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Manifestazione contro la fabbrica RWM: oltre 120 persone dicono di no all’industria delle armi
Venerdì primo agosto intorno alle sette di sera si è tenuta la manifestazione pacifista organizzata dalla Confederazione Sindacale Sarda, Assotziu Consumadoris Sardigna, Sardegna Pulita e Donneambientesardegna fuori dai cancelli della fabbrica di armi RWM di Domusnovas. Le organizzazioni pacifiste si sono espresse ancora una volta contro la produzione di armi e l’esportazione ai paesi coinvolti nei principali scenari bellici internazionali. L’evento è stato coordinato da Angelo Cremone, presidente di Sardegna Pulita, che oltre ad aver moderato gli interventi prestabiliti del segretario generale della Confederazione Sindacale Sarda Giacomo Meloni e del parroco della Parrocchia santissima Immacolata di Iglesias don Roberto Sciolla e altri attivisti intervenuti nel corso della manifestazione, ha offerto un’accorata e coinvolgente interpretazione canora, insieme a Lidia Frailis presidente dell’associazione Donneambientesardegna, incentrata su brani che affrontano temi significativi legati ai diritti umani. All’iniziativa, alla quale hanno aderito 32 associazioni e diversi esponenti della Chiesa cattolica locale, hanno preso parte oltre 120 partecipanti che sono rimasti fino al termine, intorno alle nove di sera. Di seguito l’elenco delle associazioni e dei sacerdoti aderenti: Confederazione Sindacale Sarda, Sardegna Pulita, Donneambientesardegna, Assotziu Consumadoris Sardegna, Asarp, Liberi agricoltori e pastori Sardegna, Ufficio Studi Giovanni Maria Angioy della CSS, Comitato per la riconversione della RWM Italia, Emergency, Warfree- liberu dae sa gherra, Sardigna pro s’Europa, Sa Defenza, Centro di ascolto e comunità Madonna del Rosario di don Angelo Pittau, Comunità La Collina di Don Ettore Cannavera, Comitato a difesa del territorio No Tyrrhenian Link, ISDE Sardegna, Amici Pax Christi, Presidio permanente del popolo Sardo, comunità S’Aspru di padre Salvatore Morittu, Bentu de libertadi di Cagliari, CEC- comitato ecologico consapevole, Circolo popolo della famiglia Sardegna, ANPI provinciale Cagliari, Cascom impresas de Sardigna, Associazione costituente per Sassari, Ultima Generazione, Il Crogiuolo, Casa Emmaus, Cobas Scuola Cagliari, Theandric Teatro, Rossomori de Sardigna, Monsignor Mosè Marcia Vescovo emerito della Diocesi di Nuoro, don Roberto Sciolla, parroco della Parrocchia Santissima Immacolata di Iglesias, Monsignor Angelo Pittau, don Ettore Cannavera, don Guido Rossandich, padre Morittu. Enrico Sanna
Milano, presidio a piazza Duomo. Un incontro inquietante
  Da quando è iniziato, il 16 giugno scorso, vado quando posso all’azione per Gaza che sta compiendo un gruppo di cittadini e cittadine, in silenzio, per un’ora, a Milano in piazza Duomo, dalle 18.30 alle 19.30. (milano-continua-il-presidio-quotidiano-in-piazza-duomo) Domenica 27 giugno sono al mio posto, cartello al collo, bandiera in mano. Mi si avvicina un ragazzo molto giovane, mi dirà poi che ha 17 anni e fa la quarta superiore. Mi dice che viene da una città emiliana (anche se non ha alcun accento) e che il suo cognome è ebreo. Si è svolto tra noi un fitto dialogo di oltre trenta minuti. Ma più che un dialogo, direi un ping pong di domande. Vediamo com’è andata. Si avvicina e con grande garbo mi chiede se può farmi qualche domanda, certo, rispondo. Inizierà con una raffica di domande. Tanto che dopo alcune gli dico: “Facciamo così, una domanda per uno” È d’accordo.  Le sue prime domande vertono su: “Ma se venisse attaccata la sua città…” “Ma se Milano attaccasse Monza…” “Ma se …” Io rispondo con calma, è chiaro che mi vuole portare sul terreno per cui è giusto e legittimo difendersi con le armi. Cerco di portarlo su un terreno più realistico e sul fatto che ogni situazione sia specifica, non vi siano risposte assolute, ma che sicuramente, tendenzialmente, non sarei per prendere le armi, oggetti che non ho mai toccato in vita mia, e vorrei che mio figlio non lo facesse, anzi nessuno al mondo e che, a questo, si unisse la chiusura delle fabbriche di armi. Cerco di spostare il piano del discorso sulle ingiustizie crescenti nel mondo, sulle dinamiche oppresso-oppressore, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sui ricchi sempre più ricchi e una popolazione che impoverisce, sul diritto di viaggiare nel mondo e sul non diritto a fare questo… Lui mi chiede se sono di destra o di sinistra. È una domanda che sopporto poco, sono sempre più stufo di etichette che lasciano il tempo che trovano, comunque, insiste e gli dico che sicuramente sono “storicamente” vicino alla sinistra. Cerco di declinare questo però: ovvero, da che parte sto nei conflitti, nelle lotte.  