispirazione di Zohran Mamdani a New York. In questo momento questa scintilla di una nuova politica socialista democratica è preziosa e fragile. Una nuova ondata di repressione politica potrebbe essere particolarmente disastrosa nel momento in cui stiamo solo iniziando a ricostruire le nostre forze. L’omicidio di Kirk probabilmente non demoralizzerà ma rafforzerà la convinzione dell’estrema destra, che senza dubbio trasformerà Kirk in un martire della propria causa. In effetti, l’uso di quel termine da parte di personaggi della stampa di destra è già iniziato. E lui si presta perfettamente a questo tipo di mitizzazione, dato che non ha mai toccato nessuno ed è stato colpito a sangue freddo mentre stava esprimendo le proprie opinioni politiche. Lo stesso Kirk ha avuto un ruolo di primo piano nello spingere la Generazione Z verso destra, soprattutto i giovani uomini. Se l’assassino sperava di soffocare la sua influenza, le sue azioni avranno quasi certamente l’effetto opposto. L’omicidio di Kirk a trentun anni convincerà senza dubbio molti dei suoi milioni di spettatori e ascoltatori a dedicarsi alla sua causa, accelerando così la coesione di un blocco politico militante di destra che sarà un ostacolo al nostro progetto per i decenni a venire. Nel breve periodo trascorso dall’assassinio di Kirk, la maggior parte della sinistra ha giustamente condannato il suo assassinio. Un numero non trascurabile, tuttavia, ha reagito con una mancanza di empatia quasi competitiva. Non solo il loro atteggiamento amorale rischia di allontanare gli americani comuni, che aborrono la violenza politica, ma è anche politicamente fuorviante e strategicamente ingenuo. Non c’è nulla da festeggiare. Anzi, c’è molto da temere. *Ben Burgis è editorialista di Jacobin, professore associato di filosofia alla Rutgers University e conduttore del programma YouTube e podcast Give Them An Argument. È autore di diversi libri, il più recente dei quali è Christopher Hitchens: What He Got Right, How He Went Wrong, and Why He Still Matters. Meagan Day è redattrice di Jacobin. È coautrice di Bigger than Bernie: How We Go from the Sanders Campaign to Democratic Socialism. L'articolo L’omicidio Kirk è una tragedia e un disastro proviene da Jacobin Italia.
Per fermare Mamdani Trump punta su Cuomo
Articolo di Nick French Dalle primarie per la carica di sindaco di New York City dello scorso giugno, i super-ricchi sono nel panico, alla ricerca di un modo per fermare il candidato socialista Zohran Mamdani. Ora sembra che abbiano trovato la soluzione: farsi aiutare da Donald Trump. Uno dei problemi più rilevanti per gli oppositori di Mamdani è stato il fatto che i suoi concorrenti – il sindaco in carica Eric Adams, l’ex governatore Andrew Cuomo e il candidato repubblicano Curtis Sliwa – sembrano tutti destinati a dividersi il voto antisocialista [il sondaggio del New York Times del 9 settembre da Zamdani avanti rispetto agli altri tre, Ndt]. Negli ultimi due mesi si è assistito a uno sforzo concertato da parte di Repubblicani, Democratici centristi e ricchi interessi per cercare di consolidarsi attorno a un unico candidato. Il miliardario gestore di hedge fund Bill Ackman ha tentato di trovare una soluzione fin dall’inizio, offrendosi di finanziare un nuovo sfidante contro Mamdani, prima di dichiarare che Adams era in realtà l’uomo giusto per l’incarico fin dall’inizio. Ma all’inizio di agosto, il New York Times ha riferito che lo stesso Trump ha contattato gli stretti alleati Democratici di Cuomo che avevano tentato di convincere il presidente che l’ex governatore avesse le migliori possibilità di battere Mamdani a novembre. Il Times ha anche riportato che Cuomo e Trump si erano parlati