Ripensare l’approccio alla curaQUANDO IL SISTEMA SANITARIO NON CONCEDE IL GIUSTO TEMPO, SPAZIO E VALORE ALLA
RELAZIONE TERAPEUTICA, NEGA ALLA CURA LA SUA ESSENZA PIÙ AUTENTICA, RIDUCENDO LA
PERSONA A UN NUMERO E LA GUARIGIONE ALLA MERA SCOMPARSA DEL SINTOMO. PARLARE
OGGI DI UMANIZZAZIONE DELLA CURA E DI PSICOLOGIA DI QUARTIERE NON È RETORICA, MA
UNA NECESSITÀ. PER DIRLA CON BASAGLIA, “LA SALUTE NON È UN LUSSO, MA UN MODO DI
ESSERE NEL MONDO…”
Foto di Ferdinando Kaiser
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La sanità italiana attraversa una fase critica. Interminabili liste d’attesa,
personale insufficiente, crescente privatizzazione e una progressiva perdita
della dimensione umana della cura sono le avvisaglie più evidenti di un sistema
che fatica a mantenere le proprie responsabilità.
Dietro ogni prescrizione, ogni diagnosi, ogni intervento terapeutico, c’è una
relazione. È proprio quel rapporto – fatto di disponibilità, ascolto e intesa –
che consente di cogliere il significato profondo del sintomo e di dare
all’approccio di cura una qualità più autentica e completa. In psicologia si
afferma spesso che “è la relazione a essere terapeutica” e che in ogni percorso
di cura qualunque dolore o sofferenza porta con sé una componente emotiva che
deve essere riconosciuta, esplorata e integrata.
Oltre la logica del contenimento dei costi
Negli ultimi anni la salute è stata raccontata quasi esclusivamente in termini
economici: costi da contenere, efficienza da massimizzare, bilanci da far
quadrare. Ma una simile narrazione, evidentemente riduttiva, tradisce la natura
stessa del servizio di cura. La salute non è un costo, ma un investimento
sociale. Ogni risorsa destinata alla promozione del benessere e a un sostegno
terapeutico tempestivo produce ritorni concreti in termini di fiducia, coesione,
produttività e riduzione delle disuguaglianze.
Un esempio può chiarire meglio di molte statistiche. Anna, 44 anni, madre di due
figlie, dopo mesi di insonnia e irritabilità crescente, si rivolge finalmente al
medico di base. Le viene prescritta una terapia farmacologica, ma non le viene
offerto uno spazio per parlare di sé, del peso che la recente separazione e le
difficoltà economiche hanno avuto sulla sua vita quotidiana, sul suo modo di
sentirsi madre, donna, persona. Dopo qualche settimana Anna sospende i farmaci
per conto suo, convinta che “non servano a niente”. Anna non è un caso isolato:
è il simbolo di un sistema che cura il sintomo ma non la persona, che troppo
spesso interviene tardi e in modo superficiale, che risponde con protocolli e
prescrizioni dove servirebbero disponibilità e parole capaci di accogliere il
disagio, perché possa essere davvero compreso e affrontato.
Un dato aiuta a chiarire la portata del problema: secondo una ricerca di
Cittadinanzattiva del 2019, il 64,8% delle persone con patologie croniche è
lasciato completamente solo, senza alcun tipo di supporto psicologico. Un vuoto
che non attenua la sofferenza, ma al contrario la amplifica, incrementando nel
tempo i costi socio-assistenziali e sanitari.
La salute psichica come termometro sociale
La sofferenza psichica è spesso lo specchio di un malessere più ampio,
collettivo. Lo si riconosce nei giovani schiacciati dall’incertezza, negli
adulti sopraffatti dalla precarietà lavorativa, negli anziani isolati da una
solitudine esistenziale che li rende invisibili. Eppure, la salute psicologica
continua a essere considerata un settore “secondario”, quasi fosse un lusso per
chi ha tempo e risorse da dedicarvi. Nulla di più lontano dalla realtà.