Mi chiede quindi cosa ne pensi del reddito di cittadinanza, gli dico che non è stata una battaglia che ho portato avanti, anzi, ma che credo molto di più nella riduzione di orario di lavoro drastica, per tutti e tutte, a parità di salario e comunque per una radicale redistribuzione della ricchezza. Mi dice subito: “Ma è la destra che è contro il reddito di cittadinanza? E allora come la mettiamo?” Dico che non è certo l’unica proposta del cosiddetto centro-sinistra che non condivido. Gli racconto che insegno italiano agli stranieri e che, cosa che forse molti non sanno, tanti di loro lavorano in nero in decine di ristoranti o bar vicini alla piazza dove ci troviamo. Lavorano anche 60 ore alla settimana, sottopagati. Gli chiedo se sa quanto si paga di affitto per una stanza a Milano. Mi risponde che lui sa che un monolocale o al massimo bilocale a Milano può costare anche 200mila euro. Gli chiedo: “Sì, ma un affitto?” Mi risponde: “Non lo so, io un appartamento lo comprerei, mi sembra buttar via i soldi con un affitto”. Certo gli dico: il problema è avere una bella base di soldi per comprarlo e tutte le condizioni per avere un mutuo. Lui dice: “I soldi si guadagnano, se uno ha bisogno lavora di più.” Gli dico che, se lavorano già 60 ore, come può pensare che abbiano la forza per fare un secondo lavoro? Lui mi dice che guadagnare soldi non è difficile, lui ha guadagnato ultimamente 50mila euro. Non approfondisco su come abbia fatto, ma, fosse anche vero, dubito che i miei studenti abbiano gli strumenti (criptovalute, investimenti, finanzia…) per guadagnare dei soldi così in fretta… sarebbero stupidi o masochisti a lavorare per pochi euro all’ora. Ma vabbè, andiamo avanti. Fra una domanda e l’altra gli ricordo che, se lui ha 17 anni io ne ho 60 e forse della vita ho visto qualcosa di più (mi rendo conto che è una frase da vecchio trombone), ma gli dico anche che lui mi dà l’impressione di due cose: essere “dentro” molto vecchio, ed essere parecchio presuntuoso. Glielo dico sorridendo, ma lo penso davvero. Mi chiede se so in che percentuale siano gli stranieri nelle carceri italiane: certo che lo so, vi ho lavorato dentro, ma so soprattutto quale è la percentuale di poveri e ricchi, e di uomini e donne. Mi chiede cosa ne pensi di Vannacci e poi nomina Berlusconi… Non so più cosa dirgli, comincio ad essere stufo… Parentesi importante: lui è stato per tutto il tempo con il medesimo tono, come una macchina, con lo sguardo fisso nei miei occhi, senza la minima espressione del volto, tanto meno un sorriso (tanto che quando gli scappa, rido e glielo faccio notare!). Quando guardo altrove, parlando, mi chiede perché non lo guardi negli occhi, “Non sono degno di ricevere il suo sguardo?” Gli dico che sinceramente guardo dove credo, io ho accettato di ricevere delle domande, e rispondo, ma posso guardare dove credo, anche per capire chi si muove nella piazza, cosa succede nel frattempo. Tra l’altro la persona di noi vicina a me, mi fa presente che è bene che lui non stia di fronte a me, ma di lato, in modo che il mio cartello si veda.  Mi dà per tutto il tempo del lei, in modo molto formale. Quando in un paio di occasioni, dico “Cazzo”, mi chiede di non usare questo tipo di termini. Sorrido. Tra le cose che dico c’è anche questa: “Credo che un’autocritica che possiamo farci è quella di sapere troppo poco di guerre e massacri che succedono altrove, sappiamo troppo poco di Sudan, Congo, per esempio. Di Gaza sappiamo moltissimo, ma è anche indubbio che quello che sta avvenendo lì abbia un significato e delle modalità che avranno ricadute a livello mondiale, su tutti noi. Ma -ripeto e lo credo- dovremmo sapere molto di più di quello che succede, soprattutto in Africa”. Nel nostro dialogo la questione palestinese è sempre sullo sfondo, tanto che ad un certo punto gli dico: “Guarda, se fossi vissuto 80 anni fa sarei stato (spero) dalla parte degli ebrei, di coloro che erano perseguitati, come rom e omosessuali e oppositori politici, tanto che in un campo di concentramento avrei potuto finirci anch’io. Ma aggiungo una cosa: se tra 80 anni fossi ancora vivo e un presunto governo di uno stato palestinese si comportasse come oggi si comporta il governo di Israele, sarei dalla parte degli oppressi e sarei durissimo con le azioni di quel governo palestinese”.  Ma torniamo al botta e risposta con il nostro giovane, ad un certo punto vado al sodo: “Ma tu saresti capace di sparare a dei bambini?” E qui basta l’attacco della sua risposta: “Se…” non riesco a sentire cosa dice dopo. Si fa molta fatica a dialogare con qualcuno con queste posizioni. Dentro di me vorrei piangere, sono inorridito, turbato… Non so se ricordo di aver mai parlato con qualcuno che sostenesse una possibilità di questo genere in vita mia. È un’esperienza nuova, qualcosa che non avrei mai voluto sentire da qualcuno davanti a me, così giovane poi… Ha sicuramente più futuro e vita lui, davanti, rispetto a me. Mi chiede se non credo che sia meglio guadagnare tanti soldi per poi usarli per le cause in cui si crede. Gli dico che, se vi  avessi dedicato tutto il tempo impegnato in lotte e volontariato, sarei pieno di soldi, ma soprattutto che non credo in una formula del genere. La