
Italians for Mamdani
Jacobin Italia - Monday, December 1, 2025
Articolo di Elisabetta RaimondiUno dei fenomeni conseguenti all’entusiasmo per Zohran Mamdan è la nascita degli Italians for Zohran, un gruppo creato quasi per gioco su Instagram la primavera scorsa. La sua storia, che potrebbe sembrare folcloristica o patriottica, anche se in un’accezione lontana dall’ideologia della destra, rappresenta una novità, o una rivoluzione, per la comunità italo-americana. Il gruppo, che ha intenzione di continuare la sua attività politica, offre infatti una visione molto differente da quella che generalmente caratterizza gli italo-americani come conservatori e reazionari.
Gli Italians for Zohran hanno anche una chat whatsapp che riunisce gli attivisti più impegnati, la maggior parte dei quali sono millennials simpatizzanti e/o iscritti ai Dsa (Democratic Socialists of America). Appartengono generalmente a famiglie che vivono in America da alcune generazioni, come lo studioso della diaspora italo-americana Steve Cerulli, ma vi sono anche italiani trasferitisi a New York per lavoro negli ultimi anni. Un pilastro del gruppo è ad esempio l’accademico specializzato in sistemi carcerari mondiali Sergio Grossi, docente di criminologia alla Cuny (City University of New York) dove è strettissimo collaboratore di Alex Vitale, il celebre autore di The End of Policing sulla giustizia trasformativa. Nei primi mesi del 2025 Vitale e Grossi hanno incontrato Zohran Mamdani per la costituzione, in caso di vittoria, di un Department of Community Safety gestito non dalla polizia ma da un organo civico. Ora la progettazione sta per partire dato che tra i recenti incarichi in vari settori appena conferiti da Mamdani vi è quello ad Alex Vitale.
Della realtà italo-americana newyorkese, dei legami dei giovani con l’Italia e di molto altro abbiamo parlato in particolare con Jesse Ortiz, trentunenne fondatore di Italians for Zohran, prossimo alla laurea in medicina, e con Alessandra Ferrara, trentottenne preparatissima attivista dei Dsa. Ne riportiamo alcuni estratti.
Per prima cosa raccontaci come ti è venuta l’idea di creare un gruppo di supporto a Zohran formato da italo-americani.
Jesse Ortiz: È successo quasi per gioco la primavera scorsa, un giorno in cui scorrendo su Instagram gli affinity group creati per Mamdani, ho pensato che sarebbe stato divertente averne uno italiano e così ho twittato Italians for Zohran. Non immaginavo che la proposta avrebbe suscitato interesse, perché so che gli italoamericani di New York sono prevalentemente conservatori e vengono inquadrati in un cliché che li fa sentire emarginati, in quanto generalmente percepiti come un’etnia diversa da quella bianca anglosassone. Invece le risposte e le adesioni mi hanno fatto sentire responsabile come se con quel tweet mi fossi preso un impegno. Inoltre mi sono reso conto sia di come Andrew Cuomo avesse monopolizzato l’identità italo-americana, sia del gran desiderio dei giovani di prenderne le distanze. Ho quindi pensato che un gruppo per Zohran avrebbe potuto creare uno spazio fino a quel momento inesistente in cui noi giovani italo-americani potessimo conciliare le nostre idee politiche più progressiste e socialiste con la nostra identità di italiani.
Tu, come tanti altri affiliati al gruppo, sei un italo-americano la cui famiglia è qui da diverse generazioni. Eppure sentite ancora un forte attaccamento all’Italia, al punto che parecchi di voi, pur essendo cresciuti anglofoni e con genitori che non parlano l’italiano, hanno deciso di studiare la lingua in età adulta. Come mai questo attaccamento?
Jesse Ortiz: L’italia la sento nel sangue essendo cresciuto con nonni, zii e parenti che mi hanno raccontato delle loro vite da immigrati e di quelle dei loro genitori venuti qui a lavorare sodo, a far parte dei sindacati, a versare sangue, sudore e lacrime per la città. È un’esperienza comune a molti di noi. Però i nostri vecchi, se così posso definirli, pur raccontando delle difficoltà e discriminazioni vissute, sono molto duri quando parlano degli immigrati di oggi che secondo loro vogliono solo trarre vantaggio da realtà che non hanno contribuito a creare. Sono razzisti e islamofobici. E questa è una cosa che noi giovani vogliamo cambiare. Quanto al fatto che generalmente i nostri genitori non parlino l’italiano, dipende dal desiderio dei loro genitori di vedere i propri figli integrati in un modello di società che discriminava i bianchi non anglosassoni.
Il cliché dell’italo-americano conservatore è legato a un particolare partito o va oltre? E riguardo al Partito democratico, qual è la tua posizione e più in generale quella del gruppo?
