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Conflitti globali in corso, interviste de La Casa del Sole TV
Il mondo sta affrontando un numero di conflitti che è il più alto dalla Seconda Guerra Mondiale, con 56 conflitti attivi che coinvolgono 92 Paesi. Solo nel 2024 si contano più di 233mila vittime e oltre 100 milioni di persone costrette a fuggire dalle proprie case. A commentare in studio il tema caldo del momento Jeff Hoffman de “La Casa del Sole TV, la giornalista Margherita Furlan, Angelo d’Orsi, già ordinario di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Torino e Antonio Mazzeo, giornalista, docente e attivista dell’Osservatorio, reduce dall’espulsione ad opera del governo israeliano per avere cercato di portare aiuti umanitari a Gaza a bordo della nave Handala di Freedom Flotilla. Qui il video della trasmissione
Protesta a Verona: “Rompiamo il silenzio contro il genocidio a Gaza”
Domenica 27 luglio 2025 dalle 22,45 alle 23,00 molte persone, appartenenti ad associazioni, partiti, cittadine/i hanno aderito all’invito di “Verona per la Palestina” e, “pentole alla mano” hanno disertato il silenzio “assordante” contro il genocidio e la criminale catastrofe in Palestina. Il frastuono è arrivato in Arena dove si stava rappresentando l’Aida e dove è accaduto un fatto eccezionale. All’improvviso, tra il primo e il secondo atto,nello spazio dei sottotitoli che appaiono sull’ apposito schermo, è apparsa la bandiera palestinese e la scritta STOP GENOCIDE. Il pubblico ha iniziato ad applaudire, l’orchestra e il coro hanno cominciato a battere i piedi in segno di condivisione. La foto di quanto stava accadendo nell’anfiteatro è arrivata a qualche cellulare in P.zza Bra’, rafforzando così il frastuono di pentole, coperchi, fischietti e strumenti musicali quali i piatti e i tamburelli. L’autore del fatto è un giovane pianista, Francesco Orecchio, addetto ai sottotitoli, al suo ultimo giorno di lavoro in Arena, in partenza per l’Olanda dove lavorerà per il Teatro dell’Opera della capitale Olandese. Orecchio, intervistato, ha affermato che l’azione è stata una sua decisione personale per aderire alla giornata di protesta contro il silenzio sul genocidio di Gazza e che sarebbe “felice se anche la Fondazione Arena aderisse al messaggio e lo inserisse stabilmente”. All’iniziativa di “rompere il silenzio” ha aderito anche il Comune di Verona di cui, ricordo, il Sindaco è Presidente della Fondazione, che ha fatto suonare il Rengo, una delle due principali campane della Torre dei Lamberti, in P.zza delle Erbe. Il Rengo veniva suonato, in passato, per convocare il Consiglio Comunale e per chiamare i cittadini alle armi in caso di emergenza. Hanno suonato in città, anche le campane di alcune chiese, compresa quella della Chiesa di S.Nicolo’ adiacente all’Arena L’Osservatorio ha aderito al flash mob e alla lettera, sottoscritta da associazioni e partiti in cui  si chiede alla Fondazione, fra l’altro, di “esprimere chiaramente la propria posizione in merito, così da contribuire a sgretolare il muro di silenzio dei governi e della comunità internazionale”. “COME PUÒ L’UMANITÀ ASCOLTARE MUSICA COSÌ BELLA, MENTRE UNA PARTE GRIDA DISPERATA E FERITA A MORTE?”  Miria Pericolosi – Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Verona
Francia: basta visti a studenti di Gaza
Con una compagna parliamo della decisione francese di non dare più possibilità a studenti di Gaza di andare in Francia con una borsa di studio, questo a causa di un tweet di due anni prima di una studente considerato antisemita.  La destra insorge e il Governo francese mette in atto una punizione nei confronti di tutta Gaza.  
