Tag - Bosnia-Erzegovina

“L’infanzia nel mirino”: dal Festival dei Diritti Umani la memoria di Sarajevo
Dal docufilm “Sniper Alley – To My Brother” la testimonianza viva del dolore, della resilienza e della memoria collettiva dell’assedio di Sarajevo “Un cecchino ha ucciso mio fratello. Ha ucciso anche la mia infanzia” è la frase di Dzemil Hodzic, segnato in modo indelebile dal momento in cui ha visto un proiettile attraversare il petto del fratello maggiore a soli 12 anni, che meglio riesce a condensare il dolore conosciuto da lui e da milioni di altri bambini che hanno vissuto e vivono storie simili alle sue. Il teatro degli orrori allestito durante la guerra civile in Bosnia ed Erzegovina nella prima metà degli anni ‘90, di cui Dzemil è uno dei sopravvissuti, è magistralmente raccontato dal docufilm Sniper Alley – To My Brother (2024), presentato per la prima volta a livello nazionale nella serata di sabato 29 novembre presso lo Spazio Comunale Piazza Forcella a Napoli, in occasione del XVII Festival del Cinema dei Diritti Umani partenopeo. Il lungometraggio, insignito del prestigioso premio per il miglior documentario al Glocal DOC 2025 di Varese, nasce proprio dal progetto di Hodzic “Sniper Alley Photo”, il quale si propone, grazie alle fotografie scattate da importanti reporter di guerra, di tenere viva la memoria della crudeltà quotidiana sperimentata dai cittadini di Sarajevo durante l’Assedio perpetuato dalle forze armate serbo-bosniache tra il 1992 e il 1996. Un quadriennio di sofferenza atroce per il popolo bosniaco musulmano, il cui bilancio è di oltre 11mila vittime, di cui 1.601 bambini. Era uno di questi ultimi Amel Hodzic, fratello maggiore di Dzemil, assassinato all’età di 16 anni da un cecchino la mattina del 3 maggio 1995. Il progetto del lungometraggio è dedicato a lui e a tutto il popolo bosniaco, di cui vuole essere celebrato lo spirito indomito dimostrato nel superare i traumi lasciati da quella ferita che rappresenta la guerra civile, come spiegato dai registi della pellicola Cristiana Lucia Grilli e Francesco Toscani, presenti alla prima insieme a Dzemil. A completare la cornice anche volti autorevoli come Mario Boccia, fotoreporter e autore delle immagini originali inserite nel film, e Nicole Corritore, giornalista di Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, introdotti alla platea da Maurizio del Bufalo, coordinatore del Festival del Cinema dei Diritti Umani. Per ospitare l’evento non esisteva luogo migliore dello Spazio Comunale di Piazza Forcella, la cui sala principale è intitolata ad Annalisa Durante come fortemente desiderato dal padre Giannino. Le vite di Amel e di Annalisa, uccisa nel marzo 2004 da un proiettile ballerino esploso durante un agguato a un boss locale, trovano il loro epilogo per lo stesso motivo, se ce n’è uno: essere lì, trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Le loro morti amaramente contingenti ci ricordano che il dolore, che esso sia prodotto da una faida criminale o da una guerra civile, non possiede etnia, religione o bandiere. Annalisa e Amel sovrappongono le coordinate di Napoli e Sarajevo, avvicinando spiritualmente due luoghi geograficamente distanti ma accomunati da una storia gloriosa avvelenata dai loro uomini, ambiguità difficile da tollerare persino da coloro che hanno ricevuto i natali da queste città. Un sentimento evocato nella pellicola dallo stesso Dzemil, il quale, come racconta, spesso è tornato a visitare la collina su cui era appostato il cecchino che ha sparato al fratello, non riuscendo quindi a godere della bellezza, ora macchiata, della vista della città. Parole che certamente risuoneranno condivisibili da ogni cittadino partenopeo. “Sniper Alley – To My Brother” fa le veci di tutti quei bambini che hanno imparato a temere uno sparo d’arma da fuoco prima dello scoppio di un palloncino e parla a coloro che, persino da adulti, non hanno mai conosciuto e probabilmente conosceranno un fardello tale. Le immagini dell’Assedio di Sarajevo offrono la possibilità di essere maggiormente consapevoli della crudeltà scritta in una pagina estremamente buia della storia europea, rimossa con fin troppa facilità dalla nostra