Jesse Ortiz: Sebbene lo stereotipo dell’italo-americano, in particolare a New York, sia quello di essere conservatore e reazionario credo che la realtà sia molto più complicata e che gli italo-americani si trovino in tutto lo spettro politico. Ci sono sicuramente dei fascisti e dei trumpiani, ma anche persone legate a diverse tipologie di destra. E poi ci sono persone come mia madre, che ha 69 anni e pur non considerandosi socialista è liberal e femminista. È una dei tanti elettori ed elettrici Democratici più che mai deluse dal partito, cosa che l’ha portata a sostenere Mamdani. Quanto al Partito democratico sia io sia il gruppo lo consideriamo un corporate party senza alcuna visione per il futuro. Tuttavia, in mancanza di un terzo partito lo utilizziamo come strumento per fare pressione su istanze più progressiste e socialiste, proprio come ha fatto Mamdani. E come prima di lui ha fatto Bernie Sanders, le cui campagne hanno evidenziato l’enorme numero di persone, sia dentro sia oltre il Partito democratico, che vogliono un’agenda progressista.
Alessandra Ferrara, terza generazione, laureata in Politiche Internazionali con indirizzo in Medio Oriente e conoscenza dell’arabo, oltre che dell’italiano, non imparato in famiglia, hai conoscenze molto vaste che sa diffondere con notevole competenza e senza ostentazione. Tu sei molto attiva tra i Dsa, dove fai volontariato soprattutto conducendo gruppi di lettura. Vuoi parlarci in particolare di quello intitolato Da Marx alla Palestina e del perché hai strutturato questo corso?
Alessandra Ferrara: Perché sento la necessità che i giovani interessati al cambiamento politico siano in grado di interpretare la realtà di oggi con una conoscenza del passato visto da una prospettiva socialista. Prima di affrontare i temi odierni cerco di insegnare i fondamentali del marxismo e del socialismo in modo che tutti possano avere non solo delle conoscenze di base, ma anche il linguaggio giusto per parlarne.Tra i testi che leggiamo c’è il recente The ABCs of Socialism dove ci sono anche saggi di Chris Maisano che fa parte degli Italians for Zohran. Stiamo cercando di smontare il linguaggio dell’illusione che vuole farci credere all’impossibilità di certi obiettivi, dimostrando che una vera possibilità sociale nasce da solidarietà e empatia radicali. Perciò, quando parliamo di concetti come «una città accessibile a tutti», cosa significa davvero in termini politici? Cerchiamo anche di rispondere a domande sul perché abbiamo Trump o la guerra in Palestina, partendo dal passato ed esaminando anche le azioni dei presidenti americani che ci hanno portato al punto in cui siamo oggi. In un certo senso stiamo risalendo la storia attraverso il filtro interpretativo del linguaggio con cui la leggiamo.
Jesse mi ha parlato di una sorta di emarginazione percepita dalla comunità Italo-americana, quasi sentisse di far parte più della popolazione di colore che non di quella bianca. Condividi questa considerazione?
Alessandra Ferrara: Sì. Ed è una cosa che vogliamo sovvertire. Rifiutiamo l’idea che la nostra dignità derivi dalla nostra prossimità con la cultura bianca anglosassone, con la ricchezza e l’accumulazione, elementi tipici del capitalismo. La nostra dignità deriva dallo stare dalla parte dei poveri, della working class e degli immigrati, perché tali sono stati i nostri nonni e bisnonni. Ma molte associazioni culturali italo-americane attive a New York sono culturalmente italiane ma politicamente conservatrici. Pur facendo alcune cose buone per diffondere le nostre tradizioni, per la verità soprattutto religiose, e insegnare l’italiano, si tratta prevalentemente di associazioni politicamente conservatrici che hanno nostalgia di tutte le cose brutte del nostro passato.
Anche di Mussolini?
Alessandra Ferrara: Altroché. E in particolare dell’idea che le donne devono stare a casa a cucinare e a fare le madri. Condividono le posizioni di Giorgia Meloni quando dice «sono una donna, una madre, una cristiana». Non capiscono che sono idee anacronistiche che non hanno più giustificazione. Sono retaggio di un passato che poteva avere senso molti decenni fa, quando le nostre nonne si conquistarono il diritto di fare le casalinghe perché volevano differenziarsi dalla working class immigrata. Volevano essere uguali alle donne americane anglosassoni del loro tempo e assimilarsi con il progresso sociale di allora secondo il quale il regno della donna era la casa. E volevano soprattutto che le proprie figlie e i propri figli si integrassero totalmente.
A che classe sociale appartengono i componenti di gruppi come quello che hai citato o come la Lacrl (Italian American Civil Rights League) tra i cui post ne ho visto uno che rivendicava il duro lavoro di nonni e bisnonni per costruire la città, proprio come dite tu e Jesse, traendone però conclusioni opposte alle vostre?
Alessandra Ferrara: L’ironia è che parecchi di questi gruppi sono composti da persone della working class che però non sono a favore della working class, non sono pro-liberal, non si interessano di problemi sociali come casa, lavoro e reddito. Sono ancora legati a un passato in cui l’essere coinvolti con la politica più conservatrice, come quella di Cuomo, ha permesso loro di avere benefici finanziari e un passaporto per entrare a tutti gli effetti nella società bianca cattolica socialmente rispettata. Noi invece proponiamo un cambiamento come quello proposto da Zohran, e gli siamo grati perché finalmente possiamo essere italiani e socialisti.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola media secondaria pubblica per oltre 40 anni. Attiva in ambito artistico e teatrale, ha cominciato a seguire la Political Revolution di Bernie Sanders nel 2016 per la rivista Vorrei.org. Collabora con Fata Morgana Web e con Libertà e Giustizia.
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