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“Dal mare al carcere”: report semestrale 2025 di Arci Porco Rosso
Secondo quanto emerso dal report annuale della Polizia di Stato 1, ad aprile 2024 venivano emanati “240 provvedimenti restrittivi a carico di trafficanti e favoreggiatori nell’ambito del contrasto all’immigrazione clandestina e alla tratta di esseri umani, nonché a carico di scafisti” , 72 arresti immediati al momento dello sbarco nei confronti dei cosiddetti scafist3 e “160 arresti per articolo 12 del Testo Unico sul confine sloveno”. Inoltre, una questione che occorre sollevare, riguarda l’utilizzo improprio di queste categorie: termini quali tratta o “smuggling”, impiegati indistintamente dal caso e aventi definizioni molto diverse tra loro, generano confusione invece di praticare chiarezza. Tornando all’analisi dei dati, i 72 presunti scafisti sopramenzionati non corrispondono al numero calcolato dal monitoraggio della cronaca e dei processi del 2024 di Arci Porco Rosso, che ne individua 106 2. Facendo un excursus storico sui numeri diffusi dal progetto “Dal Mare al carcere“: nel 2021 si sono registrati 171 fermi, mentre la polizia ha dichiarato di aver arrestato “225 persone, tra scafisti, organizzatori e basisti”. Dal mare al carcere è un progetto militante promosso da Arci Porco Rosso insieme a Borderline-Europe, attivo dal 2021, che monitora la criminalizzazione delle persone considerate “scafiste”. L’aggiornamento di luglio aggiorna dati, casi giudiziari, deportazioni e dinamiche repressive evidenziate nei 6 mesi precedenti. Gli anni successivi, nel 2022 e nel 2023 sono stati contati rispettivamente 264 e 177 arresti, cifre sostanzialmente in linea con quanto riportato dalla polizia 5. I dati della polizia ad ogni modo confermano che il numero assoluto di fermi di presunti “scafisti” dopo gli sbarchi risulta inferiore rispetto agli anni precedenti. Invece, in termini relativi, cioè in rapporto al numero complessivo degli arrivi, la percentuale rimane sostanzialmente stabile. Dai numeri emerge inoltre che l’articolo 12 del TUI viene oggi applicato in contesti diversi rispetto al passato: emblematico è il caso delle 160 persone arrestate al confine sloveno, una situazione che richiede senza dubbio un’analisi approfondita. E, su questo aspetto, l’associazione Migreurop ha avviato una ricerca i cui esiti sono attesi nei prossimi mesi. Un dato appare ancor meno plausibile: al di fuori degli sbarchi (72 persone) e del confine sloveno (160 persone), sono state contestate accuse di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare sole 8 persone – cifra ottenuta sottraendo 72 e 160 al totale ufficiale di 240 arresti. Considerando le numerose operazioni di polizia condotte lo scorso anno in zone lontane dai confini terrestri e marittimi – come i 9 arresti a Siena, i 10 a Milano e i 28 a Terni – i numeri diffusi dalle autorità risultano non soltanto poco attendibili, ma sembrano piuttosto celare la reale portata del processo di criminalizzazione in corso. DAL CARCERE IN ITALIA AL CARCERE IN EGITTO Arci Porco Rosso negli ultimi mesi ha osservato come numerosi cittadini egiziani siano stati coattivamente trasferiti dal carcere direttamente nel CPR al momento della scarcerazione, e nel caso di tre uomini, prelevati dai CPR di Milo e Pian del Lago e direttamente rimpatriati. Ciò che emerge inoltre di preoccupante evidenziato dal report è: «le persone detenute in Italia come scafiste vengono nuovamente arrestate all’arrivo in Egitto, in misura cautelare, con l’accusa di traffico di persone». Grazie al sostegno legale fornito da Refugees Platform in Egypt, i tre uomini sono stati poi rilasciati. Tuttavia, avvocati italiani riferiscono di altri assistiti che, dopo il rimpatrio, hanno subito la stessa sorte. Secondo un’inchiesta di Mada Masr 3, questa pratica si inserisce nella cosiddetta “rotazione” 4: un meccanismo che consente di arrestare più volte le stesse persone, passando da metodo di repressione indirizzati ad attivisti politici in uno strumento per colpire presunti trafficanti, gonfiare le statistiche e garantire incentivi economici agli agenti. Il fenomeno è così diffuso da aver spinto persino il procuratore generale egiziano ad aprire un’indagine 5. Ci si interroga se tali ri-arresti possano rappresentare una strategia coordinata a livello transnazionale, anche alla luce dell’accordo UE-Egitto da 7,4 miliardi di euro siglato nel 2024 6. L’associazione segue inoltre i casi di due cittadini egiziani detenuti nei CPR di Milo e Bari, entrambi condannati in Italia per art. 12 TUI e quindi a rischio di un nuovo arresto in Egitto. Tra loro c’è Mahammad Al Jezar Ezet 7, arrivato con la nave Diciotti nel 2018, rimasto bloccato a bordo per tre settimane per decisione dell’allora ministro Salvini. Dopo una condanna a sette anni per art. 12 TUI, oggi Mahammad è di nuovo detenuto amministrativamente come richiedente asilo considerato “socialmente pericoloso”, e rischia di subire una terza incarcerazione una volta rimpatriato. LA STRAGE DI FERRAGOSTO 2015 Sono quasi dieci anni che otto giovani scontano condanne pesantissime – tra i 20 e i 30 anni – per la strage di Ferragosto 2015, e la loro battaglia per giustizia e libertà continua, nonostante nuovi e gravi ostacoli. Nell’ottobre 2024, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Messina che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revisione del processo per Tarek Jomaa Laamami 8. Lo scorso maggio, la stessa Corte si è pronunciata allo stesso modo sul caso di Mohammed Assayd 9, condannato a 20 anni in abbreviato. Le irregolarità del processo e le nuove testimonianze raccolte dalle avvocate non sono state ritenute sufficienti. Inoltre, il 12 giugno 2025, la Cassazione ha respinto anche la richiesta di revisione di Alaa Faraj, nonostante una campagna mediatica a sostegno della sua liberazione e la prossima pubblicazione di un libro con Sellerio editori 10. Nonostante la gravità delle irregolarità e il fatto che otto persone stiano scontando pene ingiuste, il sistema giudiziario italiano sembra continuare a ignorare le richieste di revisione. Malgrado queste ingiustizie – tra i condannati ci sono tre ex calciatori professionisti in Libia che avevano tentato di realizzare il loro sogno in Europa – i ragazzi continuano a lottare per la libertà e per far emergere la verità sul loro caso. A luglio 