personalmente. Più di recente, Cuomo ha dichiarato a una raccolta fondi ad Hamptons di essere ottimista sul fatto che Trump avrebbe contribuito a convincere i Repubblicani a votare per lui. Questa settimana, Trump ha fatto il suo intervento più forte sulle elezioni, offrendo ad Adams un incarico presso il Dipartimento per l’Edilizia Abitativa e lo Sviluppo Urbano (Hud). L’offerta sembra un forte incentivo per Adams, estremamente impopolare e con un basso tasso nei sondaggi dopo che sono emerse le notizie riferite alla corruzione della sua amministrazione, a ritirarsi dalla corsa. Sembra anche essere il risultato delle conversazioni avute da Trump con l’entourage di Cuomo, il che suggerisce fortemente che questi stia tentando un’alleanza con Trump per ridisegnare il terreno a suo favore. Come ha affermato Mamdani su X: «Le notizie di oggi lo confermano: Cuomo è la scelta di Trump per il ruolo di sindaco. La Casa Bianca sta valutando l’incarico ad Adams e Sliwa per liberare il campo». Il candidato ha anche tenuto una conferenza stampa, dichiarando che l’offerta di Trump ad Adams «ha a che fare con il potere. Tutto dipende dal coraggio che abbiamo nel credere di poter scegliere il nostro sindaco». Adams è stato finora reticente nel decidere se accettare l’incarico o restare in corsa. Ciò che è chiaro è che Cuomo e altri Democratici  «moderati» sono fin troppo contenti di avere il sostegno di Trump per battere Mamdani. L’intervento di Trump sottolinea quindi un elemento che è diventato sempre più evidente dall’inizio della corsa a sindaco: Mamdani è il candidato anti-Trump, e Cuomo è la scelta pro-Trump. L’alleanza più o meno esplicita tra Trump e Cuomo rappresenta anche un inasprimento delle tensioni che agitano il Partito democratico da quasi un decennio. Un’ala socialista progressista e democratica – rappresentata da Bernie Sanders, Alexandria Ocasio-Cortez e ora Mamdani – ha tentato di catturare l’energia dei giovani e gli elettori scontenti spingendo il partito verso una direzione anti-corporativa e di radicalità nelle scelte economiche. Questo tentativo ha ovviamente incontrato una feroce resistenza da parte dei finanziatori aziendali e ultra-ricchi del partito e da esponenti Democratici dell’establishment come Cuomo e i Clinton. Questa battaglia tra fazioni spiega anche perché i principali Democratici di New York, tra cui la governatrice Kathy Hochul e i leader del partito al Congresso Chuck Schumer e Hakeem Jeffries, si siano finora rifiutati di sostenere Mamdani nonostante la sua vittoria alle primarie. Il fatto che Cuomo stia facendo causa comune con Trump per fermare Mamdani non costituisce una grande sorpresa a sinistra, soprattutto per i molti che sospettano da tempo che un bel po’ di Democratici centristi (e gli interessi aziendali che servono) preferirebbero il Maga al socialismo. Potrebbe però scandalizzare molti elettori Democratici comuni, e solleva la questione se e come una casa così divisa possa reggere. Il sostegno di Trump a Cuomo è di cattivo auspicio anche per ciò che accadrà dopo novembre, qualora riuscissero a sconfiggere Mamdani. Adams è riuscito a evitare le accuse federali di corruzione contribuendo alla repressione dell’immigrazione fatta da Trump. Non è affatto difficile immaginare che Cuomo dovrà ricambiare i favori del presidente facendo lo stesso o peggio, come accogliere la polizia federale in città. In questo scenario, saranno i residenti di New York a pagare il prezzo del patto col diavolo di Cuomo. *Nick French è redattore associato presso JacobinMag, da dove è tratto questo articolo. La traduzione è a cura della redazione. L'articolo Per fermare Mamdani Trump punta su Cuomo proviene da Jacobin Italia.