Francesca Albanese: “La sopravvivenza della Palestina sarà la nostra riabilitazione”
Riprendiamo dal sito di Reti Solidali un articolo di Maurizio Ermisino su un incontro avvenuto a Roma con Francesca Albanese, ambasciatrice ONU in Palestina, per la presentazione del suo libro “Quando il mondo dorme” La solidarietà è la declinazione politica dell’amore, secondo la Relatrice Speciale dell’ONU per la Palestina. Per Albanese l’obbligo di prevenire il genocidio è scattato con l’istanza del Sudafrica alla Corte di Giustizia di gennaio 2024. Il sacrificio della Palestina deve essere un’occasione. Possiamo uscirne distrutti o migliori. Genocidio. Pulizia etnica. Apartheid. Le parole sono importanti. E usare le parole giuste per raccontare che cosa sta accadendo oggi in Palestina, nella Striscia di Gaza, è sempre più importante. L’incontro con Francesca Albanese, Relatrice Speciale dell’ONU per la Palestina, di ieri sera al MONK a Roma, per presentare il libro Quando il mondo dorme (Rizzoli, 2025), è stato in questo senso illuminante. In un giardino gremito di folla, con altrettante persone rimaste fuori, Francesca Albanese ha parlato a cuore aperto, con quella “dolorosa gioia”, come la definisce lei, che è  raccontare una situazione terribile con la consolazione della condivisione della denuncia.  Ogni volta è straziante, un dolore collettivo, ma c’è l’obbligo di non fermarsi e di riflettere per cambiare un sistema e di provare a costruire il domani che vogliamo. «Mi si chiedeva perché è così importante chiamare quello che sta accadendo a Gaza “genocidio” e perché dire che Israele sta commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità non è sufficiente» si è chiesta Francesca Albanese. «Se andate dal medico con il cancro e vi dice che avete la febbre, ha sbagliato la diagnosi. Se anche si dovesse condannare la leadership israeliana per crimini di guerra, si fallirebbe la soluzione del problema fondamentale. Non è solo lo Stato di Israele, ma il Sionismo come ideologia predicata sulla realizzazione di uno Stato di soli ebrei in Palestina, che vuol dire che non lo è per tutti gli altri popoli. Il genocidio è l’intenzione di distruggere un gruppo in quanto tale. Ed è quello che Israele sta facendo con atti di uccisione, con l’inflizione di condizioni di vita calcolate per distruggere: se togli l’acqua, il tetto sopra la testa, il cibo, il carburante, se distruggi tutti gli ospedali, se impedisci alle persone l’accesso a qualsiasi cosa per vivere, il risultato è questo. Ormai siamo al di là: nelle ultime settimane sono morte 147 persone, la maggior parte bambini, la maggior parte neonati, per mancanza di viveri. Se anche domani cessassero di piovere le bombe sui palestinesi rinchiusi in quel ghetto che Israele ha creato nel 1948, il genocidio c’è già stato. E chiamarlo genocidio ci dà la misura di quella che è stata la nostra responsabilità». «La cosa fondamentale della convenzione sul genocidio è la prevenzione» continua. «Abbiamo già fallito. L’obbligo di prevenire il genocidio è scattato quando la Corte di Giustizia internazionale ha ricevuto, nel gennaio del 2024, l’istanza del Sudafrica, a cui si sono uniti altri 14 Paesi». «Passo dopo passo facciamo la cosa giusta. Sicuramente non saremo peggio di come siamo adesso» FERMARE L’ECONOMIA DEL GENOCIDIO La grande ipocrisia è quella di tanti Paesi, tra cui l’Italia, che hanno continuato a intrattenere rapporti politici e commercial con Israele. «Un governo può rendersi complice» afferma Francesca Albanese. «Ma noi cittadini possiamo dire no, basta. Ai comuni che mi danno la cittadinanza onoraria io dico: se volete che l’accetti dovete bandire il Made in Israel. A chi è stressato per quanto zucchero ci sia nelle marmellate per i propri figli dico: usate lo stesso zelo per vedere quali prodotti vanno a finanziare direttamente l’economia dell’occupazione che si è trasformata in economia di genocidio. Tanti studenti hanno monitorato le relazioni dei loro atenei con Israele: vanno tagliate senza se e senza ma perché uno Stato accusato di apartheid, genocidio, crimini di guerra non è uno Stato con cui si possono avere relazioni. Fareste oggi una relazione con il Sudafrica al tempo dell’apartheid? La fiction per cui c’è un Israele buono ed uno cattivo deve finire. È Israele che è accusato di crimini: da oggi non si commercia più, non si trasferiscono armi né know-how, non si