Justice Fleet Alliance: le ONG del Mediterraneo interrompono i contatti con Tripoli
Il 5 novembre 2025 a Bruxelles la Justice Fleet Alliance ha tenuto la sua prima
conferenza stampa congiunta, trasmessa in diretta streaming. Le organizzazioni
coinvolte hanno annunciato una decisione storica: sospendere ogni comunicazione
operativa con il JRCC (Joint Rescue Coordination Centre) libico.
Dopo anni di violazioni dei diritti umani da parte delle autorità libiche, le
organizzazioni non governative di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale
hanno creato una “coalizione per la giustizia”, con il supporto del Centro
europeo per i diritti costituzionali e umani e di Refugees in Libya.
«Dieci anni dopo l’estate della migrazione, stiamo fondando la Justice Fleet. I
nostri obiettivi? Lottare insieme contro i crimini di Stato. Vogliamo creare
pressione pubblica e legale per realizzare un cambiamento politico 1»
Durante la conferenza, i partner coinvolti sono intervenuti in merito ai
fondamenti legali e morali della decisione e alle richieste rivolte ai policy
makers europei:
SEA-WATCH: COS’È LA JUSTICE FLEET E QUAL’È IL SUO BACKGROUND
L’Unione Europea, nel tentativo di bloccare le traversate nel Mediterraneo, si
rende complice di crimini contro l’umanità e ostacola la società civile
impegnata nei soccorsi, criminalizzandola e diffamandola. In risposta a queste
violazioni sistematiche, tredici organizzazioni impegnate nella difesa dei
diritti umani e del diritto marittimo internazionale si sono unite per dare vita
alla Justice Fleet, la più grande alleanza civile di organizzazioni di ricerca e
soccorso in mare.
«È una risposta alla coercizione degli Stati europei a comunicare con le milizie
libiche, autori di quotidiane violenze in mare e in opposizione al rinnovo
tacito del Memorandum d’Intesa Italia-Libia. 2»
Alliance Members (Germania, Francia, Italia e Spagna)
CompassCollective – Louise Michel – Mediterranea Saving Humans – Mission
Lifeline – Pilotes Volontaires – RESQSHIP – r42-Sail And Rescue – Salvamento
Marítimo Humanitario – Sea-Eye – SEA PUNKS – Sea-Watch – SOS Humanity – Tutti
gli Occhi sul Mediterraneo
La campagna della Justice Fleet Alliance nasce dopo che la nave civile
Mediterranea, di Mediterranea Saving Humans, il 4 novembre 2025 ha sbarcato a
Porto Empedocle 92 persone soccorse, rifiutando il porto assegnato di Livorno,
distante oltre 1.200 km e quattro giorni di navigazione.
Notizie/In mare
«ABBIAMO AGITO PER SALVARE VITE»: SBARCATE LE 92 PERSONE SOCCORSE DA
MEDITERRANEA
Lo Stato minaccia nuove sanzioni per aver scelto Porto Empedocle
Redazione
5 Novembre 2025
L’equipaggio ha disobbedito agli ordini illegittimi del Governo italiano, agendo
in “stato di necessità” (art. 54 c.p.), nel pieno rispetto del diritto marittimo
nazionale e internazionale, a tutela dei diritti fondamentali della vita e della
dignità delle persone soccorse, giudicate dal medico di bordo non idonee a
ulteriori giorni di navigazione.
Per questa decisione la nave è stata bloccata e il comandante ha ricevuto una
contestazione per presunta violazione del Decreto Piantedosi per “non aver
raggiunto senza ritardo il porto di sbarco assegnato”. L’episodio evidenzia la
volontà del Governo di ostacolare il soccorso civile, inumana ossessione che
guida l’imposizione di norme che mettono a rischio la vita delle persone.
