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Procedura accelerata inapplicabile senza fonti affidabili sulla designazione dei Paesi sicuri
Un interessante provvedimento cautelare emesso dal Tribunale Civile di Roma nei confronti di un cittadino tunisino nell’ambito di una procedura c.d. accelerata. Il Tribunale nell’accogliere l’istanza di sospensione del diniego di protezione internazionale ha puntualizzato come, a seguito della recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 1 agosto 2025, Cause riunite C-758/24 [Alace] e C-759/24 [Canpelli]) gli Stati membri siano tenuti, in forza dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, “ad adattare il loro diritto nazionale in un modo tale da garantire un accesso sufficiente e adeguato alle fonti di informazione sulle quali essi si sono basati per designare i Paesi di origine sicuri. Questo accesso deve consentire a un richiedente protezione internazionale originario di un tale Paese, e al giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione concernente la domanda di protezione internazionale, di prendere utilmente conoscenza di dette fonti di informazioni (par. 87 sentenza CGUE cit.)” . Il D.L. 158/2024 è privo dell’indicazione di tali fonti e pertanto non può ritenersi legittimamente applicabile la procedura accelerata (“e debba applicarsi la procedura ordinaria per l’esame della domanda di protezione internazionale”) in assenza dei presupposti indicati dalla Corte. Una lista dei paesi sicuri seppur astrattamente legittima deve essere ancorata a delle fonti affidabili debitamente indicate, anche per evitare che tali liste siano predisposte indicando arbitrariamente i paesi con il maggiore flusso migratorio anziché quelli con le condizioni politiche-sociali ed ambientali più stabili. Tribunale di Roma, provvedimento del 22 agosto 2025 Si ringrazia l’Avv. Marco Galdieri per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative alla cd. procedura accelerata
12 e 13 settembre: «Da Tripoli a Ginevra 2»
“UNHCR = UNFAIR!”, “IOM = NASTY!”: con questi slogan Refugees in Libya annuncia due nuove giornate di mobilitazione a Ginevra, il 12 e 13 settembre 2025, contro le «violazioni dei diritti umani» da parte delle principali agenzie internazionali coinvolte nella gestione delle migrazioni. Venerdì 12 settembre, alle 11, davanti alla sede dell’UNHCR in Rue de Montbrillant 94, è prevista una conferenza stampa con la presentazione del “Book of Shame”, che raccoglie «dozzine di denunce e accuse da parte di rifugiati e migranti in Libia, Tunisia e Niger». Secondo gli organizzatori, «anziché adempiere al proprio mandato di protezione, l’UNHCR sta proteggendo le frontiere europee ed è diventato uno strumento delle politiche di esternalizzazione». Per il collettivo si tratta di un ritorno a Ginevra, dopo la due giorni del 9 e 10 dicembre 2022 – in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani – che era stata promossa per denunciare l’operato dell’Agenzia dell’ONU. In questo nuovo appuntamento nella città svizzera, il giorno successivo, sabato 13 settembre, la manifestazione partirà alle 14 dalla sede dell’IOM, in Route des Morillons 17. Al centro delle accuse verso l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni sono le pratiche di “ritorno volontario”, considerate una forma di pressione e ricatto: «In Libia conosciamo da molti anni il loro concetto di ricatto – affermano gli attivisti -. Persone detenute e tenute in condizioni insopportabili ricevono come unica proposta quella di tornare nel Paese di origine. In Tunisia abbiamo visto lo stesso sistema, accanto a sgomberi e attacchi contro insediamenti informali». La protesta attraverserà la città, passando anche davanti alla sede delle agenzie governative, con interventi e testimonianze di rifugiati che hanno raggiunto l’Europa. «Non sono disposti a dimenticare le proprie ferite, né i compagni che ancora soffrono in Libia, Tunisia o Niger», sottolineano. Nel comunicato di lancio della due giorni viene denunciata anche l’apertura di un nuovo grande campo per richiedenti asilo a Ginevra, descritto come «una semi-prigione tra la pista dell’aeroporto e un’autostrada, dove le persone sono trattenute per mesi». L’iniziativa fa parte della “chain of action 2025”, una catena di azioni transnazionali che ricorda il decennale dell’estate delle migrazioni del 2015 e rilancia la lotta per la libertà di movimento e i diritti per tutte e tutti.
Non proroga del trattenimento: libero il cittadino del Congo trattenuto tra il CPR di Gjadër in Albania e il CPR di Bari – Palese
Il cittadino del Congo rientrava dal CPR di Gjadër in Albania in quanto la Corte di Appello di Roma non convalidava il decreto di trattenimento del Questore di Roma. La Questura di Roma appena rientrato in Italia, però, disponeva un nuovo trattenimento questa volta ex art. 14 TUIMM e lo inviava per la convalida presso il CPR di Bari – Palese. Il trattenuto manifestava la volontà di chiedere nuovamente protezione dinnanzi al Giudice di Pace di Bari che convalidava il trattenimento ex art. 14 D.Lgs. n. 268 /98. Avendo chiesto protezione internazionale la Questura di Bari chiedeva alla Corte di Appello di Bari di convalidare il decreto di trattenimento adottato, questa volta, ai sensi dell’art. 6 comma 5 D.Lgs. n. 142/2015. La Corte di Appello di Bari convalidava il trattenimento per la durata di 60 giorni valutando la domanda di protezione, strumentale e finalizzata solamente a ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione, in quanto presentata solo a seguito di trattenimento presso il CPR in attesa dell’esecuzione del provvedimento prefettizio di espulsione. Prima della scadenza dei 60 giorni la Questura di Bari chiedeva la proroga per ulteriori giorni 90 pur essendo decorsi i termini di cui all’art. 26, comma 2 bis del D.lgs. n. 25/2008 in quanto il cittadino straniero non aveva nemmeno compilato il modello C3. La Corte di Appello di Bari, in accoglimento delle deduzioni difensive, non prorogava il trattenimento con la seguente motivazione: “(…) rilevato che il cittadino straniero … , nato in Repubblica Del Congo …, è stato inizialmente attinto da un provvedimento di trattenimento emesso ex art. 6 co. 3 d.lgs. 142/15 dalla Questura di Bari l’8.7.2025, convalidato il 9.7.25 dalla Corte d’Appello di Bari, per un periodo di 60 gg. prorogabile; -letta l’istanza, avanzata il 2.9.25, con cui la Questura di Bari ha tempestivamente chiesto una proroga di detto trattenimento per ulteriori 60 gg.; rilevato che, all’odierna udienza camerale, la Questura ha insistito per la proroga, mentre la difesa dello straniero si è opposta, invocando la violazione del termine di 6 gg. lavorativi fissato dall’art. 26 co.2 bis D.Lgs.25/08 per la formalizzazione della manifestazione di volontà di chiedere la protezione internazionale, non essendo stato ancora compilato il modello C3; rilevato che, mentre lo straniero ha manifestato la volontà di chiedere protezione internazionale già in data 2.7.25 (in sede di convalida del suo primo trattenimento ex art.14 TUI davanti al Giudice di Pace), la redazione del modello C3, costituente adempimento necessario alla formalizzazione di tale domanda, non è stata ad oggi ancora effettuata, come confermato dalla stessa Questura, in violazione del termine di 6 giorni lavorativi richiesti dall’art.26 co.2 bis D.Lgs.25/08; ritenuto che la violazione del predetto termine (che per ormai consolidata giurisprudenza della S.C. – cfr. Cass.15984/25 – è termine di natura perentoria, la cui violazione è rilevabile d’ufficio né è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione e dall’intervenuta convalida del trattenimento, spettando al giudicante il rilievo officioso di eventuali vizi a monte della procedura di trattenimento) sia di per sé decisiva al fine di precludere la proroga del trattenimento dello straniero; P.Q.M. Non autorizza la proroga del trattenimento”. Questo caso è assai particolare perché ha dimostrato come il trattenimento prima in Albania e poi in Bari non hanno prodotto alcun risultato utile e positivo, ma anzi hanno comportato solo la privazione della libertà personale e il dispendio di denaro pubblico per un cittadino che è inespellibile e che se avesse avuto l’opportunità di essere ascoltato dalla Commissione territoriale avrebbe ottenuto, proprio perché originario del Congo, lo status e/o la protezione come accade di sovente. Corte di Appello di Bari, decisione del 3 settembre 2025 Si ringrazia l’Avv. Uljana Gazidede per la segnalazione e il commento.
Poggioreale, privacy violata e diritto d’asilo negato
Il 19 agosto 2025 il deputato Francesco Emilio Borrelli pubblicava su Facebook e Instagram le foto dell’arresto di Elokla Mohmed Kazem. L’immagine ritraeva il ragazzo, richiedente asilo, apparentemente ammanettato, inconsapevole dello scatto e con il volto non oscurato. Il post, commentato con la frase “preso uno dei due evasi da Poggioreale”, ha avuto migliaia di interazioni, alimentando una gogna mediatica di tenore xenofobo e fortemente violento. Successivamente, il deputato pubblicava altri due post con altre immagini del sig. Elokla e del sig. Mahrez Souki, non opportunamente oscurate, ritratti nell’immediatezza dell’arresto. È a partire da questo episodio che diverse associazioni hanno inviato un esposto, redatto dall’avvocata Martina Stefanile di ASGI 1, al Garante nazionale e regionale delle persone private della libertà, al Garante della privacy e all’UNHCR per denunciare due questioni: la diffusione illecita delle immagini dei detenuti Elokla Mohmed Kazem e Mahrez Souki, e la violazione dei diritti fondamentali all’interno della Casa Circondariale “Giuseppe Salvia” di Napoli – Poggioreale, in particolare la sospensione di fatto del diritto d’asilo per i cittadini stranieri detenuti. A firmarlo sono la Clinica Legale per l’Immigrazione dell’Università Roma 3, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione – ASGI, Antigone Campania, Melting Pot Europa, Spazi Circolari, Le Carbet, Attiva Diritti, Chi Rom e…chi no, La Kumpania, Mem.Med – Memoria Mediterranea per LasciateCIEntrare e Gridas. La pubblicazione delle foto, riporta il documento, viola diverse norme nazionali e internazionali, dal diritto alla privacy sancito dalla CEDU al divieto previsto dall’articolo 114 del codice di procedura penale di diffondere immagini di persone private della libertà in stato di coercizione. Ma è tutta la vicenda che, tra esposizione mediatica sensazionalistica e ostacoli burocratici, porta alla luce la condizione fragile e spesso invisibile dei detenuti stranieri in Italia, il cui diritto a chiedere protezione internazionale rischia di restare impossibile da dietro le sbarre. A rendere ancora più evidente la vulnerabilità di Elokla sono le parole del giornalista e volontario della Comunità di Sant’Egidio Antonio Mattone, che lo aveva incontrato di persona: «A chi lo ha conosciuto il ragazzo siriano di 23 anni fuggito da Poggioreale etichettato dalla cronaca come un rapinatore, è sembrato essenzialmente un ragazzo di estrema fragilità». Il giovane, ricostruisce Mattone, «viveva in un paese ai confini con la Turchia ed è scappato a piedi fino a giungere in Italia. Quando gli è stato chiesto della sua famiglia gli sono scesi due lacrimoni: erano tutti morti, uccisi in quell’infinita guerra civile che insanguina la Siria dal 2011. Arrivato nel nostro Paese, senza riferimenti e legami, ha vissuto per strada dove ha iniziato a drogarsi e a compiere gesti di autolesionismo, quasi a volersi lasciare andare. Poi una rapina per avere qualche soldo ed è così finito in carcere». Un quadro che per le associazioni firmatarie avrebbe dovuto imporre maggiore cautela nella tutela della dignità del ragazzo, piuttosto che un’esposizione pubblica capace di aggravare ulteriormente la sua condizione. L’altra denuncia contenuta nell’esposto riguarda il diritto d’asilo, che all’interno di Poggioreale risulta di fatto sospeso. «Su queste premesse, si apre uno scenario gravissimo che vede sistematicamente lesi i diritti dei rifugiati e richiedenti asilo all’interno