2025, alcuni familiari dalla Libia hanno finalmente ottenuto un visto per visitarli in carcere e, dopo dieci anni si sono potuti riabbracciare. Questo momento di affetto non cancella però la rabbia per le ingiustizie subite. Ribadiamo il nostro impegno per libertà e giustizia per tutt3. ARTICOLO 12-BIS: ARRIVANO LE PRIME CONDANNE Sono in corso le prime condanne per il reato di cui all’art. 12-bis del TUI, introdotto dal decreto-legge n. 20/2023 (c.d. decreto Cutro), che prevede pene particolarmente severe per chi causa, anche indirettamente, la morte o lesioni gravi durante attività di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Tale reato comporta una pena massima di 30 anni di carcere e una minima di 15. E così,a dicembre 2024, un cittadino sudanese sbarcato a Lampedusa alla fine del 2023 è stato condannato a 12 anni di carcere dal Tribunale di Agrigento; l’accusa di art. 12-bis è stata contestata solo all’ultima udienza. La condanna è stata confermata in appello a giugno, con una lieve riduzione a 11 anni e 8 mesi. Gli altri tre migranti arrestati con lui, e seguiti dall’associazione Maldusa, – di origine nigeriana, gambiana e ghanese – hanno scelto il rito ordinario, con la prossima udienza fissata per il 18 settembre. Nel mentre proseguono anche altri processi: il minore egiziano Ahmed, sbarcato con la nave Nadir, è imputato insieme a un maggiorenne già condannato a 17 anni e 6 mesi. Sempre ad Agrigento, la procura ha chiesto 16 anni per un altro cittadino egiziano, con sentenza attesa a settembre. Queste prime condanne segnano un arretramento nella tutela dei diritti delle persone migranti. Nei processi precedenti, invece, le accuse di art. 12-bis non avevano retto: a Reggio Calabria due ragazzi del Sierra Leone hanno visto l’accusa ridotta ad art. 12 “semplice”, confermata in appello, e una misura cautelare è stata trasformata in obbligo di firma, permettendo la libertà. Alla Corte di Assise di Locri, 5 dei 7 imputati accusati di art. 12-bis sono stati assolti, mentre le due condanne per art. 12 “semplice” sono state impugnate in appello. CUTRO: I PROCESSI PARALLELI Nel corso di questi due anni, Arci Porco Rosso ha regolarmente fornito aggiornamenti sulla criminalizzazione delle 5 persone migranti accusate di essere i capitani 11 e dunque responsabili della strage di Cutro nel febbraio 2023: «I ricorsi in appello contro le condanne di Sami Fuat, Hasab Hussain e Khalid Arslan devono ancora essere presentati; nel frattempo, la Corte d’Appello ha confermato a marzo la condanna a 20 anni per Abdessalem Mohammed, mentre a giugno la Cassazione ha reso definitiva la condanna per Gun Ufuk». Parallelamente, il 3 marzo 2025, è stato portato avanti anche un ulteriore processo riguardante l’accertamento delle responsabilità istituzionali della strage. 4 finanzieri e 2 militari della Guardia costiera sono accusati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo per gravi negligenze commesse durante le operazioni di salvataggio.  Le prime fasi dell’udienza preliminare si sono concentrate in larga parte sulla questione delle ammissioni come parte civile, un passaggio considerato decisivo nell’ambito del procedimento legato ai soccorsi in mare. Tra coloro che hanno avanzato richiesta di costituirsi parte civile – e quindi di partecipare al processo – figurano i parenti delle vittime, i sopravvissuti al naufragio e, sul piano collettivo, quasi tutte le organizzazioni non governative impegnate nelle operazioni di soccorso, insieme a numerose realtà associative che da anni lavorano in Italia e sul territorio locale per la difesa dei diritti fondamentali, in particolare delle persone migranti (tra queste ARCI, ASGI, Progetto Diritti onlus e Mem.Med). Notizie/In mare NAUFRAGIO DI CUTRO: QUATTRO FINANZIERI E DUE MILITARI DELLA GUARDIA COSTIERA RINVIATI A GIUDIZIO Le Ong parte civile al processo: «Si avvicina la possibilità di ottenere verità e giustizia» Redazione 24 Luglio 2025 Insolita la scelta della Regione Calabria che, il 12 maggio, ha presentato istanza per costituirsi parte civile, salvo poi ritirarla nell’udienza successiva dopo l’intervento del ministro Salvini, giustificando la retromarcia con un presunto errore nelle deleghe. Con riferimento all’udienza del 28 maggio, il giudice dell’udienza preliminare di Crotone ha deciso di non ammettere numerosi soggetti, escludendo in blocco le associazioni, fatta eccezione per le ONG che operano nel salvataggio di vite in mare. Le uniche persone fisiche escluse invece sono Hasab Hussain e Khalid Arslan, condannati in primo grado per art. 12 e che al pari delle altre persone si trovavano sull’imbarcazione. La motivazione dichiarata per la loro esclusione, su richiesta del pubblico ministero, riguarda l’essere stati condannati per lo stesso fatto ascritto agli imputati. Va ricordato, come sottolinea il loro avvocato 12, che i due sono stati assolti dal reato di naufragio colposo e che, al di sopra di tutto, in quanto passeggeri dell’imbarcazione aventi diritto ad essere salvati come ricorda il nostro ordinamento e quello internazionale. “Il salvataggio è un obbligo, non un argomento di dibattito”. FUGGITꞫ DALL’IRAN, PERSEGUITATꞫ DALL’ITALIA Il 16 giugno si è tenuta l’ultima udienza del processo a carico di Marjan Jamali e Amir Babai, cittadinə iranianə arrivatə in Italia nell’ottobre 2023 per sfuggire alla repressione del regime. Marjan – già da un anno agli arresti domiciliari – è stata assolta dal Tribunale, una notizia accolta con sollievo da lei, dal suo bambino e dalla comunità che in questi mesi le è stata vicina con grande solidarietà. Amir Babai, invece, è stato condannato a 6 anni e 1 mese di carcere. Entrambe hanno sempre proclamato la propria innocenza. Pochi giorni dopo la condanna si è diffusa la notizia che Amir abbia tentato il suicidio 13: per fortuna il gesto non è stato fatale, ma mostra chiaramente la disperazione causata da una sentenza tanto dura quanto ingiusta. L’assoluzione di Marjan è stata resa possibile anche grazie alla forte mobilitazione di associazioni e attivistə, attive sia a livello locale che nazionale. Ora l’impegno continua per ottenere la liberazione di Amir. Notizie/In mare NO, NON ERA UNA SCAFISTA: ASSOLTA MARJAN JAMALI Ma Amir Babai resta in carcere tra disperazione e ingiustizia Redazione 20 Giugno 2025 La sua condanna appare ancora più insopportabile se si considera che arriva proprio