«Lo spirito con cui la nave ha agito è lo spirito che anima la Justice Fleet e
per questo esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Mediterranea 3»
L’obiettivo della Justice Fleet è quello di unire azioni legali, politiche e
comunicative per rafforzare le reti di solidarietà nei confronti delle persone
in movimento, soprattutto quelle bloccate in Libia. L’alleanza si prefigge di
sostenere i soccorsi, contrastare respingimenti illegali, repressione e
criminalizzazione delle ONG, opponendosi alle politiche di morte europee che, in
nome della sicurezza delle frontiere, impediscono i salvataggi ledendo i diritti
umani.
COMPASS COLLECTIVE: SULL’ILLEGITTIMITÀ DEL CENTRO DI COORDINAMENTO DEI SOCCORSI
IN LIBIA
Dall’istituzione di una zona SAR libica nel 2018 e la successiva creazione di un
centro di coordinamento dei soccorsi associato a Tripoli, viene esercitata una
pressione crescente sulle ONG affinché comunichino con le autorità libiche.
Tuttavia, la cosiddetta Guardia Costiera Libica è in realtà una rete di milizie
armate che, invece di soccorrere, rapisce le persone durante l’attraversata,
perpetrando violenze sistematiche. Non disponendo di un governo centrale, questa
rete è stata addestrata e finanziata dall’UE nell’ambito delle politiche di
“controllo della migrazione”.
Il JRCC di Tripoli non rispetta gli standard stabiliti dall’Organizzazione
marittima internazionale previsti nelle convenzioni SOLAS e SAR: non è operativo
24 ore su 24, manca di capacità linguistiche e infrastrutture tecniche adeguate.
Le azioni violente che mettono in atto in mare non possono ovviamente essere
considerate salvataggi, ma costituiscono la prima linea di un sistema di crimini
istituzionalizzato.
Anche le Corti europee – da quelle italiane a quella dei diritti dell’uomo –
hanno confermato che i respingimenti verso la Libia violano il diritto
internazionale.
Nel marzo 2024, dopo un salvataggio coordinato dalla Humanity 1 e il fermo
imposto alla nave, il Tribunale di Crotone ha revocato il provvedimento,
stabilendo 4 che la “guardia costiera libica” e il JRCC non sono autorità
legittimate al soccorso. La Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la
decisione nel giugno successivo, ribadendo che la Libia non è un porto sicuro e
che le ONG agiscono nel rispetto del diritto internazionale.
L’8 luglio 2025, in riferimento al caso Ocean Viking 5, la Corte costituzionale
italiana ha precisato che i comandanti devono seguire solo istruzioni legittime
e conformi alle norme di soccorso in mare: ordini che mettono in pericolo vite
umane non sono vincolanti e la loro disobbedienza non è punibile.
Ne deriva che le istruzioni della “guardia costiera libica” non sono mai
legittime:
«Seguire le loro istruzioni illegali è contro il diritto internazionale. […]
Quindi la decisione della Justice Fleet di sospendere tutte le comunicazioni
operative con le autorità marittime libiche non è solo moralmente giusta, ma è
giuridicamente necessaria 6».
In linea con le decisioni giudiziarie, la Justice Fleet Alliance rifiuta quindi
ogni collaborazione con la Libia, considerata un “attore illegittimo in mare”,
garantendo che il dovere di soccorso non si trasformi in complicità con crimini
politici.
La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare impone a
ogni comandante di soccorrere chi è in pericolo e di garantirne lo sbarco in un
luogo sicuro, indipendentemente da nazionalità o status. La Libia, priva di un
sistema d’asilo e responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, non può
essere considerata un luogo che soddisfa gli standard.
Ne consegue che portare i naufraghi in Libia è illegale e, di fatto, nel momento
in cui le autorità italiane ed europee ordinano alle ONG di coordinarsi con le
unità libiche, chiedono loro di commettere un illecito. Obbedire significherebbe
rendersi complici di un sistema criminale, e il rifiuto non è una sfida ma un
atto di rispetto del diritto internazionale.