del penitenziario napoletano», scrivono le associazioni. Secondo le segnalazioni raccolte, i detenuti stranieri possono esprimere la volontà di chiedere protezione internazionale soltanto tramite i loro avvocati, che trasmettono le istanze via PEC all’Ufficio Matricola e alla Questura di Napoli. Se un detenuto tenta di presentare la richiesta autonomamente, ciò è consentito solo a ridosso del fine pena. Ma anche in questi casi le domande rimangono “congelate” per tutta la durata della detenzione. È accaduto anche a Elokla, che nell’aprile 2025 aveva presentato tramite la propria legale una formale richiesta di protezione internazionale. A distanza di mesi, non ha ancora ricevuto un appuntamento né sostenuto l’audizione davanti alla Commissione territoriale, in palese violazione dell’articolo 26 del decreto legislativo 25/2008, che prevede tempi stringenti per la formalizzazione delle domande. Gli esempi citati nell’esposto sono numerosi: cittadini sudanesi e ciadiani che hanno protocollato le loro istanze tra il 2024 e il 2025, senza alcun seguito. Tutti profughi di guerre civili e situazioni drammatiche che avrebbero dovuto garantire loro almeno un rapido accesso alla procedura. Per le associazioni firmatarie, siamo davanti a «violazioni intollerabili dell’impianto normativo posto a tutela dei migranti, rifugiati e richiedenti asilo». L’appello è rivolto ai Garanti, alla Questura e alle Commissioni territoriali: serve «un urgente superamento effettivo delle violazioni di diritto rappresentate, anche previo esercizio dei poteri ispettivi propri dell’Ufficio del Garante». L’invito è a stabilire un coordinamento stabile tra amministrazione penitenziaria e autorità competenti per «assicurare ai detenuti stranieri l’esercizio di tali diritti e facoltà, che possono essere limitati solo con un provvedimento espresso». Infine, le associazioni chiedono all’UNHCR un parere tecnico e un monitoraggio costante della vicenda, mentre al Garante della privacy sollecitano «l’immediata cessazione, mediante rimozione delle immagini diffuse sulle pagine social del deputato, delle condotte lesive dei diritti fondamentali dei ritratti». 1. Leggi l’esposto inviato ↩︎
Polonia: controlli e violenza al confine
Il 7 luglio scorso la Polonia ha introdotto i controlli alle frontiere con Germania e Lituania, prorogati a inizio agosto fino al 4 ottobre. Dopo un vertice sulla sicurezza con governatori e capi delle guardie di confine il ministro dell’Interno Kierwiński, , ha annunciato che il regolamento era stato notificato alla Commissione europea 1. Il ministro ha sottolineato la crescente pressione sul confine orientale, spiegando che la barriera polacca ha bloccato quasi del tutto i flussi da Bielorussia e Russia, spostando le rotte migratorie verso altri Paesi UE: «La tenuta al 98% della nostra barriera significa che i servizi bielorussi e russi, insieme alla migrazione illegale, si stanno spostando verso altre sezioni». Ha poi aggiunto: «Oggi la questione fondamentale, non solo per noi ma anche per i nostri partner dell’Unione Europea, è chiudere – se posso usare questo termine – la rotta che si è spostata verso Lituania e Lettonia» 2. Il mantenimento dei controlli alle frontiere interne Schengen mina il principio di libera circolazione dell’Unione Europea. Anche la Germania (già dal 2023) ha introdotto controlli ai confini con Polonia e Repubblica Ceca per contrastare l’immigrazione irregolare, estendendoli poi, lo scorso anno, a tutte le sue frontiere. In Lituania i controlli sono attivi in 13 punti, di cui tre valichi ufficiali, mentre gli altri dieci sono postazioni mobili utilizzabili dai residenti locali. In Germania, invece, i controlli si svolgono in 52 località 3. Sempre nel mese luglio, il parlamento polacco ha prorogato per altri 60 giorni la sospensione del diritto a richiedere asilo, approvata con 381 voti favorevoli e solo 19 contrari. Introdotto per la prima volta a marzo 2025, questo provvedimento era già stato prorogato a maggio e prevede la possibilità di limitare temporaneamente il diritto d’asilo in caso di “strumentalizzazione della migrazione”, quando considerata una grave minaccia alla sicurezza nazionale. Notizie/Confini e frontiere POLONIA, PROROGATA LA LEGGE CHE LIMITA IL DIRITTO D’ASILO AL CONFINE CON LA BIELORUSSIA Le ONG denunciano respingimenti illegali e violenze, anche sui minori non accompagnati Gaia Facchini 10 Luglio 2025 Ad aprile, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha disposto misure cautelari per impedire il rimpatrio delle persone migranti in Bielorussia, ma almeno una di queste misure è stata ignorata dalla Guardia di Frontiera polacca 4. La situazione al confine con la Bielorussia rimane grave, con violenze ricorrenti e limitazioni dei diritti fondamentali di persone in movimento e richiedenti asilo. Il 23 Luglio, un soldato polacco ha ferito a una coscia un cittadino sudanese nei pressi di Narewka, al confine con la Bielorussia, dopo che un gruppo era stato fermato per ingresso irregolare; l’uomo è stato ricoverato ma non è in pericolo di vita 5. L’esercito ha giustificato l’uso della forza con la necessità di tutelare i militari e di fronteggiare comportamenti aggressivi, mentre cinque persone migranti sono stati consegnate alla Guardia di Frontiera. Le autorità hanno riferito circa 100 tentativi di attraversamento illegale registrati il giorno precedente. Al confine sono frequenti gli scontri tra autorità polacche e persone in movimento: nel giugno 2024 un soldato polacco era stato presumibilmente accoltellato da una persona migrante. Dal 2021, diverse organizzazioni della società civile hanno denunciato che centinaia di persone hanno perso la vita nelle zone di confine, a causa dei respingimenti illegali attuati dalla parte polacca e della violenza delle autorità bielorusse. Nell’aprile 2024, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha stabilito che la Polonia aveva violato gli articoli 3 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il protocollo 4 della Convenzione spingendo