mentre l’Italia presenta il governo iraniano come nemico del popolo per giustificare le proprie scelte belliche, ma allo stesso tempo imprigiona Amir per aver tentato di sottrarsi a quella dittatura. Tra le realtà che hanno sostenuto questa battaglia va ricordata la rete Oltre i Confini: Scafiste Tutte, nata in Calabria durante la campagna Free Maysoon Majidi e oggi di nuovo attiva per promuovere azioni e dibattito politico sul territorio contro la criminalizzazione sistematica delle persone migranti. Approfondimenti/In mare LA PROCURA CONTESTA L’ASSOLUZIONE DI MAYSOON MAJIDI Appello per asserite lacune e contraddizioni Chiara Lo Bianco 22 Agosto 2025 Per concludere, si ribadisce la necessità della presa di responsabilità del governo italiano e delle sue politiche, che spostano il focus criminalizzando chi tenta di sopravvivere al mare, provocando ulteriore morte. Dal mare al carcere è un progetto militante di Arci Porco Rosso e borderline-europe finalizzato a monitorare la criminalizzazione dei cosiddetti scafist3 in Italia e a fornire supporto socio-legale alle persone coinvolte criminalizzate, dal 2021. 1. Consulta i dati ↩︎ 2. Consulta il rapporto: Dal mare al carcere: aggiornamento semestrale 2025 ↩︎ 3. ‘Recycling’ the migration books: How Egypt manipulates smuggler arrests for EU money, Mada Masr (aprile 2025) ↩︎ 4. Egypt: Special Rapporteur concerned about use of anti-terrorism legislation against human rights defenders, United Nations (gennaio 2025) ↩︎ 5. After Hundreds of Complaints of Fabricated and Rotated Cases, Prosecutor General Orders Nationwide Examination of Unlawful Migration Cases, RPE (aprile 2025) ↩︎ 6. Cosa prevede l’accordo da 7,4 miliardi con l’Egitto, il più sostanzioso mai siglato dall’Ue, EuNews (marzo 2024) ↩︎ 7. “Non sono uno scafista”, la storia del migrante della Diciotti bloccato dopo il carcere che aspetta di vivere a Palermo, Palermo Today (giugno 2025) ↩︎ 8. Per approfondire clicca qui ↩︎ 9. Nessun nuovo processo per uno dei giocatori libici accusati di essere scafisti, RaiNews (maggio 2025) ↩︎ 10. Alaa, fuggito dalla Libia e condannato in Italia come scafista: “Era meglio morire”, LaViaLibera (giugno 2025) ↩︎ 11. Qui per approfondire ↩︎ 12. Cutro, 2 scafisti chiedono di essere parte civile contro militari, Ansa (5 marzo 2025) ↩︎ 13. Amir Babai condannato per scafismo: i comitati denunciano la sentenza e il tentato suicidio, ReggioToday (19 giugno 2025) ↩︎
Mediterranea in catene per due mesi e 10mila euro di multa
La nuova nave di Mediterranea Saving Humans resterà ferma in porto per 60 giorni e i suoi responsabili dovranno pagare una sanzione di 10mila euro. È la decisione notificata dal Prefetto di Trapani, per conto del Ministero dell’Interno, nell’ambito dell’applicazione del cosiddetto Decreto Legge Piantedosi. Si tratta, spiegano dall’organizzazione, di «uno dei più pesanti provvedimenti in questi tre anni contro le imbarcazioni della flotta civile di soccorso». Alla base della contestazione c’è la «grave, premeditata e reiterata disobbedienza» all’ordine del Viminale di raggiungere il porto di Genova, distante oltre 690 miglia, con a bordo dieci naufraghi soccorsi il 21 agosto in acque internazionali davanti alla Libia. Notizie/In mare MEDITERRANEA: «NAUFRAGHI GETTATI IN MARE DAI LIBICI» Il grave episodio durante la prima missione della nuova nave Redazione 22 Agosto 2025 L’Ong respinge le accuse e rivendica la scelta di approdare e a Trapani il 23 agosto, per garantire cure mediche e psicologiche immediate ai sopravvissuti. «E dunque quale sarebbe il grave reato che abbiamo commesso? – si chiede l’equipaggio -. Abbiamo forse fatto del male a qualcuno, abbiamo distrutto qualcosa, abbiamo sparato addosso a qualcuno come fanno i “guardacoste” libici?». La colpa di Mediterranea, sostengono, sarebbe soltanto quella di aver detto «SignorNO!» a un ordine giudicato «assurdo e disumano». Secondo l’organizzazione, comandante ed equipaggio hanno agito «secondo il diritto marittimo, nazionale e internazionale, e secondo i principi di umanità e giustizia». L’accusa rivolta al governo è di utilizzare i poteri istituzionali per «una continua e odiosa propaganda elettorale permanente». «Disobbedire a un ordine illegittimo ed illegale è questione di dignità», si legge ancora nel comunicato, dove si sottolinea come la scelta abbia permesso «qui ed ora» lo sbarco in un porto sicuro dei dieci naufraghi. «A Piantedosi, alle sue catene, continueremo a rispondere “SignorNO!” perché non siamo sudditi». L’associazione annuncia un ricorso urgente all’autorità giudiziaria per chiedere l’annullamento del fermo, definito «un provvedimento di vendetta, abnorme e illegittimo sotto ogni punto di vista». I tribunali, più volte in questi anni, hanno già giudicato illegittimi fermi e multe operate dal governo contro le navi della flotta civile. Tutta la vicenda che ha colpito Mediterranea si inserisce in un contesto già teso, in cui il governo, nonostante l’apparente rigore, si trova in difficoltà di fronte a ciò che accade nel Mediterraneo e al sostegno, mai messo in discussione, del lavoro sporco della cosiddetta Guardia costiera libica, e che si è evidenziato anche con la liberazione del torturatore libico Almasri. «Collaborano con quelle milizie che in Libia sono responsabili di ogni genere di abuso e violenza nei campi di detenzione e, in mare, sparano addosso alle navi umanitarie come avvenuto contro la Ocean Viking. E in Italia sanzionano chi soccorre», denuncia l’organizzazione. Notizie/In mare OCEAN VIKING SOTTO ATTACCO DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA Spari per 20 minuti contro la nave di SOS Méditerranée con 87 naufraghi a bordo Redazione 27 Agosto 2025 «Non ci fermeranno con questi mezzi – conclude l’Ong – siamo convinti che, mentre il criminale “sistema Libia” costruito in questi anni sta mostrando il suo volto più feroce, saranno invece le ragioni della vita e dell’umanità ad affermarsi». Un messaggio che risuona ancora più forte in questi giorni, a dieci anni dalla morte del piccolo Alan Kurdi, il bambino siriano di tre anni la cui immagine sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, divenne un simbolo della mancanza di vie sicure per arrivare in Europa. A distanza di un decennio, tutta l’architettura delle politiche di contrasto alla libertà di movimento continua a costringere le persone a rischiare la vita in mare.