Il genocidio fa cambiare idea agli statunitensi
Articolo di Richard Silverstein Il genocidio israeliano a Gaza ha rafforzato una massiccia opposizione nella sinistra pacifista e ha innescato un profondo cambiamento nella politica statunitense nei confronti di Israele. Il mese scorso, un sondaggio Quinnipiac ha mostrato un netto calo in quasi tutti gli aspetti relativi all’atteggiamento nei confronti di Israele in seguito alla crisi di Gaza. Per la prima volta, il sostegno ai palestinesi supera quello a Israele (dal 37 al 36%). Esattamente il 50% degli intervistati considera Gaza un genocidio. Il 60% si oppone a ulteriori spedizioni di armi a Israele. Una percentuale simile si oppone alla guerra di Israele contro Gaza. La maggioranza (53%) si oppone alla gestione del conflitto di Gaza da parte di Trump. Il 40% considera la politica statunitense «troppo favorevole» a Israele. Si tratta di numeri stupefacenti, mai registrati in anni di sondaggi che hanno costantemente fotografato un forte sostegno nei confronti di Israele e molto meno per i palestinesi. La richiesta di una sospensione degli aiuti militari, ad esempio, ha rappresentato un tabù nel dibattito pubblico per decenni. Atteggiamenti fino a quel momento considerati impensabili sono ora diventati mainstream. È ovviamente tragico che ci voglia un genocidio per smuovere l’opinione pubblica. Decenni di attivismo della sinistra pacifista non sono riusciti a cambiare le cose. Ci è voluto un massacro imminente per abbattere la barriera. Eppure, la barriera è crollata. Il Partito democratico è stato lacerato da uno scisma tra l’alta dirigenza allineata alla lobby israeliana e l’élite dei donatori miliardari; e l’ala giovanile di sinistra, di base, rappresentata dalla Squad (le deputate della sinistra socialista elette nei Democratici, ndt) al Congresso. Ciò è emerso in una recente riunione del Comitato Nazionale Democratico, in cui i democratici contrari alla guerra hanno proposto una risoluzione che chiedeva la fine della guerra e il divieto di vendita di armi a Israele. Il gruppo dirigente altolocato dell Cnd ha risposto con una propria risoluzione, sostenuta dall’American Israel Political Action Committee (Aipac) e dal suo rappresentante nel partito, la Democratic Majority for Israel , che chiedeva solo il rilascio degli ostaggi israeliani. I dati dei sondaggi suggeriscono che i papaveri del partito abbiano completamente perso contatto con i loro elettori. I Democratici al Congresso leggono gli stessi sondaggi che leggiamo io e voi e hanno iniziato a recepire il messaggio. La maggioranza dei Democratici al Senato ha votato a favore della risoluzione di Bernie Sanders per sospendere gli aiuti militari. Un nuovo disegno di legge Block the Bombs sta circolando alla Camera. Ha persino ottenuto il sostegno di membri che in passato sono stati sostenuti finanziariamente in modo cospicuo dall’Aipac. Tra questi, alcuni dei suoi membri più influenti, il deputato Jerrold Nadler e il deputato Adam Smith , che ha dichiarato: «Credo che sia giunto il momento che il governo degli Stati uniti interrompa la vendita di alcuni sistemi d’arma offensivi a Israele». Sebbene il sostegno di Smith sia stato tutto sommato  moderato, ha segnalato la consapevolezza che i tempi per Israele stanno cambiando. Il suo distretto elettorale, a Seattle, comprende uno dei principali produttori di armi del Paese, la Boeing. Smith ha anche ricevuto 800.000 dollari dall’Aipac nelle ultime due tornate elettorali. Dopo che le contestazioni alle primarie finanziate dall’Aipac hanno devastato le fila dei candidati progressisti nel 2022, alcuni membri hanno iniziato a impegnarsi a non accettare più donazioni da parte di Pac filo-israeliani, sebbene queste promesse non riguardino i candidati alle primarie reclutati