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Svizzera, concluso 25° Congresso del Partito Comunista: “Sì al referendum obbligatorio contro gli Accordi Bilaterali III”
Il 19 novembre, alla presenza di 120 delegati, si è concluso con piena soddisfazione al Centro Civico di Arbedo il 25° Congresso del Partito Comunista della Svizzera. I lavori sono durati due giorni e sono stati aperti dalla deputata comunista Lea Ferrari e da due video-messaggi: il primo dell’artista Moni Ovadia, attore, drammaturgo, intellettuale e attivista anti-sionista di origine ebraica; e il secondo dei fratelli Kononovich, giovani anti-fascisti ucraini perseguitati dal governo etnonazionalista ucraino guidato da Zelensky. Dopo 10 anni dalla separazione fra il Partito Comunista e il Partito Svizzero del Lavoro, i rispettivi Congressi – che si stavano celebrando in contemporanea rispettivamente nel Canton Ticino e nel Canton Basilea – si sono uniti virtualmente con un simbolico scambio di saluti nel nome dell’unità d’azione dei rivoluzionari. Il Congresso ha reso inoltre omaggio al fondatore del Partito, Pietro Monetti, nel 50° della sua scomparsa. Sono seguiti i saluti delle numerose delegazioni estere presenti, fra cui i rappresentanti delle Ambasciate di Cuba, Cina, Corea del Nord, e Laos accreditate presso la Confederazione Svizzera. Al Congresso è giunta anche una lettera di congratulazioni del compagno Lai Xuan Mon, vicepresidente permanente del Comitato per la comunicazione, l’istruzione e la mobilitazione di massa del Comitato Centrale del Partito Comunista del Vietnam. Oltre ai dirigenti di vari partiti comunisti europei, fra cui il Partito Comunista Tedesco e il Partito Comunista Portoghese, erano presenti varie organizzazioni con responsabilità di governo come il Movimento di Rigenerazione Nazionale (Morena) del Messico, il Fronte di Liberazione Popolare (JVP) dello Sri Lanka. Il Cancelliere della Confederazione ha inviato una lettera al Congresso augurando buon lavoro e lo stesso ha fatto il Presidente del Gran Consiglio ticinese. Al termine della prima giornata e all’unanimità è stato rieletto il deputato Massimiliano Ay alla carica di segretario generale. Ay apre così il suo sesto mandato alla testa del Partito. Eletto per la prima volta nel 2009 ha saputo dare al Partito una nuova linea sconfiggendo le tendenze revisioniste eurocomuniste e adattando il marxismo-leninismo alle condizioni svizzere nell’epoca del multipolarismo. Il Comitato Centrale del Partito sale da 20 a 30 membri a seguito dell’aumento di membri, registrato soprattutto da quando il Partito ha coraggiosamente e con maggiore enfasi adottato la linea in difesa della neutralità e della sovranità nazionale. Nel nuovo Comitato Centrale il compagno Adam Barbato-Shoufani, coordinatore della Gioventù Comunista, con i suoi 17 anni sarà il membro più giovane. L’ex-vicesindaco della città di Chiasso Marco Ferrazzini (classe 1950) sarà invece il decano del “parlamentino” comunista per i prossimi quattro anni. Il Congresso ha pure rinnovato la Commissione Centrale di Controllo i cui membri saliranno da 3 a 5 e che resta presieduta dal prof. Davide Rossi. Dopo un’ampia discussione, che ha visto prendere la parola fra gli altri anche la ex-presidente regionale del sindacato UNIA Mixaris Gerosa e il coordinatore del Sindacato studentesco SISA Ismael Camozzi, il Congresso ha approvato la risoluzione promossa da Alberto Togni, presidente del Fronte per la Neutralità e il Lavoro e membro della Direzione del Partito, intitolata “Una sinistra patriottica e per la pace: No UE – No NATO”. Il Partito Comunista si impegnerà quindi a sostegno della votazione popolare per iscrivere la Neutralità nella Costituzione Federale della Svizzera, che le impedirebbe non solo di aderire in futuro alla NATO ma anche di adottare sanzioni economiche contro la Russia. Durante il 25° Congresso del Partito Comunista della Svizzera è emersa una posizione forte e chiara: No agli Accordi Bilaterali tra Svizzera e Unione Europea e No all’integrazione della Svizzera alla NATO. Durante il dibattito ha preso la parola anche un giovane macchinista di treni Riccardo Di Ninno preoccupato dal processo di liberalizzazione del mercato ferroviario. La relazione introduttiva del segretario politico è durata quasi un’ora, enfatizzando un distinguo con la sinistra liberal: “noi comunisti ne abbiano piene le scatole di essere assimiliati a spocchiosi intellettualoidi radical chic che mentre i diritti sociali dei lavoratori spariscono, che mentre il potere d’acquisto crolla, che mentre la guerra è tornata in Europa questi discettano sul costruire bagni per il terzo sesso e si crogiolano con baggianate post-moderne come la schwa e le mode liberal: queste americanate che nulla hanno a che fare con la tradizione del movimento operaio, cose che fanno odiare la sinistra alla gente normale”. Il Segretario generale ha quindi difeso la neutralità svizzera definendola il modo più rivoluzionario negli attuali rapporti di forza per contrastare la fazione atlantista e guerrafondaia della borghesia svizzera. Un affondo è stato riservati al ruolo filo-imperialista dei trotskisti, ricordando che durante la marcia del Primo Maggio 2022 hanno osato portare al corteo sindacale un gruppo di emigranti ucraini che glorificavano il battaglione neo-nazista Azov, chiedendo persino ai sindacati di abbassare le bandiere