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Justice Fleet Alliance: le ONG del Mediterraneo interrompono i contatti con Tripoli
Il 5 novembre 2025 a Bruxelles la Justice Fleet Alliance ha tenuto la sua prima conferenza stampa congiunta, trasmessa in diretta streaming. Le organizzazioni coinvolte hanno annunciato una decisione storica: sospendere ogni comunicazione operativa con il JRCC (Joint Rescue Coordination Centre) libico. Dopo anni di violazioni dei diritti umani da parte delle autorità libiche, le organizzazioni non governative di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale hanno creato una “coalizione per la giustizia”, con il supporto del Centro europeo per i diritti costituzionali e umani e di Refugees in Libya. «Dieci anni dopo l’estate della migrazione, stiamo fondando la Justice Fleet. I nostri obiettivi? Lottare insieme contro i crimini di Stato. Vogliamo creare pressione pubblica e legale per realizzare un cambiamento politico 1» Durante la conferenza, i partner coinvolti sono intervenuti in merito ai fondamenti legali e morali della decisione e alle richieste rivolte ai policy makers europei: SEA-WATCH: COS’È LA JUSTICE FLEET E QUAL’È IL SUO BACKGROUND L’Unione Europea, nel tentativo di bloccare le traversate nel Mediterraneo, si rende complice di crimini contro l’umanità e ostacola la società civile impegnata nei soccorsi, criminalizzandola e diffamandola. In risposta a queste violazioni sistematiche, tredici organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e del diritto marittimo internazionale si sono unite per dare vita alla Justice Fleet, la più grande alleanza civile di organizzazioni di ricerca e soccorso in mare. «È una risposta alla coercizione degli Stati europei a comunicare con le milizie libiche, autori di quotidiane violenze in mare e in opposizione al rinnovo tacito del Memorandum d’Intesa Italia-Libia. 2» Alliance Members (Germania, Francia, Italia e Spagna) CompassCollective – Louise Michel – Mediterranea Saving Humans – Mission Lifeline – Pilotes Volontaires – RESQSHIP – r42-Sail And Rescue – Salvamento Marítimo Humanitario – Sea-Eye – SEA PUNKS – Sea-Watch – SOS Humanity – Tutti gli Occhi sul Mediterraneo La campagna della Justice Fleet Alliance nasce dopo che la nave civile Mediterranea, di Mediterranea Saving Humans, il 4 novembre 2025 ha sbarcato a Porto Empedocle 92 persone soccorse, rifiutando il porto assegnato di Livorno, distante oltre 1.200 km e quattro giorni di navigazione. Notizie/In mare «ABBIAMO AGITO PER SALVARE VITE»: SBARCATE LE 92 PERSONE SOCCORSE DA MEDITERRANEA Lo Stato minaccia nuove sanzioni per aver scelto Porto Empedocle Redazione 5 Novembre 2025 L’equipaggio ha disobbedito agli ordini illegittimi del Governo italiano, agendo in “stato di necessità” (art. 54 c.p.), nel pieno rispetto del diritto marittimo nazionale e internazionale, a tutela dei diritti fondamentali della vita e della dignità delle persone soccorse, giudicate dal medico di bordo non idonee a ulteriori giorni di navigazione. Per questa decisione la nave è stata bloccata e il comandante ha ricevuto una contestazione per presunta violazione del Decreto Piantedosi per “non aver raggiunto senza ritardo il porto di sbarco assegnato”. L’episodio evidenzia la volontà del Governo di ostacolare il soccorso civile, inumana ossessione che guida l’imposizione di norme che mettono a rischio la vita delle persone. «Lo spirito con cui la nave ha agito è lo spirito che anima la Justice Fleet e per questo esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Mediterranea 3» L’obiettivo della Justice Fleet è quello di unire azioni legali, politiche e comunicative per rafforzare le reti di solidarietà nei confronti delle persone in movimento, soprattutto quelle bloccate in Libia. L’alleanza si prefigge di sostenere i soccorsi, contrastare respingimenti illegali, repressione e criminalizzazione delle ONG, opponendosi alle politiche di morte europee che, in nome della sicurezza delle frontiere, impediscono i salvataggi ledendo i diritti umani. COMPASS COLLECTIVE: SULL’ILLEGITTIMITÀ DEL CENTRO DI COORDINAMENTO DEI SOCCORSI IN LIBIA Dall’istituzione di una zona SAR libica nel 2018 e la successiva creazione di un centro di coordinamento dei soccorsi associato a Tripoli, viene esercitata una pressione crescente sulle ONG affinché comunichino con le autorità libiche. Tuttavia, la cosiddetta Guardia Costiera Libica è in realtà una rete di milizie armate che, invece di soccorrere, rapisce le persone durante l’attraversata, perpetrando violenze sistematiche. Non disponendo di un governo centrale, questa rete è stata addestrata e finanziata dall’UE nell’ambito delle politiche di “controllo della migrazione”. Il JRCC di Tripoli non rispetta gli standard stabiliti dall’Organizzazione marittima internazionale previsti nelle convenzioni SOLAS e SAR: non è operativo 24 ore su 24, manca di capacità linguistiche e infrastrutture tecniche adeguate. Le azioni violente che mettono in atto in mare non possono ovviamente essere considerate salvataggi, ma costituiscono la prima linea di un sistema di crimini istituzionalizzato. Anche le Corti europee – da quelle italiane a quella dei diritti dell’uomo – hanno confermato che i respingimenti verso la Libia violano il diritto internazionale. Nel marzo 2024, dopo un salvataggio coordinato dalla Humanity 1 e il fermo imposto alla nave, il Tribunale di Crotone ha revocato il provvedimento, stabilendo 4 che la “guardia costiera libica” e il JRCC non sono autorità legittimate al