
In Grecia viene previsto il carcere per i richiedenti asilo in rigetto
Progetto Melting Pot Europa - Wednesday, October 22, 2025I vertici del governo non usano mezzi termini: fine alla filoxenia in favore della xenofobia
Un tempo le istituzioni greche vantavano il proprio sentimento di ospitalità, filoxenίa, pubblicamente rivendicato come caratteristica nazionale. La xenia però «è ben lontana dall’immagine dolce e amabile» 1 che veniva rivendicata come “buona pratica” e oggi le istituzioni ci mostrano solo quello che c’è all’estremo opposto: Xenofobia.
Il 3 settembre 2025 il Parlamento greco ha approvato la Legge 5226/2025 «Riforma del quadro e delle procedure per i cittadini di paesi terzi» 2, già presentata nel maggio 2025, con misure finalizzate ad un consistente inasprimento delle politiche migratorie del paese.
Sotto l’egida del partito di destra Nuova Democrazia (ND) e inserita nel quadro di una più ampia strategia del governo Mitsotakis per accelerare i rimpatri e disincentivare soggiorni irregolari, la nuova norma di legge prevede l’utilizzo della detenzione come strumento di deterrenza per contrastare la permanenza sul territorio, trasformando in criminali le persone che vengono rigettate dal sistema d’asilo europeo.
Grecia, sospensione dell’asilo e nuova riforma razzista del governo Mitsotakis
Atene anticipa la linea più dura del Patto UE
Redazione
14 Agosto 2025
La legge si inserisce in un contesto di progressivo deterioramento dei diritti delle persone in movimento: a luglio il governo aveva già deciso di sospendere per tre mesi tutte le domande dei richiedenti asilo provenienti dal Nord Africa, annullando completamente quanto sancito dall’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea.
Thanos Plevris 3 (il nuovo ministro dell’Immigrazione da giugno 2025) sta attuando indisturbato la sua agenda politica, apertamente dichiarata in molteplici occasioni. Già nel 2011 durante un evento pubblico aveva annunciato:
«Non c’è protezione di frontiera senza morti».
Nel suo discorso in Parlamento, in occasione dell’approvazione della nuova legge, Plevris si era inoltre vantato del programma politico in atto:
«Lo dico con grande orgoglio: sono felice di essere un ministro di questo governo che criminalizza la residenza illegale nel paese» e rivolgendosi ai rifugiati con una diretta minaccia aveva asserito:
«Se la tua domanda di asilo viene respinta, hai due opzioni. O finisci in prigione o torni in patria. Lo stato greco non ti accetta. Non sei tollerato perché sei entrato illegalmente. Hai una sola scelta: tornare. Non siete i benvenuti»3.
Le parole e le azioni istituzionali e legislative del governo greco perdono oggi ogni riferimento a quell’ospitalità, i sentimenti di filoxenίa si sono trasformati in αφιλοξενία (a- filoxenίa), assenza di ospitalità e, naturalizzando la paura dell’altro 4 in ostilità e pura xenofobia, che mostra tutta la sua forza in questa legga razzista.
Chi è Thanos Plevris
Ministro della Migrazione dal 28 giugno 2025, è noto per posizioni estremiste e dichiarazioni apertamente razziste. Celebre, e inquietante, la frase: «La sicurezza delle frontiere non può esistere senza vittime, per essere chiari, se non ci sono morti». La sua nomina segna la continuità e, per certi versi, la radicalizzazione della linea di Voridis

I punti salienti di una norma “volto” del razzismo istituzionale:
Le sue parole si trasformano in fatti tramite la nuova riforma dell’asilo che comprende un intero pacchetto di misure criminalizzanti, improntate alla lesione dei diritti:
- in relazione alla partenza volontaria:
- il termine per la partenza volontaria (nonché per la sua proroga) è ridotto da 25 a 14 giorni; ciò significa che un richiedente asilo respinto dalla procedura ha solo due settimane di tempo per lasciare il paese.