rosse, definendole “filo-russe”. Ay ha sottolineato che tali atti vergognosi non devono essere dimenticati, soprattutto oggi che il Movimento per il Socialismo cerca di convincere il Partito Socialista e i Verdi a formare un’alleanza elettorale «antifascista» che, ovviamente, esclude i comunisti: una mossa atta solo a isolare le componenti anti-atlantiste e pacifiste della sinistra. I trotskisti svizzeri, ha detto, «parlano di unità della sinistra solo per dividere ulteriormente il movimento operaio» ha tuonato il segretario del PC. Il vice-segretario generale del Partito Comunista, Alessandro Lucchini, consigliere comunale di Bellinzona, ha tirato dal canto suo un bilancio degli ultimi quattro anni e ha spiegato: «Siamo stati i primi a sinistra a parlare di neutralità evitando così che questo importante tema restasse un’esclusiva della destra nazionalista, nonostante siano arrivate critiche feroci definendoci “fascistoidi”. La neutralità è per noi una linea strategica che ci rende diversi dal resto della sinistra. Andremo avanti con coerenza in questa direzione. Il contesto internazionale infatti non è mai stato così teso. La guerra della NATO contro la Russia combattuta in Ucraina ha segnato una cesura storica. Il clima per chi, come noi, non si piega alla narrazione mainstream si è fatto decisamente pesante». Il coordinatore della Gioventù Comunista Adam Barbato-Shoufani ha concluso i lavori della prima giornata nell’entusiasmo. Nel suo discorso ha sottolineato tre aspetti: 1) la volontà dell’organizzazione giovanile di focalizzarsi su ragazzi di età liceale e non solo universitaria come è stato il caso negli ultimi anni; 2) la volontà di unire due mondi molti distanti: quello dei liceali con quello degli operai; 3) chiedendo al Partito di continuare a sostenere la formazione politica delle avanguardie giovanili perché – ha concluso – Barbato-Shoufani “non c’è vittoria e non c’è conquista senza un grande Partito Comunista, ma non c’è un grande Partito Comunista senza una forte Gioventù Comunista Marxista-Leninista”. Nella seconda giornata i delegati hanno poi continuato i lavori discutendo a porte chiuse, e approvando il nuovo programma generale intitolato “Essere il modello di noi stessi” e il nuovo statuto. Quest’ultimo conferisce al Partito Comunista della Svizzera il ruolo di partito d’avanguardia, che si riconosce nel socialismo scientifico e si definisce “nel contempo patriottico e internazionalista”. I cardini della sua azione sono ora “l’indipendenza, il lavoro e la neutralità svizzera” e il “patriottismo operaio”. Sono pure state ampiamente dibattute e votate le tesi politiche che delineeranno l’intervento del Partito per i prossimi quattro anni. Esse sono state ampiamente dibattute e due emendamenti sono stati approvati: il primo che impegna gli storici del Partito ad essere più attivi nel contrastare la storiografia anti-comunista e il secondo che ha voluto integrare un paragrafo sulla politica sanitaria svizzera. Infine sono state approvate tutte le risoluzioni tematiche che arrivavano direttamente dalla base: * una a favore di una lettura marxista del femminismo che rifiuti le visioni liberal e radical-chic oggi prevalenti e che valorizzi la storia delle donne dei paesi socialisti; * una risoluzione a sostegno del multipolarismo con l’invito al Dipartimento Internazionale del Partito a intensificare le relazioni con l’Africa e in particolare con l’esperienza rivoluzionaria del Burkina Faso; * e infine una risoluzione sul tema della sovranità digitale come sinonimo sia di indipendenza nazionale sia di indipendenza di classe.   Conclusa la due giorni del 25° Congresso del Partito Comunista. Chiesto il referendum obbligatorio contro gli Accordi Bilaterali III Lorenzo Poli
“Uniti per la pace nel mondo”, dalla Svizzera Ticinese un forte invito
Giovedì 9 ottobre si terrà la 11a edizione dell’evento transfrontaliero “In Cammino per la Pace”. Organizzato da Ticino Culture Network inizierà alle ore 9:00 con l’accoglienza del gruppo svizzero in Piazza Lago a Caslano, mentre dalle ore 9:30 il gruppo italiano si riunirà in via Zanzi a Lavena di Ponte Tresa. I partecipanti si congiungeranno dunque sul ponte doganale di Tresa, definito dal sindaco Massimo Mastromarino “Ponte della pace, quel luogo così importante durante la seconda Guerra Mondiale, che unisce due stati a volte con sensibilità diverse ma vicini quando si tratta di pace”, proseguendo poi il cammino verso Piazza San Giorgio a Lavena di Ponte Tresa per il momento ufficiale. In seguito tutti i partecipanti si recheranno alle ore 11:00 nella Sala Comunale di Tresa per la parte finale arricchita con la presentazione dei progetti. Tra l’altro inizierà il confronto con i bambini e i ragazzi per creare un proprio manifesto considerando le loro opinione riguardo alcuni articoli dello statuto della Convenzione ONU sui diritti dei bambini.  