soccorso. La Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la decisione nel giugno successivo, ribadendo che la Libia non è un porto sicuro e che le ONG agiscono nel rispetto del diritto internazionale. L’8 luglio 2025, in riferimento al caso Ocean Viking 5, la Corte costituzionale italiana ha precisato che i comandanti devono seguire solo istruzioni legittime e conformi alle norme di soccorso in mare: ordini che mettono in pericolo vite umane non sono vincolanti e la loro disobbedienza non è punibile. Ne deriva che le istruzioni della “guardia costiera libica” non sono mai legittime: «Seguire le loro istruzioni illegali è contro il diritto internazionale. […] Quindi la decisione della Justice Fleet di sospendere tutte le comunicazioni operative con le autorità marittime libiche non è solo moralmente giusta, ma è giuridicamente necessaria 6». In linea con le decisioni giudiziarie, la Justice Fleet Alliance rifiuta quindi ogni collaborazione con la Libia, considerata un “attore illegittimo in mare”, garantendo che il dovere di soccorso non si trasformi in complicità con crimini politici. La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare impone a ogni comandante di soccorrere chi è in pericolo e di garantirne lo sbarco in un luogo sicuro, indipendentemente da nazionalità o status. La Libia, priva di un sistema d’asilo e responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, non può essere considerata un luogo che soddisfa gli standard. Ne consegue che portare i naufraghi in Libia è illegale e, di fatto, nel momento in cui le autorità italiane ed europee ordinano alle ONG di coordinarsi con le unità libiche, chiedono loro di commettere un illecito. Obbedire significherebbe rendersi complici di un sistema criminale, e il rifiuto non è una sfida ma un atto di rispetto del diritto internazionale. «La Justice Fleet oggi sta tracciando un’importante linea giuridica e morale secondo cui la vita umana viene prima degli ordini. 7» CENTRO EUROPEO PER I DIRITTI COSTITUZIONALI E UMANI: SUI CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ NEL MAR MEDITERRANEO E SULLA TERRAFERMA DA PARTE DI ATTORI LIBICI La Libia non può essere considerata un “place of safety”: rapporti internazionali documentano torture, abusi, schiavitù, stupri e lavoro forzato all’interno di campi dove le persone in movimento vengono imprigionate 8. Le autorità marittime libiche e le milizie affiliate, incluse la cosiddetta Guardia costiera, il JRCC di Tripoli e gruppi come la brigata TBZ 9, hanno abitualmente fatto ricorso alle armi e a manovre calcolate per mettere in pericolo le persone in mare. Per ragioni politiche, le persone intercettate vengono riportate con la forza in Libia e rinchiuse in prigioni gestite da agenzie statali, milizie e attori privati, dando vita a un sistema detentivo divenuto altamente redditizio. Dal 2011 questo sistema è parte dell’economia del conflitto libico, ulteriormente rafforzata nel 2016 dalle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere, che hanno rimodellato quest’industria della detenzione contribuendo alla creazione di una struttura transnazionale di contenimento che si traduce in crimini contro l’umanità. «È importante notare che ciò che sta accadendo nel Mediterraneo non è una crisi umanitaria o un fallimento della governance, ma un sistema deliberato di violenza organizzata 10» Il 27 marzo 2023, la missione di inchiesta delle Nazioni Unite (NU) sulla Libia ha dichiarato:  «L’UE e i suoi Stati membri sostengono la cosiddetta guardia costiera libica […]; in questo modo, contribuiscono al sequestro illegale di rifugiati in mare e alla detenzione illegittima 11.» Nella stessa indagine, le NU classificano le intercettazioni e i respingimenti in mare come equivalenti alla reclusione o ad altre gravi privazioni della libertà personale, violando alcuni tra i primi articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) 12. Gli attori della politica congiunta di “prevenzione della migrazione”, sono pienamente consapevoli che tali azioni prevedibilmente si concretizzano in atti violenti, eppure l’importanza ricade sull’agenda coordinata di contenimento. Nel loro obiettivo tacito nascondono e sminuiscono il quadro, ma gli orrori incasellati come “abusi isolati” sono evidentemente parte di un attacco diffuso e sistematico contro migranti e rifugiati che tentano di lasciare la Libia. RIFUGIATI IN LIBIA – SULLE ESPERIENZE DI VIOLENZA DELLE MILIZIE LIBICHE «Mentre continuiamo a sensibilizzare sulla condizione di chi attraversa il mediterraneo, la situazione in Libia peggiora di giorno in giorno. 13» Dal 2016 le milizie libiche attaccano in mare persone in fuga dal paese e soccorritori civili.  Un rapporto di Sea Watch documenta oltre 60 episodi negli ultimi dieci anni, tra sparatorie, speronamenti, blocchi, aggressioni, minacce e intimidazioni. Anche in condizioni meteorologiche avverse, le milizie libiche hanno inseguito le imbarcazioni con l’unico obiettivo di riportale in Libia. La Justice Fleet Alliance ha stilato un elenco dei casi 14 avvenuti negli ultimi anni; di seguito un estratto: Le spiegazioni degli episodi citati: Incidenti violenti in mare da parte delle milizie libiche | Justice Fleet 2025: Inseguimento di una barca mentre le persone erano cadute in acqua; una persona annegata 2025: Una motovedetta donata dall’UE spara in direzione della Sea-Watch 5 2025: Attacco armato di 20 minuti contro l’Ocean Viking 2024: Intercettate donne e bambini sotto la minaccia delle armi 2024: Minaccia alla Mare Jonio durante un’operazione