Il silenzio è complicità: Napoli risponde con la piazzaIl 6 maggio oltre mille persone in Piazza Municipio per esprimere solidarietà
con il popolo palestinese e sostegno a Nives Monda. Una Napoli che si scopre
ancora una volta città di resistenza, evocando le Quattro Giornate.
Napoli, 6 maggio 2025 – In meno di quarantott’ore, oltre mille persone si sono
radunate in Piazza Municipio. Erano insegnanti, impiegati, studenti, artisti,
famiglie intere. A unirli, la volontà di non restare in silenzio. La vicenda che
ha coinvolto Nives Monda, titolare della Taverna Santa Chiara, e una coppia di
turisti israeliani ha fatto il giro del web in poche ore. Un diverbio, una
ripresa video diventata virale, accuse reciproche. Ma Napoli ha capito che
dietro quella scintilla si nascondeva un incendio più vasto. L’episodio è stato
il pretesto, non il centro. Al cuore, la guerra in corso nella Striscia di Gaza,
la sofferenza di un popolo, la necessità di rompere un silenzio che altrove è
complicità.
La manifestazione, nata come flash mob, si è trasformata in un momento di
intensa partecipazione civile. Il clima era teso, a tratti apertamente ostile
verso l’amministrazione comunale, con rabbia e indignazione espresse a voce
alta. La percezione diffusa era quella di una presa di posizione istituzionale
sbilanciata, che ha offeso la sensibilità di chi da mesi osserva e denuncia la
catastrofe umanitaria in Palestina. La rabbia si è trasformata in una domanda
collettiva di giustizia. Non una giustizia giudiziaria, ma umana, politica,
simbolica. Napoli, città della pace e della resistenza, ha scelto di schierarsi.
E proprio la parola “resistenza” è risuonata più volte dal palco. Gli attivisti
hanno ricordato che questa è la città delle Quattro Giornate, la città che nel
1943 si liberò da sola dall’occupazione nazifascista. Una memoria viva, che si
rinnova oggi nel gesto di chi scende in piazza contro l’ingiustizia e la guerra.
Una Napoli che non dimentica e che non accetta di restare spettatrice.
FOTO DI GIULIA Tra gli interventi più intensi, quello di Giulia, studentessa
palestinese di seconda generazione e attivista del Centro Culturale Handala Ali.
La sua voce, ferma e vibrante, ha attraversato la piazza come un richiamo alla
coscienza collettiva. Rivolgendosi al balcone del Comune, ha interpellato
direttamente il primo cittadino:
“Perché, caro sindaco, mentre noi oggi siamo in piazza, il nostro popolo viene
sterminato! Viene lasciato morire di fame. I nostri giornalisti vengono uccisi
per raccontare ciò che lei non vuole raccontare.
Netanyahu ha dichiarato l’assedio totale della nostra terra, Gaza, alla vigilia
di un’invasione che impedisce la sopravvivenza e la vita del nostro popolo. E
lei, sindaco, è arrivato solo dopo, solo dopo che abbiamo detto che Netanyahu è
un criminale di guerra.” Poi, con forza, ha concluso tra gli applausi: “Chi
tocca Nives tocca tutti noi. E chi oggi resta in silenzio è complice.”
Padre Alex Zanotelli ha aperto il suo intervento con un ringraziamento sentito
alla piazza: “Prima di tutto, un grazie a tutti voi che siete scesi in piazza:
guardate che le cose non cambiano se noi non ci diamo da fare, se non
protestiamo per quello che sta avvenendo.” Poi ha parlato di Gaza con voce
angosciata e parole chiare: “Io sono molto angosciato per quello che sta
avvenendo a Gaza. Siamo davanti a un genocidio, è inutile che lo neghiamo. C’è
ormai la chiara idea di far morire la popolazione.”
Con forza, ha denunciato anche il silenzio della memoria europea: “È assurdo che
i sopravvissuti dei regimi nazifascisti non abbiano detto nulla.” E ha concluso:
“Questa città ha un cuore che batte forte per la pace, e oggi lo dimostra.”
Omar Suleiman, presidente della comunità palestinese napoletana, ha pronunciato
un discorso appassionato e senza mezzi termini. Ha ricordato i bombardamenti che
hanno devastato Sama, le centrali elettriche, gli aeroporti, e Damasco: “Oggi
quei criminali occupano già più della metà della Siria, parte del Libano. Domani
toccherà alla Giordania, all’Egitto, perché vogliono la Grande Israele: dal
Mediterraneo al Nilo.”
Ma ha aggiunto con fermezza: “La resistenza del popolo palestinese impedirà che
questo piano venga realizzato.”
E ha alzato il tono, trasformando la bandiera palestinese in un simbolo
universale:
“La bandiera della Palestina oggi rappresenta una rivendicazione per una vita
migliore, per un lavoro giusto, per un’università che insegna, per un futuro per
tutti i popoli. E allora la Palestina continuerà a lottare.”
