La tregua armata tra Xi e Trump

Jacobin Italia - Tuesday, November 4, 2025
Articolo di Daniel Cheng

I due uomini più potenti del mondo, Donald Trump e Xi Jinping, hanno appena concluso il loro primo incontro di persona dal 2019. Una breve tregua tra Stati uniti e Cina dopo mesi di intenso conflitto geoeconomico. In cambio dell’aiuto cinese nella repressione del fentanyl, Trump ha accettato di ridurre i dazi sulle esportazioni cinesi al 10%. Gli Stati uniti hanno anche accettato una sospensione di un anno su una prevista espansione delle sanzioni, e la Cina ha ricambiato con una sospensione analoga sui controlli sulle esportazioni di minerali di terre rare, recentemente annunciati. Entrambe le parti hanno anche concordato una proroga di un anno delle reciproche tasse portuali per le navi cinesi e statunitensi. La Cina riprenderà gli acquisti di soia americana e si impegnerà a trovare una soluzione alle preoccupazioni americane sulla proprietà di TikTok.

È positivo che Stati uniti e Cina siano finalmente riusciti a trovare un terreno comune. Ma uno sguardo più attento alla più ampia traiettoria delle relazioni tra Usa e Cina mostra che c’è poco di cui essere ottimisti. Dopo decenni di «Chimerica» ​​– il sogno liberale di legami economici sempre più stretti tra le due maggiori economie mondiali – Stati uniti e Cina sono entrambi impegnati in un processo di scorporo delle rispettive catene di approvvigionamento e di rafforzamento dei rispettivi mercati per eliminare le reciproche dipendenze.

Tariffe e commercio

Trump ha lanciato la guerra commerciale durante il suo primo mandato con troppa enfasi, conquistando i titoli dei giornali mentre lui e il suo team annunciavano la morte della globalizzazione. Ma rispetto all’attuale guerra commerciale, il precedente conflitto commerciale di Trump somigliava appena a una scaramuccia. Durante il primo mandato del presidente, i dazi si collocavano in media intorno al 20% e sono stati applicati solo nel secondo anno del suo mandato, dopo mesi di indagini sulle Sezioni 232 e 301 [rispettivamente del Trade Expansion Act e del Trade Act, ndt].

Contrariamente alla sua precedente, relativa, moderazione, Trump ha iniziato il secondo mandato con decisione e ha dimostrato molto meno rispetto per il proceduralismo legale. I dazi imposti nel «Liberation day» di aprile hanno invocato l’International Emergency Economic Powers Act per evitare un’indagine prolungata, nonostante la legge fosse riservata alle emergenze nazionali. I dazi iniziali sulla Cina ammontavano al 54%, ma l’immediata rappresaglia scatenatasi li ha aumentati fino a un picco del 145%, a cui Xi Jinping ha risposto imponendo dazi del 125% sulle merci americane. Mentre entrambi i paesi si sono rapidamente allontanati dal baratro di un embargo commerciale di fatto, i dazi statunitensi, in media intorno al 57%, sono rimasti in vigore dopo il tira e molla del Liberation day.

Quest’incontro ha portato a una riduzione dei dazi del 10%, abbassando la media al 47%. È improbabile che questa lieve de-escalation annulli i grandi cambiamenti nei flussi commerciali globali causati dalla seconda fase della guerra commerciale. Tra aprile e giugno, il commercio bilaterale tra Stati uniti e Cina è diminuito di 41 miliardi di dollari, con un calo del 23% su base annua. Ritirandosi dagli Stati uniti, gli esportatori cinesi hanno trovato mercati sostitutivi in ​​Europa e Asia, un cambiamento che non sembra rappresentare un semplice trasbordo verso gli Usa attraverso paesi terzi.

Ci sono buone ragioni per pensare che questi paesi non saranno in grado di sostituire gli Stati Uniti a lungo termine, dato il loro basso potere d’acquisto e la riluttanza ad assorbire gli enormi surplus commerciali della Cina. E nonostante la flessione degli scambi commerciali, Stati uniti e Cina continuano a costituire la più grande relazione commerciale bilaterale al mondo. Ciononostante, la riduzione del 10% lascia ancora un’enorme tariffa del 47% e l’uso sconsiderato di questa sanzione economica da parte di Trump significa che questo numero può salire alle stelle in qualsiasi momento. Dovremmo aspettarci un ulteriore sganciamento del commercio bilaterale in futuro.

Sanzioni economiche attraverso l’Entity List

Sebbene i dazi abbiano attirato molta più attenzione, la «Entity List» si è rivelata un’arma ancora più incisiva nella guerra economica americana. La Entity List è stata pubblicata dal Dipartimento del Commercio e include individui, istituzioni e aziende straniere soggette a rigorosi requisiti commerciali e sanzionatori. Tutte le aziende, comprese quelle non americane, sono tenute a ottenere licenze dal governo degli Stati uniti per esportare verso i paesi presenti nella Entity List e rischiano multe salate o pene detentive per la violazione di tali restrizioni.