- imposizione della sorveglianza elettronica come misura restrittiva durante i 14 giorni fino alla partenza volontaria: i richiedenti asilo respinti possono essere monitorati tramite etichette elettroniche alla caviglia, per essere immediatamente arrestati allo scadere del termine concesso in caso di inottemperanza.
- In relazione al divieto di ingresso nel paese:
- Per la prima volta, la legge stabilisce un divieto d’ingresso per le persone classificate come “minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza”, dettame che può essere interpretato in modo ampio e applicato arbitrariamente.
- I nuovi arrivati senza documenti validi saranno trattenuti in strutture chiuse. Tale detenzione amministrativa, estesa da 18 a un massimo di 24 mesi, oltrepassa di gran lunga il limite imposto dalle direttive europee.
- La durata del divieto d’ingresso da 5 a 10 anni può essere ulteriormente prorogata di altri 5 anni, limitando la possibilità di presentare successive domande di protezione internazionale.
- Penalizzazione del soggiorno illegale dopo il completamento del procedimento amministrativo:
- Chi a seguito di un rigetto rimane “illegalmente” in Grecia, è passibile di reclusione da due a cinque anni senza condizionale e a multe che vanno da €5.000 fino a €10.000 per rientro illegale. L’unica possibilità di sospensione della pena è rappresentata dalla partenza.
- Abolizione del permesso di soggiorno per chi vive illegalmente nel Paese oltre sette anni: le persone senza documenti non potranno più ricevere lo status legale dopo sette anni di permanenza in Grecia; in pratica, ciò significa che possono essere arrestati in qualsiasi momento come “migranti illegali”.
Questi attacchi normativi colpiscono direttamente la maggioranza dei rifugiati dal momento che, in Grecia, è sempre più difficile ottenere l’accesso all’asilo e una procedura adeguata di valutazione.
Secondo i dati dell’Agenzia Europea per l’Asilo, il tasso di riconoscimento nell’UE è sceso al 25%, il livello più basso mai registrato. Per quanto riguarda la Grecia non ci sono stime specifiche ma è molto probabile che la percentuale sia ancora più bassa.
Gli effetti criminalizzanti e le contraddizioni legislative:
La legge, che ha come obiettivo l’amplificazione della politica securitaria a scapito di quella umanitaria, rientra all’interno di un generale programma volto alla criminalizzazione della migrazione. Il panorama in cui si inserisce tale scenario è quello della Crimmigration, termine coniato nel 2006 dalla studiosa statunitense Juliet Stumpf 5, in cui l’intersezione tra diritto penale (“criminal law”) e diritto dell’immigrazione (“immigration law”), porta le due sfere normative ad una progressiva fusione.
Il sistema del diritto penale viene quindi distorto e applicato con un preciso obiettivo: trasformare un diritto penale del fatto, che criminalizza il comportamento reo, in uno d’autore, che criminalizza il soggetto in quanto tale, ovvero la persona migrante.
La responsabilità penale, che dovrebbe essere personale e in funzione del reato compiuto, diventa collettiva e tesa a colpire “lo straniero massa” irregolarizzato e dunque criminalizzato. In relazione a questa nuova legge, la pena detentiva (strumento del diritto penale) viene mutuata in favore del diritto amministrativo, per ovviare all’incapacità di procedere coi rimpatri e perseguire la volontà di espulsione dei richiedenti asilo “non meritevoli”.
Lo strumento penale della detenzione si trasforma in “minaccia della detenzione”, un banale espediente di deterrenza nei confronti di coloro che intendono rimanere sul territorio. Il diritto amministrativo dell’immigrazione approfitta così degli strumenti del penale per favorire gli interessi politici, dimenticando però, intenzionalmente, di importare anche le garanzie previste e andando a ledere i diritti fondamentali.
La norma che prevede la possibilità di utilizzare la cavigliera di sorveglianza elettronica presenta carattere di incostituzionalità nella limitazione della libertà personale dell’individuo che, secondo l’articolo 5 della costituzione 6 e l’articolo 5 della CEDU 7 è inviolabile se non «nei casi e nei modi previsti dalla legge».
