Il silenzio è complicità: Napoli risponde con la piazza

Pressenza - Wednesday, May 7, 2025

Il 6 maggio oltre mille persone in Piazza Municipio per esprimere solidarietà con il popolo palestinese e sostegno a Nives Monda. Una Napoli che si scopre ancora una volta città di resistenza, evocando le Quattro Giornate.

Napoli, 6 maggio 2025 – In meno di quarantott’ore, oltre mille persone si sono radunate in Piazza Municipio. Erano insegnanti, impiegati, studenti, artisti, famiglie intere. A unirli, la volontà di non restare in silenzio. La vicenda che ha coinvolto Nives Monda, titolare della Taverna Santa Chiara, e una coppia di turisti israeliani ha fatto il giro del web in poche ore. Un diverbio, una ripresa video diventata virale, accuse reciproche. Ma Napoli ha capito che dietro quella scintilla si nascondeva un incendio più vasto. L’episodio è stato il pretesto, non il centro. Al cuore, la guerra in corso nella Striscia di Gaza, la sofferenza di un popolo, la necessità di rompere un silenzio che altrove è complicità.

La manifestazione, nata come flash mob, si è trasformata in un momento di intensa partecipazione civile. Il clima era teso, a tratti apertamente ostile verso l’amministrazione comunale, con rabbia e indignazione espresse a voce alta. La percezione diffusa era quella di una presa di posizione istituzionale sbilanciata, che ha offeso la sensibilità di chi da mesi osserva e denuncia la catastrofe umanitaria in Palestina. La rabbia si è trasformata in una domanda collettiva di giustizia. Non una giustizia giudiziaria, ma umana, politica, simbolica. Napoli, città della pace e della resistenza, ha scelto di schierarsi.

E proprio la parola “resistenza” è risuonata più volte dal palco. Gli attivisti hanno ricordato che questa è la città delle Quattro Giornate, la città che nel 1943 si liberò da sola dall’occupazione nazifascista. Una memoria viva, che si rinnova oggi nel gesto di chi scende in piazza contro l’ingiustizia e la guerra. Una Napoli che non dimentica e che non accetta di restare spettatrice.

FOTO DI GIULIA Tra gli interventi più intensi, quello di Giulia, studentessa palestinese di seconda generazione e attivista del Centro Culturale Handala Ali. La sua voce, ferma e vibrante, ha attraversato la piazza come un richiamo alla coscienza collettiva. Rivolgendosi al balcone del Comune, ha interpellato direttamente il primo cittadino:

“Perché, caro sindaco, mentre noi oggi siamo in piazza, il nostro popolo viene sterminato! Viene lasciato morire di fame. I nostri giornalisti vengono uccisi per raccontare ciò che lei non vuole raccontare.

Netanyahu ha dichiarato l’assedio totale della nostra terra, Gaza, alla vigilia di un’invasione che impedisce la sopravvivenza e la vita del nostro popolo. E lei, sindaco, è arrivato solo dopo, solo dopo che abbiamo detto che Netanyahu è un criminale di guerra.” Poi, con forza, ha concluso tra gli applausi: “Chi tocca Nives tocca tutti noi. E chi oggi resta in silenzio è complice.”

Padre Alex Zanotelli ha aperto il suo intervento con un ringraziamento sentito alla piazza: “Prima di tutto, un grazie a tutti voi che siete scesi in piazza: guardate che le cose non cambiano se noi non ci diamo da fare, se non protestiamo per quello che sta avvenendo.” Poi ha parlato di Gaza con voce angosciata e parole chiare: “Io sono molto angosciato per quello che sta avvenendo a Gaza. Siamo davanti a un genocidio, è inutile che lo neghiamo. C’è ormai la chiara idea di far morire la popolazione.”

Con forza, ha denunciato anche il silenzio della memoria europea: “È assurdo che i sopravvissuti dei regimi nazifascisti non abbiano detto nulla.” E ha concluso: “Questa città ha un cuore che batte forte per la pace, e oggi lo dimostra.” 

Omar Suleiman, presidente della comunità palestinese napoletana, ha pronunciato un discorso appassionato e senza mezzi termini. Ha ricordato i bombardamenti che hanno devastato Sama, le centrali elettriche, gli aeroporti, e Damasco: “Oggi quei criminali occupano già più della metà della Siria, parte del Libano. Domani toccherà alla Giordania, all’Egitto, perché vogliono la Grande Israele: dal Mediterraneo al Nilo.”

Ma ha aggiunto con fermezza: “La resistenza del popolo palestinese impedirà che questo piano venga realizzato.”

E ha alzato il tono, trasformando la bandiera palestinese in un simbolo universale:

“La bandiera della Palestina oggi rappresenta una rivendicazione per una vita migliore, per un lavoro giusto, per un’università che insegna, per un futuro per tutti i popoli. E allora la Palestina continuerà a lottare.”