di soccorso 2024: Manovre pericolose intorno all’Humanity1 2023: Molestato un gommone da una motovedetta libica 2022: Minaccia agli aerei civili con missili SAM (missili terra-aria) 2022: Sparatoria contro persone in acqua 2021: Tentativo di speronare un’imbarcazione in fuga 2020: Uccisione di tre persone allo sbarco 2018: Interferenza con un’operazione di soccorso, causando la scomparsa di cinque persone 2017: Sparatoria contro una nave della Guardia Costiera italiana 2016: Interferenza con un’operazione di soccorso, causando una serie di decessi SOS HUMANITY: SULLA COOPERAZIONE UE-LIBIA Dalla fine dell’operazione Mare Nostrum, l’UE ha indirizzato fondi per impedire alle persone di raggiungere l’Europa, sviluppando un complesso sistema di mezzi e strumenti per impedire l’esercizio del diritto di asilo e stringendo accordi con la Libia sulla “gestione delle frontiere nel Mediterraneo centrale”. Uno dei principali canali di finanziamento è stato il Fondo d’Emergenza per l’Africa (EUTF for Africa), lanciato nel 2015. Questi fondi, che avrebbero dovuto affrontare le cause profonde degli sfollamenti, sono stati invece dirottati (per 57,2 milioni di euro) verso il controllo della migrazione e la gestione militarizzata delle frontiere. Nell’ambito della strategia di prevenzione della migrazione definita propagandisticamente “illegale” l’UE ha fornito imbarcazioni, attrezzature e risorse finanziarie, nonché addestramento ed equipaggiamento delle milizie svolgendo un ruolo chiave nella creazione del centro di coordinamento del “salvataggio libico”. Da allora, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per le Migrazioni, più di 145.000 persone sono state intercettate e riportate in Libia. Nel 2024, la Corte dei conti europea ha rilevato che i progetti UTF risultano frammentati, inefficaci e privi di adeguate tutele per i diritti umani. Nel 2021 la strategia europea è confluita nel nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI) – Europa globale, valido fino al 2027, che per la gestione delle frontiere libiche ha stanziato 12 milioni di euro per un’accademia di frontiera, 8 per la modernizzazione del centro libico di coordinamento dei “soccorsi” e 5 per la formazione delle forze di sicurezza. Entro il 2027 l’UE avrà speso almeno 84 milioni di euro in misure di deterrenza in Libia. Documenti del Consiglio Europeo mostrano che il NDICI mira a potenziare le intercettazioni e collegare i centri di coordinamento, rafforzando il sistema che intrappola le persone in Libia. «Formando, equipaggiando e finanziando gli attori marittimi in Libia che commettono sistematicamente violazioni dei diritti umani, l’Unione Europea è direttamente complice di questi abusi. Ogni euro speso per una gestione violenta delle frontiere rappresenta un’Europa che avrebbe potuto salvare vite umane. È tempo che l’UE smetta di esternalizzare le proprie responsabilità legali e morali e inizi a sostenerle. 15» Il 2 novembre 2025 il Memorandum Italia-Libia, firmato nel 2017, è stato rinnovato tra le proteste delle organizzazioni per i diritti umani, della Search and Rescue Organization e dei gruppi auto-organizzati di rifugiati. Notizie/In mare LA PAROLA A REFUGEES IN LIBYA: «STOP MEMORANDUM!» "Stage of Survivors" ha concluso a Roma una settimana di mobilitazione 20 Ottobre 2025 A metà ottobre 2025 la Camera, con una mozione della maggioranza, lo ha tacitamente prorogato 16 fino al 2 febbraio 2026, richiamando la retorica del “contrasto ai trafficanti” e della “prevenzione delle partenze”, nonostante il patto implichi di fatto una collaborazione con i criminali, poiché prevede il finanziamento dei centri di detenzione e il sostegno alle milizie. La natura di questa cooperazione risulta più evidente alla luce dell’accusa rivolta all’Italia dalla Procura della Corte Penale Internazionale (CPI) per il mancato trasferimento a L’Aja di Osama Almasri, ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli sospettato di crimini contro l’umanità. Proseguendo su questa linea, consapevoli delle conseguenze lesive dei diritti umani, UE e Stati membri alimentano un ciclo di violenza e sfruttamento. Questo è stato denunciato già nel novembre 2022 dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (ECCHR), che ha presentato un esposto 17 alla Corte penale internazionale contro funzionari di UE, Italia, Malta e Libia per il loro ruolo nelle intercettazioni sistematiche delle persone in movimento. «Porre fine alla nostra comunicazione di salvataggio con l’JRCC libico che coordina questi gruppi è una necessità e una linea chiara contro la complicità europea con i crimini che si stanno verificando in Libia. 18» NON CI SI ARRENDE DAVANTI ALLE POLITICHE INGIUSTE: «LORO INFRANGONO LA LEGGE. NOI VINCIAMO IN TRIBUNALE.» Oggi, Italia, Germania, Malta, Frontex e l’UE stanno violando il diritto di asilo, attaccando i diritti umani e il diritto internazionale. Il Mar Mediterraneo è diventato un luogo di illegalità, non perché manchino le leggi, ma perché gli Stati europei scelgono deliberatamente di non rispettarle. Le organizzazioni civili di soccorso, insieme a partner internazionali e sulla base di rapporti delle Nazioni Unite, stanno portando questi crimini davanti alla giustizia – dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ai tribunali italiani – dove emerge un giudizio coerente: le attuali politiche europee sono illegali. In dieci anni di violazioni, numerosi procedimenti hanno evidenziato l’illiceità delle pratiche dell’Unione nel Mediterraneo, confermando al contrario la