Questo evento fa parte di una serie di interessanti appuntamenti che sono stati presentati il 23 settembre presso la la Sala comunale di Lugano sotto il titolo “Uniti per la pace nel mondo”. Per l’occasione Margherita Maffeis-Natale, presidente del network ticinese ha precisato “Il nostro obbiettivo principale è promuovere la cultura della pace in un periodo storico martoriato dalla violenza e da più di 60 guerre che dilagano in tutto il mondo. Oggi più che mai va diffusa tra tutte le generazioni e a tutti i livelli della società un messaggio forte e chiaro di pace nel mondo”. Il 19 ottobre  si svolgerà il  Concerto Solidale “Uniti per la pace”, che si svolgerà presso la Sala Polivalente sempre a Lavena Ponte Tresa. Tra gli ospiti  presenti  il Liceo Musicale Giuseppe Verdi di Luino, l’Orchestra dei ragazzi di “Musica per Varese” e del civico istituto musicale “Maria Angela Bianchi” di Induno Olona e allievi dei Corsi Civici di musica di Lavena Ponte Tresa. L’11 novembre si festeggeranno i dieci anni del Villaggio della pace, nell’ambito della 13esima edizione del World Forum per la pace. L’evento si terrà al Palazzo dei congressi di Lugano ed è rivolto agli allievi e agli studenti delle scuole elementari, medie, medio-superiori e professionali. Numerose le associazioni che vi prenderanno parte con undici postazioni interattive. Tra queste anche il workshop di Mondo senza Guerre e senza Violenza con la collaborazione dell’associazione Utopia Tropicale dal titolo “Unire la natura alla pace e alla nonviolenza”. Si esplorerà il concetto di pace e nonviolenza attraverso le storie di Martine Sicard e Wangari Maathai. L’obiettivo è ispirare i partecipanti a contribuire attivamente a un mondo più giusto, sostenibile e pacifico. Due appuntamenti in particolare in evidenza quel giorno: dalle 13.30 alle 15.30 verrà presentato libro ‘Poteri occulti’ dell’ex magistrato Luigi De Magistris. Alle 20 è invece previsto lo spettacolo ‘Insieme per la pace’ con ospiti, tra gli altri, la conduttrice Rosita Celentano, il cantautore ticinese Diamante, la cantante Nina Dimitri, De Magistris, la stilista Miriam Tirinzoni e gli allievi della Scuola di musica e di arti classiche di Mendrisio. (I biglietti sono disponibili su www.biglietteria.ch). Il 22 novembre ci si sposta poi all’Hotel de la Paix di Lugano: dalle 17 è in programma una tavola rotonda su pace, conflitti e dialogo interreligioso, con la presenza dell’Arcivescovo Fortunatus Nwachukwu, (diplomatico del vaticano e attualmente segretario della sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari), della giornalista Lucia Vastano (inviata di Pace in zone di guerra come lei ama definirsi, presidente del comitato Vittime 9 ottobre-legato al disastro del Vajont), di Fabio Segatori (regista) e di padre Jihad Youssef in collegamento dal monastero siriano Deir Mar Musa.  Seguirà  una cena di gala solidale durante la quale verrà assegno il premio Spyri 2025. Durante l’edizione precedente era stato dato a Rafael de la Rubia per la Marcia Mondiale per la Pace e Nonviolenza. A concludere il 13° World Forum domenica 23 novembre si terrà la “Fiaccolata per la Pace Universale”. Tiziana Volta Tiziana Volta
“The Book of Shame” irrompe a Ginevra
Davanti alle sedi delle agenzie delle Nazioni Unite, il 12 e 13 settembre, rifugiatə e attivistə si sono dati appuntamento per denunciare quello che definiscono «il tradimento del mandato di protezione» da parte di UNHCR e IOM. Due giorni di protesta organizzati dal collettivo Refugees in Libya sotto le sedi “umanitarie” dove è stato anche presentato The Book of Shame, ossia “Il libro della vergogna”. Il 12 settembre, in Rue de Montbrillant 94, davanti al quartier generale dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR), si è svolta la conferenza stampa con la presentazione del volume. Il giorno successivo, la manifestazione si è spostata alla sede dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), in Route des Morillons 17, proseguendo poi per le strade di Ginevra con slogan e testimonianze. > We have a new song and slogan for IOM the @UNmigration . > > Sing 🎶: > > IOM 🎵, IOM 🎵, WHY ARE YOU NASTY? 💩 > 🎶🎶 🎶🎶 🎵🎵🎵🎵🎵🎵🎵🎵 pic.twitter.com/oTpcRI2AwQ > > — Refugees In Libya (@RefugeesinLibya) September 17, 2025 «Abbiamo fatto ciò che i rifugiati non dovrebbero mai fare: abbiamo scritto un libro che nomina e critica le agenzie umanitarie che dovrebbero essere i nostri “salvatori”», ha dichiarato David Yambio, portavoce di Refugees in Libya. «Per anni hanno scritto su di noi: rapporti, statistiche, progetti. Ora siamo noi ad aver scritto di loro: di UNHCR, di IOM e dell’Unione europea. Lo abbiamo chiamato Book of Shame». Il Book of Shame – ha precisato – non è un rapporto accademico né una raccolta di dati. È, come scrivono gli autori nell’introduzione, «un libro nato dalla rabbia, dal lutto e dal rifiuto di rimanere in silenzio (…). E’ più di un catalogo di fallimenti, è un atto collettivo di resistenza, un intervento politico di difensori dei diritti umani rifugiati che rifiutano di essere messi a tacere». All’interno ci sono le testimonianze dirette da Libia, Tunisia e Niger, raccolte tramite hotline e reti di solidarietà dall’inizio del 2024 all’estate del 2025. Il testo denuncia il fallimento strutturale dell’UNHCR nel garantire protezione: dalle difficoltà di registrazione e rinnovo dei documenti, all’assenza di assistenza medica, fino alle accuse di corruzione e complicità con le milizie libiche. Scarica – clicca qui Una parte importante è dedicata anche all’IOM e alle pratiche camuffate da “ritorno volontario”, descritte come «ricatti» rivolti a persone detenute e tenute in condizioni insopportabili. «Da anni conosciamo il loro concetto di ricatto. A chi è detenuto e torturato in Libia viene proposta una sola alternativa: tornare indietro, verso il Paese che ha cercato di fuggire», sottolinea il collettivo di rifugiati. Il