Ocean Viking sotto attacco della Guardia Costiera libica
Una motovedetta donata dall’Italia apre il fuoco su una nave di ricerca e soccorso con 87 sopravvissuti a bordo. SOS Mediterranee: «Chiediamo la fine immediata della collaborazione con la Libia». «Oggi la Ocean Viking è stata deliberatamente e violentemente attaccata in acque internazionali dalla Guardia Costiera libica che ha sparato centinaia di colpi contro la nostra nave. Gli 87 sopravvissuti e l’equipaggio stanno bene. Stiamo lavorando a ricostruire gli eventi». Con queste parole, intorno alle 20 del 24 agosto, SOS Mediterranee denunciava sui propri canali social uno degli episodi più gravi mai avvenuti contro una nave di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Secondo quanto riportato dall’organizzazione, la MV Ocean Viking si trovava in acque internazionali, a circa 40 miglia nautiche a nord della costa libica. L’attacco è iniziato alle 15:03 ora locale di domenica 24 agosto, quando una motovedetta di classe Corrubia della Guardia Costiera libica ha aperto il fuoco sulla nave di soccorso per almeno 20 minuti ininterrotti. «Due uomini a bordo della motovedetta hanno aperto il fuoco sulla nostra nave umanitaria, iniziando un assalto durato almeno 20 minuti ininterrotti direttamente contro di noi», scrive SOS Méditerranée. «Con già a bordo 87 sopravvissuti» – per lo più cittadini sudanesi in fuga da guerra e persecuzioni – «soccorsi tra la notte di sabato 23 agosto e la mattina di domenica 24 agosto – la nave era stata autorizzata dal Centro di coordinamento italiano a sospendere la rotta verso il porto assegnato e cercare un’altra imbarcazione in difficoltà in acque internazionali. Mentre i team erano impegnati nella ricerca, la motovedetta libica ha illecitamente ordinato alla Ocean Viking di abbandonare la zona e dirigersi verso nord. L’ordine è stato comunicato prima in inglese e poi in arabo tramite il mediatore culturale a bordo, che ha confermato dal ponte che la nave stava già lasciando l’area. Tuttavia, senza alcun preavviso o ultimatum, due uomini a bordo della motovedetta hanno aperto il fuoco. La motovedetta ha circondato la Ocean Viking, prendendo deliberatamente di mira i membri dell’equipaggio sul ponte – la parte della nave dove si svolgono le operazioni di navigazione e governo». Durante quei minuti drammatici, i team di SOS Mediterranee e dell’IFRC hanno messo in sicurezza gli 87 sopravvissuti prima di rifugiarsi all’interno della nave. Fortunatamente, nessuno è rimasto ferito. I colpi, dozzine dei quali sono stati rinvenuti a bordo, hanno perforato oblò ad altezza uomo e danneggiato radar, antenne, gommoni di soccorso e raft di salvataggio. «L’attacco ha causato fori di proiettile all’altezza della testa, la distruzione di diverse antenne, quattro finestre rotte sul ponte e diversi proiettili che hanno colpito e danneggiato i tre RHIBS (motoscafi di soccorso veloci), insieme ad altre attrezzature di soccorso», denuncia ancora l’organizzazione. PH: SOS Méditerranée Il giornalista Sergio Scandura, di Radio Radicale, ha condiviso immagini impressionanti dalla nave: oblò crivellati, interni danneggiati, mezzi di soccorso distrutti. > 🔴 Le immagini dalla nave Ocean Viking. > L'aggressione. Dozzine i proiettili rinvenuti a bordo, sparati dalla c.d. > guardia costiera libica. Oblò forati ad altezza uomo, interni, antenne, > radaristica, RHIB di soccorso, raft di salvataggio: aggressione e danni senza > precedenti. https://t.co/pIAU4qtO65 pic.twitter.com/Vqv3o4FtCJ > > — Sergio Scandura (@scandura) August 25, 2025 Dopo lo sbarco avvenuto ad Augusta la sera del 25 agosto, SOS Méditerranée ha ricordato: «Dopo tutto quello che hanno passato, hanno dovuto affrontare gli attacchi armati alla nostra nave di salvataggio da parte della Guardia Costiera libica. Anche la nostra nave umanitaria non è più un luogo sicuro». Il comunicato sottolinea un aspetto cruciale: la motovedetta che ha sparato era stata donata dall’Italia nel 2023 nell’ambito del programma europeo “Support to Integrated Border and Migration Management in Libya (SIBMMIL)”. PH: Sergio Scandura «Ieri, i nostri team e i sopravvissuti della Ocean Viking sono stati colpiti dalla Guardia Costiera libica, su una nave donata dall’Italia. Chiediamo un’indagine completa su questi orribili eventi e la fine immediata di ogni collaborazione con la Libia», scrive SOS Mediterranee. Valeria Taurino, direttrice generale di SOS Méditerranée Italia, ha ribadito: «Chiediamo che venga condotta un’indagine approfondita sugli eventi e che i responsabili di questi atti che mettono a repentaglio la vita delle persone siano assicurati alla giustizia. Chiediamo inoltre la cessazione immediata di ogni collaborazione europea con la Libia. Non possiamo accettare che una guardia costiera riconosciuta a livello internazionale compia aggressioni illegali». Non è la prima volta che la cosiddetta Guardia Costiera libica ostacola i soccorsi. Già nel 2023 una motovedetta aveva sparato nei pressi dei gommoni della Ocean Viking. Allora non seguì nessuna inchiesta. Questa volta però la portata dell’aggressione è senza precedenti: un assalto mirato, con colpi sparati all’altezza della testa e attrezzature di soccorso distrutte. Durante l’assalto la Ocean Viking ha lanciato un mayday alla NATO. La nave più vicina era un’unità della Marina italiana, che tuttavia non ha risposto. La Procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta con l’ipotesi di tentato omicidio a carico di ignoti, disponendo rilievi scientifici a bordo della nave e la raccolta di testimonianze. Si dovrà accertare se l’attacco della Guardia costiera libica sia avvenuto in acque internazionali: in tal caso la competenza passerebbe alla Procura di Roma. Sul fronte europeo, la Commissione UE ha dichiarato di aver chiesto chiarimenti alle autorità libiche, ribadendo che spetta a Tripoli fare luce sull’accaduto. Bruxelles, al momento, si concentra sulla ricostruzione dei fatti senza annunciare conseguenze immediate.