fa ricerca neutra con uno Stato accusato di crimini internazionali». FRANCESCA ALBANESE: NELLA SOPRAVVIVENZA DEI PALESTINESI CI SARÀ LA NOSTRA RIABILITAZIONE Queste richieste sono arrivate alla politica italiana, che non ha risposto. Cosa si può fare per sensibilizzarla? «Loro sono quello che sono. Nel 2027 dovrete valutare se questa gente merita di rimanere al potere oppure no» risponde, tra gli applausi, Francesca Albanese. «Credo molto nel valore della politica, per me è una parola con la P maiuscola. Capisco i giovani che fanno cittadinanza attiva. Questa deve essere la nuova declinazione della politica. Il sacrificio della Palestina ci deve dare questo: non usciremo da questa fase nello stesso modo in cui siamo entrati. Possiamo uscirne distrutti o uscirne migliori. Prendiamo il dolore di questo momento come quello di un parto: si soffre, si spinge per portare alla luce qualcosa di nuovo. Una frase che ho mutuato e che uso spesso è: la solidarietà è la declinazione politica dell’amore. Questo è un momento di solidarietà in cui ci si ritrova: so che l’amore per me è un amore di riflesso per il popolo palestinese. Che è un popolo dolce e buono. Se lavoriamo tutti insieme non solo il genocidio si fermerà. Non solo i palestinesi si ricostruiranno come fanno del 1948. Ma nella loro sopravvivenza ci sarà la nostra riabilitazione, quella dal peccato originale di noi occidentali, cioè 500 anni di colonizzazione. La declinazione politica dell’amore è questa: dobbiamo tornare ad essere buoni. Lo dobbiamo a noi stessi, alla società che vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti». IL MONDO NON SI CAMBIA A CEFFONI In questi anni Israele, con gli Stati complici, sta mettendo in atto un esercizio lucido della cattiveria. Nel senso di “captivus”, cioè “chiuso”, qualcuno che non è nemmeno in grado di vedere il male che sta facendo. In che modo oggi noi occidentali possiamo sensibilizzare e avere il coraggio e l’intelligenza di fare quel passo indietro rispetto al mondo? «Ci sono tante cose che dobbiamo imparare a fare, ma prima dobbiamo disimparare» risponde Francesca Albanese. «Dobbiamo dismettere certi automatismi. Abbiamo l’ansia da prestazione. Invece di saltare alle conclusioni, alle soluzioni, alla destinazione, dovremmo pensare al processo. E nel frattempo dobbiamo ascoltare. È fondamentale ascoltare perché ascoltare significa capire». Nel libro si legge un episodio particolare, un momento in cui anche Francesca Albanese ha provato un senso di vergogna. «Quando ero in Palestina, già 15 anni fa, Israele arrestava una media di 500-700 bambini all’anno, tra i cinque e i dodici anni e, se un adulto interveniva, ci stava che non tornasse a casa. Nel 2012 mi chiedevo: perché dobbiamo scrivere lettere ad Israele chiedendogli che si rispettino i diritti della convenzione del fanciullo quando arrestano i bambini e li portano nelle corti militari? Ma perché stiamo qui a normalizzare l’abominio? Con il tempo sono riuscita a staccarmi da quel processo di convenienza. Per me era insopportabile il peso della coscienza, sapere quello che potevo o non potevo fare da funzionario delle Nazioni Unite. Il mondo si cambia se si fa la cosa giusta ad ogni passo. Bisogna creare consapevolezza sulla Palestina, di cui si sa ancora troppo poco. Ho avuto un tremore quando un farmacista stava vendendo un prodotto Teva. Se mi dite “voglio fare qualcosa” cominciate a non venderli più. Ma, nei confronti degli ebrei, ammettiamo il garbo, la dolcezza, l’eleganza. Perché il mondo non si cambia a ceffoni». PALESTINA: IL BANCO DI PROVA DEL RISPETTO DELLA LEGALITÀ Cosa dovrebbero fare gli Stati? Come ha scritto ieri Francesca Albanese su X, non dovrebbero solo riconoscere lo Stato di Palestina, fare gesti simbolici, prendere le distanze da Israele. Dovrebbero sanzionare Israele, imporre un embargo totale alle armi, spezzare l’assedio inviando navi, sospendere tutti gli accordi commerciali, indagare e perseguire chi ha commesso crimini nei territori palestinesi occupati. La risposta è sempre: “ma siamo amici di Israele”. «Non si può vituperare la parola amicizia in questo modo» commenta Francesca Albanese. «Se hai un amico che sbaglia, gli dai uno scappellotto. Prendi delle misure perché la persona che ami non sbagli più. Qui si sta parlando di violenza estrema. Un popolo va immaginato come un corpo. Quante ferite si possono infliggere ad un corpo