giustizia, la conquista dei diritti, è un percorso collettivo, così deve essere, non è calata dall’alto. Le persone devono partecipare collettivamente, insieme, prendere coscienza, partecipare, crescere. Solo così i risultati “tengono”. Così si cambia la realtà, si modificano realmente le condizioni di vita, i rapporti di forza. Gli elenco le forme di lotta in cui credo, gli dico che non ho mai fatto parte di un partito e, a dir la verità, neanche di un sindacato. Gli dico che lotto da quando ero un ragazzo. Cerco di farlo. Alla fine, gli dico che io sarei perché tutti i soldati disertassero e lasciassero fare le guerre a chi le decide, da soli, che sono per l’abolizione di eserciti, fabbriche di armi e confini. Forse faccio l’errore di dirgli che, se proprio devo avvicinarmi ad un pensiero, sono vicino a quello anarchico, libertario. Apriti cielo, parte con una raffica di domande, stile interrogazione di liceo, (o forse interrogatorio) su quanto so sulla storia dell’anarchia, l’etimologia, le origini, le correnti, etc… Alla fine credo che raggiunga l’obiettivo: stanco, non rispondo ad una sua domanda. Perfetto, è soddisfatto, ringrazia, saluta, ci diamo la mano e dice che deve andar a prendere il treno (sarà vero? Boh…). Rimango a pensare parecchio a questo incontro. Mi ricorda quando ventenne all’università statale c’erano quelli che sulla porta di ingresso stavano lì e cercavano di fermarti per parlare, non ricordo se erano di Battaglia comunista, spartachisti, quarta internazionale… Fermarsi rischiava di essere uno stillicidio. Confesso che credo di essermi fermato un paio di volte, poi li salutavo cordialmente, ma tiravo dritto. In sostanza: questo giovane dava l’impressione di essere preparatissimo e formato nel cercare e sostenere questo tipo di dialoghi (ripeto, non so se un dialogo è fatto solo di domande, con tono inquisitorio). Comunque, il suo volto, il suo atteggiamento sembrava proprio studiato. In fondo, penso, un atteggiamento del genere, per quanto massimamente educato (nella forma), nella sostanza trasmette una grande aggressività, assomiglia di più ad interrogatorio, un cercare in tutti i modi di “far cadere” l’avversario. Una partita a scacchi, ma con del sadismo, molto nello sguardo, perché si vuole piegare chi si ha di fronte.  Anche questo incontro fa parte del nostro essere in piazza Duomo, ma, mi dico anche: in queste nuove generazioni c’è una discreta fetta che avanza e che punta (se non c’è già arrivata) a quell’egemonia culturale che prima pendeva dall’altra parte della bilancia. Rimane il fatto culminante: un giovane di 17 anni non esclude che sia giusto e necessario uccidere dei bambini.  Non c’è dubbio che il nostro essere in piazza comporta una fatica fisica, intellettuale ma anche, a volte, soprattutto emotiva. Coraggio e andiamo avanti. Andrea De Lotto
E’ su PeerTube il video della Local march for Gaza
E’ on line il video realizzato da Alberto Conte sulla Local March for Gaza Un’esperienza di lotta nonviolenta per il cessate il fuoco a Gaza, per la libertà per i palestinesi e, quindi, per il genere umano. Partiti da Oropa (BI) per il primo cammino che ha portato almeno 160 persone dai monti a valle per dire che dobbiamo “restare umani”, passo dopo passo disporsi all’ascolto dell’altro e rigettare la violenza in ogni sua forma. Cosa c’è di più non violento del camminare? Scrivo su Pressenza, tra i promotori della Marcia mondiale per la pace e la nonviolenza, ma si può citare la Perugia – Assisi , o, addirittura, le marce da Selma a Montgomery Le Local march prendono ispirazione da tutto ciò e dalla Global March to Gaza, declinandola sui territori e usando come mezzo il cammino. A proposito di mezzi… si sa che per i nonviolenti il fine non giustifica affatto i mezzi, come sostiene ogni buon manuale di politica da Macchiavelli in poi. E allora il video è caricato su una piattaforma libera. Si chiama PeerTube PeerTube non profila, non ruba i tuoi dati, non è governata da algoritmi opachi e moderazioni oscure. E, soprattutto, non veicola camapgne di disinformazione a favore del governo d’Israele e del genocidio dei palestinesi. Quindi : Viva PeerTube, Viva le marce, Viva la nonviolenza, Viva la libertà e buona visione di Ettore Macchieraldo     Ettore Macchieraldo
Fiaccolata contro il business delle armi davanti alla fabbrica di bombe di Domusnovas/Iglesias