dalla lobby israeliana per sfidare i progressisti. Finché il partito stesso non vieterà tali manipolazioni da parte dei Pac, questo continuerà. Nel 2022, la deputata Alexandria Ocasio Cortez, Jamaal Bowman e altri esponenti dell’ala sinistra del partito lamentarono l’assurdità dell’intervento dei repubblicani per sconfiggere i candidati democratici. Ocasio-Cortez avvertì che i loro soldi erano «tossici», un «fondo nero per miliardari repubblicani che non dovrebbero avere influenza nel Partito democratico, figuriamoci nelle nostre primarie». La leadership del Congresso sbadigliò e non fece nulla. Ora la situazione è ribaltata. Quanto più grave è il genocidio di Israele, tanto più disgusto suscita nell’opinione pubblica americana. Ciò, a sua volta, si riversa sui rappresentanti eletti del partito che sanno leggere il corso delle cose: essere in sintonia con la lobby non è più la soluzione sicura di un tempo. Il Dnc e la leadership del Congresso sono però ancora in ritardo. Chuck Schumer e Hakeem Jeffries, leader di Senato e Camera, hanno mantenuto le distanze dal candidato sindaco di New York City del loro partito, Zohran Mamdani, perché, tra le altre cose, sostiene il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (Bds) e si oppone al genocidio di Gaza. Sono incapaci di una guida per il futuro, necessaria se il Partito democratico vuole vincere le elezioni nazionali e contrastare il Maga trumpiano. Ci saranno ora due test imminenti: le elezioni di medio termine del 2026 e, cosa più importante, le elezioni presidenziali del 2028. Finora, le prospettive per i Democratici per l’anno prossimo non sono promettenti. La popolarità del partito è a terra. Ha il tasso di approvazione più basso degli ultimi trent’anni (33%). Persino il Partito repubblicano lo supera, con il 40%. Sembra improbabile che i Democratici riescano a raddrizzare la rotta e a elaborare un messaggio coerente che trovi riscontro negli elettori in tempo per riprendersi la Casa Bianca. In queste circostanze, un risultato deludente per il partito di minoranza in un’elezione fuori stagione sarebbe disastroso. Le primarie presidenziali del 2028 determineranno se il partito riuscirà a generare un candidato più giovane e progressista, che rispecchi più da vicino le opinioni della base su Gaza e sul conflitto israelo-palestinese in generale. Quando, se mai avverrà, i Democratici riusciranno a produrre un candidato che parli alla base e per la base, sfidando al contempo la lobby israeliana? Un candidato non legato alla lobby e alla classe miliardaria che, oltre agli interessi politici, abbia anche dei valori? Tra i nomi attuali – Gavin Newsom, Pete Buttegieg, Gretchen Whitmer e JB Pritzker – solo quest’ultimo ha sostenuto il blocco delle vendite di armi, che secondo Pritzker «manda il messaggio giusto» a Israele. Pur rimanendo un politico le cui opinioni su Gaza non sono pienamente allineate con quelle della sinistra progressista, è a chilometri di distanza dai suoi concorrenti. Il genocidio israeliano ha anche creato una profonda frattura con l’ebraismo negli Usa che detesta Benjamin Netanyahu. La sua opinione sulla guerra a Gaza è solo leggermente appena meno negativa. Un sondaggio del 2024 ha rilevato che un terzo degli ebrei riteneva che Gaza costituisse un genocidio. Un sondaggio del 2025 ha rilevato che il 45% degli intervistati riteneva che Israele fosse «troppo aggressivo» a Gaza. È interessante notare che entrambi i sondaggi sono stati condotti da organizzazioni filo-israeliane. Eppure, la posizione delle principali organizzazioni ebraiche e della loro ricca gerontocrazia rimane irrigidita. A parte gruppi antisionisti come Jewish Voice for Peace, la comunità è rimasta in gran parte muta. Né i gruppi comunitari hanno le stesse preoccupazioni dei