per decenni? E quanta comprensione si può chiedere a questo un corpo e all’anima che lo abita? Con il politico con cui ho parlato c’era proprio una posizione ideologica: “come ti aspetti che noi interrompiamo le relazioni con uno Stato come Israele?” Uno stato così indecente con un esercito così immorale io non me lo ricordo in un Paese che si dice democratico. Negli ultimi anni ho visto cose incredibili. E non è che i palestinesi prima se la passassero bene: già nel 2013 le Nazioni Unite denunciavano maltrattamenti, torture e stupri su minori nelle carceri israeliane. Dove eravamo noi? Dove eravamo nel 2022 quando i pogrom nei confronti dei villaggi palestinesi si moltiplicavano? Per quel viceministro degli affari esteri che mi diceva “non possiamo interrompere le relazioni con lo Stato di Israele” ho pensato: “o vi convinceremo noi o il vostro popolo, alle prossime elezioni voi non ci sarete”. La Palestina sta diventando il banco di prova del rispetto della legalità di cui abbiamo bisogno tutti quanti. Oggi non si può passare e stare in silenzio sul corpo di 20mila bambini». FERMARE IL TRAFFICO D’ARMI Dobbiamo fermare il traffico di armi, raccontare chi le fa. «Altra Economia ha fatto inchieste sulla Leonardo spa, partecipata dal 30% dello Stato italiano, che partecipa alla produzione degli F35 in modalità Beast Mode, in modo da portare una quantità di bombe in grado di distruggere un intero territorio, con il danno di 8 nucleari. Tutti abbiamo un potere e dobbiamo esercitarlo adesso. I portuali di Genova e di Ravenna sono stati i primi a dare l’allarme perché in questi porti si trasferivano armi verso Israele». BISOGNA CURARE L’ANIMA DI UNA TERRA Ci si chiede quale possa essere il processo di transizione verso un futuro che possa portare a una pacifica convivenza tra i due popoli. «Ci sono tanti strumenti per immaginare il futuro» riflette Francesca Albanese. «Possiamo vederlo come la destinazione di qualcosa che vogliamo costruire. C’è una parola che non compare nel vocabolario di noi occidentali: è “healing”, “cura”. Bisogna curare l’anima: c’è un trauma incredibile in quella terra». «Prima di tutto vanno portati i diritti» conclude. «Passo dopo so facciamo la cosa giusta. Sicuramente non saremo peggio di come siamo adesso». Redazione Italia
Con la Palestina contro ogni repressione
Quasi 200 persone al presidio indetto dalla Rete antifascista lecchese il 1° agosto a Como nei pressi dello stadio. L’iniziativa è stata animata per esprimere solidarietà alle cinque persone colpite da un provvedimento di Daspo per avere sventolato una bandiera della Palestina durante la partita Celtic-Ajax a Como il 24 luglio. Negli striscioni e negli interventi, partendo dagli episodi di criminalizzazione delle manifestazioni politiche a Como, a Bergamo e altrove, si è affermato il sostegno alla Resistenza palestinese la condanna dell’orrore del genocidio in atto, il rifiuto della repressione sempre più forte che attraverso decreti sicurezza e retoriche securitarie, restringe lo spazio pubblico, comprime le libertà individuali e collettive e mette a tacere ogni voce fuori dal coro. Free Palestine e Free Gaza certo, ma anche Stop Rearm Europe e la rivendicazione della legittimità di essere antisionisti senza per questo essere accusati di antisemitismo. Nei video gli interventi, aperti da Corrado Conti della Rete antifascista lecchese, della rete Stop al genocidio, dei Giovani palestinesi e in chiusura dell’avvocato Ugo Giannangeli, che ha chiarito l’incongruenza dei provvedimenti repressivi attuati chiarendo tra l’altro che nella legislazione italiana non esiste alcun divieto di sventolare bandiere di altri Paesi. Ecoinformazioni
I peggiori nemici degli ebrei
-------------------------------------------------------------------------------- Vicolo Luretta, Bologna -------------------------------------------------------------------------------- Il 29 luglio il Parlamento europeo ha respinto la proposta di sospendere il finanziamento delle startup israeliane. Si tratta di startup che preparano genocidi per il futuro, in quanto si occupano in gran parte di security. Continuiamo a finanziare il genocidio, perché come dice Friedrich Merz, gli israeliani fanno il lavoro sporco per noi, cioè sono i nostri Sonderkommando, aguzzini colonialisti alle dipendenze del razzismo sistemico europeo. Ma se siamo forti con i deboli, e assistiamo compiaciuti