Pubblichiamo il comunicato stampa sulla manifestazione odierna che si svolgerà davanti alla fabbrica di armi RWM di Domusnovas/Iglesias, diffuso dalle associazioni organizzatrici dell’evento. APPELLO PER LA PACE E IL DISARMO –  Fiaccolata contro il business delle armi Venerdì 1° agosto 2025, ore 19:00, davanti alla fabbrica di bombe RWM di Domusnovas/Iglesias Appello alla Giunta Regionale, ai Decisori politici, ai Sindaci, ai Sindacati, ai Vescovi della Sardegna e ai Rappresentanti di tutte le Religioni, a tutti i Movimenti e Associazioni che lottano contro il riarmo e hanno a cuore la Pace. Appello ai giovani, alle lavoratrici e lavoratori, alle associazioni imprenditoriali di categoria, alle donne e agli uomini di buona volontà. Noi, donne e uomini della Confederazione Sindacale Sarda (CSS), di Sardegna Pulita, di DonneAmbienteSardegna, di Assotziu Consumadoris de Sardigna, di Medicina Democratica, dell’Ufficio Studi G. Maria Angioy, di Liberi Agricoltura Sardegna e di CASCOM-Impresas de Sardigna, dinanzi alla grave situazione di pericolo nella quale è precipitato il Mondo dilaniato da ben 56 guerre senza fine; dinanzi all’insensata e sanguinosa guerra in Ucraina, al genocidio del Popolo Palestinese, all’occupazione delle terre di Cisgiordania, ai continui e incessanti bombardamenti sui civili inermi, sulle donne, sui bambini e sugli anziani; Facciamo appello alla sensibilità delle parti in conflitto e ai Potenti della Terra perché cessi immediatamente questa carneficina, causata dalle guerre che mai potranno portare la Pace. La corsa folle al riarmo, il ricorso alla produzione di armi sempre più sofisticate e potenti spingono gli Stati e i Governi a più odio, a strage di innocenti e distruzione. La Sardegna da Isola di Pace da – la cui Capitale Cagliari è insignita di medaglia d’oro al valore civile per le tragiche morti e distruzioni del 1943, causati dai bombardamenti degli alleati anglo-americani – è diventata la base per massicce esercitazioni di tutti gli eserciti del mondo, che sperimentano sui nostri territori moderne strategie di guerra, testando nuovi ordigni ed armi tecnologicamente più avanzate e potenti. La Sardegna ha nel suo territorio ben 4 poligoni (basi militari) e una Scuola per l’addestramento dei piloti nazionali ed internazionali sui cacciabombardieri F-35. Noi Sardi denunciamo che nel nostro territorio, a pochi passi dalle nostre case, a Domusnovas/Iglesias vi è la fabbrica di bombe e di ordigni mortali RWM/RHEINMENTALL/ITALIA, per la quale da anni si chiede con determinazione che venga riconvertita ad usi civili. L’alternativa a queste lavorazioni di morte è possibile, e c’è! Facciamo Appello perché la Giunta Regionale, i Decisori politici e i Sindaci dei Comuni del Sulcis/Iglesiente mettano in atto piani di sviluppo del territorio per garantire posti di lavoro alternativi alla costruzione di ordigni di morte. Ciò è possibile se c’è la volontà politica, e se prevale l’unità e l’impegno per la pace ed il disarmo. Per questo motivo stiamo organizzando una grande fiaccolata, alla quale vi invitiamo a partecipare, davanti ai cancelli della fabbrica di bombe RWM di Domusnovas, VENERDÌ 1 AGOSTO 2025  alle ore 19:00. Un’iniziativa senza simboli partitici, ma solo dei movimenti partecipanti con le bandiere della pace. La serata sarà accompagnata da momenti di riflessione, letture di brani, poesie e preghiere, canzoni e musica. Gli organizzatori   Redazione Sardigna
Dichiarazione sulle atrocità in escalation a Gaza e in Cisgiordania – Questo è genocidio
In quanto movimento binazionale di palestinesi e israeliani impegnati nella nonviolenza e nell’uguaglianza, Combatants for Peace rilascia questa dichiarazione urgente alla luce della crescente crisi umanitaria e politica a Gaza e in Cisgiordania: In risposta alla continua politica di carestia a Gaza e all’accelerazione della pulizia etnica delle comunità palestinesi in Cisgiordania, siamo costretti a parlare chiaramente: questo è un genocidio e deve essere fermato. Non usiamo questa parola alla leggera. Come sottolineato nel recente rapporto di B’Tselem, ” Il nostro genocidio “, ciò a cui stiamo assistendo non è semplicemente un fallimento nel proteggere la vita dei civili, ma la sua deliberata distruzione, autorizzata dallo Stato. A Gaza, più di 60.000 persone sono state uccise, tra cui migliaia di bambini. Famiglie muoiono di fame e interi quartieri sono stati ridotti in macerie. Israele ha sistematicamente e deliberatamente distrutto oltre il 70% degli edifici di Gaza, danneggiato o distrutto il 94% degli ospedali e spazzato via l’89% delle scuole. Gli aiuti sono ostacolati, l’acqua è tagliata e i civili vengono colpiti mentre cercano di raggiungere il cibo. Non si tratta di un disastro naturale: è una scelta politica deliberata volta a distruggere le condizioni di vita dei civili. In Cisgiordania le restrizioni alla circolazione sono peggiorate drasticamente, con posti di blocco che si moltiplicano, strade chiuse senza preavviso e interi villaggi tagliati fuori da ospedali, scuole e mercati, il tutto mentre intere comunità rurali palestinesi vengono sfollate da coloni armati e unità militari che lavorano in tandem. Nella Valle del Giordano, sulle colline a sud di Hebron e nei distretti settentrionali, case sono state incendiate, fonti d’acqua avvelenate, bestiame ucciso e persone costrette a fuggire. Proprio ieri sera, Awdah Hathaleen, un noto e amato attivista della comunità di Umm al-Khair, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in un altro attacco omicida da parte di coloni. Settimane prima, Sayfollah Musallet è stato