«La Justice Fleet oggi sta tracciando un’importante linea giuridica e morale
secondo cui la vita umana viene prima degli ordini. 7»
CENTRO EUROPEO PER I DIRITTI COSTITUZIONALI E UMANI: SUI CRIMINI CONTRO
L’UMANITÀ NEL MAR MEDITERRANEO E SULLA TERRAFERMA DA PARTE DI ATTORI LIBICI
La Libia non può essere considerata un “place of safety”: rapporti
internazionali documentano torture, abusi, schiavitù, stupri e lavoro forzato
all’interno di campi dove le persone in movimento vengono imprigionate 8.
Le autorità marittime libiche e le milizie affiliate, incluse la cosiddetta
Guardia costiera, il JRCC di Tripoli e gruppi come la brigata TBZ 9, hanno
abitualmente fatto ricorso alle armi e a manovre calcolate per mettere in
pericolo le persone in mare.
Per ragioni politiche, le persone intercettate vengono riportate con la forza in
Libia e rinchiuse in prigioni gestite da agenzie statali, milizie e attori
privati, dando vita a un sistema detentivo divenuto altamente redditizio.
Dal 2011 questo sistema è parte dell’economia del conflitto libico,
ulteriormente rafforzata nel 2016 dalle politiche europee di esternalizzazione
delle frontiere, che hanno rimodellato quest’industria della detenzione
contribuendo alla creazione di una struttura transnazionale di contenimento che
si traduce in crimini contro l’umanità.
«È importante notare che ciò che sta accadendo nel Mediterraneo non è una crisi
umanitaria o un fallimento della governance, ma un sistema deliberato di
violenza organizzata 10»
Il 27 marzo 2023, la missione di inchiesta delle Nazioni Unite (NU) sulla Libia
ha dichiarato:
«L’UE e i suoi Stati membri sostengono la cosiddetta guardia costiera libica
[…]; in questo modo, contribuiscono al sequestro illegale di rifugiati in mare e
alla detenzione illegittima 11.»
Nella stessa indagine, le NU classificano le intercettazioni e i respingimenti
in mare come equivalenti alla reclusione o ad altre gravi privazioni della
libertà personale, violando alcuni tra i primi articoli della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) 12.
Gli attori della politica congiunta di “prevenzione della migrazione”, sono
pienamente consapevoli che tali azioni prevedibilmente si concretizzano in atti
violenti, eppure l’importanza ricade sull’agenda coordinata di contenimento. Nel
loro obiettivo tacito nascondono e sminuiscono il quadro, ma gli orrori
incasellati come “abusi isolati” sono evidentemente parte di un attacco diffuso
e sistematico contro migranti e rifugiati che tentano di lasciare la Libia.
RIFUGIATI IN LIBIA – SULLE ESPERIENZE DI VIOLENZA DELLE MILIZIE LIBICHE
«Mentre continuiamo a sensibilizzare sulla condizione di chi attraversa il
mediterraneo, la situazione in Libia peggiora di giorno in giorno. 13»
Dal 2016 le milizie libiche attaccano in mare persone in fuga dal paese e
soccorritori civili. Un rapporto di Sea Watch documenta oltre 60 episodi negli
ultimi dieci anni, tra sparatorie, speronamenti, blocchi, aggressioni, minacce e
intimidazioni. Anche in condizioni meteorologiche avverse, le milizie libiche
hanno inseguito le imbarcazioni con l’unico obiettivo di riportale in Libia.