Mediterranea approda a Trapani disobbedendo al Viminale
La nave Mediterranea ha fatto sbarcare sabato sera alle 21.30 a Trapani le dieci persone soccorse nella notte tra mercoledì e giovedì in acque internazionali, disobbedendo all’ordine del Ministero dell’Interno che aveva assegnato Genova come porto di sbarco. Alle 2:35 del 23 agosto, il Viminale aveva comunicato che il “luogo sicuro di sbarco” sarebbe stato il porto ligure, distante oltre 1.200 km e diversi giorni di navigazione. Una decisione che, secondo l’organizzazione, non teneva conto delle gravi condizioni dei naufraghi salvati dopo essere stati gettati in mare dalle milizie libiche: «È inumano e inaccettabile che il Ministero dell’Interno voglia costringere queste dieci persone – aveva dichiarato il capo missione Beppe Caccia – a sostenere ancora tre giorni di navigazione, esponendoli a inutili ulteriori sofferenze». A bordo vi erano cittadini curdi di Iran e Iraq, egiziani e siriani, tra cui tre minori non accompagnati di 14, 15 e 16 anni. Tutti avevano subito torture e violenze in Libia e assistito alla morte di quattro compagni, gettati in mare dai trafficanti armati. Secondo la medica di bordo, Vanessa Guidi, e lo stesso CIRM, il centro per il soccorso medico consultato dall’MRCC di Roma, i sopravvissuti necessitavano di «necessarie cure mediche e psicologiche» che non potevano essere garantite a bordo. Nel pomeriggio di sabato, mentre la nave si trovava al largo delle Egadi, il comandante e il capo missione hanno comunicato al centro di coordinamento che «visto il peggioramento delle condizioni psico-fisiche delle dieci persone soccorse a bordo, non sussistono le condizioni di sicurezza per proseguire la navigazione verso Genova». Da qui la scelta di dirigersi a Trapani. «Ci assumiamo la piena responsabilità di questa scelta – ha spiegato Caccia -. La nostra prima e unica preoccupazione sono le condizioni delle persone a bordo, già provate e traumatizzate. Non possiamo tollerare giochetti politici sulla pelle di dieci ragazzi che stanno male e devono essere curati». Alle 20:45 Mediterranea è entrata nel porto siciliano, dove poco dopo è iniziato lo sbarco. «Davanti a tutto questo, abbiamo scelto di riaffermare un principio basilare, oggi tutt’altro che scontato: la dignità e la vita umana vengono prima di ogni altra considerazione», ha sottolineato la presidente dell’organizzazione, Laura Marmorale. «Lasciare per giorni dei naufraghi traumatizzati a bordo di una nave è inaccettabile. È come costringere una persona ustionata a restare tra le fiamme». La presidente ha poi rivendicato la scelta di sfidare l’ordine ministeriale: «Non possiamo accettare una visione del mondo in cui gli esseri umani sono trattati come merce. Abbiamo detto no a questa logica disumana, perché ciò che oggi viene inflitto a chi è considerato “umanità di scarto”, domani potrebbe colpire tutti noi. Resistere a questa deriva significa difendere la nostra stessa umanità». Lo stesso Caccia, in un video diffuso sui social, ha definito la decisione del Viminale «un ordine ingiusto e inumano» e ha rivendicato di aver scelto insieme al capitano di «obbedire al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell’umanità». > 🔴🔴 BREAKING 🔴🔴 > > Nave #MEDITERRANEA disobbedisce all’ordine ingiusto e inumano del Ministero > dell’Interno e dirige verso il porto di #Trapani per sbarcare le dieci persone > soccorse in mare, che hanno bisogno di immediate cure mediche e psicologiche a > terra. pic.twitter.com/dFbXXelbOs > > — Mediterranea Saving Humans (@RescueMed) August 23, 2025 Intorno alla mezzanotte, tutti e dieci i naufraghi erano già stati accolti in strutture dedicate per ricevere cure mediche e supporto psicologico. Resta ora da capire quale sarà la reazione del Ministero dell’Interno, se vorrà procedere con un fermo amministrativo o con una multa. Di certo Mediterranea non verrà lasciata sola e potrà contare, come ulteriore elemento a sua tutela, dei precedenti in cui analoghi ordini, ritenuti brutali e ingiustificati, sono già stati considerati illegittimi dai tribunali, smontando di fatto parti del famigerato decreto Piantedosi.  Nel frattempo, la nave Humanity 1 ha soccorso oltre 50 persone in difficoltà, tra cui più di dieci minori non accompagnati. Poco dopo, però, un secondo gommone con altre 50 persone è stato intercettato dalla cosiddetta Guardia costiera libica, sotto gli occhi dell’aereo umanitario Colibrì. «SOS Humanity – si legge in una nota – è sconvolta dalle continue e sistematiche violazioni dei diritti umani contro le persone in fuga attraverso il Mediterraneo» e chiede «l’immediata fine di ogni accordo di cooperazione con le autorità libiche». Alla nave Humanity 1 è stato assegnato l’approdo nel porto di Ravenna, a oltre 1.600 km dal luogo di salvataggio, corrispondenti a circa cinque giorni di navigazione. Ordini che hanno un unico obiettivo: tenere lontani il più a lungo possibile testimoni scomodi della necropolitica italiana ed europea che ogni giorno si consuma nel Mediterraneo. E dove non arrivano gli ordini, ci pensano le motovedette libiche: come nel caso della Ocean Viking di SOS Méditerranée, che domenica è stata attaccata con colpi d’arma da fuoco dalla cosiddetta Guardia costiera libica. > Oggi la #OceanViking è stata deliberatamente e violentemente attaccata in > acque internazionali dalla Guardia Costiera libica che ha sparato centinaia di > colpi contro la nostra nave. Gli 87 sopravvissuti e l'equipaggio stanno bene. > Stiamo lavorando a ricostruire gli eventi. pic.twitter.com/fZurd3jOzb > > — SOS MEDITERRANEE ITA (@SOSMedItalia) August 24, 2025