picchiato a morte nel villaggio di Sinjil mentre difendeva la terra della sua famiglia dall’invasione dei coloni. Questi non sono atti isolati. Fanno parte di una strategia chiara e documentata per allontanare i palestinesi dalla loro terra: ciò che il diritto internazionale riconosce come pulizia etnica. Riconosciamo anche il dolore e l’angoscia delle famiglie israeliane i cui cari rimangono tenuti in ostaggio a Gaza. Questi ostaggi devono essere restituiti illesi ora o, se necessario, devono ricevere una degna sepoltura. La loro immensa sofferenza non può essere ignorata. Ma non può nemmeno giustificare la fame e l’uccisione di massa di un’intera popolazione civile. Allo stesso tempo, migliaia di prigionieri politici palestinesi rimangono imprigionati nelle carceri israeliane, in condizioni disumane e degradanti. Molti hanno sopportato anni senza processo, in isolamento o senza accesso alla giustizia. Il loro rilascio deve essere parte di qualsiasi risoluzione politica giusta e duratura. Qualsiasi percorso significativo verso la pace deve affrontare l’intera portata delle violazioni dei diritti umani in questo conflitto, tra cui l’uso sistematico di detenzioni illegali e punizioni collettive contro i palestinesi, e il trauma, l’insicurezza e la persecuzione dei civili subiti dagli israeliani. La giustizia deve essere estesa a tutti coloro che vivono qui, senza eccezioni. Come palestinesi e israeliani che hanno scelto di percorrere la via della nonviolenza, anche in tempo di guerra, invitiamo tutte le persone di coscienza, all’interno e all’esterno delle nostre società, a parlare apertamente. Ad agire. A rifiutare la complicità e a respingere le menzogne che ci dicono che non c’è altra via. Restiamo impegnati per la pace, la nonviolenza e gli uni verso gli altri. Questo impegno affonda le sue radici nella convinzione che l’occupazione debba finire e che la giustizia non sia un sogno, ma un’esigenza. Solo allora potremo iniziare a riparare ciò che è stato distrutto e a costruire il futuro che sappiamo essere possibile: un futuro in cui palestinesi e israeliani vivano in libertà e uguaglianza, guidati da un impegno condiviso per la nonviolenza e l’umanità. In solidarietà e speranza, Combattenti per la pace.   Traduzione in italiano di Daniela Bezzi per Pressenza Italia Combatants for Peace
L’Emilia-Romagna per Gaza
Come in molte altre parti d’Italia, domenica 27 luglio 2025 in Emilia-Romagna si sono svolte diverse iniziative, grandi e piccole, a sostegno della popolazione di Gaza, nell’ambito della campagna nazionale intitolata “Gaza muore di fame: disertiamo il silenzio”. Ve ne segnaliamo alcune di cui abbiamo avuto notizia. Bologna: Il Comune ha aderito alla campagna e in Piazza Lucio Dalla, alle ore 22, si è tenuta l’azione artistica “Esercitazione d’immedesimazione” di Alessandro Bergonzoni, con una sirena antiaerea per richiamare l’attenzione sui conflitti in atto. Si è anche ascoltata la testimonianza di Giorgio Monti, medico di Emergency a Gaza. Il sindaco Matteo Lepore e l’assessore alla pace Daniele Ara hanno invitato i cittadini a “fare rumore nelle piazze, sui balconi e alle finestre” per far sentire la propria vicinanza alla popolazione palestinese. RAI news ha realizzato un accurato servizio con interviste (https://www.rainews.it/tgr/emiliaromagna/video/2025/07/gaza-sirena-protesta-guerra-israele-bologna-f2bef813-0ba4-41cc-8370-c083ca192cb5.html ). Questo gesto si è unito a una precedente dichiarazione congiunta del cardinale Matteo Maria Zuppi (Presidente della CEI) e del presidente della Comunità ebraica di Bologna, Daniele De Paz, che chiede pace a Gaza e la fine delle morti di innocenti (vedi Pressenza.com). Anche alcune parrocchie bolognesi e vari gruppi hanno realizzato altre iniziative analoghe nella città e nella provincia. Faenza e Forlì: le campane di molte chiese delle Diocesi di Faenza e di Forlì hanno suonato alle 22 per chiedere la fine del conflitto a Gaza, su invito dei due vescovi locali. Manifestazioni pubbliche nei due centri cittadini.(vedi Youtube e Facebook) Parma: In Piazza Garibaldi si è svolta una manifestazione di “rumore” per “disertare il silenzio” sulla situazione a Gaza, nell’ambito della stessa campagna nazionale. Nella provincia analoghe iniziative in molte cittadine.(Servizio tv su TV Parma https://www.12tvparma.it/puntata/tg-parma-edizione-del-28-07-2025-ore-1245/ al minuto 7,26) Piacenza Si è registrata un’ampia mobilitazione laica e religiosa. Europe for Peace Piacenza ha rilanciato l’appello a “fare rumore” alle 22, invitando a suonare fischietti, battere pentole e fare il maggior rumore possibile in piazze, sulle spiagge, sui balconi e sui social. Le campane della Cattedrale di Piacenza e di altre chiese in provincia (come Fiorenzuola, Gragnano, Ziano Piacentino, Veleia, San Michele, Rustigazzo, Cerignale) hanno suonato, mentre alla moschea del centro islamico della Caorsana a Piacenza hanno suonato i clacson delle auto. https://www.piacenzasera.it/2025/07/una-serata-di-rumore-laico-e-religioso-in-tutta-la-provincia-fermare-la-strage-di-gaza/604177/ Altre manifestazioni a Ravenna https://www.facebook.com/share/p/15BVLRm9X7/, a Reggio Emilia e provincia, a Ferrara e altre provincie. L’obiettivo comune di queste iniziative era quello di rompere il silenzio sulla situazione a Gaza, e di chiedere ai governi nazionali e all’Unione Europea di agire per fermare il massacro. Redazione Bologna