al genocidio dei popoli colonizzati, non smettiamo di piegarci davanti ai forti. Gli Stati Uniti hanno spinto l’Ucraina a una guerra che ha distrutto quel popolo (è di oggi la notizia che i sessantenni possono andare a combattere perché ormai gli uomini di quel paese sono decimati). L’Unione Europea ha assecondato la provocazione statunitense, che aveva come finalità principale la rottura del legame economico tra Germania e Russia. Poi il presidente del paese cui siamo sottomessi è cambiato. E allora Jack Vance è venuto a Monaco a dirci che gli europei gli fanno schifo, che l’Ucraina merita di morire e che il suo paese se ne fotte delle conseguenze della guerra che il suo paese ha provocato. Ma gli europei fanno finta di non capire, occorrerebbe uno psicoanalista per spiegarci perché. Mentre la razza bianca declinante ha scatenato una guerra globale contro i popoli del sud migrante, la guerra inter-bianca è in pieno svolgimento. Pare che il fascista Putin la stia vincendo, pare che il fascista Trump sia indispettito. Ma quel che è certo è che gli europei investiranno somme enormi per comprare armi da Trump, che nel frattempo impone dazi del 15% e pretende che le aziende high tech non paghino le tasse, ottenendo piena soddisfazione dalla signora Ursula. Il 29 luglio in una stazione di servizio del Nord Italia è stata aggredita una famiglia di turisti che portava la kippah, segno di appartenenza ebraico. Anche il mio amico e compagno Moni Ovadia porta la kippah. Anche l’editore brasiliano dei miei libri, Peter Pal Pelbart, probabilmente in questo momento gira con una kippah per le strade di Sao Paulo. Corre il rischio di essere aggredito da una folla di squilibrati fascistoidi? Certo che sì. Da sempre gli ebrei hanno dovuto fare i conti con la violenza razzista. A loro tocca la sorte che tocca (in misura assai maggiore) ai migranti di origine africana o nord-africana che sono facilmente riconoscibili anche se non portano la kippah. Il problema è che per le comunità ebraiche di tutto il mondo si sta avvicinando uno tsunami di odio e di violenza, pari all’immenso orrore che suscita il Sionismo nella sua fase genocidaria. Lo Stato di Israele nacque abusivamente con uno sterminio e deportazioni di massa che la comunità internazionale non ebbe la forza e neppure la volontà di fermare, perché i sionisti promettevano di creare un luogo sicuro per gli ebrei. Gli europei, responsabili diretti o indiretti dell’Olocausto, non potevano fare obiezioni. Inghilterra e Stati Uniti videro nella formazione di quello Stato uno strumento per controllare l’area petrolifera mediorientale. Ma oggi appare evidente che lo Stato di Israele ha costituito fin dal suo inizio una continuazione del Terzo Reich hitleriano. Israele è certamente il luogo più pericoloso per un ebreo, oggi. Ma quel che scopriremo presto è il fatto che le politiche di questo Stato, illegale e colonialista e disumano, sono destinate a riattivare l’odio per gli ebrei in ogni zona del mondo. La crisi psicotica che sta travolgendo Israele rende quel popolo assetato di sangue, e stravolge la mente di coloro che sono responsabili dell’orrore della fame della sete dello sterminio che si diffonde a pochi chilometri da casa loro. Intanto i suicidi nell’Israeli Defence Force si moltiplicano. I dati che possiamo trovare su Haaretz di ieri sono abbastanza chiari, anche se probabilmente non rendono con realismo le dimensioni del fenomeno. E soprattutto, pur fornendo informazioni sul numero di soldati che si uccidono durante il servizio, Israele non fornisce nessuna informazione su coloro che si uccidono dopo essere tornati a casa. Quanti ventenni israeliani, dopo avere sparato in faccia a un bambino di otto anni che stava chiedendo di poter avere un po’ di cibo, continuano a fare il loro sporco lavoro (così lo ha chiamato il cancelliere tedesco Merz) fin quando, tornati a casa loro, si guardano nello specchio, si fanno orrore e si sparano un colpo nella tempia? -------------------------------------------------------------------------------- Un articolo di Haaretz del 29 luglio: IDF Reservist Who Helped to Identify Fallen Soldiers During Gaza War Dies by Suicide Un articolo di Haaretz del 30 luglio: Netanyahu’s Forever War in Gaza Is Crushing Israel’s Soldiers and Their Families -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo I peggiori nemici degli ebrei proviene da Comune-info.