La Entity List è entrata al centro del conflitto tra Stati uniti e Cina nel maggio 2019, quando Trump ha aggiunto il colosso tecnologico cinese Huawei, escludendolo da ampie fasce di componenti hardware, software e proprietà intellettuale statunitensi. L’amministrazione Trump ha prontamente ampliato la lista a ottobre, giustificandola con le violazioni dei diritti umani commesse dalla Cina contro gli uiguri nello Xinjiang.

Gli Stati uniti hanno lanciato un altro attacco a Huawei nell’agosto 2020 con l’estensione della Foreign-Produced Direct Product Rule (Fdpr). Queste norme conferiscono agli Stati uniti il ​​controllo extraterritoriale sul commercio di beni prodotti all’estero se utilizzano tecnologia americana, indipendentemente dal fatto che tocchino o meno i confini americani. Dato che quasi tutti i semiconduttori avanzati richiedono a un certo punto la tecnologia statunitense, la Fdpr ha rappresentato un’affermazione del controllo americano sull’intera filiera dei semiconduttori.

L’amministrazione Biden ha proseguito la tendenza di Trump a imporre sanzioni economiche alla Cina, ma in modo più mirato. Aziende specifiche ritenute complici dell’invasione russa dell’Ucraina sono state aggiunte alla Entity List. Ancora più importante, Biden ha avviato un’offensiva a tutto campo contro l’industria cinese dei semiconduttori nel 2022, annunciando una serie progressiva di nuove restrizioni all’esportazione di chip fino alla sua ultima settimana di mandato.

Settembre ha segnato l’ultima escalation dei controlli sulle esportazioni statunitensi con l’annuncio della «Affiliate Rule», che avrebbe aggiunto decine di migliaia di organizzazioni in più alla Entity List. Mentre i funzionari del governo statunitense potrebbero aver interpretato questa come un semplice modo per evitare le scappatoie, la nuova norma ha fatto infuriare la Cina e probabilmente ha provocato i più recenti controlli sulle esportazioni di minerali di terre rare da parte della Repubblica Popolare. Fortunatamente, questo incontro ha visto una tregua in cui entrambe le parti hanno concordato di rinviare i rispettivi controlli sulle esportazioni di un anno. Sebbene evitare una grave escalation sia motivo di festa, questa tregua è solo temporanea e non annulla nessuna delle sanzioni già draconiane implementate in precedenza.

La continua espansione delle sanzioni americane ha danneggiato le aziende cinesi, ma ha anche spinto la Repubblica Popolare Cinese a procedere verso l’autarchia tecnologica. Il nuovo piano quinquennale del governo cinese raddoppia il suo impegno per l’autosufficienza tecnologica. La necessità è madre dell’innovazione e Huawei è stata costretta a creare alternative nazionali ora che è stata tagliata fuori dalla tecnologia americana. La perdita dell’accesso al sistema operativo Android ha spinto Huawei ad accelerare lo sviluppo della sua alternativa, HarmonyOS, che ora detiene una quota di mercato maggiore di AppleOS in Cina.

Sebbene i controlli sulle esportazioni di chip di Joe Biden avessero lo scopo di frenare il progresso della Cina nel settore dei semiconduttori avanzati, potrebbero aver avuto l’effetto opposto. Lo Stato cinese desiderava da tempo promuovere una filiera di fornitura di chip cinese verticalmente integrata, ma si è scontrato con la resistenza delle aziende tecnologiche nazionali che volevano approvvigionarsi dai migliori fornitori occidentali. Gli Stati uniti hanno essenzialmente aiutato il Partito comunista cinese a ottenere ciò che non poteva fare da solo: costringere le aziende tecnologiche cinesi ad approvvigionarsi dai propri fornitori nazionali. Senza accesso ai fornitori di chip occidentali, l’ecosistema cinese dei semiconduttori si è sviluppato rapidamente negli ultimi anni. Le aziende nazionali, inizialmente scavalcate dai loro concorrenti occidentali di livello superiore, hanno improvvisamente ottenuto un’enorme domanda da parte dei giganti della tecnologia cinese. L’ecosistema cinese dei semiconduttori è ancora lontano dall’essere all’avanguardia, ma le sanzioni americane lo hanno reso molto più resiliente e autosufficiente.

Terre rare

Dai veicoli elettrici ai jet da combattimento, le terre rare (Ree) sono input essenziali per quasi tutti i beni tecnologici moderni. Sebbene siano in realtà geologicamente abbondanti, la Cina detiene un quasi monopolio sui processi di raffinazione che rendono il minerale grezzo di terre rare utilizzabile nella produzione industriale. Con l’obiettivo di contrastare il potente regime di sanzioni economiche di Washington, Pechino ha cercato di costruirne uno proprio sfruttando questo cruciale collo di bottiglia della catena di approvvigionamento.