Quando l’arte genera la pace. Un concorso artistico culturale
Riceviamo e pubblichiamo dall’associazione Papa Giovanni XXIII INNESCHI – QUANDO L’ARTE GENERA LA PACE. Concorso artistico culturale L’innesco avvia un processo, una reazione che a catena può generare cambiamento. E’ con questo spirito che promuoviamo il Concorso Artistico Culturale “INNESCHI – Quando l’arte genera la pace” in occasione del 50esimo anniversario dell’Obiezione di Coscienza nella Comunità Papa Giovanni XXIII. Per molti e molte, la scelta di obiettare al servizio militare e quella di partecipare al servizio civile, è stata una svolta nella propria vita, un’esperienza che ha innescato processi di scelta e di cambiamento, volti a dedicare la propria vita alla costruzione della pace e alla difesa dei diritti dei più fragili. Ci rivolgiamo ad artisti ed artiste, fotografi e fotografe, illustratori ed illustratrici, videomaker, per professione o per passione, con l’obiettivo di stimolare, valorizzare e diffondere espressioni artistiche che raccontino il rifiuto della violenza e della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, la promozione di forme di difesa civile non armata e nonviolenta e la partecipazione attiva dei civili in azioni di costruzione della pace. Il concorso vuole dare voce, attraverso diversi linguaggi, a vissuti, riflessioni e proposte di cittadine e cittadini, attivisti/e, giovani, obiettori di coscienza, operatori ed operatrici in Servizio Civile, volontari/e, favorendo la contaminazione di idee e l’attivazione dal basso. La partecipazione è gratuita e la scadenza per inviare le proprie opere è GIOVEDì 30 OTTOBRE 2025 3 CATEGORIE: FOTOGRAFIA, VISUAL COMMUNICATION E VIDEOMAKING Il concorso “INNESCHI – Quando l’arte genera la pace” prevede tre categorie espressive. Si può partecipare come singoli o in gruppo Le fotografie dovranno rappresentare, con linguaggio visivo, forme, colori, episodi, luoghi, soggetti, situazioni, esperienze, testimonianze o simboli legati a: • gesti di impegno per la costruzione di una pace attiva • obiezione di coscienza al servizio militare • forme di disarmo e nonviolenza attiva • esperienze di incontro con la diversità • solidarietà e prossimità con le vittime dei conflitti Le illustrazioni dovranno comunicare visivamente valori, concetti e azioni legati alla scelta della nonviolenza attiva come strumento di intervento e trasformazione dei conflitti, al servizio civile, all’obiezione di coscienza, al disarmo e all’impegno civico, al rifiuto della guerra e della violenza, attraverso un linguaggio creativo, accessibile e immediato, anche simbolico. Il video dovrà promuovere il Servizio Civile Universale come scelta concreta di impegno per la pace, la nonviolenza e la solidarietà, ispirando e informando giovani e cittadine/i sul valore del Servizio Civile come forma di difesa civile non armata e nonviolenta e sulle sue caratteristiche, mettendo in luce esperienze significative, storie personali, scenari di impegno sociale e i valori che lo animano. Finalità principali dello spot: • Fare conoscere l’esperienza di Servizio Civile Universale e sensibilizzare giovani e cittadinanza sui relativi valori; • Promuovere l’adesione al prossimo bando di Servizio Civile Universale GIURIA, CRITERI DI VALUTAZIONE E RICONOSCIMENTI Il soggetto promotore istituirà una Giuria composta da esperti sul tema della Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta, rappresentanti Istituzionali, un/a fotografo/a professionista, un/a videomaker professionista ed un/a grafico/a professionista. Verranno valutati l’originalità dell’opera, la coerenza con i temi proposti, la qualità tecnica del prodotto realizzato, l’impatto ed efficacia di titolo e descrizione, la capacità comunicativa e la completezza ed adeguatezza del materiale richiesto. I primi e le prime classificati/e in ciascuna categoria riceveranno un riconoscimento del valore di 350 € , mentre i secondi e le seconde classificati/e riceveranno un abbonamento di un anno alla rivista Internazionale. Ma non è finita qui! Per info: ufficiostampa@apg23.org Redazione Italia
Saluto a Goffredo Fofi