L’ipocrisia dei “riconoscimenti” dello stato di Palestina
VIENE DA PENSARE AGLI SCRITTI, TRA GLI ALTRI, DI EDWARD SAID SUL BISOGNO DI UNA REPUBBLICA DEMOCRATICA CAPACE DI GARANTIRE AI SUOI CITTADINI EBREI E PALESTINESI UNA COMPLETA UGUAGLIANZA DI DIRITTI, QUANDO SI SENTE PARLARE DI RICONOSCIMENTO DELLO STATO DI PALESTINA. IN REALTÀ, DI FRONTE ALLA FURIA DISTRUTTRICE DI ISRAELE PARLARE DI STATO DI PALESTINA È SOLTANTO PROPAGANDA E CRUDELE IPOCRISIA. PERCHÉ LE CLASSI DIRIGENTI EUROPEE DI FRONTE AL GENOCIDIO NON FANNO QUELLO CHE POTREBBERO FARE, CIOÈ INTERROMPERE IMMEDIATAMENTE GLI INVII DI ARMI E LE COLLABORAZIONI MILITARI CON ISRAELE? PERCHÉ NON INTRODUCONO SANZIONI MIRATE CONTRO IL PREMIER, I SUOI MINISTRI E I PRINCIPALI GENERALI DELL’ESERCITO ISRAELIANO? PERCHÉ NON PROMUOVONO L’INVIO DI UNA FORZA DI INTERPOSIZIONE CHE PROTEGGA LA POPOLAZIONE PALESTINESE? LA VERITÀ È CHE L’EUROPA STA COLLABORANDO AL GENOCIDIO DI GAZA Foto di MilanoInMovimento -------------------------------------------------------------------------------- Ancora una volta, l’improvviso attivismo diplomatico di alcuni paesi europei – per ora Francia e Gran Bretagna, altri forse si aggiungeranno – sul genocidio a Gaza è rivelatore della crisi profonda, della débâcle delle attuali classi dirigenti. Il riconoscimento dello stato di Palestina, peraltro rinviato a settembre e sottoposto a varie condizioni, è concepito nelle cancellerie europee come un passo coraggioso, uno scatto in avanti che finalmente rompe gli indugi. E invece non è niente. A genocidio in corso, e mentre procedono sia la pulizia etnica sia i piani israeliani di annessione della Cisgiordania, compiere “passi” del genere e declamare il consunto slogan “due popoli due stati” senza fare nulla di concreto, è un misto di crudele ipocrisia e di insopportabile insipienza. I capi di stato e di governo europei non sono semplici attivisti o volenterosi intellettuali che possono limitarsi a fare enunciazioni di principio ché altri strumenti non hanno; capi di stato e di governo, se davvero hanno a cuore la sorte dei palestinesi, dello stesso popolo israeliano, della diplomazia internazionale, hanno il dovere di agire, di mettere in campo delle azioni concrete. Di fronte al genocidio occorre interrompere immediatamente gli invii di armi e le collaborazioni militari con Israele; devono essere introdotte sanzioni mirate contro il premier e i suoi ministri, contro i principali generali dell’esercito israeliano; le squadre sportive  israeliane devono essere escluse  dalle competizioni sportive internazionali; le forniture di materie prime utilizzabili militarmente devono essere interrotte; vanno intraprese azioni legali contro i dirigenti israeliani per crimini di guerra e contro l’umanità davanti alle corti internazionali; dev’essere programmato e preparato  – perché no? – l’invio di una forza di interposizione che separi l’esercito israeliano dai gazawi e che protegga la popolazione palestinese in Cisgiordania (Israele, che è alleato dell’occidente, non potrebbe dire di no a una coalizione europea). Sono questi i provvedimenti che dobbiamo aspettarci, le misure che dovremmo chiedere ai nostri governi. Tutto il resto – i proclami, le lettere di lamentela, le dichiarazioni e gli annunci – è pura propaganda, un modo ben conosciuto per pulirsi la coscienza di fronte allo smisurato orrore di quel che avviene a Gaza e in Cisgiordania con la complicità delle cancellerie occidentali, le quali nel disastro di Gaza stanno perdendo ogni credibilità democratica; stanno distruggendo dall’interno non solo la forma ma l’idea stessa di Europa, un progetto nobile che affondava le sue radici – dobbiamo ricordarlo ancora una volta? – nel rifiuto della forza come regolatrice dei rapporti internazionali e nell’affermazione che la dignità della vita, di ogni vita, è il principio cardine della nostra civiltà. La verità è che l’Europa sta collaborando al genocidio di Gaza, al punto che capì di stato e di governo europei, e anche i privati che forniscono l’esercito israeliano, potrebbero essere chiamati un giorno a rispondere in sede giudiziaria– se ancora esisterà un diritto internazionale con le sue Corti – della loro complicità. Le parole e gli annunci non bastano più, servono fatti concreti e servono subito. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI MASSIMILIANO SMERIGLIO: > Ci uccidono una vita alla volta -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo L’ipocrisia dei “riconoscimenti” dello stato di Palestina proviene da Comune-info.