La Justice Fleet Alliance ha stilato un elenco dei casi 14 avvenuti negli ultimi
anni; di seguito un estratto:
Le spiegazioni degli episodi citati:
Incidenti violenti in mare da parte delle milizie libiche | Justice Fleet
2025: Inseguimento di una barca mentre le persone erano cadute in acqua; una
persona annegata
2025: Una motovedetta donata dall’UE spara in direzione della Sea-Watch 5
2025: Attacco armato di 20 minuti contro l’Ocean Viking
2024: Intercettate donne e bambini sotto la minaccia delle armi
2024: Minaccia alla Mare Jonio durante un’operazione di soccorso
2024: Manovre pericolose intorno all’Humanity1
2023: Molestato un gommone da una motovedetta libica
2022: Minaccia agli aerei civili con missili SAM (missili terra-aria)
2022: Sparatoria contro persone in acqua
2021: Tentativo di speronare un’imbarcazione in fuga
2020: Uccisione di tre persone allo sbarco
2018: Interferenza con un’operazione di soccorso, causando la scomparsa di
cinque persone
2017: Sparatoria contro una nave della Guardia Costiera italiana
2016: Interferenza con un’operazione di soccorso, causando una serie di decessi
SOS HUMANITY: SULLA COOPERAZIONE UE-LIBIA
Dalla fine dell’operazione Mare Nostrum, l’UE ha indirizzato fondi per impedire
alle persone di raggiungere l’Europa, sviluppando un complesso sistema di mezzi
e strumenti per impedire l’esercizio del diritto di asilo e stringendo accordi
con la Libia sulla “gestione delle frontiere nel Mediterraneo centrale”.
Uno dei principali canali di finanziamento è stato il Fondo d’Emergenza per
l’Africa (EUTF for Africa), lanciato nel 2015. Questi fondi, che avrebbero
dovuto affrontare le cause profonde degli sfollamenti, sono stati invece
dirottati (per 57,2 milioni di euro) verso il controllo della migrazione e la
gestione militarizzata delle frontiere.
Nell’ambito della strategia di prevenzione della migrazione definita
propagandisticamente “illegale” l’UE ha fornito imbarcazioni, attrezzature e
risorse finanziarie, nonché addestramento ed equipaggiamento delle milizie
svolgendo un ruolo chiave nella creazione del centro di coordinamento del
“salvataggio libico”. Da allora, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per le
Migrazioni, più di 145.000 persone sono state intercettate e riportate in Libia.
Nel 2024, la Corte dei conti europea ha rilevato che i progetti UTF risultano
frammentati, inefficaci e privi di adeguate tutele per i diritti umani.
Nel 2021 la strategia europea è confluita nel nuovo strumento di vicinato,
cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI) – Europa
globale, valido fino al 2027, che per la gestione delle frontiere libiche ha
stanziato 12 milioni di euro per un’accademia di frontiera, 8 per la
modernizzazione del centro libico di coordinamento dei “soccorsi” e 5 per la
formazione delle forze di sicurezza.
Entro il 2027 l’UE avrà speso almeno 84 milioni di euro in misure di deterrenza
in Libia. Documenti del Consiglio Europeo mostrano che il NDICI mira a
potenziare le intercettazioni e collegare i centri di coordinamento, rafforzando
il sistema che intrappola le persone in Libia.
«Formando, equipaggiando e finanziando gli attori marittimi in Libia che
commettono sistematicamente violazioni dei diritti umani, l’Unione Europea è
direttamente complice di questi abusi. Ogni euro speso per una gestione violenta
delle frontiere rappresenta un’Europa che avrebbe potuto salvare vite umane. È
tempo che l’UE smetta di esternalizzare le proprie responsabilità legali e
morali e inizi a sostenerle. 15»
Il 2 novembre 2025 il Memorandum Italia-Libia, firmato nel 2017, è stato
rinnovato tra le proteste delle organizzazioni per i diritti umani, della Search
and Rescue Organization e dei gruppi auto-organizzati di rifugiati.
Notizie/In mare
LA PAROLA A REFUGEES IN LIBYA: «STOP MEMORANDUM!»
"Stage of Survivors" ha concluso a Roma una settimana di mobilitazione
20 Ottobre 2025
A metà ottobre 2025 la Camera, con una mozione della maggioranza, lo ha
tacitamente prorogato 16 fino al 2 febbraio 2026, richiamando la retorica del
“contrasto ai trafficanti” e della “prevenzione delle partenze”, nonostante il
patto implichi di fatto una collaborazione con i criminali, poiché prevede il
finanziamento dei centri di detenzione e il sostegno alle milizie.