Mediterranea: «Naufraghi gettati in mare dai libici»
Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 2025, a 30 miglia a nord di Tripoli, si è consumato un altro atto di deterrenza della presenza delle Ong nel Mediterraneo da parte delle milizie libiche: una scena che i soccorritori di Mediterranea Saving Humans definiscono «quanto di più grave e orribile si possa vedere». Un gommone di tipo militare, ha affiancato la nave Mediterranea e ha gettato in acqua dieci persone, nel buio della notte, con onde di oltre un metro e mezzo. «Le hanno buttate in mare a calci e pugni, come fossero rifiuti» denuncia l’organizzazione. Solo la prontezza e la professionalità del rescue team ha impedito che la violenza si trasformasse in una strage. > 🔵 Stanotte alle 3:20 #MEDITERRANEA ha soccorso dieci persone in pericolo di > vita in acque internazionali al largo della #Libia. Sono state gettate in mare > da un gommone che si è poi allontanato. Recuperate in acqua, adesso sono in > salvo assistite a bordo della nostra nave. pic.twitter.com/qWkhlD0lXS > > — Mediterranea Saving Humans (@RescueMed) August 21, 2025 Per Mediterranea, quanto accaduto non è un episodio isolato ma l’ennesima dimostrazione di un sistema corrotto e violento: «Ai miliziani libici glielo hanno insegnato le autorità italiane ed europee che quelle vite non valgono niente: che si monetizzano, per fermare o per fare partire, ma sul piano umano sono vite sacrificabili». Nei giorni precedenti, la nave era stata oggetto di intimidazioni: prima da parte di otto gommoni con miliziani armati e incappucciati, poi da parte di una motovedetta libica classe Bigliani, riconoscibile come una di quelle ex Guardia di Finanza donate dal governo italiano (la “Zawiyah”, numero identificativo 656), che le aveva ordinato di andarsene: «Su quelle acque internazionali non può esercitare alcuna sovranità nazionale, prevista solo entro le 12 miglia dalla costa. Quindi quell’ordine era totalmente illegittimo oltre che ingiustificato», ricorda l’equipaggio. L’organizzazione, dopo aver recuperato i naufragi, sottolinea come nel mar Mediterraneo centrale ormai la distinzione tra attori “istituzionali”, la cosidetta guardia costiera libica, e milizie criminali sia sempre più sfumata e che la strategia utilizzata per imporsi è univoca: «Di giorno si presentano come guardia costiera e di notte agiscono come trafficanti ed assassini. Ma sia le milizie che i governativi trattano le vite umane allo stesso modo: come spazzatura». Da qui l’appello: «Alle dieci persone soccorse questa notte non possono essere imposte ulteriori inutili sofferenze: devono essere sbarcate al più presto nel più vicino porto sicuro». Pochi giorni prima, il 16 agosto al largo di Trapani, Mediterranea aveva invece vissuto un momento di tutt’altro segno. La storica Mare Jonio aveva incontrato la nuova nave Mediterranea per un saluto simbolico e profondamente significativo. Le sirene hanno suonato insieme, le due imbarcazioni hanno compiuto manovre di reciproco omaggio, e gli equipaggi si sono abbracciati augurandosi «buon vento». Un gesto di sorellanza e cooperazione, che per Mediterranea rappresenta un passaggio decisivo: «Unirsi, collaborare tra organizzazioni, sostenersi reciprocamente serve a rendere il soccorso civile in mare più efficace e più forte, nella speranza – e nella volontà – di mettere fine alle morti nel Mediterraneo, un mare sempre più trasformato in un confine letale». Durante la cerimonia erano presenti anche i rappresentanti di Sea Eye, l’organizzazione che in passato aveva gestito la nave ora ribattezzata Mediterranea, in un passaggio di testimone simbolico che rappresenta la continuità della missione di salvataggio. In collegamento da Marsiglia, don Mattia Ferrari, cappellano di bordo, ha inviato un messaggio di pace e di augurio dalla nave Belle Espoir, progetto delle diocesi del Mediterraneo. A bordo, la presidente Laura Marmorale ha appeso la foto di Mario Paciolla, cooperante italiano ucciso in Colombia nel 2020: «Da oggi Mario è simbolicamente parte dell’equipaggio: navigherà con noi, in ogni salvataggio, in ogni azione di solidarietà e resistenza». Mediterranea ribadisce così il senso della nuova missione: «Non ci rassegniamo all’idea che il Mediterraneo debba restare un cimitero senza croci. Non stiamo a guardare. Non accettiamo l’inerzia. Raddoppiamo».