Bologna. Aggressione sionista contro una compagna di Potere al Popolo
Il 29 luglio, durante la manifestazione per Gaza, c’è stata un’ennesima provocazione da parte sionista. Mentre la manifestazione tornava verso Piazza del Nettuno, un uomo prima ha strappato una bandiera palestinese da una bicicletta, poi ha provato a strappare una bandiera che una nostra compagna teneva annodata alla vita, urlando […] L'articolo Bologna. Aggressione sionista contro una compagna di Potere al Popolo su Contropiano.
Tifiamo ancora Palestina
Con un compagno del Comitato per la Palestina Udine presentiamo l'Appello alla mobilitazione per il 14 ottobre 2025 a Udine in vista della partita FIFA Italia - Israele PALESTINA, ADESSO - Mentre lanciamo questo appello il numero ufficiale dell? mort? a Gaza è salito ad almeno 59106, 17400 dell? quali bambin?. Altre migliaia di corpi giacciono dispersi sotto le macerie. Le persone ferite registrate sono al momento 142511. Molte hanno subito danni permanenti, altre, purtroppo, non sopravviveranno. La quasi totalità degli ospedali è stata distrutta, così come qualsiasi altro tipo di infrastruttura, creando una vera e propria emergenza umanitaria con oltre il 90 per cento della popolazione della Striscia di Gaza già obbligata ad abbandonare la propria terra. L'attuale stato di assedio imposto alla popolazione palestinese, compreso il blocco pressochè totale degli aiuti umanitari, sta facendo lentamente morire di fame le persone superstiti. In Cisgiordania non si ferma l'escalation della violenza coloniale: da nord a sud, i villaggi palestinesi vengono incendiati dai coloni e l'esercito israeliano di occupazione procede alla distruzione di case e infrastrutture. A titolo esemplificativo, ricordiamo le devastazioni di queste settimane nei ca mpi profughi di Tulkarem e Jenin, nei villaggi intorno a Yatta, a Taybeh. UDINE, 14 OTTOBRE 2025 - La federazione calcistica italiana (FIGC), prefettura e governo hanno deciso di ospitare nuovamente a Udine la partita Italia-Israele, prevista il prossimo 14 ottobre, per le qualificazioni ai mondiali di calcio 2026. NOI CI OPPONIAMO: alla presenza nella nostra città della rappresentanza sportiva di uno stato che si sta macchiando di un genocidio e di crimini di guerra, che è attivamente impegnata nel trasformare lo sport in un veicolo di sostegno delle politiche israeliane di occupazione (alcune sue vittorie sono state pubblicamente dedicate all'esercito occupante e ai suoi soldati)  alla presenza della nazionale israeliana nella FIFA: l'Israel Football Association (IFA) include nei suoi campionati ufficiali ben 12 squadre delle colonie presenti illegalmente nei territori palestinesi occupati (contraddicendo il diritto internazionale e l'articolo 64/2 del regolamento della FIFA).  alla continua e incondizionata legittimazione che la FIGC dà alla nazionale israeliana, fiera rappresentante di uno Stato che ha ucciso oltre 807 lavoratric? del mondo dello sport di cui almeno 420 calciatric?, che ha raso al suolo tutti gli stadi della Palestina rendendoli campi per sfollati o luoghi di tortura. NOI CHIEDIAMO:  alla FIFA di escludere Israele da ogni competizione, come già fatto con la Russia,  alla FIGC di rifiutarsi di giocare una partita che rappresenterebbe l'ennesima vergogna per il nostro calcio: i valori del calcio, come di ogni altro sport, non possono essere usati per ripulire l'immagine di Israele agli occhi del mondo.  