La natura di questa cooperazione risulta più evidente alla luce dell’accusa
rivolta all’Italia dalla Procura della Corte Penale Internazionale (CPI) per il
mancato trasferimento a L’Aja di Osama Almasri, ex capo della polizia
giudiziaria di Tripoli sospettato di crimini contro l’umanità.
Proseguendo su questa linea, consapevoli delle conseguenze lesive dei diritti
umani, UE e Stati membri alimentano un ciclo di violenza e sfruttamento. Questo
è stato denunciato già nel novembre 2022 dal Centro europeo per i diritti
costituzionali e umani (ECCHR), che ha presentato un esposto 17 alla Corte
penale internazionale contro funzionari di UE, Italia, Malta e Libia per il loro
ruolo nelle intercettazioni sistematiche delle persone in movimento.
«Porre fine alla nostra comunicazione di salvataggio con l’JRCC libico che
coordina questi gruppi è una necessità e una linea chiara contro la complicità
europea con i crimini che si stanno verificando in Libia. 18»
NON CI SI ARRENDE DAVANTI ALLE POLITICHE INGIUSTE: «LORO INFRANGONO LA LEGGE.
NOI VINCIAMO IN TRIBUNALE.»
Oggi, Italia, Germania, Malta, Frontex e l’UE stanno violando il diritto di
asilo, attaccando i diritti umani e il diritto internazionale. Il Mar
Mediterraneo è diventato un luogo di illegalità, non perché manchino le leggi,
ma perché gli Stati europei scelgono deliberatamente di non rispettarle.
Le organizzazioni civili di soccorso, insieme a partner internazionali e sulla
base di rapporti delle Nazioni Unite, stanno portando questi crimini davanti
alla giustizia – dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ai tribunali italiani
– dove emerge un giudizio coerente: le attuali politiche europee sono illegali.
In dieci anni di violazioni, numerosi procedimenti hanno evidenziato l’illiceità
delle pratiche dell’Unione nel Mediterraneo, confermando al contrario la
legittimità delle operazioni di salvataggio delle ONG.
2009Il tribunale di Agrigento assolve l’equipaggio della nave
Cap Anamur riconoscendo la scriminante dell’adempimento al dovere di
soccorrere.2017La nave Iuventa viene sequestrata per presunto favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina (articolo 12, TUI); dopo sette anni di processo il
tribunale dichiara l’insussistenza del fatto.2018La nave Open Arms è sequestrata
con l’accusa di associazione a delinquere e favoreggiamento. Il provvedimento
viene annullato vista la sussistenza dello stato di necessità.2019La capitana
della nave See Watch 3, Carola Rakete, è accusata ex. articolo 12, TUI. Caso
concluso con il riconoscimento della giustificazione per adempimento al dovere
derivante dagli obblighi internazionali.2019La nave Vos Thalassa sbarca 66
naufraghi che si erano opposti al respingimento in Libia. Nel 2021, la Corte
Suprema Italiana riconosce il loro diritto di resistere ai respingimenti
illegali, per legittima difesa.2021Alla nave Vos Triton viene imposto di
riportare in Libia 170 persone soccorse. Il Tribunale di Roma 19 giudica
l’Italia responsabile di sequestro e ordina il rilascio di un visto umanitario
alla vittima che ha avviato il procedimento.
Questi casi mostrano che chi contesta le politiche euro-libiche diventa
bersaglio della repressione, mentre le decisioni giudiziarie evidenziano
l’illegalità delle azioni della guardia costiera libica e degli Stati europei.
Le sentenze confermano che un’imbarcazione non idonea è già in distress e, per
il diritto del mare, chi è in distress, prima di essere un migrante, è un
naufrago che deve essere soccorso; lo stato di necessità è inoltre aggravato
dalla condizione di fuga dalle torture libiche.