Un’altra strage nel Mediterraneo, lo stesso cinismo
Un’altra strage di persone migranti a sud di Lampedusa. Ventisette morti, tra cui una neonata e tre ragazzini. Novantasette persone partite, sessanta arrivate vive. Lo ricorda con chiarezza «Osservatorio Repressione»: è l’onda lunga della “dottrina Piantedosi”. Aspettare, calcolare, trasformare il soccorso in un’operazione di polizia. Il naufragio è avvenuto a 14 miglia a sud-ovest dell’isola, a due miglia dalle acque territoriali italiane. Due barconi partiti dalla costa libica, forse da Tripoli scrive nel suo comunicato la Guardia costiera italiana. Uno si riempie d’acqua, le persone si spostano sull’altro, che si ribalta a sua volta. Quando Guardia costiera e Guardia di finanza arrivano, lo scafo è già capovolto, i corpi già in mare. Eppure un aereo di Frontex sorvolava quell’area la sera prima. Non li ha visti? O le autorità italiane stavano preparando l’ennesima «operazione di contrasto all’immigrazione irregolare» in attesa che le barche entrassero nelle acque nazionali? Oppure le autorità si attendevano l’ennesimo respingimento? Come mai le due imbarcazioni sono passate inosservate?  Il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura lo scrive senza mezzi termini: «Strage senza immagini: zero dalla Guardia Costiera in mare, zero dal porto di Lampedusa. Serve far passare “in cavalleria” questo ennesimo dramma. Parlarne al massimo mezza giornata, nascondere i corpi dei vivi e dei morti: evitare al governo un altro incubo stile Cutro». Il Comando della Guardia costiera si limita a un comunicato stringato, in violazione delle stesse procedure Sar nazionali che impongono la comunicazione pubblica delle operazioni di soccorso. Sapere se qualcuno era a conoscenza della situazione e non è intervenuto subito non è un dettaglio: significa stabilire se ci troviamo davanti a un’ennesima omissione di soccorso mascherata da «prontezza operativa». Nella serata del 14 agosto, la GC ha poi diffuso alle redazioni un comunicato con due brevi video: il primo mostra le operazioni di soccorso di ieri, con l’imbarcazione in vetroresina rovesciata; il secondo documenta i pattugliamenti di oggi alla ricerca dei dispersi. Immagini che arrivano solo a posteriori, quando il racconto e la percezione pubblica della strage sono già stati neutralizzati. Francesca Saccomandi di Mediterranean Hope è diretta: «Non sono tragedie ma morti annunciate, frutto di politiche di respingimento di cui i governi europei sono responsabili». Tra le salme ci sono un bambino di quattro anni e uno di appena un anno e mezzo. La madre di quest’ultimo ha perso nello stesso giorno marito e figlio. Un ragazzo ha visto morire il suo migliore amico, dopo otto anni di attesa in Libia. Perfino Flavio Di Giacomo dell’Oim è netto: «È inadeguato il pattugliamento, il soccorso, il salvataggio. Serve rafforzare il sistema europeo di pattugliamento, perché salva vite e porta le persone in un porto sicuro, non in Libia».  Sea Watch aggiunge: «Rabbia e frustrazione. È quello che sentiamo per l’ennesimo naufragio a poche miglia da Lampedusa. La nostra Aurora e altre Ong se indirizzate avrebbero potuto soccorrere le persone in pochi minuti. Qualcuno sapeva della presenza di quella barca?». E intanto l’aereo Seabird resta bloccato: avrebbe potuto avvistare le imbarcazioni e dare tempestivamente l’allarme, ma sarebbe stato un testimone scomodo del mancato soccorso. Le ultime notizie riportano che la procura di Agrigento ha aperto un fascicolo di indagine per “per naufragio colposo”. Per il governo Meloni, invece, la colpa è sempre e solo dei «trafficanti di esseri umani». Piantedosi ribadisce la necessità di «prevenire i viaggi in mare sin dai territori di partenza», mentre Meloni denuncia l’«inumano cinismo con cui i trafficanti organizzano questi loschi viaggi». Parole già pronte, buone per coprire le proprie responsabilità politiche. Ma quando il governo un vero trafficante e torturatore ce l’ha sotto mano, come nel caso Almasri, ricorda ancora «Osservatorio Repressione», lo rimanda velocemente in Libia con un volo di Stato. Il bollettino di guerra ha superato le 700 vittime nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno ad oggi. E si continuerà a contarle finché il mare resterà un confine da militarizzare e uno spazio di non soccorso, finché questo regime dei confini italiano ed europeo continuerà ad avvantaggiare altri amici trafficanti e a lasciare come unica via per arrivare in Europa quella del mare. Il resto è propaganda. E ipocrisia di chi è colpevole di queste morti.
Fermo amministrativo per Seabird 1, l’aereo di monitoraggio sul Mediterraneo
Il governo italiano alza il livello dello scontro contro chi documenta le violazioni dei diritti umani nel Mediterraneo centrale. Il 7 agosto, l’Ente Nazionale Aviazione Civile (ENAC) ha notificato al team di Sea-Watch il fermo amministrativo immediato del Seabird 1, uno degli aerei utilizzati dall’organizzazione civile di soccorso in mare Sea-Watch 1 per monitorare e documentare soccorsi e respingimenti. «Solo una settimana prima,» – denuncia l’ONG – «il team aereo aveva documentato come le autorità italiane avessero ignorato per un’intera giornata le chiamate di soccorso di una nave in difficoltà, determinando la morte di due bambini. Questo caso ha suscitato grande attenzione in Italia». Per Sea-Watch, il provvedimento non è che l’ennesimo segnale di una strategia volta a eliminare il monitoraggio indipendente nel Mediterraneo. «La ragione del fermo ci è attualmente sconosciuta – ha dichiarato Laura Meschede, portavoce dell’organizzazione -. Ma è evidente che si tratta di un pretesto per sbarazzarsi di noi, testimoni della situazione nel Mediterraneo». La base giuridica è il Decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145 2, il cosiddetto Decreto Flussi, che consente di sequestrare anche gli aerei delle ONG. Già al momento dell’approvazione, associazioni e attivisti avevano denunciato il rischio che lo strumento venisse usato per ostacolare le attività di monitoraggio. Il caso del Seabird 1 conferma questi timori. Il Decreto 145 è strutturato in tre capi principali (più le disposizioni finali), che corrispondono ad aree tematiche distinte. L’introduzione di obblighi stringenti per gli aeromobili civili impiegati in attività di ricerca e soccorso, insieme alle norme su richieste di asilo e cooperazione del richiedente e alle procedure di respingimento alle frontiere, è contenuta nel Capo III – Gestione dei flussi migratori e protezione internazionale. «Gli aeromobili che effettuano attività non occasionale di ricerca finalizzata o strumentale alle operazioni di soccorso (…) hanno l’obbligo,» – spiega l’avvocato Arturo Raffaele Covella – «nel rispetto delle convenzioni internazionali, di informare di