Qual è la possibile eredità di Goffredo Fofi? Per lui, la realtà può essere divisa in due parti: coloro che accettano e coloro che non accettano il mondo così come è. […] La forma della resistenza oggi è la disobbedienza civile: “Non si deve accettare il mondo così com’è. Da venerdì 11 luglio 2022 Goffredo Fofi vive nella compresenza. Questo discorso pronunciato sabato 18 luglio è il saluto che le amiche e gli amici della nonviolenza, riuniti contro l’atomica, tutte le guerre e tutti i terrorismi per la 177° settimana a Torino, in piazza Carignano, rivolgono al grande disobbediente. Il funerale di Fofi, a cui ho partecipato personalmente e per il Centro studi Piero Gobetti, insieme a Enzo Ferrara, Presidente del Centro Studi e Documentazione Domenico Sereno Regis, è stato un non-funerale, una cerimonia che non è stata una cerimonia, un’anticerimonia che si è svolta sabato dalle 11 alle 16 a Roma alla piccola Chiesa valdese. La Chiesa in cui ci siamo riuniti ha più o meno le dimensioni del nostro cerchio, non di più. All’ingresso della Chiesa c’era un registro dove visitatori e visitatrici mettevano le firme, in fondo alla sala rettangolare il feretro, alcuni fiori, non tanti, e una bellissima grande fotografia di lui con il bastone, quasi una terza gamba che negli ultimi tempi lo sorreggeva e lo sosteneva nel suo ininterrotto cammino di tessitore e di costruttore. La Chiesa valdese di Roma può contenere meno di un centinaio di persone, ce n’erano alcune centinaia, e poi nella strada adiacente alcune migliaia. Il suo popolo, il popolo di “Linea d’ombra”, de “Lo Straniero”, di “Dove sta Zazà”, de “Gli Asini”. Un piccolo movimento che si è ritrovato intorno a questo maestro non-maestro. Il modo in cui Fofi è stato raccontato dai grandi giornali, il “Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “La Stampa”, è stato sorprendente, perché e stata la prima volta che Fofi è entrato nelle prime pagine culturali dei giornali nazionali. Ci è entrato dopo, quando non c’era più, solo in occasione della sua morte. Il suo ricordo è stato prevalentemente nella forma del “coccodrillo” che si riserva alle grandi personalità, come è accaduto sui grandi quotidiani, ma anche in modo partecipe e significativo: su “Avvenire”, su “il manifesto e su tanti post che sono usciti. Chi ha colto e restituito il senso della sua vita è stato Mauro Biani che su “la Repubblica” gli ha dedicato la vignetta di domenica 13 luglio 2025. Su uno sfondo rosso, un Goffredo sereno con il bastone reclinato ci ammonisce a: “Leggere, scrivere, disobbedire”. Con questo spirito a Roma Fofi, secondo i suoi desideri, è stato ricordato in silenzio.  Una cosa straordinaria, in questo mondo veloce, in cui tutto si accavalla e non c’è mai tempo per nulla. In pochi minuti Piergiorgio Giacché ha detto quello che noi presenti avevamo nel cuore: “Il suo mestiere era creare relazioni. Era un viandante instancabile che ci metteva insieme anche quando non lo sapevamo, noi fermi e lui sempre in movimento. Ci passava in rivista e quando ti maltrattava sapevi che ti voleva bene. La sua competenza era critica ed etica, due termini che non sono più di moda”. Dopo i brevi interventi iniziali, è iniziato un silenzio indeterminato, di cui non era stata indicata la durata, che si è sciolto naturalmente quasi dopo un’ora e mezza, quando a poco a poco le persone hanno creato dei piccoli capannelli per parlare dell’amico e chiedersi, commossi, smarriti e più soli, in che modo mantenerne viva la lezione. Concludo su questo. Qual è la possibile eredità di Goffredo Fofi? Per lui, la realtà può essere divisa in due parti: coloro che accettano e coloro che non accettano il mondo così come è. Questa grande distinzione gli arrivava dal maestro dei maestri della nonviolenza in Italia: Aldo Capitini. Chissà quante volte egli avrà letto e riletto, proposto e riproposto questo brano da Religione aperta: “Quando incontro una persona o anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell’essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi come una fiamma. Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così come è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola. Che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà così fatta non merita di durare. È una realtà provvisoria, insufficiente, ed io mi apro a una sua trasformazione profonda, a una sua liberazione dal male nelle forme del peccato, del dolore, della morte. Questa è l’apertura religiosa fondamentale, e così alle persone, gli esseri umani che incontro, resto unito intimamente per sempre qualunque cosa loro accada, in una compresenza intima, di cui fanno parte anche i morti”[1]. Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto. Una realtà così fatta non merita di durare. Questa è la sua lezione. Se la Resistenza storica che ci ha liberato dal fascismo e dal nazismo è stata un gigantesco fenomeno di disobbedienza civile in nome di ideali superiori come libertà, eguaglianza, giustizia, fratellanza dei popoli, ebbene la forma della resistenza oggi è la disobbedienza civile: “Non si deve accettare il mondo così com’è”[2]. [1] A. Capitini, Religione aperta (1955), nuova edizione con prefazione di G. Fofi, introduzione e cura di M. Martini, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 79. [2] G. Fofi, Elogio della disobbedienza civile, Nottetempo, Roma 2015. Pietro Polito
La legge del più forte?