«Gli Stati hanno trasformato il mare in un’arma contro gli esseri umani. Ma
quando la nostra lotta collettiva per la libertà viene criminalizzata, la
resistenza diventa un dovere. La Justice Fleet si schiera esattamente dove
dobbiamo schierarci: contro un sistema che punisce la solidarietà e sancisce il
razzismo».
Carola Rakete – Ex deputata del Parlamento europeo
Le organizzazioni civili portano sempre più spesso queste battaglie davanti ai
giudici, riaffermando la supremazia del diritto sulle logiche politiche.
Nonostante ciò, la maggior parte dei respingimenti e delle violenze rimane
nell’ombra, impunita e scoperta da tutele giuridiche, rendendo estremamente
importante e necessaria l’azione della Justice Fleet. Il controllo statale sui
flussi migratori deve cedere di fronte all’obbligo di soccorrere in sicurezza
fino a un “porto sicuro”, per questo l’Alleanza assume una posizione chiara:
stop alla collaborazione con i criminali.
«Chiediamo la fine immediata di ogni cooperazione tra l’UE e gli attori libici
violenti, la fine immediata del sostegno ai crimini contro l’umanità in mare e
sulla terraferma. 20»
RIBELLIONE È RIVOLUZIONE CONTRO LE INGIUSTIZIE: «CONTINUEREMO I SOCCORSI MA CI
SCHIERIAMO CONTRO LA COMPLICITÀ»
In risposta alle violenze dei libici nel Mediterraneo e alla complicità degli
Stati europei, le organizzazioni di ricerca e salvataggio hanno intrapreso
quindi un passo storico:
«Non riconosceremo mai gli attori libici come autorità competenti di ricerca e
salvataggio e non obbediremo alla coercizione dello Stato italiano 21»
La sospensione delle comunicazioni operative con il JRCC, imposta dalla Legge
15/23 (“Decreto Piantedosi”), può comportare multe, detenzioni e la confisca dei
mezzi delle ONG, evidenziando ancora una volta la distanza tra le leggi
italiane, frutto di un decennio di politiche schierate, e il diritto
internazionale.
Le organizzazioni della Justice Fleet Alliance scelgono la via della
disobbedienza giusta opponendosi al riconoscimento delle pattuglie libiche e ai
probabili futuri ordini di collaborazione che ne deriverebbero. Sono pronte a
sostenere le conseguenze delle loro decisioni morali e legali; in un
Mediterraneo trasformato in confine armato, non comunicare con chi rapisce,
tortura e uccide non è un atto di sfida ma di umanità: disobbedire significa
oggi riaffermare il diritto del mare.
«Rischieremo la detenzione o addirittura la confisca delle nostre navi e dei
nostri aerei in Italia, cosa che combatteremo davanti a tutti i tribunali 22»
A fianco della Justice Fleet Alliance, si schierano altre realtà che contrastano
i crimini commessi in mare e nei lager libici. JLProject 23, nato nel 2019 e
impegnato da anni in indagini forensi pro bono per intentare azioni legali
contro gli Stati responsabili dei respingimenti illegali in Libia, ha dichiarato
il suo sostegno all’Alleanza:
«Noi stiamo indagando molto sui crimini della cosiddetta guardia costiera libica
e siamo molto soddisfatte della decisione di non comunicare con quei criminali.»
Sara Fratini – JL Project
La Justice Fleet Alliance si inserisce quindi in una più ampia cornice di
resistenza civile che, unendo giurisprudenza e attivismo, difende la centralità
della persona e i principi del diritto internazionale. In un contesto in cui la
legalità è piegata alle politiche di controllo, riaffermare che il soccorso non
è un reato ma un dovere rappresenta un vero atto di giustizia: in mare come a
terra, il diritto non si negozia, la migrazione non va criminalizzata e chi
salva vite non può essere condannato.
> «Quando gli ordini rendono i soccorritori potenzialmente complici di crimini
> contro l’umanità, il rifiuto è l’unica risposta legittima. 24»
1. Dichiarazione rilasciata il 5 novembre 2025 durante la prima conferenza
stampa congiunta della Justice Fleet Alliance, tenutasi a Bruxelles.