A tutte le realtà e all? singol? solidali alla causa palestinese di aderire e partecipare alla manifestazione che si terrà a Udine il 14 ottobre: il contributo di ciascun? nel promuovere e nell'esserci quel giorno sarà determinante per dimostrare, ancora una volta, la nostra opposizione alle politiche coloniali israeliane e alla complicità delle istituzioni nazionali e soprattutto locali. Considerare la partita Italia-Israele un trampolino di lancio per il turismo o non prendere una posizione netta in questo momento vuol dire dimostrare supporto silenzioso al genocidio in atto. L'anno scorso, circa 3000 persone sono scese in strada a Udine per dimostrare la loro contrarietà alla partita di Nations League tra Italia-Israele del 14 ottobre 2024: quest'anno vogliamo essere ancora più numeros? per gridare che vogliamo Israele fuori dalla FIFA e il sionismo fuori dalla storia. Recentemente la campagna Show Israel the Red Card ha mostrato quanto possono essere forti e potenti le mobilitazioni di solidarietà nello sport. Non fermiamoci, continuiamo ancora a pretendere che le rappresentanze di Israele vengano estromesse da ogni competizione sportiva! Fuori Israele dalla FIFA e dall'Italia, fuori il sionismo dalla storia e dai nostri stadi! Show Israel the Red Card! Gli organizzatori: Comitato per la Palestina Udine, Comunità Palestinese FVG e Veneto, ODV Salaam Ragazzi dell'Olivo Comitato di Trieste, BDS Italia, Calcio e Rivoluzione  Link per adesioni: https://forms.gle/wjgNd6CySKFpL9tLA 
Ci uccidono una vita alla volta
-------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Quello davanti è Iacopo, mio figlio. Dietro di lui Awdah, in un giorno di pioggia a Roma. Erano amici. Una storia di dolore che sfregia il cuore di tanti e della nostra famiglia. Una storia tra centinaia di altre. Awdah veniva dalla Cisgiordania, dal villaggio dove è stato girato No Other Land, e insieme al regista Basel erano venuti a Roma la prima volta nel 2022 e poi ogni anno. Awdah è stato ucciso a sangue freddo nella sua casa, dalla violenza cieca di un colono armato rimasto completamente impunito. Perché in Cisgiordania la caccia al palestinese va in scena ogni giorno. In maniera sempre più brutale. Ma forse più dei numeri dovremmo raccontare le vite di ogni singolo assassinato. Ci uccidono una vita alla volta, scriveva qualche giorno un suo amico. Awdah era un insegnante di scuola elementare, lascia tre figli e tutti i suoi piccoli studenti. Era un leader non violento che credeva nei diritti, nella giustizia e nella libertà, nella speranza di un futuro migliore per il popolo palestinese. Costruiva dialogo e ponti con le comunità internazionali e con i gruppi di ebrei e israeliani contro l’occupazione. Ogni anno veniva in Italia, insieme ai suoi compagni che ora sono in carcere senza accuse, in via preventiva. Solo qualche giorno fa Iacopo e altri stavano lavorando ai permessi per farli venire in Italia per un progetto di scambio sull’educazione e le comunità resistenti. Il suo corpo, come spesso accade, è stato sequestrato dalle forze israeliane e il suo funerale è stato vietato dall’esercito. Oggi, mercoledì 30 luglio, verrà ricordato da tutti coloro che lo hanno conosciuto. Chiunque voglia portare un fiore lo potrà fare questa sera a Roma, alle 21 a piazza Sauli. Scriveva martedì 29 Iacopo: “Oggi a Roma pioveva. Come quel giorno in cui mi hai insegnato che nel deserto si vive per sentire l’acqua, benedizione sulla pelle”. Ci sono ferite più profonde di altre che fanno sanguinare a tempo pieno. Fai buon viaggio ragazzo gentile. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Ci uccidono una vita alla volta proviene da Comune-info.