ripetutamente un gruppo verso l’Ucraina. Sebbene i tribunali nazionali abbiano anche ripetutamente ritenuto illegali le pratiche di respingimento delle autorità, queste sono continuate per tutto il 2024 6. Il rapporto AIDA sul 2024 sulla Polonia 7, pubblicato nel mese di luglio, contiene una panoramica dettagliata sugli sviluppi legislativi e pratici in materia di procedure d’asilo, condizioni di accoglienza, detenzione dei richiedenti asilo. Nel 2024, 17.020 persone hanno richiesto protezione internazionale in Polonia, di cui 14.571 per la prima volta, con il 65% costituito da cittadini ucraini e bielorussi. Gli altri punti principali che emergono dal rapporto sono: * Nel 2024 continuano le segnalazioni di violenza verbale e fisica (uso di armi da fuoco, percosse e uso sistematico di spray al peperoncino), anche da parte di agenti della guardia di frontiera polacca. Registrati in totale 3183 respingimenti. * Reintrodotto il divieto di accesso all’area di confine a giugno 2024, prorogato per tutto l’anno, impedendo alle ONG di fornire aiuti umanitari a chi cerca protezione internazionale. Inoltre, nel 2024 sono proseguiti i procedimenti giudiziari contro operatori umanitari, accusati, tra l’altro, di “agevolare la permanenza illegale in Polonia”. * La mancanza di effettiva identificazione delle persone vulnerabili continua a essere condannata dalle ONG polacche. Per quanto riguarda le condizioni di accoglienza al confine polacco-bielorusso, queste sono rimaste critiche nel 2024: molti richiedenti asilo non hanno avuto accesso a strutture materiali o assistenza medica, nonostante violenze subite, ferite o estrema stanchezza, situazione aggravata dal divieto di soggiorno in alcune zone di frontiera che ha ostacolato l’intervento delle ONG. I minori non accompagnati richiedenti asilo hanno faticato a trovare sistemazioni adeguate, e spesso rifugi d’emergenza o strutture giovanili hanno rifiutato l’accoglienza dei minori portati lì dalle guardie di frontiera. La detenzione di famiglie con bambini è continuata, senza rispetto del principio del “miglior interesse del minore”, e le vittime di violenza o tortura sono state ancora collocate in centri di detenzione. Il Comitato ONU per i diritti economici, sociali e culturali, ha espresso preoccupazione per l’alto tasso di povertà e il rischio di sfruttamento abitativo tra persone rifugiate, mentre la protezione temporanea per cittadini ucraini e loro familiari è stata prorogata fino al 2025-2026, con criteri di registrazione più restrittivi. Nonostante l’aumento delle domande di asilo, le autorità hanno adottato un approccio più restrittivo, limitando la libertà di movimento dei beneficiari di protezione temporanea e condizionando l’accesso ai diritti socio-economici. Persistono anche nel 2025 gravi violazioni dei diritti umani, la crisi umanitaria al confine e la progressiva fortificazione della zona, accompagnate dalla criminalizzazione dell’assistenza umanitaria. Gli orrori al confine non si sono fermati, come conferma il rapporto “Brutal Barriers” realizzato da Oxfam e l’ONG Egala che documenta respingimenti, violenze fisiche – tra cui percosse, morsi di cani e violenza sessuale – e decessi nella cosiddetta “terra di nessuno”. Continuiamo a denunciare un sistema che lede sistematicamente i diritti fondamentali, legittimandosi al contempo sul piano sociale, politico e istituzionale. Rapporti e dossier/Confini e frontiere BRUTAL BARRIERS: RESPINGIMENTI, VIOLENZA E VIOLAZIONI ALLA FRONTIERA TRA POLONIA E BIELORUSSIA Il rapporto realizzato da Oxfam ed Egala Ludovica Mancini 19 Agosto 2025 1. Poland extends border controls with Germany and Lithuania, Eliza Meller/ew (3 Agosto 2025) ↩︎ 2. Poland extends border controls with Germany and Lithuania, TVP World (3 agosto 2025) ↩︎ 3. Polonia: prorogati i controlli alle frontiere con Germania e Lituania, Katarzyna-Maria Skiba (3 Agosto 2025) ↩︎ 4. AIDA (Asylum Information Database) Country Report on Poland – Update on 2024, ECRE ↩︎ 5. Polish soldier shoots migrant with rubber bullet at border, TVP World (23 luglio 2025) ↩︎ 6. AIDA (Asylum Information Database) Country Report on Poland – Update on 2024, ECRE (10 luglio 2025) ↩︎ 7. Scarica il rapporto di Asylum Information Database (AIDA) sulla Polonia pubblicato nel luglio 2025 ↩︎
Grecia. Il Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria
In Grecia, nel corso del 2025, le politiche per “combattere l’immigrazione” si sono intensificate, soprattutto in seguito alla direzione data da Makis Voridis come Ministro per la Migrazione. Quest’ultimo, già noto per le sue affiliazioni con l’estrema destra e per aver sempre descritto gli immigrati come una minaccia per l’Europa 1, ha proposto al Parlamento greco nuove legislazioni sul tema: l’estensione del periodo in cui i migranti possono essere trattenuti in detenzione amministrativa, la criminalizzazione di coloro che restano dopo che la richiesta di asilo è stata rifiutata e la proibizione della residenza per le persone senza documenti, che prima potevano chiederla una volta ottenuto un lavoro 2. Approfondimenti/CPR, Hotspot, CPA GRECIA, SOSPENSIONE DELL’ASILO E NUOVA RIFORMA RAZZISTA DEL GOVERNO MITSOTAKIS Atene anticipa la linea più dura del Patto UE Redazione 14 Agosto 2025 Nonostante l’incarico si sia concluso già a giugno, a causa del coinvolgimento dello stesso ministro in un’inchiesta, il suo successore, Thanos Plevris, sta portando avanti la stessa linea politica, sottolineando anzi come “la sicurezza dei confini non può esistere se non ci sono perdite e, per essere chiari, se non ci sono morti” e affermando che le condizioni di vita per i migranti dovrebbero apparire loro peggiori di quelle dei paesi d’origine 3 . Come illustrato da diversi osservatori 4, il cambio di ministri non ha comportato un cambiamento di approccio, ma piuttosto una continuazione e un rafforzamento del regime migratorio razzista e violento dello Stato greco. Le politiche di frontiera a Lesbo continuano a violare diversi diritti fondamentali: i migranti subiscono violenze, vivono in condizioni degradanti nei campi, sono soggetti a sorveglianza, sfratti, negazione dell’assistenza finanziata dall’UE e ritardi arbitrari nelle domande di asilo. Inoltre, nuove leggi e tattiche amministrative, come il ripristino della Turchia come “paese terzo sicuro” nonostante le sentenze dei tribunali, perpetuano l’incertezza giuridica.  