Storica vittoria per il clima, le Sezioni Unite della Cassazione danno ragione a Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadini contro ENI: «Da oggi in Italia è finalmente possibile ottenere giustizia climatica»
ROMA, 22.07.25 – Con una fondamentale decisione pubblicata nel pomeriggio di
ieri, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, riunitesi lo scorso 18
febbraio, hanno dato ragione a Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e
cittadini che nei mesi scorsi avevano fatto ricorso alla Suprema Corte,
chiedendo se in Italia fosse possibile o meno avere giustizia climatica.
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Ordinanza della Cassazione
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«Questa sentenza storica dice chiaramente che anche in Italia si può avere
giustizia climatica», commentano Greenpeace Italia e ReCommon. «Nessuno, nemmeno
un colosso come ENI, può più sottrarsi alle proprie responsabilità. I giudici
potranno finalmente esaminare il merito della nostra causa: chi inquina e
contribuisce alla crisi climatica deve rispondere delle proprie azioni».
L’importantissimo verdetto avrà infatti impatto su tutte le cause climatiche in
corso o future in Italia, rafforzando la protezione dei diritti umani legati
alla crisi climatica, già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani
(CEDU). Non solo potrà essere decisa nel merito la causa contro ENI, Cassa
Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) e Ministero dell’Economia e delle Finanze
(MEF), avviata da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini davanti
al Tribunale di Roma perché sia imposto alla società di rispettare l’Accordo di
Parigi, ma la decisione indica la strada per tutte le future azioni giudiziarie
nel nostro Paese. Questa pronuncia si inserisce nel quadro delle più importanti
decisioni giudiziarie europee ed internazionali di climate change litigation.
Nel maggio 2023, Greenpeace Italia, ReCommon e i 12 cittadine e cittadini
italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, di CDP e del
MEF – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza
dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non,
derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del
petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi
decenni, pur essendone pienamente consapevole.
ENI, CDP e MEF avevano eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del
giudice ordinario adito”, ritenendo che nel nostro Paese una causa climatica non
fosse procedibile. Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che
hanno promosso la “Giusta Causa” hanno dunque fatto ricorso per regolamento di
giurisdizione alla Suprema Corte, a cui hanno chiesto un pronunciamento in via
definitiva. Il verdetto delle Sezioni Unite della Cassazione, pubblicato nel
pomeriggio di ieri, ha infine dato ragione a cittadine, cittadini e
organizzazioni.
Il responso della Suprema Corte sancisce senza ombra di dubbio che i giudici
italiani si possono pronunciare sui danni derivanti dal cambiamento climatico
sulla scorta tanto della normativa nazionale, quanto delle normative
sovranazionali e che, dunque, le cause climatiche nel nostro Paese sono lecite e
ammissibili anche in termini di condanna delle aziende fossili a limitare i
volumi delle emissioni climalteranti in atmosfera. La Cassazione ribadisce anche
che un contenzioso climatico come quello intentato da Greenpeace Italia e
ReCommon non è affatto un’invasione nelle competenze politiche del legislatore o
delle aziende, quali Eni. La tutela dei diritti umani fondamentali di cittadine
e cittadini minacciati dall’emergenza climatica è superiore a ogni altra
prerogativa e da oggi sarà possibile avere giustizia climatica anche nei
tribunali italiani.
Inoltre le Sezioni Unite chiariscono che i giudici italiani sono
competenti anche in relazione alle emissioni climalteranti emesse dalle società
di ENI presenti in Stati esteri, sia perché i danni sono stati provocati in
Italia, sia perché le decisioni strategiche sono state assunte dalla società
capogruppo che ha sede in Italia.
A questo punto il giudice a cui è stato assegnato il contenzioso climatico
lanciato nel 2023 da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini
italiani dovrà entrare nel merito dei danni che ENI ha contribuito ad arrecare
agli attori ricorrenti, ma non c’è più alcun dubbio sul diritto ad agire per la
tutela dei loro diritti di fronte a un giudice italiano quando gli effetti del
cambiamento climatico si verifichino in Italia e quando le decisioni che hanno
contribuito al cambiamento climatico siano state prese in Italia.
Grazie alla presente azione e alla decisione della Suprema Corte a Sezioni Unite
l’Italia si allinea agli altri paesi più evoluti in cui il clima e i diritti
umani trovano una tutela giurisdizionale. Greenpeace Italia e ReCommon attendono
ora che il giudice ordinario a cui spetta tornare a decidere su “La Giusta
Causa” superi ogni altra eccezione preliminare ed entri finalmente nel merito,
come già avvenuto nei tribunali dei più importanti paesi europei. Le due
organizzazioni e i 12 cittadine e cittadini chiedono che la giustizia faccia il
suo corso, come già avviene nei più avanzati ordinamenti giuridici europei.