legittimità delle operazioni di salvataggio delle ONG. 2009Il tribunale di Agrigento assolve l’equipaggio della nave Cap Anamur riconoscendo la scriminante dell’adempimento al dovere di soccorrere.2017La nave Iuventa viene sequestrata per presunto favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (articolo 12, TUI); dopo sette anni di processo il tribunale dichiara l’insussistenza del fatto.2018La nave Open Arms è sequestrata con l’accusa di associazione a delinquere e favoreggiamento. Il provvedimento viene annullato vista la sussistenza dello stato di necessità.2019La capitana della nave See Watch 3, Carola Rakete, è accusata ex. articolo 12, TUI. Caso concluso con il riconoscimento della giustificazione per adempimento al dovere derivante dagli obblighi internazionali.2019La nave Vos Thalassa sbarca 66 naufraghi che si erano opposti al respingimento in Libia. Nel 2021, la Corte Suprema Italiana riconosce il loro diritto di resistere ai respingimenti illegali, per legittima difesa.2021Alla nave Vos Triton viene imposto di riportare in Libia 170 persone soccorse. Il Tribunale di Roma 19 giudica l’Italia responsabile di sequestro e ordina il rilascio di un visto umanitario alla vittima che ha avviato il procedimento. Questi casi mostrano che chi contesta le politiche euro-libiche diventa bersaglio della repressione, mentre le decisioni giudiziarie evidenziano l’illegalità delle azioni della guardia costiera libica e degli Stati europei. Le sentenze confermano che un’imbarcazione non idonea è già in distress e, per il diritto del mare, chi è in distress, prima di essere un migrante, è un naufrago che deve essere soccorso; lo stato di necessità è inoltre aggravato dalla condizione di fuga dalle torture libiche. «Gli Stati hanno trasformato il mare in un’arma contro gli esseri umani. Ma quando la nostra lotta collettiva per la libertà viene criminalizzata, la resistenza diventa un dovere. La Justice Fleet si schiera esattamente dove dobbiamo schierarci: contro un sistema che punisce la solidarietà e sancisce il razzismo». Carola Rakete – Ex deputata del Parlamento europeo Le organizzazioni civili portano sempre più spesso queste battaglie davanti ai giudici, riaffermando la supremazia del diritto sulle logiche politiche. Nonostante ciò, la maggior parte dei respingimenti e delle violenze rimane nell’ombra, impunita e scoperta da tutele giuridiche, rendendo estremamente importante e necessaria l’azione della Justice Fleet. Il controllo statale sui flussi migratori deve cedere di fronte all’obbligo di soccorrere in sicurezza fino a un “porto sicuro”, per questo l’Alleanza assume una posizione chiara: stop alla collaborazione con i criminali. «Chiediamo la fine immediata di ogni cooperazione tra l’UE e gli attori libici violenti, la fine immediata del sostegno ai crimini contro l’umanità in mare e sulla terraferma. 20» RIBELLIONE È RIVOLUZIONE CONTRO LE INGIUSTIZIE: «CONTINUEREMO I SOCCORSI MA CI SCHIERIAMO CONTRO LA COMPLICITÀ» In risposta alle violenze dei libici nel Mediterraneo e alla complicità degli Stati europei, le organizzazioni di ricerca e salvataggio hanno intrapreso quindi un passo storico: «Non riconosceremo mai gli attori libici come autorità competenti di ricerca e salvataggio e non obbediremo alla coercizione dello Stato italiano 21» La sospensione delle comunicazioni operative con il JRCC, imposta dalla Legge 15/23 (“Decreto Piantedosi”), può comportare multe, detenzioni e la confisca dei mezzi delle ONG, evidenziando ancora una volta la distanza tra le leggi italiane, frutto di un decennio di politiche schierate, e il diritto internazionale. Le organizzazioni della Justice Fleet Alliance scelgono la via della disobbedienza giusta opponendosi al riconoscimento delle pattuglie libiche e ai probabili futuri ordini di collaborazione che ne deriverebbero. Sono pronte a sostenere le conseguenze delle loro decisioni morali e legali; in un Mediterraneo trasformato in confine armato, non comunicare con chi rapisce, tortura e uccide non è un atto di sfida ma di umanità: disobbedire significa oggi riaffermare il diritto del mare. «Rischieremo la detenzione o addirittura la confisca delle nostre navi e dei nostri aerei in Italia, cosa che combatteremo davanti a tutti i tribunali 22» A fianco della Justice Fleet Alliance, si schierano altre realtà che contrastano i crimini commessi in mare e nei lager libici. JLProject 23, nato nel 2019 e impegnato da anni in indagini forensi pro bono per intentare azioni legali contro gli Stati responsabili dei respingimenti illegali in Libia, ha dichiarato il suo sostegno all’Alleanza: «Noi stiamo indagando molto sui crimini della cosiddetta guardia costiera libica e siamo molto soddisfatte della decisione di non comunicare con quei criminali.» Sara Fratini – JL Project La Justice Fleet Alliance si inserisce quindi in una più ampia cornice di resistenza civile che, unendo giurisprudenza e attivismo, difende la centralità della persona e i principi del diritto internazionale. In un contesto in cui la legalità è piegata alle politiche di controllo, riaffermare che il soccorso non è un reato ma un dovere rappresenta un vero atto di giustizia: in mare come a terra, il diritto non si negozia, la migrazione non va criminalizzata e chi salva vite non può essere condannato. > «Quando gli ordini rendono i soccorritori potenzialmente complici di crimini > contro l’umanità, il rifiuto è l’unica risposta legittima. 