Dichiarazioni rilasciate in lingua inglese e tradotte dall’autrice ↩︎
2. Ibidem ↩︎
3. Le Ong del soccorso in mare si uniscono nella Justice Fleet e interrompono
le comunicazioni con Tripoli, Sea Watch (5 novembre 2025) ↩︎
4. Court confirms: Detention Unlawful, SOS Humanity (12 giugno 2025) ↩︎
5. LaOcean Viking è stata la prima nave umanitaria a ricevere un fermo
amministrativo in base al Decreto Piantedosi, accusata di aver ignorato
l’ordine libico di «lasciare il soccorso». L’equipaggio ha completato
l’operazione, ritenendo l’ordine imposto ex lege al comandante illegittimo
e contrario agli obblighi italiani sui diritti fondamentali. La giudice di
Brindisi, annullando il fermo, ha dichiarato: «
Imporre il fermo a una nave umanitaria va a compromettere il diritto di
essere soccorsi
». Ha inoltre rimesso gli atti alla Corte costituzionale, rilevando una
presunta violazione dell’art. 25, comma 2, a causa dei «presupposti
inadeguati per l’applicazione del fermo», non riconoscendo la «delega in
bianco» all’autorità libica ↩︎
6. Dichiarazione rilasciata il 5 novembre 2025 durante la prima conferenza
stampa congiunta della Justice Fleet Alliance, tenutasi a Bruxelles ↩︎
7. Ibidem ↩︎
8. «Migrants and refugees suffer unimaginable horrors during their transit
through and stay in Libya» – Office of the United Nations High Commissioner
for Human Rights (OHCHR) / United Nations Support Mission in Libya
(UNSMIL). Report on the human-rights situation of migrants and refugees in
Libya (20 dicembre 2018) ↩︎
9. La Brigata Tariq Ben Zeyad (TBZ) è un’organizzazione delle forze armate
libiche, guidata da Saddam Haftar, figlio del comandante dell’Esercito
nazionale libico (LNA) Khalifa Haftar. Attiva dal 2016, comprendente ex
soldati gheddafisti, è accusata di gravi violazioni dei diritti umani, tra
cui uccisioni, torture, sequestri, stupri e sfollamenti forzati. Amnesty
International documenta un “catalogo degli orrori” commessi dal 2016, tra
cui l’espulsione collettiva di migliaia di rifugiati e migranti da Sabha e
dal sud della Libia. ↩︎
10. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza
stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎
11. HRC – Press Conference: Fact-Finding Mission on Libya | UN Web TV; Report
of the Independent Fact-Finding Mission on Libya – Human Rights Council
(marzo 2023) ↩︎
12. CEDU – Art.1: Obbligo di rispettare i diritti dell’uomo; Art.2: Diritto
alla vita; Art.3: Proibizione della tortura; Art.4: Proibizione della
schiavitù e del lavoro forzato; Art. 5: Diritto alla libertà e alla
sicurezza ↩︎
13. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza
stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎
14. Sul sito justice-fleet.org la lista delle violenze della cosiddetta guardia
costiera libica documentate dalla società civile negli ultimi 10 anni e in
continuo aggiornamento:
60 Libyan attacks at sea as EU rolls out red carpet for militias, new data
shows • Sea-Watch e.V. ↩︎
15. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza
stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎
16. Grazie a una clausola all’articolo 8 che prevede il rinnovo automatico
triennale salvo richiesta scritta di revoca con preavviso di tre mesi di
una delle parti ↩︎
17. Qui il testo dell’esposto ↩︎
18. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza
stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎
19. Caso Vos Triton: Italia ritenuta responsabile per il respingimento delegato
verso la Libia. A. arriva in sicurezza a Roma, Asgi (marzo 2025) ↩︎
20. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza
stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎
21. Ibidem ↩︎
22. Ibidem ↩︎
23. Qui il sito di JLProject ↩︎
24. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza
stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