Il primo utilizzo da parte di Pechino delle sanzioni sulle terre rare è stato contro il Giappone nel 2010. Ma la potenza di quest’arma economica ha raggiunto un’importanza globale negli ultimi anni. In risposta ai dazi imposti da Trump ai sensi della Sezione 232 all’inizio di aprile, la Cina ha imposto requisiti di licenza per l’esportazione su diverse terre rare, costringendo le aziende a sottoporsi a un oneroso processo di richiesta. Questi controlli hanno rapidamente creato numerosi shock nella catena di approvvigionamento che hanno portato alla chiusura delle fabbriche. Il conflitto è stato risolto con il ritiro di Trump di alcuni dei suoi dazi e la concessione da parte della Cina di licenze di esportazione di terre rare ad aziende americane non militari. Tuttavia, queste licenze durano solo sei mesi e sono destinate a scadere a breve.

Le sanzioni sulle terre rare sono tornate a farsi sentire all’inizio di ottobre, poche settimane prima dell’incontro Trump-Xi. In risposta all’espansione dei controlli sulle esportazioni statunitensi, la Cina ha introdotto nuovi controlli sulle esportazioni di terre rare, molto più aggressivi di qualsiasi altro precedente. Queste nuove sanzioni di vasta portata potrebbero richiedere l’approvazione cinese per il commercio di qualsiasi merce contenente anche solo tracce di terre rare cinesi, anche se tale commercio non coinvolge aziende cinesi o non attraversa i confini cinesi.

Nell’interpretazione più massimalista, ciò potrebbe conferire alla Cina un potere di veto su tutto il commercio globale di beni tecnologici. Questi recenti controlli sulle esportazioni hanno rappresentato il ricorso più esteso della Cina alle sanzioni economiche fino a oggi. Non solo potrebbero applicarsi a un’ampia gamma di beni, ma si ispirano anche al modello americano, consentendo a Xi di regolamentare il commercio tra paesi oltre i confini cinesi.

L’incontro ha portato a una pausa di un anno su questi nuovi controlli sulle terre rare. Data la loro ampiezza, non sorprende che la Cina abbia fatto marcia indietro. L’ampiezza delle sanzioni ha fatto sì che molti altri paesi si trovassero nel mirino. In alcuni casi, questa vulnerabilità ha rafforzato la determinazione a ridurre la dipendenza dalla Cina. Questa reazione non era chiaramente prevista dalla Repubblica Popolare, che ha risposto con molteplici dichiarazioni che ne hanno attenuato i toni. Inoltre, è improbabile che Pechino possa effettivamente applicare questi controlli sulle esportazioni, data la loro natura di vasta portata e la relativa mancanza di esperienza della Cina nell’uso di questo tipo di arma economica.

Ma nonostante questo cessate il fuoco temporaneo, l’Occidente si è mosso rapidamente per coprire questa evidente vulnerabilità della catena di approvvigionamento. All’inizio del secondo mandato di Trump, il Dipartimento della Difesa ha acquisito una partecipazione azionaria in MP Materials, un’azienda americana produttrice di terre rare, nel tentativo di rilanciare la capacità produttiva degli Stati uniti. Anche l’australiana Lynas sta contribuendo a ridurre la dipendenza dalle terre rare cinesi. Inoltre, alcune aziende stanno cercando soluzioni ingegneristiche per ridurre del tutto la necessità di terre rare. Non è chiaro quanto successo avranno questi sforzi, data la lunga atrofia delle capacità produttive occidentali di terre rare e la scarsità geologica di alcune terre rare specifiche. Allo stesso modo in cui le sanzioni americane sui semiconduttori hanno motivato la Cina a consolidare una catena di approvvigionamento autosufficiente, i controlli sulle esportazioni cinesi potrebbero rivitalizzare l’industria occidentale delle terre rare.

Nonostante le ostilità in corso tra Stati uniti e Cina, l’attuale tregua è benvenuta, sebbene rappresenti solo un piccolo allentamento delle crescenti tensioni che si sono sviluppate tra le due nazioni negli ultimi anni. Nonostante Trump abbia valutato l’incontro «da 12 su 10», le poche concessioni che ha strappato a Xi – piccole modifiche alle tasse portuali e ai dazi sulla soia, richieste dalle pressioni degli agricoltori americani – sono relativamente irrilevanti.

Cina e Stati uniti hanno sospeso i piani per imporre le sanzioni economiche più ingenti, ma si tratta solo di una ritirata temporanea. Non è chiaro se anche questa breve tregua di un anno reggerà davvero. La natura capricciosa di Trump implica che l’accordo potrebbe essere fatto saltare per qualsiasi presunta mancanza di rispetto. Nulla nelle discussioni ha toccato le tensioni fondamentali create dal tentativo americano di mantenere il primato globale, le politiche industriali e commerciali della Cina e i conflitti su Taiwan e il Mar Cinese Meridionale.

Le relazioni tra Stati uniti e Cina rimangono su un sentiero pericoloso, con entrambe le parti che cercano di isolarsi l’una dall’altra. Non c’è nulla nel vertice Trump-Xi che indichi che questa traiettoria discendente cambierà. Nella migliore delle ipotesi, possiamo sperare che la guerra economica non si trasformi in una vera e propria guerra.

*Daniel Cheng ha un dottorato in Sociologia ed è ricercatore indipendente di economia politica e tecnologia cinese. Questo articolo è uscito su Jacobin Mag, la traduzione è a cura della redazione.

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