Il Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria a Lesbo esemplifica questa tendenza, rafforzando la detenzione e l’espulsione come pilastri centrali della politica migratoria greca, e della generale assimilazione di approccio in tutta Europa. A differenza dei centri di detenzione già esistenti (come quello tristemente noto di Moria 5), Vastria costituisce un modello per un nuovo tipo di struttura: isolata geograficamente, sorvegliata attentamente tramite controlli biometrici, difficilmente accessibile dall’esterno. Il nuovo centro, infatti, si troverà in un bosco a 30 km da Mitilene, luogo strategico per isolare i migranti dallo spazio pubblico e limitare il coinvolgimento e la supervisione della società civile.  Nonostante numerosi problemi legali, dovuti anche al fatto che la struttura viola gli standard ambientali (dovrebbero essere abbattuti 35.000 alberi solo per costruire la strada di accesso, in una zona già ad alto rischio di desertificazione e incendi 6), la costruzione prosegue e il Ministero della Migrazione, citando gli obblighi di finanziamento dell’UE, ha sostenuto la continuazione dei lavori e la deforestazione. Cos’è il CCAC di Vastria? Closed Controlled Access Centre (CCAC) di Vastria, Lesbo Capacità prevista: fino a 5.000 persone, fra cui famiglie, minori non accompagnati e persone vulnerabili Funzione prevista: non un centro di accoglienza temporaneo, ma una struttura di detenzione prolungata: tutte le procedure di asilo ed espulsione saranno centralizzate in sito L’opposizione si è concentrata sul mancato rispetto da parte del governo delle decisioni giudiziarie e delle leggi ambientali, ha messo in guardia dai danni irreversibili alla più grande pineta di Lesbo e ha sollecitato la sospensione immediata dei lavori, che però non è mai stata disposta.  A marzo, invece, è stato firmato un contratto da 1 milione di euro per l’installazione di un sistema di rilevamento incendi entro settembre 2025. Nel giugno 2025, infatti, un incendio boschivo sull’isola di Chios ha costretto all’evacuazione del CCAC locale e, nonostante la costruzione di un sistema di rilevamento incendi presso il CCAC di Vastria a Lesbo, il campo di Vastria è ancora privo di vie di fuga antincendio, il che significa che l’evacuazione in caso di incendio a Lesbo sarà ancora più difficile.  Nel frattempo, il governo continua ad affittare il sito per 748.800 euro all’anno e, dato il sostegno politico e finanziario della Commissione europea, il progetto rimane una priorità politica per la Grecia e l’Unione Europea. Se completato, il centro di Vastria, pur non essendo classificato come una prigione, istituzionalizzerebbe un sistema detentivo carcerario: la struttura è infatti creata per imporre limitazioni molto strette alla libertà di movimento, creando di fatto una zona grigia in cui migliaia di persone verranno private dei propri diritti, senza alcun processo legale.  PH: Legal Centre Lesvos In quest’ottica, il CCAC di Vastria prevede anche l’implementazione di due sistemi di intelligenza artificiale avanzata, Centaur e Hyperion, che combinano riconoscimento biometrico, sistemi di videosorveglianza, sorveglianza con droni e analisi comportamentale. Nel 2024, l’Autorità ellenica per la protezione dei dati ha già inflitto una multa significativa al Ministero della Migrazione per gravi violazioni del GDPR (Regolamento UE 2016/679 sulla Protezione Generale dei Dati, entrato in vigore nel 2018 7). Nel frattempo, in altre strutture, in particolare a Samo e Lesbo, sono stati segnalati casi di confisca sistematica dei telefoni dei residenti, limitando l’accesso all’assistenza legale e la supervisione esterna attraverso comunicazioni limitate 8.  Rapporti e dossier/CPR, Hotspot, CPA VITE MONITORATE: COME LA TECNOLOGIA RIDEFINISCE LA LIBERTÀ NEL CCAC DI SAMOS IN GRECIA Le organizzazioni denunciano monitoraggio oppressivo e abusi Rossella Ferrara 25 Agosto 2025 Lungi dall’essere uno spazio di accoglienza transitorio, il CCAC è concepito come un luogo di detenzione prolungata, con una capacità massima di 5.000 persone, tra cui famiglie, minori non accompagnati e richiedenti particolarmente vulnerabili, che vengono trattenuti per mesi in attesa di decisioni amministrative o di espulsione.  Le ONG, tra cui Amnesty International 9, denunciano già da tempo le diverse violazioni dei diritti di coloro che verranno rinchiusi in questo tipo di struttura. Oltre alla violazione dei diritti umani alla vita (nel caso specifico di Vastria si aggiunge il rischio di morire in un incendio, data la vicinanza ai boschi e la mancanza di vie di fuga), alla libertà e alla sicurezza, le persone migranti non vedranno garantiti nemmeno i propri diritti alla protezione dei dati personali e all’educazione: a causa dei problemi strutturali presenti nei programmi di integrazione e nell’accesso a strutture educative, infatti, molti giovani non avranno la possibilità di frequentare la scuola, né dentro né tanto meno fuori dal Centro, e saranno, al contrario, attivamente guidati verso l’esclusione e la criminalizzazione.  L’isolamento non è quindi un effetto collaterale, ma l’obiettivo di una chiara politica migratoria. Come sottolinea il report di Community Peacemaker Teams, Vastria rappresenta “l’incarnazione materiale di un cambiamento nella politica europea verso l’invisibilizzazione, il controllo tecnologico e l’esclusione burocratica. Secondo il progetto attuale, il centro rimane una potenziale trappola mortale – e un monumento a una politica migratoria fallimentare basata sulla reclusione piuttosto che sulla protezione” 10. Questo modello non si sviluppa in un vuoto istituzionale, ma è strettamente legato al nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo. Adottato nel 2024, dovrebbe essere “orientato ai risultati ma ben ancorato ai nostri valori europei” 11, come riporta il sito ufficiale della Commissione europea. La logica del Patto, che entrerà in vigore dal 2026, è messa in pratica in strutture come Vastria e comporta l’accelerazione delle decisioni in materia di asilo, la centralizzazione delle funzioni burocratiche, la riduzione al minimo delle garanzie procedurali e la rapida espulsione dei richiedenti respinti.  