24» 1. Dichiarazione rilasciata il 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance, tenutasi a Bruxelles. Dichiarazioni rilasciate in lingua inglese e tradotte dall’autrice ↩︎ 2. Ibidem ↩︎ 3. Le Ong del soccorso in mare si uniscono nella Justice Fleet e interrompono le comunicazioni con Tripoli, Sea Watch (5 novembre 2025) ↩︎ 4. Court confirms: Detention Unlawful, SOS Humanity (12 giugno 2025) ↩︎ 5. LaOcean Viking è stata la prima nave umanitaria a ricevere un fermo amministrativo in base al Decreto Piantedosi, accusata di aver ignorato l’ordine libico di «lasciare il soccorso». L’equipaggio ha completato l’operazione, ritenendo l’ordine imposto ex lege al comandante illegittimo e contrario agli obblighi italiani sui diritti fondamentali. La giudice di Brindisi, annullando il fermo, ha dichiarato: « Imporre il fermo a una nave umanitaria va a compromettere il diritto di essere soccorsi ». Ha inoltre rimesso gli atti alla Corte costituzionale, rilevando una presunta violazione dell’art. 25, comma 2, a causa dei «presupposti inadeguati per l’applicazione del fermo», non riconoscendo la «delega in bianco» all’autorità libica ↩︎ 6. Dichiarazione rilasciata il 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance, tenutasi a Bruxelles ↩︎ 7. Ibidem ↩︎ 8. «Migrants and refugees suffer unimaginable horrors during their transit through and stay in Libya» – Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights (OHCHR) / United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL). Report on the human-rights situation of migrants and refugees in Libya (20 dicembre 2018) ↩︎ 9. La Brigata Tariq Ben Zeyad (TBZ) è un’organizzazione delle forze armate libiche, guidata da Saddam Haftar, figlio del comandante dell’Esercito nazionale libico (LNA) Khalifa Haftar. Attiva dal 2016, comprendente ex soldati gheddafisti, è accusata di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni, torture, sequestri, stupri e sfollamenti forzati. Amnesty International documenta un “catalogo degli orrori” commessi dal 2016, tra cui l’espulsione collettiva di migliaia di rifugiati e migranti da Sabha e dal sud della Libia. ↩︎ 10. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 11. HRC – Press Conference: Fact-Finding Mission on Libya | UN Web TV; Report of the Independent Fact-Finding Mission on Libya – Human Rights Council (marzo 2023) ↩︎ 12. CEDU – Art.1: Obbligo di rispettare i diritti dell’uomo; Art.2: Diritto alla vita; Art.3: Proibizione della tortura; Art.4: Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato; Art. 5: Diritto alla libertà e alla sicurezza ↩︎ 13. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 14. Sul sito justice-fleet.org la lista delle violenze della cosiddetta guardia costiera libica documentate dalla società civile negli ultimi 10 anni e in continuo aggiornamento: 60 Libyan attacks at sea as EU rolls out red carpet for militias, new data shows • Sea-Watch e.V. ↩︎ 15. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 16. Grazie a una clausola all’articolo 8 che prevede il rinnovo automatico triennale salvo richiesta scritta di revoca con preavviso di tre mesi di una delle parti ↩︎ 17. Qui il testo dell’esposto ↩︎ 18. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 19. Caso Vos Triton: Italia ritenuta responsabile per il respingimento delegato verso la Libia. A. arriva in sicurezza a Roma, Asgi (marzo 2025) ↩︎ 20. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 21. Ibidem ↩︎ 22. Ibidem ↩︎ 23. Qui il sito di JLProject ↩︎ 24. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎
La procedura di richiesta di asilo in Grecia
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- INTRODUZIONE Questo secondo contributo analizza il sistema di asilo in Grecia, evidenziando le prassi illegali di respingimento e le criticità strutturali che caratterizzano l’accoglienza e la gestione dei richiedenti protezione internazionale. Attraverso testimonianze dirette, rapporti istituzionali e documentazione giornalistica, il testo ricostruisce un quadro fatto di omissioni di soccorso, deportazioni informali e detenzioni arbitrarie, in violazione sistematica dei diritti umani. Tesi di laurea, ricerche e studi/Papers COMPRENDERE IL SISTEMA D’ASILO GRECO Evoluzione storica delle politiche migratorie Giulia Stella Ingallina 31 Ottobre 2025 Viene descritto il funzionamento della procedura d’asilo – dall’identificazione all’ottenimento della “red card” – e le gravi disfunzioni burocratiche che mantengono i richiedenti in uno stato di sospensione e vulnerabilità prolungata. L’analisi mette in luce come la concessione o il diniego dell’asilo aprono due strade, seppur differenziate, di esclusione sociale anche vista la disgiunzione tra assistenza umanitaria e protezione sociale. Le storie di vita raccolte mostrano come molti migranti, frustrati da un sistema inefficiente e discriminatorio, scelgano di abbandonare la Grecia, tentando il “game” verso il Nord Europa. Il testo propone così una riflessione critica sulla “governance dell’abbandono” che trasforma la Grecia da “porta d’ingresso” dell’Europa a luogo di invisibilizzazione e sofferenza istituzionalizzata. Scarica l’elaborato
Comprendere il sistema d’asilo greco
Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi. Per pubblicare il tuo lavoro consulta la pagina della rubrica e scrivi a collaborazioni@meltingpot.org. -------------------------------------------------------------------------------- L’articolo esplora il sistema di asilo in Grecia, ricostruendone l’evoluzione e mettendo in luce le continuità tra le politiche del passato e le pratiche attuali. Attraverso un’analisi che intreccia fonti istituzionali, testimonianze dirette e osservazioni di campo, il testo mostra come la gestione dell’asilo resti segnata da una logica emergenziale e da una burocrazia irregolare, più orientata al controllo che alla tutela dei diritti. Dalle procedure di registrazione ai centri di detenzione, dalle decisioni dell’Asylum Service ai percorsi di invisibilità che molti richiedenti asilo sono costretti a intraprendere, emerge un quadro di precarietà istituzionalizzata. Conoscere la storia di queste politiche diventa così una lente indispensabile per leggere il presente: un sistema che, pur mutando forme e linguaggi, continua a produrre esclusione, incertezza e marginalità. Scarica il documento Approfondimenti/Papers IN GRECIA VIENE PREVISTO IL CARCERE PER I RICHIEDENTI ASILO IN RIGETTO Analisi della nuova legge che penalizza e criminalizza l'ingresso e il soggiorno nel Paese Giulia Stella Ingallina 22 Ottobre 2025
In Grecia viene previsto il carcere per i richiedenti asilo in rigetto
I vertici del governo non usano mezzi termini: fine alla filoxenia in favore della xenofobia Un tempo le istituzioni greche vantavano il proprio sentimento di ospitalità, filoxenίa, pubblicamente rivendicato come caratteristica nazionale. La xenia però «è ben lontana dall’immagine dolce e amabile» 1 che veniva rivendicata come “buona pratica” e oggi le istituzioni ci mostrano solo quello che c’è all’estremo opposto: Xenofobia. Il 3 settembre 2025 il Parlamento greco ha approvato la Legge 5226/2025 «Riforma del quadro e delle procedure per i cittadini di paesi terzi» 2, già presentata nel maggio 2025, con misure finalizzate ad un consistente inasprimento delle politiche migratorie del paese. Sotto l’egida del partito di destra Nuova Democrazia (ND) e inserita nel quadro di una più ampia strategia del governo Mitsotakis per accelerare i rimpatri e disincentivare soggiorni irregolari, la nuova norma di legge prevede l’utilizzo della detenzione come strumento di deterrenza per contrastare la permanenza sul territorio, trasformando in criminali le persone che vengono rigettate dal sistema d’asilo europeo. Approfondimenti GRECIA, SOSPENSIONE DELL’ASILO E NUOVA RIFORMA RAZZISTA DEL GOVERNO MITSOTAKIS Atene anticipa la linea più dura del Patto UE Redazione 14 Agosto 2025 La legge si inserisce in un contesto di progressivo deterioramento dei diritti delle persone in movimento: a luglio il governo aveva già deciso di sospendere per tre mesi tutte le domande dei richiedenti asilo provenienti dal Nord Africa, annullando completamente quanto sancito dall’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. Thanos Plevris 3 (il nuovo ministro dell’Immigrazione da giugno 2025) sta attuando indisturbato la sua agenda politica, apertamente dichiarata in molteplici occasioni. Già nel 2011 durante un evento pubblico aveva annunciato: «Non c’è protezione di frontiera senza morti». Nel suo discorso in Parlamento, in occasione dell’approvazione della nuova legge, Plevris si era inoltre vantato del programma politico in atto: «Lo dico con grande orgoglio: sono felice di essere un ministro di questo governo che criminalizza la residenza illegale nel paese» e rivolgendosi ai rifugiati con una diretta minaccia aveva asserito: «Se la tua domanda di asilo viene respinta, hai due opzioni. O finisci in prigione o torni in patria. Lo stato greco non ti accetta. Non sei tollerato perché sei entrato illegalmente. Hai una sola scelta: tornare. Non siete i benvenuti»3. Le parole e le azioni istituzionali e legislative del governo greco perdono oggi ogni riferimento a quell’ospitalità, i sentimenti di filoxenίa si sono trasformati in αφιλοξενία (a- filoxenίa), assenza di ospitalità e, naturalizzando la paura dell’altro 4 in ostilità e pura xenofobia, che mostra tutta la sua forza in questa legga razzista. Chi è Thanos Plevris Ministro della Migrazione dal 28 giugno 2025, è noto per posizioni estremiste e dichiarazioni apertamente razziste. Celebre, e inquietante, la frase: «La sicurezza delle frontiere non può esistere senza vittime, per essere chiari, se non ci sono morti». La sua nomina segna la continuità e, per certi versi, la radicalizzazione della linea di Voridis I PUNTI SALIENTI DI UNA NORMA “VOLTO” DEL RAZZISMO ISTITUZIONALE: Le sue parole si trasformano in fatti tramite la nuova riforma dell’asilo che comprende un intero pacchetto di misure criminalizzanti, improntate alla lesione dei diritti: * in relazione alla partenza volontaria: * il termine per la partenza volontaria (nonché per la sua proroga) è ridotto da 25 a 14 giorni; ciò significa che un richiedente asilo respinto dalla procedura ha solo due settimane di tempo per lasciare il paese. * imposizione della sorveglianza elettronica come misura restrittiva durante i 14 giorni fino alla partenza volontaria: i richiedenti asilo respinti possono essere monitorati tramite etichette elettroniche alla caviglia, per essere immediatamente arrestati allo scadere del termine concesso in caso di inottemperanza. * In relazione al divieto di ingresso nel paese: * Per la prima volta, la legge stabilisce un divieto d’ingresso per le persone classificate come “minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza”, dettame che può essere interpretato in modo ampio e applicato arbitrariamente. * I nuovi arrivati senza documenti validi saranno trattenuti in strutture chiuse. Tale detenzione amministrativa, estesa da 18 a un massimo di 24 mesi, oltrepassa di gran lunga il limite imposto dalle direttive europee. * La durata del divieto