Il divieto di ingresso per le persone classificate come “minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza” è lesivo del diritto d’asilo sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 – di cui la Grecia è firmataria – che concede ad ogni persona tale diritto.
La richiesta d’asilo deve essere accolta ed esaminata individualmente sulla base dei rischi che il richiedente può subire in caso di reingresso nel paese d’origine, e non sulla base di una valutazione approssimativa di ordine pubblico.
Nel caso in cui ci siano fondati motivi per ritenere che la persona possa essere una minaccia alla sicurezza dello stato, deve essere attuato un bilanciamento che tenga in considerazione il rischio di reingresso nel paese d’origine in tutela dei diritti fondamentali, come il diritto alla vita e a non subire trattamenti inumani e degradanti.
Nell’ipotesi di un effettivo rischio di danno grave e nell’impossibilità di concedere la protezione internazionale in relazione al motivo ostativo di minaccia all’ordine pubblico, deve essere prevista una forma residuale di protezione.
Allungare a 24 mesi il termine massimo di detenzione nei centri per il rimpatrio, è in contrasto con la Direttiva Rimpatri dell’Unione Europea (2008/115/CE) che all’Articolo 15, paragrafo 5 e 6 prevede:
Art. 15(5): Il trattenimento è di regola il più breve possibile e non può superare 6 mesi.
Art. 15(6): Gli Stati membri possono prolungare il periodo di trattenimento per un massimo di 12 mesi supplementari (quindi fino a 18 mesi totali) solo se:
- la cooperazione del cittadino di paese terzo per il rimpatrio è insufficiente, oppure
- vi sono ritardi nell’ottenimento dei documenti dai paesi terzi.
La durata massima prevista è dunque di 18 mesi dal momento che, ricordando alcuni principi fondamentali, il trattenimento non è una pena, ma una misura amministrativa.
Il trattenimento deve essere quindi giustificato e proporzionato, e usato esclusivamente nei casi in cui il rimpatrio non possa essere garantito con misure meno coercitive (Art. 15(1)). Attualmente la legge prevede un utilizzo massiccio e improprio del trattenimento, limitando la libertà individuale oltre ogni garanzia procedurale.
Allo stesso modo, predisporre la pena detentiva trasformando in reato l’inottemperanza all’ordine di allentamento dal territorio dello stato risulta essere un escamotage non nuovo, su cui anni fa si era già espressa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea quando nel 2002, con la legge Bossi Fini, in Italia erano state introdotte nuove fattispecie di reato, ampliando le condotte penali imputabili allo straniero.
Tra queste, all’articolo 14, comma 5-ter del TUI (Testo Unico sull’Immigrazione), la mancata ottemperanza all’ordine del questore di allontanamento dallo stato diventava punibile con l’arresto da 6 mesi a 1 anno.
L’intervento della Corte costituzionale aveva sancito l’incostituzionalità di una misura cautelare a seguito di un reato contravvenzionale (sentenza 15 luglio 2004, n.223), cosa che aveva portato il legislatore a trasformare l’illecito contravvenzionale in illecito delittuoso, rendendo possibile la misura cautelare e alzando la pena da 1 a 4 anni.
Nel 2011 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, pronunciandosi 8 sul caso El Dridi, sancisce l’inapplicabilità di questa norma: la pena detentiva non rispetta il principio dell’effettivo utile nell’applicazione della Direttiva Rimpatri contrastando il suo fine ultimo, per l’appunto il rimpatrio.
Il legislatore italiano ha quindi provveduto, pur con riluttanza, all’adeguamento della norma al richiamo della Corte, punendo la violazione dell’ordine di allontanamento con una multa da 10.000 a 20.000 euro, una cifra a carattere simbolico, talmente alta da risultare ridicola.