Con indignazione ha domandato: “Dove è finita l’umanità? Dove sono i valori
della democrazia e della libertà? Dove sono i valori occidentali del diritto
alla vita?” E ha denunciato: “Sotto i nostri occhi si compie un genocidio da due
anni. E siamo tutti complici con la nostra indifferenza.” Ha chiesto con forza
il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Italia e della comunità
internazionale. Poi ha evocato la storia della città che lo ospita: “Napoli è la
città delle Quattro Giornate, che ha mandato a calci nel culo i nazifascisti!”
Il suo appello finale è risuonato come un’esortazione urgente:
“Scendete per le strade subito, cittadini di Napoli! Non restate in silenzio
come fanno troppi capi di Stato. Noi ci aspettiamo tanto dal popolo, perché noi
non ci fermeremo finché non si liberi l’ultimo pezzo della nostra terra.”
Claudio De Magistris era presente in rappresentanza del fratello Luigi.
Poi è arrivato il momento di Nives Monda. Salita sul palco con la voce spezzata
dall’emozione, ha rivolto un chiaro messaggio al sindaco e all’assessora Armato:
“Non ho ricevuto alcuna solidarietà da parte vostra.”
Dalla folla si è subito levato un grido corale: “Vergogna! Vergogna!”
Nives ha raccontato i fatti, ricordando le minacce ricevute e lo straordinario
abbraccio umano che l’ha sostenuta: “Da sabato la mia vita è cambiata. Ho
ricevuto insulti, minacce, ma anche tanto affetto. E questo affetto oggi è qui,
grazie a tutte e tutti voi. È nato in modo spontaneo e sincero.” Poi, con
determinazione, ha chiarito: “Io non ho paura. L’unica verità è che io non ho
offeso né cacciato nessuno. Ho soltanto preso una posizione all’interno della
campagna Spazi Liberi dall’Apartheid Israeliana, che prevede naturalmente
l’immediato boicottaggio delle politiche sioniste.”
Un intervento lucido, netto, che ha saputo unire la testimonianza personale alla
battaglia collettiva per i diritti e la giustizia.
Accanto agli interventi, numerose associazioni hanno partecipato attivamente
alla manifestazione: tra queste l’ANPI, il Centro Culturale Handala Ali, reti
per i diritti umani e altre realtà di base. Molti i giovani, moltissimi i
cartelli scritti a mano, un tappeto di voci diverse unite da un messaggio
condiviso: fermare il massacro, rompere il silenzio.
Nel frattempo, mentre Napoli gridava la sua vicinanza al popolo palestinese, la
guerra nella Striscia continuava a mietere vittime. Secondo i dati dell’Ufficio
delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, aggiornati al 6 maggio 2025, oltre
52.000 palestinesi sono stati uccisi, in gran parte civili, tra cui migliaia di
bambini. L’operazione militare israeliana su Rafah ha visto più di 50
bombardamenti nelle ultime 24 ore. L’accesso agli aiuti umanitari è quasi del
tutto bloccato, e oltre 1,7 milioni di persone – il 75% della popolazione di
Gaza – è sfollato. Gli ospedali non funzionano, le ambulanze vengono colpite, le
scuole sono diventate obitori.
La Corte Internazionale di Giustizia ha emesso misure urgenti chiedendo a
Israele di prevenire atti che possano configurare un genocidio, ma Tel Aviv ha
proseguito l’offensiva. Egitto e Qatar continuano una fragile mediazione. L’ONU
è paralizzata da veti incrociati, mentre milioni di persone nel mondo scendono
in piazza. A Napoli come a New York, a Londra come a Città del Messico, la
parola d’ordine è una: cessate il fuoco.
In questo scenario, l’episodio della Taverna Santa Chiara, con tutta la sua
complessità, con le sue ombre e le sue voci è diventato simbolo. Simbolo di
un’Italia che non vuole chiudere gli occhi. Di una Napoli che sa guardare oltre
il fatto di cronaca, per toccare la carne viva della storia. Una città che non
ha paura di parlare, di esporsi, di mettere in discussione anche le sue
istituzioni quando serve. E oggi, serve.
Il flash mob si è concluso con un lungo applauso. Non era di rito. Era un
applauso sentito, per chi prende posizione, per chi rischia di essere travolto
dall’odio per un gesto di coscienza. E per chi, come Nives Monda, ha scelto di
non tacere. In mezzo alle bandiere palestinesi, ai canti, alle lacrime, spiccava
un cartellone sorretto da due mani ferme: “Art.11: l’Italia ripudia la guerra”.
Poco dopo, dalla folla, si è levato un coro spontaneo e potente: Bella ciao. Un
canto di resistenza. Ieri come oggi.
E Napoli continua a rispondere. Accoglie quelle urla, le fa proprie, e rilancia.
Un nuovo appuntamento è già stato annunciato: “Tutti giù per terra”, flash mob
contro il genocidio del popolo palestinese, in programma il 21 giugno sul
lungomare partenopeo.
Un gesto simbolico, un grido corale, per dire ancora una volta: non nel nostro
nome.
Altre foto di Lucia Montanaro
Fonti principali:
ONU – UN OCHA Gaza Humanitarian Reports, maggio 2025
Ministero della Salute di Gaza (via Al Jazeera, Reuters, AP)
Corte Internazionale di Giustizia – Misure provvisorie, gennaio-marzo 2025
Lucia Montanaro