1. Greek PM seeks ‘reset’ with former far-right activist as migration minister, The Guardian (14 marzo 2025) ↩︎ 2. Migration minister scraps residence permit extension, Kathimerini (marzo 2025) ↩︎ 3. Greece names new ministers after high-level resignations over farm scandal. Thanos Plevris was appointed migration minister – Politico (28 giugno 2025); Θάνος Πλεύρης / Όταν ζητούσε νεκρούς μετανάστες και πρόσφυγες στα σύνορα (βίντεο) – AVGI (27 giugno 2025) ↩︎ 4. Lesvos Situation Report January – June 2025 – Legal Centre Lesvos ↩︎ 5. Quel che resta di Moria. A Lesbo per i rifugiati inizia un’altra detenzione di Valerio Nicolosi – Altreconomia (20 Settembre 2020) ↩︎ 6. Εικόνες σοκ από νέες υλοτομήσεις στη Βάστρια αποκαλύπτουν το έγκλημα κατά της φύσης – StoNisi (2 Maggio 2025) ↩︎ 7. Regulation (EU) 2016/679 of the European Parliament and of the Council ↩︎ 8. Report on the Situation in the Samos Closed Controlled Access Centre (CCAC), I Have Rights and Homo Digitalis – (Maggio 2025) ↩︎ 9. One year since Greece opened new “prison-like” refugee camps, NGOs call for a more humane approach (settembre 2022) ↩︎ 10. New report unpacks the construction of a migrant detention centre, a report by CPT Aegean Migrant Solidarity (16 luglio 2025) ↩︎ 11. Patto sulla migrazione e l’asilo ↩︎
Procedura accelerata – Il dies a quo dei termini decorre da quando viene manifestata la volontà di formalizzare la domanda di asilo
Il Tribunale di Milano torna ad occuparsi sulla corretta interpretazione delle disposizioni previste dall’art. 28 bis D.lgs. n. 25/2008 in materia di procedura accelerata prevista per coloro che provengono da c.d. “paesi sicuri”. Trattasi di “questione in ogni caso rilevabile d’ufficio (Cfr. Cass. n. 6745/20211; in tal senso, anche S.U. 11399/2024 § 34), a prescindere dall’eccezione eventualmente sollevata sul punto dalla parte ricorrente”. Secondo il Collegio milanese la verifica del rispetto dei suddetti termini “non può prescindere dalla valutazione del momento in cui è stata formalizzata la domanda di protezione internazionale”. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 In tal caso si pone il quesito se il dies a quo decorra dal momento dell’avvenuta formalizzazione della domanda presso la Questura oppure dal momento, anche antecedente, in cui viene manifestata documentalmente in qualsiasi modo la volontà di formalizzare la domanda di protezione internazionale. La questione non è irrilevante dato che, nella maggior parte dei casi, trascorre diverso tempo tra la prenotazione dell’appuntamento, tramite p.e.c o il sistema “Prenotafacile”, e il giorno della convocazione presso la Questura competente per la compilazione del modello C3. Orbene, il Tribunale di Milano apre ad un’esegesi che valuta l’avvenuto rispetto dei termini della procedura accelerata quando viene manifestata in qualsiasi modo la volontà di formalizzare la domanda di protezione internazionale ai sensi dell’art. 2, primo comma, lett. a, del d. lgs. n. 142/2015, quindi anche in un momento antecedente alla compilazione del modello C3 presso la Questura. Secondo i Giudici, infatti, tale verifica “non può prescindere dalla valutazione del momento in cui è stata formalizzata la domanda di protezione internazionale mediante la compilazione del modello C3 o addirittura al momento antecedente, quando viene manifestata la volontà di formalizzare la domanda di protezione internazionale ai sensi dell’art. 2, primo comma, lett. a, del d. lgs. n. 142/2015 (cfr. Corte di cassazione, 17 settembre 2020 n. 21910, secondo la quale il cittadino straniero deve essere considerato “richiedente protezione internazionale” nel momento in cui manifesta in qualsiasi modo la volontà di chiedere protezione, come stabilito dalla normativa interna ed europea. Si veda altresì Tribunale di Firenze, ordinanza del 31.1.2024). Invero, e salvo prova contraria il cui onere grava sulla Commissione territoriale che ha la disponibilità dei termini procedurali, i termini della procedura accelerata (art. 28 bis comma 1 D. L.vo n. 25/2008) si concretizzano nella trasmissione – a cura della Questura – della “documentazione necessaria” alla Commissione territoriale che “adotta la decisione entro cinque giorni”. Milita in tal senso quanto indicato dalla circolare della Commissione nazionale di asilo del 14.2.2024 sulle procedure accelerate e sulle indicazioni operative fornite alle commissioni territoriali: dal momento della registrazione della domanda si genera un fascicolo telematico che viene condiviso con la Commissione territoriale, tramite il sistema Vestanet. Il tema, dunque, si sposta sulla comprensione delle modalità e soprattutto dei tempi nei quali i dati raccolti tramite la compilazione del modello C3 (cartaceo) vengono inseriti nel sistema Vestanet e condivisi con la Commissione; trattasi di elementi che sono in possesso esclusivo della pubblica amministrazione. Dalla data in calce al modello C3 (o, ancor prima, dal momento – comprovato documentalmente – della manifestazione di volontà di formalizzare la richiesta di protezione internazionale) è possibile effettuare un calcolo presuntivo sui tempi della procedura accelerata”. Si ricorda, infine, che “la Suprema Corte a Sezioni Unite, in una recentissima e ben nota pronuncia (Corte di Cass., SU, 29 aprile 2024), ha precisato che in caso di ricorso giurisdizionale avente ad oggetto il provvedimento di manifesta infondatezza emesso dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale nei confronti di soggetto proveniente da Paese sicuro, vi è deroga al principio generale di sospensione automatica del provvedimento impugnato solo nel caso in cui la commissione territoriale abbia applicato una corretta procedura accelerata, utilizzabile quando ricorra ipotesi di manifesta infondatezza della richiesta protezione. In ipotesi contraria, quando la procedura accelerata non sia stata rispettata nelle sue articolazioni procedimentali, si determina il ripristino della procedura ordinaria ed il riespandersi del principio generale di sospensione automatica del provvedimento della Commissione territoriale”. Tribunale di Milano, decreto del 4 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Lorenzo Chidini per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative alla cd. “procedura accelerata”
