Dodici anni dopo Lampedusa, nel Mediterraneo si continua a morire

Progetto Melting Pot Europa - Tuesday, October 7, 2025

Il 3 ottobre 2013 centinaia di persone persero la vita a poche miglia da Lampedusa. Dodici anni dopo, nel giorno di quell’anniversario, la cronaca restituisce l’ennesima strage: nel Mediterraneo centrale la violenza del confine continua a uccidere.

L’equipaggio della nave Humanity 1 di SOS Humanity ha, infatti, soccorso 41 persone da un gommone sovraffollato alla deriva a sud-est dell’isola, nella zona di soccorso maltese. Ma i sopravvissuti hanno raccontato che almeno sette persone erano cadute in mare prima dell’arrivo della nave, mentre durante la notte altre due persone soccorse a bordo sono decedute.

Secondo SOS Humanity, “diverse persone erano incoscienti quando sono state portate a bordo, molte riuscivano a malapena a stare in piedi o a camminare, e tutte erano disidratate, ipotermiche ed estremamente esauste”.

L’operazione di soccorso è avvenuta in condizioni proibitive, con onde fino a tre metri e forti venti. Una madre e un bambino hanno riportato gravi ustioni causate dalla miscela di benzina e acqua salata presente nel gommone. I tentativi di evacuazione d’emergenza in elicottero sono falliti a causa delle condizioni meteorologiche; solo al terzo tentativo la Guardia Costiera italiana è riuscita a trasferire cinque persone direttamente al largo di Lampedusa.

Nonostante la situazione medica critica a bordo e le cattive condizioni del mare, le autorità italiane avevano inizialmente assegnato Bari come porto di sbarco, a oltre mille chilometri di distanza dalla zona del soccorso. Dopo ripetute richieste dell’equipaggio, il porto è stato cambiato in Porto Empedocle, in Sicilia. SOS Humanity ha definito l’assegnazione di un porto lontano “non solo una violazione del diritto marittimo, ma anche disumana”.

Queste morti seguono una lunga sequela di naufragi e omissioni di soccorso, nonché una serie di azioni violente della guardia costieri libica nei confronti delle Ong del mare.

Il 13 agosto 2025, a 14 miglia da Lampedusa, un’imbarcazione si è capovolta provocando almeno 23 morti e oltre 15 dispersi. Nonostante la presenza della Guardia Costiera e di Frontex, i soccorsi non sono arrivati in tempo, mentre la gestione dello sbarco dei sopravvissuti è stata problematica, evidenziando ancora una volta la piena responsabilità delle politiche europee nelle morti del Mediterraneo centrale.

Pochi giorni dopo, il 22 agosto, a Lampedusa sono arrivati i corpi di tre bambine di 9, 11 e 17 anni, morte in mare insieme alla madre sopravvissuta, oggi rinchiusa nell’hotspot.

Rapporti e dossier/In mare

Lampedusa, 13 agosto 2025: la strage che non deve diventare oblio

Nel rapporto di Mem.Med la denuncia: omissioni istituzionali, corpi dispersi e lutti negati

Redazione 1 Ottobre 2025

Dodici anni dopo il naufragio di Lampedusa, una media di tre persone al giorno continuano a morire sulla rotta centrale del Mediterraneo, denuncia SOS Humanity.

Non esiste un programma europeo di ricerca e soccorso coordinato, nonostante il diritto internazionale obblighi gli Stati a intervenire. SOS Humanity e le altre organizzazioni della flotta civile restano gli unici attori capaci di garantire un presidio in mare, cercando di colmare un vuoto che continua a costare troppe vite.

Le stragi nel Mediterraneo hanno responsabilità precise, e la storia ne chiederà conto. Continueranno finché non saranno garantiti canali legali e sicuri per l’ingresso in Europa, finché il diritto alla libertà di circolazione non sarà riconosciuto a tutte e tutti.
Il Mar Mediterraneo potrebbe tornare a essere un luogo di incontro e di scambio, ma è stato trasformato in una frontiera liquida, una fossa comune, un teatro di violenza contro le persone in movimento. E nessuno dovrebbe accettare la “normalizzazione della morte“.