La nuova legge greca che criminalizza lo stesso atteggiamento apre le medesime problematiche: prevedendo la pena detentiva (da 2 fino a 5 anni, quindi per un periodo addirittura superiore a quello previsto dall’ex-legge italiana) si pone in contrasto con la Direttiva Rimpatri; sarebbe logico aspettarsi dunque un ulteriore intervento della CGEU in tal senso.
Inoltre, la multa di almeno €5.000 e fino a €10.000 in caso di reingresso illegale si presenta con uguale ineffettuabilità, quasi come una forma di scherno. Pagare queste somme, com’anche la previsione di lasciare il territorio con partenza volontaria in sole due settimane sono misure concretamente non poco realizzabili, risultando efficaci solo dal punto di vista propagandistico. Evidente sembra essere la refrattarietà dei legislatori europei a seguire le indicazioni normative, nazionali e internazionali, relative al diritto all’immigrazione.
Sicuramente quello che risulta ancor più aberrante, è che, ad oggi, le direttive europee si stanno muovendo in senso sempre meno garantistico, prevedendo un uso più massiccio di strumenti lesivi del diritto d’asilo come il trattenimento e la valutazione delle domande in procedura accelerata.
Questo porta a riflettere sulla volontà effettiva delle istituzione europee di intervenire in contrasto a questa normativa greca, che per quanto corrode in due direzioni diverse e quasi contrastanti la direttiva rimpatri e il diritto d’asilo, sembra in linea con gli ultimi indirizzi che gli Stati Europei stanno prendendo.
Riconoscere la criminalizzazione propagandistica e difendere i diritti delle persone in movimento:
La legge greca rappresenta un passo ulteriore verso il processo di normalizzazione della violenza giuridica contro le persone migranti, un paradigma in cui la privazione della libertà diventa strumento di governo e deterrenza.
In questa prospettiva, la detenzione amministrativa e la criminalizzazione del soggiorno non rispondono a esigenze di giustizia o di sicurezza, ma a una logica di esclusione strutturale che ridefinisce la figura del migrante come soggetto “pericoloso” per il solo fatto di esistere fuori dai confini della cittadinanza.
È difficile immaginare un intervento correttivo da parte delle istituzioni europee, poiché la deriva greca appare ormai coerente con l’indirizzo generale dell’Unione: un’Europa che parla sempre più di “gestione delle frontiere” e sempre meno di protezione e diritti.
Di fronte a questo scenario, diventa necessario riaffermare il principio per cui la libertà personale, la tutela dalla detenzione arbitraria e il diritto d’asilo non sono concessioni politiche ma diritti fondamentali, che nessuna strategia securitaria può alienare. Contrastare la crimmigration significa, oggi, difendere la stessa idea di diritto in Europa.
- Dupont, F. (2013). L’Antiquité, territoire des écarts (entretiens avec Pauline Colonna d’Istria et Sylvie Taussig). Parigi: Albin Michel ↩︎
- Legge 5226/2025 – Criminalizzazione dell’ingresso e del soggiorno illegali nel paese – Riforma del quadro di restituzione (in greco) ↩︎
- Greek government appoints right-wing extremist Athanasios Plevris as health minister ↩︎
- Verena Stolke in “Talking culture. New boundaries, new retoric of exclusion in Europe” (1995) parla di un nuovo razzismo che definisce «fondamentalismo culturale», basato su una naturalizzazione della xenofobia e quindi della paura dell’altro.
Mentre Douglas Holmes in “Integral Europe. Fast Capitalism, Multiculturalism, Neofascism.”
(2000), parla di integralismo da cui emerge la xenofobia come strategia di elusione dell’insicurezza sociale ↩︎ - Juliet Stumpf,“The Crimmigration Crisis: Immigrants, Crime, and Sovereign Power”, American University Law Review, vol. 56, 2006, pp. 367-419
↩︎ - La Costituzione greca ↩︎
- Corte europea dei diritti dell’uomo. Guida all’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ↩︎
- Sentenza della Corte di Giustizia Europea C-61/11/PPU del 28 aprile 2011 ↩︎