politici: la maggior parte degli ebrei non è affiliata, quindi non esiste alcun meccanismo che consenta loro di influenzare le istituzioni tradizionali. Gruppi come l’American Jewish Committee, l’Anti-Defamation League e l’Aipac si butterebbero da una rupe per Israele. La maggior parte degli ebrei americani si rifiuta di unirsi a loro. Le dichiarazioni di Trump su Gaza non hanno aiutato. Si è schierato incondizionatamente con Israele, arrivando persino a sostenere la pulizia etnica e a ribattezzare l’enclave come la «Riviera del Medio Oriente». Ha chiesto a Israele non solo di rovesciare Hamas, ma di sterminarlo. Un’operazione di «aiuto umanitario» finanziata dagli Stati Uniti , la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), ha elaborato un piano per creare quella che il ministro della Difesa israeliano definisce una « città umanitaria», che imprigionerà 600.000 abitanti di Gaza. Analogamente, il Boston Consulting Group ha elaborato un piano da 5 miliardi di dollari che prevede il «ricollocamento volontario» dell’intera popolazione. Gaza diventerebbe un «ente fiduciario statunitense» e verrebbe «trasformata in un lussuoso resort turistico e in un polo manifatturiero e tecnologico ad alta tecnologia». Le amministrazioni fiduciarie devono essere riconosciute dalle Nazioni unite, che non accetterebbero mai una cosa del genere. Non ce n’è stata una da quando Palau ha ottenuto l’indipendenza nel 1994. E non solo il mondo reagirà con indignazione a un simile piano, se attuato, ma ciò inasprirebbe ulteriormente gli americani nei confronti della politica di Trump su Gaza. I sondaggi indicano che la maggioranza è contraria. L’ultima cosa che gli americani vogliono è un coinvolgimento a lungo termine in Medio Oriente, dove abbiamo combattuto tre guerre negli ultimi trent’anni. Quasi duemila palestinesi sono stati assassinati nei siti del Ghf mentre si accalcavano in cerca di cibo, molti dei quali da mercenari americani assoldati da una società di sicurezza statunitense. Simili scene potrebbero non turbare gli israeliani abituati a tali sofferenze, ma la maggior parte degli statunitensi è sconvolta. Ogni bambino affamato, ogni madre uccisa mentre allunga le mani per chiedere cibo, pianta un altro chiodo sulla bara del sostegno Usa a Israele. *Richard Silverstein scrive sul blog Tikun Olam, per il quale si occupa dello stato di sicurezza nazionale israeliano. Ha contribuito alle raccolte di saggi A Time to Speak Out: Independent Jewish Voices on Israel, Zionism and Jewish Identity e Israel and Palestine: Alternative Perspectives on Statehood. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione. L'articolo Il genocidio fa cambiare idea agli statunitensi proviene da Jacobin Italia.
The grammar of fantasy
PUBBLICATO PIÙ DI MEZZO SECOLO FA E ANCORA ATTUALISSIMO, GRAMMATICA DELLA FANTASIA DI GIANNI RODARI È STATO TRADOTTO E PUBBLICATO ANCHE NEGLI STATI UNITI. DESTINO ANALOGO, IN QUESTO 2025, PER C’ERA DUE VOLTE IL BARONE LAMBERTO. LE DUE EDIZIONI SONO ARRIVATE ORA ANCHE IN ITALIA. IN REALTÀ NUOVE EDIZIONI DI RODARI NEGLI ULTIMI MESI SONO APPARSE ANCHE IN ALTRI PAESI. IL SUO SGUARDO SUL MONDO È IN VIAGGIO, HA IL BIGLIETTO DIRETTO SU UN TRENO FRECCIA AZZURRA CARICO DI TUTTE LE LINGUE DEL PIANETA. IN QUESTI TEMPI NON È UNA BELLA NOTIZIA? Gianni Rodari è uno degli autori italiani più tradotti al mondo, le prime traduzioni delle sue opere letterarie avvengono già negli anni Cinquanta con Il romanzo di Cipollino e Il libro delle filastrocche, prima nei paesi dell’est Europa poi nell’Oriente, addirittura in Giappone. Nel corso di pochi anni dalla pubblicazione di Il romanzo di Cipollino Rodari divenne una vera star in URSS, prima ancora che in Italia. I suoi testi raggiunsero il Vietnam, ma anche il Regno Unito, la Francia, altri