Niger. Tensioni al “Centro Umanitario” di Agadez: arrestati sei attivisti
Molti rifugiati vogliono lasciare il campo dopo l’irruzione della polizia nigerina Dopo mesi di intimidazioni e minacce per fermare la protesta dei rifugiati al Centro Umanitario di Agadez 1, giovedì 21 agosto la polizia nigerina ha fatto irruzione nel campo e arrestato sei persone 2. Si tratta di tre uomini e tre donne: Mohamed Abdullah, Abdullah Hashim, Imad Younis, Zubaida Abdeljabbar, Zahra Daoud Juma, Hoda Musa Mohamed. Tutti erano particolarmente attivi nel movimento autorganizzato che, da settembre scorso, chiede soluzioni alternative al Centro, dove i rifugiati vivono isolati nel deserto, con servizi essenziali carenti, denunciando da mesi la loro condizione. I testimoni affermano che le sei persone arrestate hanno subito abusi da parte della polizia: «Sono stati picchiati e torturati. Una delle donne ha perso conoscenza a causa della violenza delle percosse». Le donne arrestate sono state separate forzatamente dai loro figli. Video Refugees in Niger «Hanno lasciato qui i loro figli e le autorità non hanno permesso loro di portarli con sé. Quando si sono rifiutate di salire in macchina senza i figli, le hanno picchiate brutalmente». Le autorità non hanno reso noto dove hanno trasferito i sei attivisti, ma potrebbero essere state deportate fuori dai confini del Niger 3 . Non è la prima volta che le autorità nigerine usano la forza per reprimere la protesta e i suoi rappresentanti. Le stesse persone erano già state arrestate a maggio, senza accuse formali, per poi essere rilasciate dopo qualche giorno. Il mese scorso, inoltre, una circolare del Ministero dell’Interno del Niger aveva sospeso l’esame delle loro richieste di asilo per “disturbo dell’ordine pubblico e rifiuto di rispettare le leggi e i regolamenti in vigore nel paese ospitante”. È un fatto estremamente grave: l’arresto, la persecuzione di persone e la revoca della possibilità di ricevere protezione solo per aver esercitato il diritto di esprimersi e protestare, senza aver commesso alcun reato. Sulla vicenda si è espressa anche la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i Difensori dei Diritti Umani, Mary Lawlor, che ha commentato: «Sto ricevendo notizie molto preoccupanti riguardo all’arresto e alla detenzione in isolamento di sei attivisti, tutti rifugiati, in rappresaglia per il loro impegno a favore dei diritti dei rifugiati nei pressi di Agadez, in Niger, la scorsa settimana. Chiedo la loro immediata liberazione». Altrettanto grave è il silenzio dell’UNHCR sulla vicenda. L’agenzia, che gestisce il Centro tramite finanziamenti europei – incluso un consistente contributo del Ministero dell’Interno italiano – ha il mandato di proteggere i rifugiati, garantendo anche che i governi ospitanti rispettino il loro status giuridico e i loro diritti. Non è chiaro se e come l’ufficio UNHCR in Niger stia affrontando la situazione, ma finora non una parola è stata spesa pubblicamente né sulle tensioni al Centro né sulla sorte dei sei rifugiati dispersi. Con questo raid nel campo, le autorità nigerine intendono chiaramente scoraggiare il protrarsi della protesta. Finora, però, non ci sono riuscite: la mobilitazione continua con ostinazione e, tra meno di un mese, compirà un anno. Tuttavia, dopo l’irruzione della polizia, la situazione al Centro Umanitario è diventata estremamente tesa. Altre persone temono di essere arrestate: hanno appreso informalmente l’esistenza di una lista di persone sorvegliate dalla polizia. Si respira un clima di paura generalizzata, che colpisce soprattutto i più vulnerabili. «Ora i bambini vivono in un costante stato di paura, al punto da non riuscire a dormire la notte per timore della polizia. Anche solo alla vista di un agente, scoppiano a piangere e corrono dalle madri». Secondo i testimoni, negli ultimi giorni, molte persone hanno lasciato il campo, probabilmente per dirigersi verso i paesi limitrofi: «Il totale disinteresse dell’UNHCR e il mancato adempimento delle proprie responsabilità nei confronti dei rifugiati […] hanno portato a un’ondata di partenze dal centro, soprattutto da parte di famiglie con bambini che vi soggiornavano da molto tempo». Mentre al Centro cresce la tensione e le famiglie vivono nell’incertezza e nella paura, la protesta continua e mette in discussione l’intera logica dei confini chiusi su cui si basa l’impalcatura umanitaria del campo. La retorica che descrive il Niger come un paese accogliente, nonostante le sue difficoltà interne, appare ipocrita e piegata alla volontà dei paesi europei, che spostano sempre più lontano dalle proprie coste il controllo delle frontiere. Non si può fingere che le persone al Centro umanitario di Agadez stiano bene, che abbiano reali opportunità di lavoro e di inserimento sociale. Alle loro legittime richieste viene risposto che il campo non è una prigione e che sono liberi di andarsene. Ma andare dove? Verso paesi vicini che li sfruttano, li respingono o li sottopongono a nuove violenze? Notizie I RIFUGIATI DI AGADEZ LANCIANO UNA PETIZIONE URGENTE DOPO OLTRE 300 GIORNI DI PROTESTA Non possiamo lasciare che tutto questo continui: firma subito e sostieni i rifugiati Laura Morreale 31 Luglio 2025 1. Leggi tutti gli articoli di Laura Morreale sulla vicenda ↩︎ 2. Vedi anche: Niger, “centro umanitario” Agadez & il nuovo stato di polizia, Davide Tommasin (22 agosto 2025) ↩︎ 3. Urgent appeal: refugee human rights defenders arbitrarily arrested in Niger, Refugees in Libya ↩︎