memoria collettiva. Le voci dei protagonisti mantengono fervido il ricordo dell’accaduto per i posteri e si inseriscono in un messaggio di speranza, unico strumento per costruire un futuro in cui la vita prevale sulla morte, rivolto a chiunque abbia visto l’orrore della guerra con i propri occhi. A tal proposito è fondamentale sottolineare l’aderenza ai tempi correnti delle tematiche trattate nel docufilm, come spiega Maurizio Del Bufalo. “Il richiamo esercitato dal massacro dei bambini di Gaza non può non richiamare alla mente la crudeltà di Srebrenica o il disumano impegno dei cecchini di Sarajevo a cui, oggi lo sappiamo con certezza, si accompagnò la caccia all’uomo alimentata anche da gruppi di assassini italiani. Sono storie di crimini che dimostrano quanto i genocidi siano la strategia preferita di tutte le guerre moderne e che nasconderne l’esistenza o rifiutarne le definizioni serve solo ad alimentare orribili complicità”. Le più che mai attuali parole del direttore Del Bufalo, che cita con prontezza non solo il parallelismo tra l’Assedio di Sarajevo e il disastro a Gaza ma anche la follia dei cosiddetti “cecchini del weekend” (vedasi la recente indagine della Procura di Milano riguardo il famigerato Safari di Sarajevo), accendono un faro sulla banalità del male che si palesa nella cornice bellica e sulla crudeltà dell’operato di quelli che si potrebbe troppo facilmente definire mostri, quando si tratta in realtà uomini normali che, tanto in guerra quanto nel quotidiano, si macchiano di gesta mostruose. Redazione Napoli
Josip Pejaković, gigante del teatro bosniaco, si spegne a Sarajevo
Il mondo artistico della Bosnia Erzegovina e del resto d’Europa piange la scomparsa di uno dei suoi più grandi talenti: Josip Pejaković. Attore, scrittore, drammaturgo e figura emblematica della cultura balcanica, si è spento a Sarajevo all’età di 78 anni la notte tra il 18 e il 19 luglio 2025. Autentico monumento vivente del teatro, lascia un’opera colossale, segnata dall’impegno e da un profondo umanesimo. Nato il 5 marzo 1948 a Travnik, antica capitale dell’Eyalet di Bosnia (Eyālet-i Bōsnâ) tra il 1699 e il 1850, nonché città natale anche del Premio Nobel Ivo Andrić, celebre a livello mondiale per il romanzo “Il ponte sulla Drina”, Pejaković vi compie gli studi primari e secondari e gli esordi musicali come cantante del gruppo rock locale “Veziri”, prima di orientarsi definitivamente verso il mondo del teatro. Si diploma presso l’Accademia di Arte Drammatica di Sarajevo, dove ha l’opportunità di formarsi con l’attrice Katarina Kaća Dorić e con il celebre regista e sceneggiatore Josip Lešić, per debuttare in breve tempo in scena dando corpo e voce a opere impegnative del calibro delle “Tre sorelle” (Три сестры) di Anton Čechov e “Concerto in un uovo” di Fernando Arrabal. La sua voce profonda e la potente presenza scenica conquistano rapidamente il pubblico di ogni età. Pejaković fu anche una voce critica sin dall’inizio dei conflitti nei Balcani. Membro del comitato editoriale della rivista progressista Novi Plamen, contribuì alla sua crescita quale spazio di dibattito politico, sociale e culturale nell’area post-jugoslava, che sopravvive oggi in formato esclusivamente digitale. Dal 1970 al 2013 è attore stabile del Teatro Nazionale di Sarajevo, il teatro più grande della Bosnia Erzegovina e una delle più importanti istituzioni culturali dell’Europa sudorientale, dove interpreta oltre 50 ruoli principali. Lo si ricorda in grandi classici come “Per chi suona la campana”, “Hasanaginica”, “Re Lear”, “Predstava Hamleta u selu Mrduša Donja (La rappresentazione dell’Amleto nel villaggio di Merduscia di sotto)”, “I fratelli Karamazov” e “Carne selvaggia”. La sua longevità artistica, la sua disciplina e il suo carisma lo hanno reso un punto di riferimento imprescindibile per il teatro bosniaco e, più in generale, per tutta la scena dell’ex Jugoslavia. Josip Pejaković, oltre a essere stato un grande attore e stimato intellettuale, è stato anche autore di numerosi monologhi teatrali intensi e impegnati, tra i quali è importante ricordare “Kako bolan nema Bosne”, “On meni nema Bosne”, “Oj živote”, “O, izbjeglice”, “Država i papci” e “Ućerivanje”. Le sue opere sono state rappresentate in tutta la ex Jugoslavia e affrontano senza filtri i drammi della guerra, dell’esilio, dell’identità e della memoria collettiva attraverso un linguaggio in grado di unire umorismo nero, dolcezza e ribellione. Nel corso di oltre cinquant’anni di carriera, Pejaković è stato insignito di innumerevoli premi e riconoscimenti, sia in patria sia all’estero. Già nel 1974 ricevette la Medaglia d’oro al Festival di Zemun per “Oj živote” (Oh vita) e il premio “6 Aprile” della Città di Sarajevo (Šestoaprilska nagrada grada Sarajeva). Nel 1977 ricevette il prestigioso “Premio Sterija” per il ruolo di Omer Pasha Latas, il generale serbo naturalizzato turco ottomano dalla Croazia nel XIX secolo, al quale fecero seguito numerosi riconoscimenti alla carriera. Ottenne anche diversi premi dell’Associazione degli artisti figurativi della Bosnia Erzegovina, tra cui l’Anello di Tmača nel 2008 per il suo ruolo in “Lungo viaggio verso la notte (Long Day’s Journey into Night)” e, nel 2012, il premio “Argento di Muci” per la sua interpretazione in “Predstava Hamleta u selu Mrduša Donja (La rappresentazione dell’Amleto nel villaggio di Merduscia di sotto)” di Ivo Brešan ispirata all’opera di William Shakespeare. Nel 2018 riceve uno dei più alti riconoscimenti del teatro bosniaco: la “Zlatni lovorov vijenac” (Corona d’alloro dorata) del Festival Internazionale del Teatro MESS di Sarajevo, fondato nel 1960 da Jurislav Korjenić e inizialmente consacrato al teatro sperimentale, che ne celebra la “carriera impressionante, il contributo straordinario al teatro, e l’impegno incrollabile contro la guerra e il nazionalismo”. Parallelamente alla carriera teatrale, Pejaković partecipa anche a film e serie televisive di grande impatto come “Silent Gunpowder (Gluvi barut)” di Bahrudin Čengić (1990), “Il cerchio perfetto (Savršeni krug)” di Ademir Kenović (1997), e “All for Free (Sve džaba)” di Antonio Nuić (2006), confermando anche nel cinema il suo talento versatile. Artista dalla rara poliedricità, è stato anche regista teatrale presso il Teatro Nazionale di Sarajevo tra il 2001 e il 2003. Nel 2021 è stato nominato membro onorario dell’Accademia Bosniaco-Americana delle Arti e delle Scienze. La sua passione e comprensione profonda della cultura bosniaca lo portano a scrivere un volume dedicato alla “Sevdalinka” pubblicato da Art Rabic nel maggio 2022, nel quale difende il canto urbano, doloroso e poetico, nato dall’incontro tra le tradizioni slave e ottomane che hanno prodotto il genere musicale popolare conosciuto anche come “sevdah”. Insieme al musicista Antonije Pušić (artisticamente noto con il nome di Rambo Amadeus), nel 2022 aveva proposto la candidatura della sevdalinka quale patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO, riconoscimento che è stato effettivamente ottenuto nel dicembre 2024. La pratica della sevdalinka è oggi trasmessa in famiglia, nelle scuole, nei conservatori e nei laboratori musicali, rappresentando un potente elemento identitario e di coesione per le diverse comunità del Paese, a prescindere dalle origini etniche o culturali. In questo rappresenta un’ideale eredità di Josip Pejaković e del suo impegno culturale di ampia visione, un artista amato da tutte le generazioni, al di là delle appartenenze e delle divisioni. La sua opera, attraverso le molteplici interpretazioni e i testi prodotti, offre uno specchio critico della società e un canto d’amore ferito per una terra tormentata, dove la cultura non è mai stata chiusa in un cassetto nemmeno sotto le bombe e l’assedio. Nonostante il drastico peggioramento delle condizioni di salute, Pejaković è rimasto attivo fino alla fine dei suoi giorni. Negli ultimi dieci anni ha subito ben 17 interventi chirurgici, ma non ha mai smesso di scrivere, esibirsi o di difendere la cultura bosniaca attraverso la partecipazione a conferenze e incontri pubblici. All’inizio del mese di marzo 2024, per esempio, si era recato a Bruxelles per numerosi incontri istituzionali e due spettacoli in occasione della Festa dell’Indipendenza della Bosnia Erzegovina, il 2 e 3 marzo, presso il centro culturale MIR.   Anna Lodeserto