libro si apre con un capitolo scritto da Yambio, dal titolo emblematico The Witness Must Speak. Qui, il portavoce ripercorre la sua esperienza: l’infanzia segnata dalla guerra in Sudan, la fuga attraverso mezza Africa e infine l’incubo libico, fatto di torture, estorsioni e detenzione. «UNHCR era presente nei centri di detenzione, ma la loro cura non era mai libertà. Portavano coperte, sapendo che eravamo ridotti in schiavitù. Vedevano le donne stuprate, ma dicevano che non era nelle loro mani liberarci», scrive Yambio. > Questo non è un libro neutrale. Non è scritto nel linguaggio della diplomazia. > È ciò che deve essere detto da chi è stato ignorato troppo a lungo. > > Refugees in Libya Durante la protesta, il gruppo di attivistə ha ribadito a più riprese le accuse contenute nel volume: «UNHCR protegge le frontiere europee, non i rifugiati». In Niger, raccontano, «ogni atto di repressione contro i rifugiati nel campo di Agadez è avvenuto con l’accordo di UNHCR»; in Tunisia, i rifugiati denunciano sgomberi e attacchi contro insediamenti informali, con la complicità delle agenzie internazionali. Secondo Yambio, la radice del problema è politica: «Il sistema dell’aiuto umanitario cammina mano nella mano con quello del contenimento. Ti danno da mangiare, ma la porta resta chiusa. Ti curano le ferite, ma ti lasciano in gabbia. È un sistema costruito non per salvare, ma per contenere». L’obiettivo di Refugees in Libya è chiaro: far conoscere a giornalisti, politici, società civile quanto avviene quotidianamento dove operano le organizzazioni “umanitarie” che dovrebbero difendere i diritti fondamentali delle persone migranti e costringere queste istituzioni internazionali a guardarsi allo specchio. «Chi sorveglia chi dovrebbe sorvegliare la nostra vita? Chi chiede conto a chi trae profitto dal nostro esilio?», domanda il portavoce nelle ultime pagine del libro. «Non scriviamo come vittime in attesa di essere salvate», conclude Yambio. «Scriviamo come persone che hanno osato nominare la macchina dell’abbandono, e che continueranno a farlo. Questo libro è la nostra arma, la nostra testimonianza, il nostro fuoco». La mobilitazione di Ginevra si è inserita nella Chain of Action 2025, una serie di iniziative transnazionali che segnano i dieci anni dalla crisi del 2015 e dalla morte del piccolo Alan Kurdi, immagine che allora riuscì a scuotere le coscienze europee ma che oggi appare sbiadita.  Il prossimo appuntamento promosso da Refugees in Libya saranno le giornate di azione del 15-18 ottobre “Stop Memorandum Italia – Libia”. «Nessun accordo con chi è responsabile di crimini contro l’umanità. Cancelliamo il memorandum d’intesa italo-libico», annuncia il collettivo che insieme a numerose organizzazioni per la difesa dei diritti umani, la flotta civile, avvocatə, ricercatori e attivistə sta costruendo le giornate di mobilitazione per fermare il rinnovo del famigerato accordo.
12 e 13 settembre: «Da Tripoli a Ginevra 2»
“UNHCR = UNFAIR!”, “IOM = NASTY!”: con questi slogan Refugees in Libya annuncia due nuove giornate di mobilitazione a Ginevra, il 12 e 13 settembre 2025, contro le «violazioni dei diritti umani» da parte delle principali agenzie internazionali coinvolte nella gestione delle migrazioni. Venerdì 12 settembre, alle 11, davanti alla sede dell’UNHCR in Rue de Montbrillant 94, è prevista una conferenza stampa con la presentazione del “Book of Shame”, che raccoglie «dozzine di denunce e accuse da parte di rifugiati e migranti in Libia, Tunisia e Niger». Secondo gli organizzatori, «anziché adempiere al proprio mandato di protezione, l’UNHCR sta proteggendo le frontiere europee ed è diventato uno strumento delle politiche di esternalizzazione». Per il collettivo si tratta di un ritorno a Ginevra, dopo la due giorni del 9 e 10 dicembre 2022 – in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani – che era stata promossa per denunciare l’operato dell’Agenzia dell’ONU. In questo nuovo appuntamento nella città svizzera, il giorno successivo, sabato 13 settembre, la manifestazione partirà alle 14 dalla sede dell’IOM, in Route des Morillons 17. Al centro delle accuse verso l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni sono le pratiche di “ritorno volontario”, considerate una forma di pressione e ricatto: «In Libia conosciamo da molti anni il loro concetto di ricatto – affermano gli attivisti -. Persone detenute e tenute in condizioni insopportabili ricevono come unica proposta quella di tornare nel Paese di origine. In Tunisia abbiamo visto lo stesso sistema, accanto a sgomberi e attacchi contro insediamenti informali». La protesta attraverserà la città, passando anche davanti alla sede delle agenzie governative, con interventi e testimonianze di rifugiati che hanno raggiunto l’Europa. «Non sono disposti a dimenticare le proprie ferite, né i compagni che ancora soffrono in Libia, Tunisia o Niger», sottolineano. Nel comunicato di lancio della due giorni viene denunciata anche l’apertura di un nuovo grande campo per richiedenti asilo a Ginevra, descritto come «una semi-prigione tra la pista dell’aeroporto e un’autostrada, dove le persone sono trattenute per mesi». L’iniziativa fa parte della “chain of action 2025”, una catena di azioni transnazionali che ricorda il decennale dell’estate delle migrazioni del 2015 e rilancia la lotta per la libertà di movimento e i diritti per tutte e tutti.
Suicidio assistito, Martina Oppelli è morta in Svizzera
Martina Oppelli, 50enne triestina, affetta da sclerosi multipla da oltre 20 anni, è morta la mattina del 31 luglio in Svizzera, dove ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito. È stata accompagnata da Claudio Stellari e Matteo D’Angelo, iscritti a Soccorso Civile, l’associazione che fornisce assistenza alle persone che hanno deciso di porre fine alle proprie sofferenze all’estero, e di cui è rappresentante legale Marco Cappato. Insieme a loro, hanno fornito aiuto logistico ed economico altre 31 persone, i cui nomi saranno resi pubblici. Lo scorso 4 giugno, Oppelli aveva ricevuto il terzo diniego da parte della azienda sanitaria ASUGI in merito alla verifica delle condizioni per accedere al suicidio medicalmente assistito: secondo l’azienda sanitaria non era sottoposta ad alcun trattamento di sostegno vitale, nonostante la completa dipendenza dall’assistenza continuativa dei caregivers e da presidi medici (farmaci, catetere e macchina della tosse). Per questo motivo lo scorso 19 giugno – assistita dal team legale coordinato da Filomena Gallo, avvocata e Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni – Oppelli ha presentato un’opposizione al diniego, accompagnata da una diffida e messa in mora nei confronti dell’azienda sanitaria. A seguito della diffida, è stata avviata una nuova procedura di valutazione da parte della commissione medica, ma Martina Oppelli ha deciso di andare in Svizzera per accedere all’aiuto alla morte volontaria perché era impossibile per lei attendere altro tempo per una risposta: le sofferenze non erano in alcun modo tollerabili. Queste le parole di Martina Oppelli affidate all’Associazione Luca Coscioni in un video registrato in Svizzera. Gentili parlamentari e concittadini tutti, non so se vi ricordate di me, sono Martina Oppelli. Più di un anno fa feci un appello a tutti voi affinché venisse promulgata e approvata una legge, una legge sensata che regoli il fine vita, che porti a un fine vita dignitoso tutte le persone, malate, anziane, ma non importa, prima o poi tutti noi dobbiamo misurarci con la fine della nostra vita terrena. Sì, questo appello è finito nel vuoto. Io all’epoca, ormai due anni fa, mi appellai alla sentenza Cappato per poter accedere al cosiddetto suicidio assistito presso l’azienda sanitaria della mia Regione. Per ben tre volte mi è stato negato, benché io ne avessi il diritto, ma chissà, forse non abbastanza, forse non lo so perché, io non ho tempo per aspettare un quarto diniego, ma anche se fosse un assenso io ero allo stremo delle mie forze. Sono in Svizzera, sì, forse una fuga direte voi, no, no, no, è un ultimo viaggio. Ho pensato che forse avrei dato meno fastidio, meno problemi, fuggendo all’estero, com’è la cosiddetta fuga di cervelli all’estero, ma non importa, sono qui e voglio restare qui e morire dignitosamente qui in Svizzera. Ma perché, perché dobbiamo andare all’estero, perché dobbiamo pagare, anche affrontare dei viaggi assurdi? Io ho fatto un viaggio lunghissimo, dopo che non uscivo da casa da più di un mese e non lasciavo la mia città da oltre undici anni, è stato veramente uno sforzo titanico, ma l’ho fatto per avere una fine dignitosa alla mia sofferenza, per piacere. Io non voglio che questo iter si ripeta per altre persone, non potete rimandarci sempre a settembre, ogni anno a settembre, perché ci sono urgenze più grandi. Sappiate che sono pienamente consapevole che esistono tragedie enormi, genocidi, terremoti, alluvioni e che magari la misera vita di una singola persona e la sua sofferenza appaiono troppo piccole in confronto a una guerra, ma il macrocosmo è fatto da infiniti microcosmi, già, e ogni microcosmo ha un proprio dolore e ogni dolore è assoluto nel momento in cui viene vissuto e va rispettato. Quindi, per piacere, ascoltate anche noi, non accomunate immagini di guerre, battaglie, terremoti anche alla mia immagine o all’immagine di altri malati, come se fossi quasi offensivo, sì, è offensivo pensare di sperare, di porre fine alle proprie sofferenze, quando altre persone fanno di tutto per vivere. Anche noi abbiamo fatto di tutto per vivere, credetemi. Io sono 30 anni che mi arrampico sugli specchi pur di conservare questo sorriso che si sta lentamente spegnendo, rispettate ognuno di noi. Simone Weil, grande filosofa francese, scriveva “ognuno ha il proprio olocausto privato.” Così, il fine vita tocca a tutti prima o poi, può accadere a 120 anni, può accadere a 50, può accadere prima, ogni scelta va rispettata. Fate una legge che abbia un senso, una legge che tenga conto di ogni dolore possibile, che ci siano dei limiti, certo, delle verifiche, ma non potete fare attendere due, tre anni prima di prendere una decisione. In questi ultimi due anni il mio corpo si è disgregato, io non ho più forza, ma non ho più forza nemmeno di respirare delle volte, perfino i comandi vocali non mi capiscono più. Ecco, io ho anche il catetere vescicale, ho un tubo di scappamento come una macchina al quale non sarei mai voluta arrivare, perché io non sono una macchina, sono un essere umano, io non funziono, io vivo e voglio vivere dignitosamente fino alla fine, o desideravo. Adesso desidero morire dignitosamente, per piacere. Fate una legge sensata, cercate di mettervi nei panni di chiunque, di chiunque. Non esiste nessuna guerra utile in questo mondo, ogni battaglia è inutile, mettiamo da parte le diatribe politiche, perché non esiste destra o sinistra o centro, siamo tutti esseri umani, tutti, per piacere, per piacere, legiferate, ma legiferate con buon senso. Scusate il disturbo, me ne vado in silenzio, io miro all’oblio, non cercavo la fama, forse cercavo solo di evitare la fame in questi anni, lavorando onestamente, pagando le tasse onestamente, pagando anche i contributi di chi mi assisteva giorno e notte in questo paese onestamente. Perché sono dovuta venire qui all’estero? Perché non ce la facevo più ad aspettare, non ce la facevo più. Per piacere fate una legge che abbia un senso e che non discrimini nessuna situazione plausibile. Scusate il disturbo. Martina Oppelli, prima di andare in Svizzera, ha depositato, tramite la sua procuratrice speciale Filomena Gallo, avvocata e Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, una denuncia-querela nei confronti di ASUGI, l’azienda sanitaria locale triestina che per tre volte le ha negato l’accesso al “suicidio medicalmente assistito”. Lo ha annunciato questa mattina durante una conferenza stampa a Trieste Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e rappresentante legale di Soccorso Civile, l’associazione che organizza le azioni di disobbedienza civile per l’aiuto alla morte volontaria. Oppelli ha contestato due reati principali all’azienda sanitaria: rifiuto di atti d’ufficio e tortura. In primo luogo ha accusato l’ASUGI e i medici della commissione di aver rifiutato di svolgere atti dovuti per legge. L’azienda sanitaria le aveva, in passato, negato la rivalutazione delle sue condizioni di salute, sostenendo che un nuovo esame sarebbe stato un costo inutile per la pubblica amministrazione. Martina Oppelli aveva dovuto presentare un ricorso d’urgenza nel 2024 presso il tribunale di Trieste che aveva ordinato all’azienda sanitaria nuove verifiche. Inoltre, non le è stato riconosciuto, per oltre due anni, il requisito della “dipendenza da trattamento di sostegno vitale” (uno dei quattro requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale “Cappato-Antoniani” per poter accedere legalmente in Italia al suicidio assistito), nonostante dipendesse totalmente non solo dai suoi caregiver per sopravvivere ma anche dalla macchina della tosse e nelle ultime settimane dal catetere vescicale, disapplicando in tal modo il giudicato costituzionale. Secondo Oppelli, inoltre, l’azienda sanitaria non solo le ha negato un diritto, ma l’ha fatta soffrire inutilmente, causandole danni fisici e psicologici che, per legge, si configurano come una vera e propria forma di tortura. Così ha denunciato di essere stata vittima di un trattamento inumano e degradante da parte delle istituzioni che hanno ignorato le sue sofferenze, constringendola a vivere per anni in una condizione di dolore estremo, aggravata dal rifiuto reiterato e immotivato dell’ASUGI di riconoscerle l’accesso legale alla morte assistita. Redazione Friuli Venezia Giulia
Freedom Flotilla e protesta contro Israele in Svizzera
I volontari della Freedom Flotilla Coalition sono stati condotti stamattina all’aeroporto di Tel Aviv per l’espulsione. Gli attivisti a bordo della nave umanitaria Madleen sono stati rapiti dall’esercito israeliano in un atto di pirateria navale terroristica, compiuto in acque internazionali e condotti al porto di Ashdod. Hanno  passato la notte in carcere, a Ramla, insieme a un giornalista di Al-Jazeera. La FFC scrive: “La nave è stata abbordata illegalmente, il suo equipaggio civile disarmato è stato rapito e il suo carico salvavita, tra cui latte in polvere, cibo e forniture mediche, è stato confiscato”. “Mi chiamo Greta Thunberg e arrivo dalla Svezia – dice l’attivista in un video. Se vedete questo filmato, vuol dire che siamo stati intercettati e sequestrati in acque internazionali dalle forze d’occupazione di Israele o da forze che supportano Israele. Chiedo ai miei amici, alla mia famiglia e ai miei compagni di fare pressione sul governo svedese affinché io e gli altri veniamo rilasciati il prima possibile”. In tutto il mondo si sono svolte manifestazioni e presidi di protesta contro l’arroganza criminale di Israele. “Israele non ha l’autorità legale per trattenere i volontari internazionali a bordo della Madleen”, ha dichiarato Huwaida Arraf, avvocato per i diritti umani e organizzatrice della Freedom Flotilla. “Questo sequestro viola palesemente il diritto internazionale e gli ordini vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia, che impongono il libero accesso umanitario a Gaza. Questi volontari non sono soggetti alla giurisdizione israeliana e non possono essere criminalizzati per aver consegnato aiuti o contestato un blocco illegale: la loro detenzione è arbitraria e illegittima e deve cessare immediatamente”.  Protesta contro Israele in Svizzera La ferrovia Losanna-Ginevra è stata interrotta da un presidio di manifestanti solidali con la causa palestinese e contro il genocidio a Gaza. Oltre 2.000 persone con bandiere palestinesi e kefiah hanno invaso i binari nelle due stazioni per circa dieci minuti. Un’azione simbolica e pacifica, ma che ha causato ritardi nel traffico ferroviario svizzero. Malgrado il disagio subito, la maggioranza dei passeggeri ha espresso solidarietà con i manifestanti.   ANBAMED
Anche la Svizzera punta sul riarmo
> La scorsa settimana, il neo-consigliere federale svizzero Martin Pfister ha > tenuto una conferenza stampa presso la base militare di Bure (nel cantone > francofono di Jura, N.d.T.) per presentare le sue priorità in materia di > politica di sicurezza. Il GSsE (Gruppo per una Svizzera senza Esercito) > critica l’unilateralità della politica di difesa incentrata sugli armamenti e > sul riavvicinamento alla NATO. Solo poche settimane fa, il GSsE ha avuto uno scambio di lettere con il Consigliere federale Pfister, che già lasciava presagire che il nuovo Consiglio federale non avrebbe adottato un approccio innovativo alla politica di sicurezza. Il Dipartimento Federale della Difesa continuerà a puntare su armamenti insensati e su un riavvicinamento alla NATO che il popolo non vuole. Pfister ripete anche la narrazione del presunto esercito “sotto-armato” e la favola dell’industria della difesa in difficoltà. Spera inoltre, invano, in un chiarimento sull’acquisto del jet da combattimento F-35. “Martin Pfister sta facendo quello che ha fatto il suo predecessore: riarmare senza coraggio, usare fatti falsi e cedere alla lobby delle armi”, afferma Joris Fricker, segretario politico del GSsE. Pfister sottolinea giustamente che il diritto internazionale viene violato sempre più spesso. Tuttavia, non si esprime a favore del rafforzamento di questo stesso diritto internazionale. Peggio ancora: il consigliere federale Pfister critica le presunte sfide per l’industria degli armamenti, anche se la cooperazione svizzera in materia di armi con Israele è ancora in corso e fino a poco tempo fa i componenti delle armi svizzere venivano forniti alla Russia. “Difendere il diritto internazionale e l’industria degli armamenti allo stesso tempo è una contraddizione in termini”, riassume Fricker. Tuttavia, il GSsE prende in parola Pfister su un punto. “Sulla base delle minacce e dei pericoli, la prossima strategia di politica di sicurezza del Consiglio federale fisserà obiettivi chiari e mostrerà come possiamo raggiungerli”. Il GSsE è certo che se Pfister vuole basare la sua strategia di politica di sicurezza sulle minacce e i pericoli reali, allora nulla osta a finanziamenti aggiuntivi per la protezione contro la violenza di genere, per la lotta alla crisi climatica o per la costruzione della pace internazionale. “Se il Consigliere federale Martin Pfister effettua davvero una sobria analisi delle minacce per la sua strategia di sicurezza, allora l’esercito deve essere abolito a favore di una vera sicurezza”, aggiunge Fricker. Il GSsE parteciperà alla consultazione sulla strategia della politica di sicurezza. Inoltre, chiede ancora una volta al Consigliere federale Pfister di sottoporre il bilancio dell’esercito a una votazione popolare e di fermare immediatamente l’acquisto del caccia F-35. Traduzione dal tedesco di Thomas Schmid. Pressenza Zürich
Eurovision song contest 2025 a Basilea: canta che ti passa?
Si è tenuto dal 13 al 17 maggio la 69° edizione dell’Eurovision Song Contest. Si è concluso a Basilea l’Eurovision song contest e anche quest’anno fa discutere, prima, dopo e durante la sua realizzazione, nonostante le conduttrici svizzere, tra cui la ben nota Michelle Unziker, abbiano precisato che non si tratta di un evento di valore politico. Precisazione inutile. La politica, prima di essere legge o governo, è consuetudine, è credenza acquisita, è cultura. La politica si nutre di questi eventi per promuovere la linea da seguire, quella giusta, quella dei giusti. Canta che ti passa! Non cercare di vedere sempre manipolazioni, in fin dei conti non è che un concorso canoro! E allora parliamo delle esibizioni, perché ce ne sono state per tutti i gusti. Gli artisti hanno cercato di produrre stupore o emozione nel pubblico e le potenzialità tecnologiche del palco sono ogni anno più sorprendenti. Qualcuno ha cercato di usarle proprio tutte, come un bimbo che vede un giocattolo nuovo e vuole provare a spingere ogni bottone colorato. Alcune delle atmosfere che sono state create hanno risucchiato lo spettatore all’interno di un video game, di un film o di una pittura, ma le qualità dei musicisti, le loro storie, l’autenticità e la capacità di entrare in risonanza con l’energia dell’universo, hanno fatto la differenza. I testi, poveri come non mai, anche quelli di brani interessanti, hanno testimoniato l’attuale incapacità dell’essere umano di comunicare con la parola, mentre le musiche hanno toccato una gamma ampissima di generi e fusioni con costruzioni originali o azzardate e soluzioni toccanti. Negli anni ci sono state ondate di stili di moda che hanno influenzato la manifestazione in modo trasversale, e così è stata la volta del folklorico col recupero e la rivisitazione di strumenti e costumi tradizionali, quella del romanticismo poetico, quella del sociale, sempre all’interno dei valori di pace, unità e convivenza tra i popoli che la manifestazione dice di voler sostenere. Questa volta, sulla scia della vittoria nel 2024 di Nemo (artista dichiaratamente queer che fonde il pop con l’opera), non è mancata l’originalità dei costumi e delle voci liriche, che non sono riuscite però ad occupare il “centro energetico” della kermesse, se non nel caso del vincitore, a cui dedico un commento nel finale. Si è sentito invece, nel sottofondo di molte canzoni, il ritmo della guerra e dalle quinte, ma non solo, è filtrata la solitudine esistenziale e l’ingiustizia che accompagnano la carenza – e la ricerca- di speranza. Il filo sottile della speranza che si manifesta nei momenti catastrofici è sorto in alcuni brani che hanno espresso in modo più o meno esplicito un possibile contatto con la sfera spirituale, quella della profondità umana, facendo vibrare una frequenza emotiva più alta, che supera le vicende personali e universalizza le vicende esistenziali. Questo filone è quello che mi ha colpito di più, sono poche canzoni che vorrei commentare. Lo spirituale puro Le “ondine” lettoni (Tautumeitas – Bur Man Laimi) hanno messo in scena, ricreandolo nella fusione fra antico e contemporaneo, un vero e proprio rito sciamanico di risveglio con suggestioni sonore e immagini evocative dell’animismo arcaico che giace nel fondo e alla base di qualunque ricerca spirituale. “Non conoscevo la mia felicità finché non ho incontrato la mia miseria” è la chiusura dell’ultima strofa della canzone. Allo stesso modo, una nuova generazione di artisti ucraini, con estetica e sonorità che ricordano gli anni ‘70, come degli elfi in un paesaggio lisergico (Ziferblat – Bird of Pray) hanno pregato esplicitamente e con potenza. “Cerco la luce, scavalcherò montagne e ti chiamerò… per vivere e condividere il mio cuore con chi sa volare”, i giovani artisti hanno stimolato un’esperienza emotiva molto particolare con i salti musicali, le voci e le suggestioni simboliche della loro performance. L’esistenziale universalizzato Passando ai brani che partono dall’esperienza esistenziale e la elevano, una giovane Monna Lisa nordica che si è presentata per la Svizzera (Zoë Më – Voyage) è uscita da un quadro di Caravaggio portando un’infinita dolcezza che è sgorgata da lei e ha illuminato nonostante la mancanza di amore e l’incomprensione. La cantante francese che da figlia si è ritrovata mamma (Louane – Maman) nel dialogo immaginario con sua madre ha usato il seme come simbolo e una clessidra senza contenitori che fa scorrere il flusso continuo dei semi ed evoca la tentazione di fermare il tempo. L’antieroe italiano (Lucio Corsi – Volevo essere un duro) ha portato a estrema sintesi la difficoltà di vivere in quest’epoca, recitando uno dei testi più complessi e poetici del festival “…non ho mai perso tempo, è lui che mi ha lasciato indietro” e, con un’estetica felliniana, ha usato ben poche opzioni del super palco giocattolo tecnologico. Altri brani particolari Sono degne di menzione altre tre canzoni, per ragioni diverse ma legate dal fatto di avere un tono ludico, considerando la tristezza o la tragedia espressa da tanti autori in un modo o nell’altro: la performance del gruppo svedese (KAJ – Bara bada bastu) che ha inscenato un teatrino divertente di un pic-nic con sauna, forse in modo auto-ironico; il discusso caffè espresso del rapper estone (Tommy Cash – Espresso macchiato) nella sua performance dadaista sia nel modo di usare le parole che le scene; la fuga per mare alla ricerca di un posto migliore, (verso la Groenlandia???) di un duo di ragazzini islandesi (Væb – Ròa) che sembrano parte di un videogame. Un breve capitolo a parte per la canzone proposta dal duo albanese (Shkodra Elektronike – Zjerm), che, alla musica e la scenografia raffinate, ha provato ad aggiungere il tentativo di parlare di questioni esistenziali e sociali insieme. Chi ha vinto Il giovane Ulisse austriaco che (JJ – Wasted love) con una voce che assomiglia più a una sirena che a un uomo, si è afferrato al palo della sua fragile imbarcazione fino a giungere al faro, ha prodotto un effetto di coincidenza di simboli opposti di forza e debolezza, e ha impressionato tutti per il suo virtuosismo canoro nel brano dalla melodia convincente e dal testo minimalista che si dispera per l’amore sprecato. Come abbia potuto vincere una canzone confezionata in tempi brevi ed esclusivamente per questo contest, di un artista in erba e sconosciuto ai più anche in patria, è il mistero che circonda quasi sempre le vittorie dei concorsi canori più celebri e seguiti. Due parole sull’artista Israeliana (Yuval Raphael – New day will rise), la cui canzone ha ricevuto il numero più alto di punteggio del pubblico, nonostante fosse al limite della media delle canzoni presentate, sia per la musica che per il messaggio che suona come un tiepido e nefasto: andrà tutto bene. Ci sarebbero stati molti modi per partecipare a questo incontro dando un segnale di pace e unità e convivenza fra i popoli. Sventolare due bandiere invece che una all’ingresso, cantare in duetto con una cantante palestinese di Israele e così via, spendere una parola in più oltre “grazie”. Evidentemente non ne ha avuto l’intenzione, facendo invece circolare l’informazione della sua sopravvivenza al famoso Rave del 7 ottobre. Che dire di più? Anche cantando, questa davvero non ci passa. Senza dubbio una vittoria meritata, anche se non ufficializzata con un premio, è stata quella del trio di conduttrici (Unziker, Hazel, Studer), che hanno saputo dare agli intermezzi quel pizzico di umorismo svizzero, poco noto ai più, giocando con autoironia sulle caratteristiche che rendono gli svizzeri orgogliosi di esserlo. Silvia Nocera