
Repressione e insulti a scuola verso un attivista dell’Osservatorio contro la militarizzazione
Pressenza - Saturday, November 22, 2025Quando due anni fa in una scuola del litorale romano un docente-attivista dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università girò per i corridoi incuriosendo soprattutto gli/le student3, lo slogan portato dal “docente-sandwich” era: «Fuori i militari dalla scuola, non farti fregare: anche dietro una scrivania sarai sempre un militare». In quell’occasione riuscimmo ad evitare l’assurdo incontro cosiddetto di orientamento che avrebbe visto entrare in azione con tutta la loro potenza di fuoco gli artiglieri di Bracciano.
Bisogna però sempre mantenere alta l’attenzione per gli interventi meno appariscenti, ma direttamente riconducibili alla mobilitazione contro la cosiddetta e attualissima “guerra ibrida”. Tali interventi vengono giustificati dalla presenza di questa guerra impalpabile a suon di algoritmi o di articoli tendenziosi volti a contrastare le fake-news del “nemico” di turno, oggi la Russia e la Cina, domani chissà; poggiano anche sul contrasto al cyberbullismo, come se il bullismo fosse un fenomeno in cui la rete e i social sono presentati come il fulcro del problema, il medium che diventa il messaggio.
Su questo aspetto il 17 novembre 2025, in occasione della discussione in seno all’ultima riunione del Consiglio Supremo di Sicurezza (clicca qui per l’articolo) sulle strategie per il contrasto alla guerra ibrida il ministro Crosetto ha proposto una task-force dedicata di 5mila unità. Passati due anni sempre nella stessa scuola, pochi giorni fa, una pantera della Polizia di Stato parcheggiata davanti all’ingresso segnalava la presenza di agenti di PS all’interno.
Due poliziotti in divisa e armati, infatti, parlavano di bullismo e cyber-bullismo, due vecchi cavalli da battaglia (è il caso di dirlo!) che da anni infestano le menti de3 nostri ragazz3, che in mancanza di una formazione adeguata da parte di psicologi, sociologi, responsabili di case di accoglienza o studiosi del fenomeno, in una fase per definizione fragile, possono essere attratti più dalla figura rassicurante in divisa, con pistola nella fondina che da quella dello/a psicologo/a. Tutto ciò senza contare il percorso di vittimizzazione secondaria fatta di udienze nei tribunali, colloqui con testimoni, poliziotti/e avvocati, lo “sbatti il mostro in prima pagina” dei mass-media che sguazzano in questo brodo di cultura panpenalista e repressivo.
Forte di questo retroterra di studi e di impegno sincero in vista di una smilitarizzazione almeno dei processi di apprendimento, l’attivista entra per andare a salutare e chiedere al collega che aveva portato la propria classe davanti ai poliziotti se non ci fossero proprio alternative alla figura impropria di un poliziotto che parla di questi temi. La domanda però non ha raggiunto il destinatario, ma è stata rivolta in extremis a tutta la platea e ai due poliziotti, perché il responsabile del progetto di cosiddetto “orientamento” lo ha immediatamente apostrofato in pubblico con un “Sei un imbecille, questo è il MIO progetto!”
In una situazione di sano conflitto e di sana dialettica, la situazione si sarebbe raffreddata velocemente, ma forse la presenza dei poliziotti ha dato coraggio al collega violento che urlava come un ossesso davanti gli studenti e alle studentesse.
I poliziotti sono quindi intervenuti nel solo modo che conoscono, anche a “casa” d’altri, dove solo la preside avrebbe titolo a intervenire, ovvero col solito braccio intorno alla spalla del docente contrario alla loro presenza, con una leggera pressione in direzione della porta, a mo’ di semplice avvertimento di stampo paternalistico. Il docente si allontana, ma inaspettatamente si affaccia dalla finestra al piano terra e tra le risate festose di tutta la giovane platea, lancia un messaggio incentrato sul rispetto della persona e contemporaneamente di un collega insegnante come lui, nella stessa scuola: “Comunque imbecille non si dice!”.
Questo semplice episodio di disobbedienza civile nonviolenta forse un risultato lo ha ottenuto: una sorta di dissonanza cognitiva in tutta la platea presente, tutta avvolta da un clima silenzioso di apparente concentrazione, complice la presenza delle divise armate, il loro tono paternalistico ed assertivo dei due relatori e i docenti in piedi in stile panopticon.
L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università più volte ha stigmatizzato queste presenze inopportune, soprattutto in un momento storico come quello attuale, ma oltre al concetto di dissonanza cognitiva applicato all’attivismo sul campo, questo esempio ci riporta dritti dritti al concetto ormai storico di McLuhan, secondo cui il medium è il messaggio: prossemica[1], tono della voce, setting dell’aula, modalità comunicative in un andirivieni di toni, ora paternalistici, ora seduttivi, ora assertivi e autoritari, si adattano alla perfezione a gran parte di questi interventi quando si è avuto modo di assistere come osservatori non partecipanti.
Gli strumenti, quindi, ci sono anche dal punto di vista didattico e delle tecniche di comunicazione. Basta solo tenere gli occhi aperti e provare un pizzico di voglia di sperimentarsi sul campo!
[1] La scienza che studia lo spazio o le distanze come fatto comunicativo; lo studio, cioè, sul piano psicologico, dei possibili significati delle distanze materiali che l’uomo tende a interporre tra sé e gli altri.
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università