Nessuno Stato può negare i bisogni essenziali dei richiedenti, neanche in caso di afflusso imprevisto
Non ci sono emergenze che tengano: gli Stati membri dell’Unione europea devono sempre garantire ai/alle richiedenti asilo condizioni di vita dignitose, anche quando le strutture di accoglienza risultano sature a causa di un arrivo imprevisto di persone in cerca di protezione. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Ue con la sentenza nella causa C-97/24, riguardante due richiedenti asilo – un cittadino afghano e uno indiano – che in Irlanda si erano trovati a vivere in strada, senza alloggio né mezzi di sostentamento. Le autorità irlandesi avevano consegnato a ciascuno solo un buono da 25 euro, rifiutandosi di assegnare loro un posto nei centri di accoglienza e negando quindi anche l’accesso al piccolo sussidio giornaliero previsto dalla normativa nazionale. I due richiedenti asilo hanno denunciato di aver vissuto per settimane all’aperto o in alloggi di fortuna, senza cibo né possibilità di mantenere l’igiene, e di essere stati esposti a violenze e pericoli. Davanti all’Alta Corte irlandese, hanno chiesto il risarcimento del danno subito. Il governo di Dublino ha riconosciuto la violazione del diritto dell’Unione, ma ha invocato la “forza maggiore”, attribuendo la saturazione delle strutture all’ondata di arrivi seguita alla guerra in Ucraina. La Corte di giustizia ha però respinto questa linea di difesa. Secondo i giudici di Lussemburgo, la direttiva 2013/33/UE (cosiddetta direttiva accoglienza 1) impone agli Stati membri di garantire “condizioni materiali di accoglienza che assicurino un tenore di vita adeguato” (art. 17), attraverso alloggio, sostegno economico o buoni. Tali condizioni devono coprire i “bisogni essenziali” dei richiedenti e tutelarne la salute fisica e mentale. La mancata erogazione di queste misure – anche solo temporaneamente – costituisce una violazione “manifestamente e gravemente” contraria al margine di discrezionalità lasciato agli Stati. Ciò che ha stabilito la Corte vale per tutti gli Stati membri, Italia compresa, dove il tema dell’accoglienza resta al centro del dibattito politico quotidiano. Nel nostro Paese, infatti, le autorità spesso non garantiscono condizioni adeguate ai/alle richiedenti asilo, che possono rimanere per mesi – talvolta per oltre un anno – esclusi/e dal sistema di accoglienza, in attesa di un posto. La Corte ha inoltre ricordato che la direttiva prevede un regime derogatorio (art. 20, par. 9), applicabile solo in circostanze eccezionali e per un periodo limitato, quando un afflusso improvviso di richiedenti esaurisce temporaneamente la capacità ricettiva degli Stati. Va però sottolineato che negli ultimi anni i numeri delle richieste d’asilo non hanno registrato aumenti tali da configurare un’emergenza. E comunque, anche in uno scenario del genere, ha precisato il collegio, resta fermo l’obbligo di rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, in particolare l’articolo 1, che tutela la dignità umana, e l’articolo 4, che vieta trattamenti inumani o degradanti. “Nessuno Stato membro – scrive la Corte – può invocare l’esaurimento delle strutture di accoglienza per sottrarsi all’obbligo di soddisfare le esigenze essenziali dei richiedenti protezione internazionale”. L’Irlanda, nel caso di specie, non ha dimostrato alcuna impossibilità oggettiva di adempiere ai propri obblighi, ad esempio attraverso il ricorso ad alloggi temporanei alternativi o a sussidi economici. La sentenza stabilisce dunque che un simile comportamento può configurare una “violazione sufficientemente qualificata” del diritto dell’Unione, aprendo la strada alla responsabilità dello Stato e al diritto dei richiedenti di ottenere un risarcimento. Una decisione chiara e netta, che nessuno Stato dell’Unione europea può fingere di non conoscere. Corte di Giustizia UE, sentenza dell’1 agosto 2025 1. Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. ↩︎
Status di rifugiata alla richiedente asilo LGBTQ+ di etnia rom con cittadinanza serba
Il Tribunale di Napoli riconosce lo status di rifugiata alla richiedente asilo di etnia rom appartenente al gruppo sociale LGBTQ+ e con cittadinanza serba. La Commissione Territoriale pur riconoscendo i presupposti per il riconoscimento dello status, applicava l’art. 12 lett. c) d.lgs 251/07 in quanto la richiedente era gravata da plurime sentenze di condanna definitive per reati ostativi (tra cui 624-bis c.p.), scontate in regime detentivo per 7 anni e poi in affidamento al servizio sociale (sosteneva infatti l’audizione con autorizzazione del Tribunale di Sorveglianza).  Il Tribunale riconosce l’ineccepibile reinserimento sociale della ricorrente e conclude nel senso che: “(…) la conclusione che precede non può essere revocata dalle vicende giudiziarie della ricorrente, le quali non suggeriscono l’esistenza di ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica ostative alla permanenza sul territorio italiano. Sul punto, è appena il caso di osservare che il fatto di reato rientra tra quelli di cui all’art. 5, comma 5 bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 (…) E’ noto però che il giudizio di pericolosità del richiedente rispetto all’ordine pubblico non può farsi discendere in via automatica dalla mera esistenza della sentenza di condanna (…) Una conclusione diversa non solo si scontra con il chiaro disposto normativo, ma finirebbe altresì per configurare il diniego di riconoscimento alla stregua di una pena accessoria, conseguente alla sentenza penale di condanna, in contrasto con il principio di legalità”. Tribunale di Napoli, decreto del 19 giugno 2025 Si ringraziano le avv.te Martina Stefanile e Stella Arena per la segnalazione e il commento. Il caso è stato seguito con l’avv. Vincenzo Sabatino. * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali”