“The Book of Shame” irrompe a Ginevra

Progetto Melting Pot Europa - Tuesday, September 23, 2025

Davanti alle sedi delle agenzie delle Nazioni Unite, il 12 e 13 settembre, rifugiatə e attivistə si sono dati appuntamento per denunciare quello che definiscono «il tradimento del mandato di protezione» da parte di UNHCR e IOM. Due giorni di protesta organizzati dal collettivo Refugees in Libya sotto le sedi “umanitarie” dove è stato anche presentato The Book of Shame, ossia “Il libro della vergogna”.

Il 12 settembre, in Rue de Montbrillant 94, davanti al quartier generale dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR), si è svolta la conferenza stampa con la presentazione del volume. Il giorno successivo, la manifestazione si è spostata alla sede dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), in Route des Morillons 17, proseguendo poi per le strade di Ginevra con slogan e testimonianze.

We have a new song and slogan for IOM the @UNmigration .

Sing 🎶:

IOM 🎵, IOM 🎵, WHY ARE YOU NASTY? 💩
🎶🎶 🎶🎶 🎵🎵🎵🎵🎵🎵🎵🎵 pic.twitter.com/oTpcRI2AwQ

— Refugees In Libya (@RefugeesinLibya) September 17, 2025

«Abbiamo fatto ciò che i rifugiati non dovrebbero mai fare: abbiamo scritto un libro che nomina e critica le agenzie umanitarie che dovrebbero essere i nostri “salvatori”», ha dichiarato David Yambio, portavoce di Refugees in Libya. «Per anni hanno scritto su di noi: rapporti, statistiche, progetti. Ora siamo noi ad aver scritto di loro: di UNHCR, di IOM e dell’Unione europea. Lo abbiamo chiamato Book of Shame».

Il Book of Shame – ha precisato – non è un rapporto accademico né una raccolta di dati. È, come scrivono gli autori nell’introduzione, «un libro nato dalla rabbia, dal lutto e dal rifiuto di rimanere in silenzio (…). E’ più di un catalogo di fallimenti, è un atto collettivo di resistenza, un intervento politico di difensori dei diritti umani rifugiati che rifiutano di essere messi a tacere».

All’interno ci sono le testimonianze dirette da Libia, Tunisia e Niger, raccolte tramite hotline e reti di solidarietà dall’inizio del 2024 all’estate del 2025.

Il testo denuncia il fallimento strutturale dell’UNHCR nel garantire protezione: dalle difficoltà di registrazione e rinnovo dei documenti, all’assenza di assistenza medica, fino alle accuse di corruzione e complicità con le milizie libiche.

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Una parte importante è dedicata anche all’IOM e alle pratiche camuffate da “ritorno volontario”, descritte come «ricatti» rivolti a persone detenute e tenute in condizioni insopportabili. «Da anni conosciamo il loro concetto di ricatto. A chi è detenuto e torturato in Libia viene proposta una sola alternativa: tornare indietro, verso il Paese che ha cercato di fuggire», sottolinea il collettivo di rifugiati.

Il libro si apre con un capitolo scritto da Yambio, dal titolo emblematico The Witness Must Speak. Qui, il portavoce ripercorre la sua esperienza: l’infanzia segnata dalla guerra in Sudan, la fuga attraverso mezza Africa e infine l’incubo libico, fatto di torture, estorsioni e detenzione. «UNHCR era presente nei centri di detenzione, ma la loro cura non era mai libertà. Portavano coperte, sapendo che eravamo ridotti in schiavitù. Vedevano le donne stuprate, ma dicevano che non era nelle loro mani liberarci», scrive Yambio.

Questo non è un libro neutrale. Non è scritto nel linguaggio della diplomazia. È ciò che deve essere detto da chi è stato ignorato troppo a lungo.

Refugees in Libya

Durante la protesta, il gruppo di attivistə ha ribadito a più riprese le accuse contenute nel volume: «UNHCR protegge le frontiere europee, non i rifugiati». In Niger, raccontano, «ogni atto di repressione contro i rifugiati nel campo di Agadez è avvenuto con l’accordo di UNHCR»; in Tunisia, i rifugiati denunciano sgomberi e attacchi contro insediamenti informali, con la complicità delle agenzie internazionali.

Secondo Yambio, la radice del problema è politica: «Il sistema dell’aiuto umanitario cammina mano nella mano con quello del contenimento. Ti danno da mangiare, ma la porta resta chiusa. Ti curano le ferite, ma ti lasciano in gabbia. È un sistema costruito non per salvare, ma per contenere».

L’obiettivo di Refugees in Libya è chiaro: far conoscere a giornalisti, politici, società civile quanto avviene quotidianamento dove operano le organizzazioni “umanitarie” che dovrebbero difendere i diritti fondamentali delle persone migranti e costringere queste istituzioni internazionali a guardarsi allo specchio. «Chi sorveglia chi dovrebbe sorvegliare la nostra vita? Chi chiede conto a chi trae profitto dal nostro esilio?», domanda il portavoce nelle ultime pagine del libro.

«Non scriviamo come vittime in attesa di essere salvate», conclude Yambio. «Scriviamo come persone che hanno osato nominare la macchina dell’abbandono, e che continueranno a farlo. Questo libro è la nostra arma, la nostra testimonianza, il nostro fuoco».

La mobilitazione di Ginevra si è inserita nella Chain of Action 2025, una serie di iniziative transnazionali che segnano i dieci anni dalla crisi del 2015 e dalla morte del piccolo Alan Kurdi, immagine che allora riuscì a scuotere le coscienze europee ma che oggi appare sbiadita. 

Il prossimo appuntamento promosso da Refugees in Libya saranno le giornate di azione del 15-18 ottobre “Stop Memorandum Italia – Libia”.

«Nessun accordo con chi è responsabile di crimini contro l’umanità. Cancelliamo il memorandum d’intesa italo-libico», annuncia il collettivo che insieme a numerose organizzazioni per la difesa dei diritti umani, la flotta civile, avvocatə, ricercatori e attivistə sta costruendo le giornate di mobilitazione per fermare il rinnovo del famigerato accordo.