d’ingresso da 5 a 10 anni può essere ulteriormente prorogata di altri 5 anni, limitando la possibilità di presentare successive domande di protezione internazionale. * Penalizzazione del soggiorno illegale dopo il completamento del procedimento amministrativo: * Chi a seguito di un rigetto rimane “illegalmente” in Grecia, è passibile di reclusione da due a cinque anni senza condizionale e a multe che vanno da €5.000 fino a €10.000 per rientro illegale. L’unica possibilità di sospensione della pena è rappresentata dalla partenza. * Abolizione del permesso di soggiorno per chi vive illegalmente nel Paese oltre sette anni: le persone senza documenti non potranno più ricevere lo status legale dopo sette anni di permanenza in Grecia; in pratica, ciò significa che possono essere arrestati in qualsiasi momento come “migranti illegali”. Questi attacchi normativi colpiscono direttamente la maggioranza dei rifugiati dal momento che, in Grecia, è sempre più difficile ottenere l’accesso all’asilo e una procedura adeguata di valutazione. Secondo i dati dell’Agenzia Europea per l’Asilo, il tasso di riconoscimento nell’UE è sceso al 25%, il livello più basso mai registrato. Per quanto riguarda la Grecia non ci sono stime specifiche ma è molto probabile che la percentuale sia ancora più bassa. GLI EFFETTI CRIMINALIZZANTI E LE CONTRADDIZIONI LEGISLATIVE: La legge, che ha come obiettivo l’amplificazione della politica securitaria a scapito di quella umanitaria, rientra all’interno di un generale programma volto alla criminalizzazione della migrazione. Il panorama in cui si inserisce tale scenario è quello della Crimmigration, termine coniato nel 2006 dalla studiosa statunitense Juliet Stumpf 5, in cui l’intersezione tra diritto penale (“criminal law”) e diritto dell’immigrazione (“immigration law”), porta le due sfere normative ad una progressiva fusione. Il sistema del diritto penale viene quindi distorto e applicato con un preciso obiettivo: trasformare un diritto penale del fatto, che criminalizza il comportamento reo, in uno d’autore, che criminalizza il soggetto in quanto tale, ovvero la persona migrante. La responsabilità penale, che dovrebbe essere personale e in funzione del reato compiuto, diventa collettiva e tesa a colpire “lo straniero massa” irregolarizzato e dunque criminalizzato. In relazione a questa nuova legge, la pena detentiva (strumento del diritto penale) viene mutuata in favore del diritto amministrativo, per ovviare all’incapacità di procedere coi rimpatri e perseguire la volontà di espulsione dei richiedenti asilo “non meritevoli”. Lo strumento penale della detenzione si trasforma in “minaccia della detenzione”, un banale espediente di deterrenza nei confronti di coloro che intendono rimanere sul territorio. Il diritto amministrativo dell’immigrazione approfitta così degli strumenti del penale per favorire gli interessi politici, dimenticando però, intenzionalmente, di importare anche le garanzie previste e andando a ledere i diritti fondamentali. La norma che prevede la possibilità di utilizzare la cavigliera di sorveglianza elettronica presenta carattere di incostituzionalità nella limitazione della libertà personale dell’individuo che, secondo l’articolo 5 della costituzione 6 e l’articolo 5 della CEDU 7 è inviolabile se non «nei casi e nei modi previsti dalla legge». Il divieto di ingresso per le persone classificate come “minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza” è lesivo del diritto d’asilo sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 – di cui la Grecia è firmataria – che concede ad ogni persona tale diritto. La richiesta d’asilo deve essere accolta ed esaminata individualmente sulla base dei rischi che il richiedente può subire in caso di reingresso nel paese d’origine, e non sulla base di una valutazione approssimativa di ordine pubblico. Nel caso in cui ci siano fondati motivi per ritenere che la persona possa essere una minaccia alla sicurezza dello stato, deve essere attuato un bilanciamento che tenga in considerazione il rischio di reingresso nel paese d’origine in tutela dei diritti fondamentali, come il diritto alla vita e a non subire trattamenti inumani e degradanti. Nell’ipotesi di un effettivo rischio di danno grave e nell’impossibilità di concedere la protezione internazionale in relazione al motivo ostativo di minaccia all’ordine pubblico, deve essere prevista una forma residuale di protezione. Allungare a 24 mesi il termine massimo di detenzione nei centri per il rimpatrio, è in contrasto con la Direttiva Rimpatri dell’Unione Europea (2008/115/CE) che all’Articolo 15, paragrafo 5 e 6 prevede: Art. 15(5): Il trattenimento è di regola il più breve possibile e non può superare 6 mesi. Art. 15(6): Gli Stati membri possono prolungare il periodo di trattenimento per un massimo di 12 mesi supplementari (quindi fino a 18 mesi totali) solo se: * la cooperazione del cittadino di paese terzo per il rimpatrio è insufficiente, oppure * vi sono ritardi nell’ottenimento dei documenti dai paesi terzi. La durata massima prevista è dunque di 18 mesi dal momento che, ricordando alcuni principi fondamentali, il trattenimento non è una pena, ma una misura amministrativa. Il trattenimento deve essere quindi giustificato e proporzionato, e usato esclusivamente nei casi in cui il rimpatrio non possa essere garantito con misure meno coercitive (Art. 15(1)). Attualmente la legge prevede un utilizzo massiccio e improprio del trattenimento, limitando la libertà individuale oltre ogni garanzia procedurale. Allo stesso