
Ripensare l’approccio alla cura
Comune-info - Tuesday, October 28, 2025Quando il sistema sanitario non concede il giusto tempo, spazio e valore alla relazione terapeutica, nega alla cura la sua essenza più autentica, riducendo la persona a un numero e la guarigione alla mera scomparsa del sintomo. Parlare oggi di umanizzazione della cura e di psicologia di quartiere non è retorica, ma una necessità. Per dirla con Basaglia, “la salute non è un lusso, ma un modo di essere nel mondo…”
Foto di Ferdinando KaiserLa sanità italiana attraversa una fase critica. Interminabili liste d’attesa, personale insufficiente, crescente privatizzazione e una progressiva perdita della dimensione umana della cura sono le avvisaglie più evidenti di un sistema che fatica a mantenere le proprie responsabilità.
Dietro ogni prescrizione, ogni diagnosi, ogni intervento terapeutico, c’è una relazione. È proprio quel rapporto – fatto di disponibilità, ascolto e intesa – che consente di cogliere il significato profondo del sintomo e di dare all’approccio di cura una qualità più autentica e completa. In psicologia si afferma spesso che “è la relazione a essere terapeutica” e che in ogni percorso di cura qualunque dolore o sofferenza porta con sé una componente emotiva che deve essere riconosciuta, esplorata e integrata.
Oltre la logica del contenimento dei costi
Negli ultimi anni la salute è stata raccontata quasi esclusivamente in termini economici: costi da contenere, efficienza da massimizzare, bilanci da far quadrare. Ma una simile narrazione, evidentemente riduttiva, tradisce la natura stessa del servizio di cura. La salute non è un costo, ma un investimento sociale. Ogni risorsa destinata alla promozione del benessere e a un sostegno terapeutico tempestivo produce ritorni concreti in termini di fiducia, coesione, produttività e riduzione delle disuguaglianze.
Un esempio può chiarire meglio di molte statistiche. Anna, 44 anni, madre di due figlie, dopo mesi di insonnia e irritabilità crescente, si rivolge finalmente al medico di base. Le viene prescritta una terapia farmacologica, ma non le viene offerto uno spazio per parlare di sé, del peso che la recente separazione e le difficoltà economiche hanno avuto sulla sua vita quotidiana, sul suo modo di sentirsi madre, donna, persona. Dopo qualche settimana Anna sospende i farmaci per conto suo, convinta che “non servano a niente”. Anna non è un caso isolato: è il simbolo di un sistema che cura il sintomo ma non la persona, che troppo spesso interviene tardi e in modo superficiale, che risponde con protocolli e prescrizioni dove servirebbero disponibilità e parole capaci di accogliere il disagio, perché possa essere davvero compreso e affrontato.
Un dato aiuta a chiarire la portata del problema: secondo una ricerca di Cittadinanzattiva del 2019, il 64,8% delle persone con patologie croniche è lasciato completamente solo, senza alcun tipo di supporto psicologico. Un vuoto che non attenua la sofferenza, ma al contrario la amplifica, incrementando nel tempo i costi socio-assistenziali e sanitari.
La salute psichica come termometro sociale
La sofferenza psichica è spesso lo specchio di un malessere più ampio, collettivo. Lo si riconosce nei giovani schiacciati dall’incertezza, negli adulti sopraffatti dalla precarietà lavorativa, negli anziani isolati da una solitudine esistenziale che li rende invisibili. Eppure, la salute psicologica continua a essere considerata un settore “secondario”, quasi fosse un lusso per chi ha tempo e risorse da dedicarvi. Nulla di più lontano dalla realtà.
Investire nel benessere psichico significa in realtà rafforzare il tessuto umano, interpersonale e sociale. Vuol dire riconoscere che non esiste salute del corpo senza salute psicologica, né benessere individuale senza equilibrio sociale. Significa comprendere che prevenire il disagio oggi riduce i costi sanitari e complessivi di domani.
La relazione terapeutica come spazio di umanità
L’esperienza clinica insegna che nessun modello teorico, per quanto sofisticato, può sostituire la vitale presenza di un autentico rapporto fra individui, come quello fra terapeuta e paziente. Un colloquio psicologico non giudicante, che non semplifica e non riduce la persona al sintomo o al substrato biologico che lo genera, è già di per sé un atto terapeutico. Anche il tempo offerto, la considerazione profonda e l’accoglienza delle peculiarità di ciascuno sono elementi che, nel loro insieme, rendono un supporto o una terapia realmente efficace.
Quando il sistema sanitario non concede il giusto tempo, spazio e valore alla relazione terapeutica, nega alla cura la sua essenza più autentica, riducendo la persona a un numero e la guarigione alla mera scomparsa del sintomo.
Parlare oggi di umanizzazione della cura non è retorica, ma una necessità. L’approccio psicologico non deve restare confinato agli studi specialistici: deve attraversare la cultura, scuola, la famiglia, il lavoro, le istituzioni. Deve diventare un modo di guardare all’essere umano, alle sue fragilità, ai suoi processi di trasformazione e al suo progredire.
Promuovere la salute come responsabilità collettiva
Un sistema sanitario che funziona realmente è quello che intercetta il disagio prima che diventi emergenza, che offre sostegno prima che la sofferenza diventi persistente, radicata o perfino inguaribile, anche se curabile.
Spazi in cui si possa fare psicologia nei quartieri, consultori familiari accessibili, programmi nelle scuole e nei luoghi di lavoro non sono “extra”, ma pilastri di salute pubblica. Restituiscono fiducia, benessere, rafforzano il senso di comunità e la coesione sociale. In una società che tenta di gestire la fragilità con scorciatoie – una pillola per dormire, un rapido consiglio, una diagnosi sbrigativa, un rimedio estemporaneo – la salute e il benessere diventano un atto politico nel senso più profondo: una scelta che riguarda non solo la sorte individuale, ma il destino della collettività.
Curare la salute, non solo la malattia
Ripensare la cura significa tornare a considerare il benessere e la prosperità come condizioni umane e sociali fondamentali, non come semplici applicazioni tecniche o tecnologiche. Significa ridare centralità alla relazione terapeutica, riconoscere il valore della salute psicofisica e dei rapporti interpersonali, e concepire la sanità non come apparato burocratico, ma come strumento che promuove salute e benessere in modo moderno e profondamente umano. Ogni investimento nella salute delle persone – soprattutto nella sua dimensione psichica – è un investimento nella qualità del vivere insieme, nella capacità di una società di prendersi cura di chi la compone, di non lasciare indietro nessuno.
Come scriveva Franco Basaglia, “la salute non è un lusso, ma un modo di essere nel mondo”. E in questo modo di essere, la cura non può che restare un fatto profondamente umano.
Cesare Marangiello, psicologo e psicoterapeuta, si occupa di clinica, formazione e riflessione sui temi della salute psichica e della relazione terapeutica. Collabora con diverse testate su questioni psicologiche, educative e culturali.
Breve bibliografia
- Basaglia, F. (1968). L’istituzione negata. Einaudi.
- Borgna, E. (2003). Le intermittenze del cuore. Feltrinelli.
- Borgna, E. (2014). La fragilità che è in noi. Einaudi.
- Cittadinanzattiva (2019). XIV Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità.
- Winnicott, D.W. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente. Armando.
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