“L’infanzia nel mirino”: dal Festival dei Diritti Umani la memoria di Sarajevo

Pressenza - Monday, December 1, 2025

Dal docufilm “Sniper Alley – To My Brother” la testimonianza viva del dolore, della resilienza e della memoria collettiva dell’assedio di Sarajevo

“Un cecchino ha ucciso mio fratello. Ha ucciso anche la mia infanzia” è la frase di Dzemil Hodzic, segnato in modo indelebile dal momento in cui ha visto un proiettile attraversare il petto del fratello maggiore a soli 12 anni, che meglio riesce a condensare il dolore conosciuto da lui e da milioni di altri bambini che hanno vissuto e vivono storie simili alle sue. Il teatro degli orrori allestito durante la guerra civile in Bosnia ed Erzegovina nella prima metà degli anni ‘90, di cui Dzemil è uno dei sopravvissuti, è magistralmente raccontato dal docufilm Sniper Alley – To My Brother (2024), presentato per la prima volta a livello nazionale nella serata di sabato 29 novembre presso lo Spazio Comunale Piazza Forcella a Napoli, in occasione del XVII Festival del Cinema dei Diritti Umani partenopeo.

Il lungometraggio, insignito del prestigioso premio per il miglior documentario al Glocal DOC 2025 di Varese, nasce proprio dal progetto di Hodzic “Sniper Alley Photo”, il quale si propone, grazie alle fotografie scattate da importanti reporter di guerra, di tenere viva la memoria della crudeltà quotidiana sperimentata dai cittadini di Sarajevo durante l’Assedio perpetuato dalle forze armate serbo-bosniache tra il 1992 e il 1996. Un quadriennio di sofferenza atroce per il popolo bosniaco musulmano, il cui bilancio è di oltre 11mila vittime, di cui 1.601 bambini. Era uno di questi ultimi Amel Hodzic, fratello maggiore di Dzemil, assassinato all’età di 16 anni da un cecchino la mattina del 3 maggio 1995. Il progetto del lungometraggio è dedicato a lui e a tutto il popolo bosniaco, di cui vuole essere celebrato lo spirito indomito dimostrato nel superare i traumi lasciati da quella ferita che rappresenta la guerra civile, come spiegato dai registi della pellicola Cristiana Lucia Grilli e Francesco Toscani, presenti alla prima insieme a Dzemil. A completare la cornice anche volti autorevoli come Mario Boccia, fotoreporter e autore delle immagini originali inserite nel film, e Nicole Corritore, giornalista di Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, introdotti alla platea da Maurizio del Bufalo, coordinatore del Festival del Cinema dei Diritti Umani.

Per ospitare l’evento non esisteva luogo migliore dello Spazio Comunale di Piazza Forcella, la cui sala principale è intitolata ad Annalisa Durante come fortemente desiderato dal padre Giannino. Le vite di Amel e di Annalisa, uccisa nel marzo 2004 da un proiettile ballerino esploso durante un agguato a un boss locale, trovano il loro epilogo per lo stesso motivo, se ce n’è uno: essere lì, trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Le loro morti amaramente contingenti ci ricordano che il dolore, che esso sia prodotto da una faida criminale o da una guerra civile, non possiede etnia, religione o bandiere. Annalisa e Amel sovrappongono le coordinate di Napoli e Sarajevo, avvicinando spiritualmente due luoghi geograficamente distanti ma accomunati da una storia gloriosa avvelenata dai loro uomini, ambiguità difficile da tollerare persino da coloro che hanno ricevuto i natali da queste città. Un sentimento evocato nella pellicola dallo stesso Dzemil, il quale, come racconta, spesso è tornato a visitare la collina su cui era appostato il cecchino che ha sparato al fratello, non riuscendo quindi a godere della bellezza, ora macchiata, della vista della città. Parole che certamente risuoneranno condivisibili da ogni cittadino partenopeo.

“Sniper Alley – To My Brother” fa le veci di tutti quei bambini che hanno imparato a temere uno sparo d’arma da fuoco prima dello scoppio di un palloncino e parla a coloro che, persino da adulti, non hanno mai conosciuto e probabilmente conosceranno un fardello tale. Le immagini dell’Assedio di Sarajevo offrono la possibilità di essere maggiormente consapevoli della crudeltà scritta in una pagina estremamente buia della storia europea, rimossa con fin troppa facilità dalla nostra memoria collettiva. Le voci dei protagonisti mantengono fervido il ricordo dell’accaduto per i posteri e si inseriscono in un messaggio di speranza, unico strumento per costruire un futuro in cui la vita prevale sulla morte, rivolto a chiunque abbia visto l’orrore della guerra con i propri occhi.

A tal proposito è fondamentale sottolineare l’aderenza ai tempi correnti delle tematiche trattate nel docufilm, come spiega Maurizio Del Bufalo. “Il richiamo esercitato dal massacro dei bambini di Gaza non può non richiamare alla mente la crudeltà di Srebrenica o il disumano impegno dei cecchini di Sarajevo a cui, oggi lo sappiamo con certezza, si accompagnò la caccia all’uomo alimentata anche da gruppi di assassini italiani. Sono storie di crimini che dimostrano quanto i genocidi siano la strategia preferita di tutte le guerre moderne e che nasconderne l’esistenza o rifiutarne le definizioni serve solo ad alimentare orribili complicità”. Le più che mai attuali parole del direttore Del Bufalo, che cita con prontezza non solo il parallelismo tra l’Assedio di Sarajevo e il disastro a Gaza ma anche la follia dei cosiddetti “cecchini del weekend” (vedasi la recente indagine della Procura di Milano riguardo il famigerato Safari di Sarajevo), accendono un faro sulla banalità del male che si palesa nella cornice bellica e sulla crudeltà dell’operato di quelli che si potrebbe troppo facilmente definire mostri, quando si tratta in realtà uomini normali che, tanto in guerra quanto nel quotidiano, si macchiano di gesta mostruose.

Redazione Napoli