modo, predisporre la pena detentiva trasformando in reato l’inottemperanza all’ordine di allentamento dal territorio dello stato risulta essere un escamotage non nuovo, su cui anni fa si era già espressa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea quando nel 2002, con la legge Bossi Fini, in Italia erano state introdotte nuove fattispecie di reato, ampliando le condotte penali imputabili allo straniero. Tra queste, all’articolo 14, comma 5-ter del TUI (Testo Unico sull’Immigrazione), la mancata ottemperanza all’ordine del questore di allontanamento dallo stato diventava punibile con l’arresto da 6 mesi a 1 anno. L’intervento della Corte costituzionale aveva sancito l’incostituzionalità di una misura cautelare a seguito di un reato contravvenzionale (sentenza 15 luglio 2004, n.223), cosa che aveva portato il legislatore a trasformare l’illecito contravvenzionale in illecito delittuoso, rendendo possibile la misura cautelare e alzando la pena da 1 a 4 anni. Nel 2011 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, pronunciandosi 8 sul caso El Dridi, sancisce l’inapplicabilità di questa norma: la pena detentiva non rispetta il principio dell’effettivo utile nell’applicazione della Direttiva Rimpatri contrastando il suo fine ultimo, per l’appunto il rimpatrio. Il legislatore italiano ha quindi provveduto, pur con riluttanza, all’adeguamento della norma al richiamo della Corte, punendo la violazione dell’ordine di allontanamento con una multa da 10.000 a 20.000 euro, una cifra a carattere simbolico, talmente alta da risultare ridicola. La nuova legge greca che criminalizza lo stesso atteggiamento apre le medesime problematiche: prevedendo la pena detentiva (da 2 fino a 5 anni, quindi per un periodo addirittura superiore a quello previsto dall’ex-legge italiana) si pone in contrasto con la Direttiva Rimpatri; sarebbe logico aspettarsi dunque un ulteriore intervento della CGEU in tal senso. Inoltre, la multa di almeno €5.000 e fino a €10.000 in caso di reingresso illegale si presenta con uguale ineffettuabilità, quasi come una forma di scherno. Pagare queste somme, com’anche la previsione di lasciare il territorio con partenza volontaria in sole due settimane sono misure concretamente non poco realizzabili, risultando efficaci solo dal punto di vista propagandistico. Evidente sembra essere la refrattarietà dei legislatori europei a seguire le indicazioni normative, nazionali e internazionali, relative al diritto all’immigrazione. Sicuramente quello che risulta ancor più aberrante, è che, ad oggi, le direttive europee si stanno muovendo in senso sempre meno garantistico, prevedendo un uso più massiccio di strumenti lesivi del diritto d’asilo come il trattenimento e la valutazione delle domande in procedura accelerata. Questo porta a riflettere sulla volontà effettiva delle istituzione europee di intervenire in contrasto a questa normativa greca, che per quanto corrode in due direzioni diverse e quasi contrastanti la direttiva rimpatri e il diritto d’asilo, sembra in linea con gli ultimi indirizzi che gli Stati Europei stanno prendendo. RICONOSCERE LA CRIMINALIZZAZIONE PROPAGANDISTICA E DIFENDERE I DIRITTI DELLE PERSONE IN MOVIMENTO: La legge greca rappresenta un passo ulteriore verso il processo di normalizzazione della violenza giuridica contro le persone migranti, un paradigma in cui la privazione della libertà diventa strumento di governo e deterrenza. In questa prospettiva, la detenzione amministrativa e la criminalizzazione del soggiorno non rispondono a esigenze di giustizia o di sicurezza, ma a una logica di esclusione strutturale che ridefinisce la figura del migrante come soggetto “pericoloso” per il solo fatto di esistere fuori dai confini della cittadinanza. È difficile immaginare un intervento correttivo da parte delle istituzioni europee, poiché la deriva greca appare ormai coerente con l’indirizzo generale dell’Unione: un’Europa che parla sempre più di “gestione delle frontiere” e sempre meno di protezione e diritti. Di fronte a questo scenario, diventa necessario riaffermare il principio per cui la libertà personale, la tutela dalla detenzione arbitraria e il diritto d’asilo non sono concessioni politiche ma diritti fondamentali, che nessuna strategia securitaria può alienare. Contrastare la crimmigration significa, oggi, difendere la stessa idea di diritto in Europa. 1. Dupont, F. (2013). L’Antiquité, territoire des écarts (entretiens avec Pauline Colonna d’Istria et Sylvie Taussig). Parigi: Albin Michel ↩︎ 2. Legge 5226/2025 – Criminalizzazione dell’ingresso e del soggiorno illegali nel paese – Riforma del quadro di restituzione (in greco) ↩︎ 3. Greek government appoints right-wing extremist Athanasios Plevris as health minister ↩︎ 4. Verena Stolke in “Talking culture. New boundaries, new retoric of exclusion in Europe” (1995) parla di un nuovo razzismo che definisce «fondamentalismo culturale», basato su una naturalizzazione della xenofobia e quindi della paura dell’altro. Mentre Douglas Holmes in “Integral Europe. Fast Capitalism, Multiculturalism, Neofascism.” (2000), parla di integralismo da cui emerge la xenofobia come strategia di elusione dell’insicurezza sociale ↩︎ 5. Juliet Stumpf,“The Crimmigration Crisis: Immigrants, Crime, and Sovereign Power”, American University Law Review, vol. 56, 2006, pp. 367-419 ↩︎ 6. La Costituzione greca ↩︎ 7. Corte europea dei diritti dell’uomo. Guida all’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ↩︎ 8. Sentenza della Corte di Giustizia Europea C-61/11/PPU del 28 aprile 2011 ↩︎