stati oggi europei, ma non solo. All’inizio di questo anno, ha suscitato enorme entusiasmo la pubblicazione di Grammatica della fantasia per l’edizione newyorkese Enchanted Lion Books (traduzione di Jack Zipes, illustrazioni di Matthew Forsythe). Famosissimo saggio di Rodari che tutte e tutti dovrebbero avere sul comodino. La notizia è stata data infatti anche da Mac Barnett per il The New York Times. È il valore del contenuto pedagogico, didattico, ma soprattutto per l’intento alla propositività creativa (oltre che all’esperienza vissuta che ha fatto nascere tale libro) che rende importantissima la notizia. Gli Stati Uniti, come tutti i Paesi al mondo, oggi più che mai, hanno estrema necessità di fantasia, una fantasia capace di creazioni nuove e culture cooperative.  È importante ricordare, per migliore conoscenza editoriale, che già nel 2020, anno del centenario di Rodari, la stessa casa editrice pubblicò la traduzione di Favole al telefono (Telephon tales), grazie alla traduzione di Antony Shugaar e alle illustrazioni di Valerio Vidali (stessa copertina per l’omonima edizione italiana Einaudi EL – 100 Gianni Rodari; Einaudi EL è infatti la casa editrice ufficiale delle edizioni di Gianni Rodari).   In questo 2025 non solo Grammatica della fantasia viene pubblicata da Enchanted Lion Books, ma bensì anche C’era due volte il barone Lamberto, traduzione di Antony Shugaar e illustrazioni di Roman Muradov e Il libro dei perché sempre per la traduzione di Antony Shugaar e illustrazioni di JooHee Yoon. Rodari sta attraversando ogni luogo. Lo sta facendo, come sempre lo ha fatto, con grazia, intelligenza e umorismo, e con vere e pacifiche intenzioni.  Intanto, nel gennaio del 2025 è stato approvato anche il progetto di ricerca “A Non-Western Grammar of Fantasy: the Reception and Translation of Gianni Rodari’s works from North Africa and the Middle East to East Asia”, progetto finanziato da Sapienza Università di Roma, diretto dalla docente Alessandra Brezzi che vede la partecipazione di docenti, dottorandi e bibliotecari del Dipartimento Istituto Italiano di Studi Orientali. Del gruppo di ricerca che vi lavora ne faccio parte anch’io. Si andranno a studiare tutte le traduzioni orientali di Gianni Rodari. Un’indagine importantissima mai affrontata prima.  Pochi anni fa l’opera di Rodari è arrivata anche in Africa, è stata infatti utilizzata in alcune iniziative nel progetto “Health Africa” di Amref, che ha usato la traduzione di L’omino della pioggia per attività didattiche in contesti educativi. A breve invece verrà finalmente pubblicato lo studio del Fondo librario di Rodari (di cui sono ricercatrice e autrice) della catalogazione dei migliaia di volumi. Progetto finanziato dall’Ente INDIRE con fondi PNR di cui responsabile di progetto la professoressa Pamela Giorgi e grazie a lei la nascita del rapporto di lavoro con l’Università di Siviglia, partnership del progetto, con cui la primavera scorsa c’è stato il primo Convegno nella loro Facultad de Comunicación, proprio su Gianni Rodari.  Sono tantissime, negli ultimi anni, anche le edizioni spagnole per le traduzioni rodariane. È tradotto in catalano, castigliano, in galiziano e in basco.  Tutti questi studi e collaborazioni permetteranno approfondimenti e maggiore conoscenza, non solo accademica, ma a chiunque avrà voglia di credere ancora. Il lavoro su Rodari è in viaggio… ha il biglietto diretto su un treno Freccia Azzurra carico di tutte le lingue del mondo.  «Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire ad educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo…» (Gianni Rodari, 1970, in occasione del conferimento del Premio Hans Christian Andersen). -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo The grammar of fantasy proviene da Comune-info.