ogni situazione di emergenza in mare immediatamente e con priorità l’ente dei servizi del traffico aereo competente e il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, nonché i Centri di coordinamento degli Stati costieri responsabili delle aree contigue». Interviste/In mare FLUSSI, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E TUTELA PER LE VITTIME DI CAPORALATO L’intervista all’avvocato Arturo Raffaele Covella sul D.L. n. 145/2024 12 Novembre 2024 Questa disposizione, seppur presentata come garanzia di coordinamento rappresenta un ulteriore strumento di controllo e potenziale ostacolo alla libertà di monitoraggio indipendente. «Negli ultimi mesi – continua Meschede – abbiamo documentato ripetute gravi violazioni dei diritti umani da parte del governo italiano. Abbiamo registrato come le autorità italiane ignorassero le chiamate di soccorso e decine di persone annegassero. Abbiamo documentato come milizie libiche armate dall’Italia e dall’UE abbiano sparato su soccorritori e persone in fuga. Ogni giorno raccontiamo gli effetti mortali delle politiche isolazioniste dell’Europa: non sorprende che il governo italiano voglia sbarazzarsi di noi». Il fermo, che durerà inizialmente 20 giorni, potrebbe avere conseguenze ben più gravi: alla seconda “violazione” del decreto, la durata salirebbe a 60 giorni; alla terza, l’aereo verrebbe confiscato definitivamente. Sea-Watch ha annunciato che intraprenderà azioni legali contro il provvedimento che segna un precedente importante. Finora, infatti, le misure restrittive nei confronti delle ONG, si erano concentrate principalmente sulle imbarcazioni di soccorso in mare, mentre un sequestro diretto di un velivolo dedicato al monitoraggio aereo non aveva mai avuto luogo. Nel frattempo, l’assenza del Seabird 1 lascia un vuoto pericoloso che rischia di tradursi in un aumento di respingimenti illegali, naufragi non documentati e silenzi sui naufragi quotidiani che si consumano al largo delle coste europee. Sea-Watch ha comunicato che l’8 agosto alle 16:22 – a poco più di 24 ore dal sequestro del Seabird1 – è decollato da Lampedusa il loro Seabird 3. L’ONG è tornata in volo per documentare e denunciare le violazioni dei diritti umani nel Mediterraneo, violazioni rese possibili dall’Italia e dall’Unione Europea. 1. La nota stampa di Sea-Watch ↩︎ 2. Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché’ dei relativi procedimenti giurisdizionali. (24G00171) Consulta il DL ↩︎
f.Lotta: un’occupazione marittima contro il sistema dei confini
IL DESERTO DEL MEDITERRANEO CENTRALE Il Mediterraneo centrale è una delle rotte migratorie più letali al mondo, dove il razzismo delle politiche di frontiera dell’Unione Europea appare in modo evidente: oltre 25.000 persone sono morte dal 2014 1. I soldi dell’Unione Europea finanziano il controllo del confine, costruiscono centri di detenzione in Nord Africa e ostacolano gli sforzi delle navi ONG. La strategia ha dato i suoi frutti: lo stato ha espanso il proprio controllo in questa zona di frontiera, irregimentando la solidarietà in un quadro operativo che si conclude quasi sempre con la detenzione o l’assegnazione di un porto lontano per lo sbarco. Peggio ancora: la violenza frontaliera dello stato sta diventando invisibile. F.LOTTA f.Lotta è una chiamata dal basso a rifiutare questa situazione e il sistema mondo che l’ha normalizzata.  f.Lotta organizzerà una protesta in mare a sud di Lampedusa, riunendo il maggior numero possibile di imbarcazioni, per ripoliticizzare quello che oggi è un cimitero a cielo aperto. Vogliamo occupare il Mediterraneo centrale con la nostra solidarietà e resistenza collettiva, vogliamo riscattarlo dal regime dei confini. Barche provenienti da molti porti d’Italia e d’Europa convergeranno verso Lampedusa attraverso tappe logistico-politiche in diversi porti, per diffondere le idee di f.Lotta e creare connessioni con le realtà locali e le reti di solidarietà. La protesta in mare a sud di Lampedusa durerà 3 giorni, in un periodo compreso tra il 10 e il 20 settembre. Comprenderà due momenti di concentrazione vicino all’isola, una navigazione collettiva attraverso il confine meridionale dell’Unione Europea e commemorActions. OCOB: ONE CAMPAIGN ONE BOAT f.Lotta è una campagna di campagne. L’orizzonte politico comune di f.Lotta è la libertà di movimento. Gruppi politici e collettive a terra sostengono f.Lotta sviluppando campagne specifiche che arricchiscono una piattaforma politica condivisa a favore di un sistema diverso. Ogni barca di f.Lotta diventa testimone e portabandiera di una specifica campagna, portandola simbolicamente con sé durante l’azione in mare: se f.Lotta fosse un manifesto, ogni barca sarebbe una rivendicazione. Potete scoprire le campagne sul nostro sito web. F.LOTTINE E F.LOTTA DI TERRA f.Lotta vuole contrastare l’espansione dell’estrema destra e non si esaurisce con la protesta in mare a sud di Lampedusa. Le f.Lottine e la f.Lotta di terra sono ulteriori articolazioni dell’iniziativa, azioni di protesta parallele che collegano lo spazio del Mediterraneo centrale con altre città europee e altre aree di confine. Una f.Lottina è un’altra occupazione marittima o fluviale, mentre un’azione di f.Lotta di terra può assumere diverse forme: un’occupazione, una marcia, un sit-in davanti a un centro di deportazione. Crediamo che molteplici occupazioni di mare, di fiume e di terra siano necessarie per creare connessioni con realtà e lotte già esistenti, raggiungendo quante più persone possibile. Da quando l’Europa ha deciso di diventare una fortezza, ha accettato il rischio di un assedio collettivo. LA MARCIA DELLA SPERANZA f.Lotta rende omaggio e trae ispirazione da un momento che 10 anni fa sconvolse i rapporti di forza all’interno del sistema dei confini. A settembre 2015, migliaia di rifugiate iniziarono a camminare sulle autostrade dall’Ungheria verso la Germania. La loro azione spontanea e diretta aprì i confini interni dell’Unione Europea. Alcuni anniversari devono essere rumorosi. CHI SIAMO f.Lotta federa un gruppo molteplice di persone unite dalla convinzione che un orizzonte politico diverso sia possibile. Non siamo un’organizzazione istituzionalizzata. La protesta in mare apre il Mediterraneo centrale a forme di solidarietà e resistenza diverse rispetto al soccorso marittimo professionalizzato, riunendo persone, collettive, gruppi con o senza barche. Invita la società civile a rigettare ovunque il regime di frontiera, fino alle sue fondamenta: razzismo, colonialismo, capitalismo e patriarcato. CON O SENZA BARCA Qui potete leggere la nostra chiamata, con diversi modi per sostenere f.Lotta. Squattiamo il mare assieme! Contatti: https://flotta.noblogs.org F_Lotta@inventati.org https://www.instagram.com/f.lotta_ 1. Si veda: Missing Migrant Project ↩︎