Assistiamo sempre più a eventi dove il Diritto Internazionale risulta sempre più bistrattato e calpestato nella lettera e nella sostanza. Gli ultimi esempi contro le Nazioni Unite, l’attacco a Francesca Albanese, il sequestro in acque internazionali degli aiuti umanitari della Freedom Flottilla sono solo la deriva e gli ultimi episodi di una situazione dove i potenti dicono con chiarezza e spregiudicatezza: “vale la legge del più forte”. E’ una condizione in cui ci vogliono far sentire impotenti tale è la disparità tra le potenze militari ed economiche messe in campo e l’azione del comune cittadino, ma anche del singolo movimento o partito e, perfino, del singolo stato o istituzione internazionale. Sono chiari alcuni temi che diciamo da tempo con la Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza: serve una riforma democratica e partecipativa dell’ONU, servono Consigli di Sicurezza tematici che abbiamo potere reale sui governi e che riconquistino autorevolezza e capacità di regolare i conflitti internazionali. Ma avvertiamo anche l’esigenza di mediatori. Dove sono finiti i mediatori che caratterizzarono alcune risoluzioni di conflitti nella seconda metà del secolo scorso? Se per negoziare sui dazi con Trump dobbiamo affidarci alla Meloni e per portare a un tavolo di trattative Putin speriamo in Erdogan significa che siamo messi abbastanza male. Il mondo è decisamente in crisi e la crisi fa nascere cose che credevamo appartenessero al passato e fossero risolte. La nonviolenza insegna che le cose sono risolte quando sono accettate, comprese e superate; si tratta di un processo lungo e complesso, non è sempre un processo lineare perché la mente è abbastanza brava ad ingannare sé stessa. Questo processo non riguarda solo le persone ma anche gli insiemi umani, le società. La verità è che non stiamo riflettendo sulla violenza. La legge del più forte torna qui ben presente come possibile risoluzione dei conflitti; sta qui ed è prima del Codice di Ammurabi, prima del Diritto Latino, prima del Common Law, prima della Magna Charta, molto prima della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ma se torniamo a quel prima per quale motivo abbiamo costruito le Leggi, il Diritto Internazionale, l’ONU e l’idea di una civile convivenza tra i popoli? L’Umanità da tempo ha elaborato forme più intelligenti e morali di risoluzione dei conflitti. Lo ha fatto fin dai tempi antichi, tra i popoli e le culture che hanno praticato la compassione, la solidarietà, l’Ubuntu, la Regola d’Oro. Se torniamo alla legge del più forte cancelliamo tutto il processo evolutivo: che senso avrebbe la Legge, lo Stato, la Giustizia, la Democrazie, la Convivenza se in ultima analisi chi ha la forza (economica, militare, politica) decide nonostante tutto? Pat Patfoort suggerisce che la risoluzione di un conflitto debba avvalersi di una ricerca sui fondamenti su cui quel conflitto è basato, cioè sulle questioni fondanti, culturali, esperenziali di quel conflitto, sulle credenze che alimentano quel conflitto. Alcune amiche dei Combattenti per la Pace mi dicevano tempo fa che la comune esperienza che riscontrano nei loro lavori di CNV con israeliani e palestinesi è la paura; e la loro sensazione è che sia la paura il principale sentimento che giustifica la violenza. Però al tempo stesso la paura può essere l’elemento comune che porta queste due martoriate società a convivere. Così come il lutto di aver perso un parente stretto è il legame, il fondamento, delle esperienze di riconciliazione di Parent Circle. Perché un’altra verità ci dice che la legge del più forte può sembrare efficace ma anche chi la esercita sa, nel profondo del suo cuore, che non è la soluzione giusta. Quindi in questo momento storico è della massima importanza comprendere l’incompleta evoluzione storica verso la giustizia, verso la valorizzazione di ogni singolo essere umano; incompleta ma profondamente necessaria. E questa necessità comporta un’azione esterna verso la verità, la giustizia, la riconciliazione, la nonviolenza e una contemporanea azione interna, per ognuno di noi per riconoscere, comprendere, accettare e trasformare tutta la violenza, tutto il pre-giudizio che è dentro di noi e fuori di noi. Olivier Turquet
Proposta urgente di mail bombing per Handala
La notte tra il 26 e col 27 luglio, in acque internazionali la nave umanitaria Handala della Freedom Flottiglia, è stata fermata dalle forze armate israeliane. Ricordiamo la presenza sulla nave del nostro compagno, amico e attivista dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Antonio Mazzeo arrestato stanotte insieme agli altri attivisti. Ci appelliamo a tutte e tutti invitandovi a: su questo sito Newscord.org inserendo pochi dati e aspettando qualche secondo, parte un mail bombing a tutti gli organi pertinenti, per il rilascio dei volontari della Handala con questo testo: Alla cortese attenzione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, e per conoscenza all’Ambasciata d’Italia in Israele, Mi rivolgo a voi in qualità di cittadino/cittadina italiana profondamente preoccupato/a per quanto accaduto in queste ore alla nave umanitaria Handala, fermata in acque internazionali da forze armate israeliane (IDF), che sono salite a bordo con le armi, intimidendo e presumibilmente trattenendo civili a bordo impegnati in una missione pacifica e di solidarietà verso la popolazione di Gaza. Si tratta di una grave violazione del diritto internazionale, del diritto alla libera navigazione in acque internazionali e dei diritti umani fondamentali delle persone coinvolte. Chiedo al Ministero di: • Attivarsi immediatamente per verificare le condizioni dell’equipaggio e dei passeggeri a bordo, • Pretendere il rilascio immediato e incondizionato di tutte le persone detenute, • Condannare pubblicamente l’atto compiuto da parte dell’IDF, incompatibile con i principi del diritto internazionale e umanitario. L’Italia non può tacere davanti a un atto di forza contro una missione civile e pacifica. Vi chiediamo di agire con la massima urgenza e trasparenza. Facciamo pressione perché Antonio e l’equipaggio vengano liberati! Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università