Investire nel benessere psichico significa in realtà rafforzare il tessuto
umano, interpersonale e sociale. Vuol dire riconoscere che non esiste salute del
corpo senza salute psicologica, né benessere individuale senza equilibrio
sociale. Significa comprendere che prevenire il disagio oggi riduce i costi
sanitari e complessivi di domani.
La relazione terapeutica come spazio di umanità
L’esperienza clinica insegna che nessun modello teorico, per quanto sofisticato,
può sostituire la vitale presenza di un autentico rapporto fra individui, come
quello fra terapeuta e paziente. Un colloquio psicologico non giudicante, che
non semplifica e non riduce la persona al sintomo o al substrato biologico che
lo genera, è già di per sé un atto terapeutico. Anche il tempo offerto, la
considerazione profonda e l’accoglienza delle peculiarità di ciascuno sono
elementi che, nel loro insieme, rendono un supporto o una terapia realmente
efficace.
Quando il sistema sanitario non concede il giusto tempo, spazio e valore alla
relazione terapeutica, nega alla cura la sua essenza più autentica, riducendo la
persona a un numero e la guarigione alla mera scomparsa del sintomo.
Parlare oggi di umanizzazione della cura non è retorica, ma una necessità.
L’approccio psicologico non deve restare confinato agli studi specialistici:
deve attraversare la cultura, scuola, la famiglia, il lavoro, le istituzioni.
Deve diventare un modo di guardare all’essere umano, alle sue fragilità, ai suoi
processi di trasformazione e al suo progredire.
Promuovere la salute come responsabilità collettiva
Un sistema sanitario che funziona realmente è quello che intercetta il disagio
prima che diventi emergenza, che offre sostegno prima che la sofferenza diventi
persistente, radicata o perfino inguaribile, anche se curabile.
Spazi in cui si possa fare psicologia nei quartieri, consultori familiari
accessibili, programmi nelle scuole e nei luoghi di lavoro non sono “extra”, ma
pilastri di salute pubblica. Restituiscono fiducia, benessere, rafforzano il
senso di comunità e la coesione sociale. In una società che tenta di gestire la
fragilità con scorciatoie – una pillola per dormire, un rapido consiglio, una
diagnosi sbrigativa, un rimedio estemporaneo – la salute e il benessere
diventano un atto politico nel senso più profondo: una scelta che riguarda non
solo la sorte individuale, ma il destino della collettività.
Curare la salute, non solo la malattia
Ripensare la cura significa tornare a considerare il benessere e la prosperità
come condizioni umane e sociali fondamentali, non come semplici applicazioni
tecniche o tecnologiche. Significa ridare centralità alla relazione terapeutica,
riconoscere il valore della salute psicofisica e dei rapporti interpersonali, e
concepire la sanità non come apparato burocratico, ma come strumento che
promuove salute e benessere in modo moderno e profondamente umano. Ogni
investimento nella salute delle persone – soprattutto nella sua dimensione
psichica – è un investimento nella qualità del vivere insieme, nella capacità di
una società di prendersi cura di chi la compone, di non lasciare indietro
nessuno.
Come scriveva Franco Basaglia, “la salute non è un lusso, ma un modo di essere
nel mondo”. E in questo modo di essere, la cura non può che restare un fatto
profondamente umano.
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Cesare Marangiello, psicologo e psicoterapeuta, si occupa di clinica, formazione
e riflessione sui temi della salute psichica e della relazione terapeutica.
Collabora con diverse testate su questioni psicologiche, educative e culturali.
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Breve bibliografia
* Basaglia, F. (1968). L’istituzione negata. Einaudi.
* Borgna, E. (2003). Le intermittenze del cuore. Feltrinelli.
* Borgna, E. (2014). La fragilità che è in noi. Einaudi.
* Cittadinanzattiva (2019). XIV Rapporto nazionale sulle politiche della
cronicità.
* Winnicott, D.W. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente. Armando.
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