Con indignazione ha domandato: “Dove è finita l’umanità? Dove sono i valori della democrazia e della libertà? Dove sono i valori occidentali del diritto alla vita?” E ha denunciato: “Sotto i nostri occhi si compie un genocidio da due anni. E siamo tutti complici con la nostra indifferenza.” Ha chiesto con forza il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Italia e della comunità internazionale. Poi ha evocato la storia della città che lo ospita: “Napoli è la città delle Quattro Giornate, che ha mandato a calci nel culo i nazifascisti!” Il suo appello finale è risuonato come un’esortazione urgente:

“Scendete per le strade subito, cittadini di Napoli! Non restate in silenzio come fanno troppi capi di Stato. Noi ci aspettiamo tanto dal popolo, perché noi non ci fermeremo finché non si liberi l’ultimo pezzo della nostra terra.” 

Claudio De Magistris era presente in rappresentanza del fratello Luigi.

Poi è arrivato il momento di Nives Monda. Salita sul palco con la voce spezzata dall’emozione, ha rivolto un chiaro messaggio al sindaco e all’assessora Armato: “Non ho ricevuto alcuna solidarietà da parte vostra.”

Dalla folla si è subito levato un grido corale: “Vergogna! Vergogna!”

Nives ha raccontato i fatti, ricordando le minacce ricevute e lo straordinario abbraccio umano che l’ha sostenuta: “Da sabato la mia vita è cambiata. Ho ricevuto insulti, minacce, ma anche tanto affetto. E questo affetto oggi è qui, grazie a tutte e tutti voi. È nato in modo spontaneo e sincero.” Poi, con determinazione, ha chiarito: “Io non ho paura. L’unica verità è che io non ho offeso né cacciato nessuno. Ho soltanto preso una posizione all’interno della campagna Spazi Liberi dall’Apartheid Israeliana, che prevede naturalmente l’immediato boicottaggio delle politiche sioniste.”

Un intervento lucido, netto, che ha saputo unire la testimonianza personale alla battaglia collettiva per i diritti e la giustizia.

 Accanto agli interventi, numerose associazioni hanno partecipato attivamente alla manifestazione: tra queste l’ANPI, il Centro Culturale Handala Ali, reti per i diritti umani e altre realtà di base. Molti i giovani, moltissimi i cartelli scritti a mano, un tappeto di voci diverse unite da un messaggio condiviso: fermare il massacro, rompere il silenzio.

Nel frattempo, mentre Napoli gridava la sua vicinanza al popolo palestinese, la guerra nella Striscia continuava a mietere vittime. Secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, aggiornati al 6 maggio 2025, oltre 52.000 palestinesi sono stati uccisi, in gran parte civili, tra cui migliaia di bambini. L’operazione militare israeliana su Rafah ha visto più di 50 bombardamenti nelle ultime 24 ore. L’accesso agli aiuti umanitari è quasi del tutto bloccato, e oltre 1,7 milioni di persone – il 75% della popolazione di Gaza – è sfollato. Gli ospedali non funzionano, le ambulanze vengono colpite, le scuole sono diventate obitori.

La Corte Internazionale di Giustizia ha emesso misure urgenti chiedendo a Israele di prevenire atti che possano configurare un genocidio, ma Tel Aviv ha proseguito l’offensiva. Egitto e Qatar continuano una fragile mediazione. L’ONU è paralizzata da veti incrociati, mentre milioni di persone nel mondo scendono in piazza. A Napoli come a New York, a Londra come a Città del Messico, la parola d’ordine è una: cessate il fuoco.

In questo scenario, l’episodio della Taverna Santa Chiara, con tutta la sua complessità, con le sue ombre e le sue voci è diventato simbolo. Simbolo di un’Italia che non vuole chiudere gli occhi. Di una Napoli che sa guardare oltre il fatto di cronaca, per toccare la carne viva della storia. Una città che non ha paura di parlare, di esporsi, di mettere in discussione anche le sue istituzioni quando serve. E oggi, serve.

Il flash mob si è concluso con un lungo applauso. Non era di rito. Era un applauso sentito, per chi prende posizione, per chi rischia di essere travolto dall’odio per un gesto di coscienza. E per chi, come Nives Monda, ha scelto di non tacere. In mezzo alle bandiere palestinesi, ai canti, alle lacrime, spiccava un cartellone sorretto da due mani ferme: “Art.11: l’Italia ripudia la guerra”. Poco dopo, dalla folla, si è levato un coro spontaneo e potente: Bella ciao. Un canto di resistenza. Ieri come oggi.

E Napoli continua a rispondere. Accoglie quelle urla, le fa proprie, e rilancia. Un nuovo appuntamento è già stato annunciato: “Tutti giù per terra”, flash mob contro il genocidio del popolo palestinese, in programma il 21 giugno sul lungomare partenopeo.

Un gesto simbolico, un grido corale, per dire ancora una volta: non nel nostro nome.

 

Altre foto  di Lucia Montanaro  

Fonti principali:

ONU – UN OCHA Gaza Humanitarian Reports, maggio 2025

Ministero della Salute di Gaza (via Al Jazeera, Reuters, AP)

Corte Internazionale di Giustizia – Misure provvisorie, gennaio-marzo 2025

Lucia Montanaro