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Tunisia: il sindacato reagisce alla repressione convocando uno sciopero generale
Dopo l’ondata di arresti che ha messo in galera con la scusa di “complotto contro la sicurezza dello Stato” alcuni dei principali oppositori al regime, il principale sindacato tunisino, l’Union Générale des Travailleurs Tunisiens” (UGTT) ha proclamato uno sciopero generale per il 21 di Gennaio. Di fronte alle pressioni del governo, il segretario generale dell’UGTT, Nourredine Taboubi ha dichiarato “Non ci lasciamo intimidire dalle vostre minacce o dalle vostre prigioni. Non temiamo il carcere”. L’UGTT ha svolto un ruolo centrale nella transizione democratica della Tunisia dopo il 2011, ma in un primo tempo aveva appoggiato il presidente Kais Saied quando aveva nel 2021 sospeso i poteri del parlamento in quello che è stato considerato dall’opposizione un autentico colpo di stato. Pressenza IPA
Tunisia: arrestato un altro oppositore politico
Ahmed Néjib Chebbi è stato arrestato oggi giovedì 4 dicembre a Tunisi  dopo essere stato condannato a 12 anni di prigione in un processo farsa in cui era accusato di “complotto contro la sicurezza dello Stato”. Chebbi, che ha 81 anni, è uno degli oppositori di sinistra più conosciuti nel paese e con una lunga carriera politica che lo ha portato ad essere candidato alla presidenza della Tunisia nel 2009, ministro nel primo governo di unità nazionale dopo la caduta di Ben Alì e membro della Costituente. Nei giorni scorsi Chebbi aveva dichiarato in un video:” vado in prigione con la coscienza tranquilla e sapendo di non aver commesso nessun errore”. Il suo arresto non è un caso isolato, segue infatti l’arresto dell’avvocato Ayachi Hammami e dell’attivista Chaïma Issa, condannati nello stesso processo. Dure le reazioni delle associazioni di difesa dei Diritti Umani. Secondo Sara Hashash, direttrice regionale di Amnesty International, “queste detenzioni confermano l’allucinante determinazione delle Autorità nel soffocare l’opposizione pacifica”; Ahmed Benchemsi, portavoce locale di Human Rights Watch sottolinea che l’opposizione tunisina è ormai in prigione o in esilio. Pressenza IPA
“Nessuno ti sente quando urli”: il sistema di violenza contro le persone migranti in Tunisia
GIORGIO MARCACCIO 1 Il dossier “Nobody hears you when you scream” (Amnesty International, 2025) 2 presenta un quadro sconvolgente: la Tunisia non solo non protegge le persone migranti, ma costruisce attivamente un sistema di violenza contro di loro. Le testimonianze raccolte mostrano un modello coerente: intercettazioni brutali in mare, espulsioni nel deserto al confine con Libia e Algeria, detenzione arbitraria, abusi sessuali e tortura. Parallelamente lo Stato attacca organizzazioni e attiviste/i, escludendo ogni accesso all’asilo. Nonostante ciò, l’Unione Europea continua a finanziare la Tunisia con un Memorandum privo di garanzie sui diritti umani. L’indagine di Amnesty International, condotta tra febbraio 2023 e giugno 2025, ha esaminato le esperienze di rifugiati e migranti in Tunisia, concentrandosi su Tunisi, Sfax e Zarzis. Sono state intervistate 120 persone provenienti da diversi paesi africani e asiatici (92 erano uomini e 28 erano donne), tra cui Afghanistan, Algeria, Nigeria, Sudan, Yemen, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Gambia, Ghana, Guinea, Libia, Mali, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Sud Sudan 3. Nel novembre del 2025 Amnesty International ha pubblicato il rapporto “Nobody hears you when you scream”, che denuncia le condizioni disumane subite dalle persone migranti in Tunisia e mette in luce un sistema di discriminazione razziale e xenofoba rivolto soprattutto a uomini e donne dall’Africa subsahariana. Il rapporto ricostruisce in modo dettagliato un apparato repressivo che coinvolge istituzioni, forze dell’ordine e ampi settori della società civile, grazie a testimonianze dirette, missioni di indagine e dichiarazioni pubbliche di figure politiche, tra cui il presidente Kaïs Saïed. Uno dei temi centrali è la violazione sistematica e continua dei diritti umani: tortura, trattamenti inumani, detenzione arbitraria, uso eccessivo della forza durante intercettazioni in mare e sbarchi, espulsioni collettive e sommarie lungo il confine meridionale. Molte di queste violazioni sono attribuite alla National Guard, corpo dipendente dal Ministero dell’Interno, formalmente incaricato della protezione dei confini ma spesso coinvolto direttamente in violenze e abusi. > «Quando sono arrivato alla stazione di polizia, un poliziotto mi ha urlato > contro dicendo: “Voi neri create problemi” e un altro mi ha dato una > ginocchiata allo stomaco». > Milena, studentessa del Burkina Faso Parallelamente, si registra un clima politico apertamente razzista: dal febbraio 2023 il Presidente Saïed ha più volte evocato un presunto “complotto” dei migranti volto a cambiare la composizione demografica del Paese, alimentando ostilità e giustificando misure discriminatorie. Approfondimenti TUNISIA: IL CONFINE INVISIBILE D’EUROPA Il punto sulla situazione delle persone migranti tra detenzione e respingimenti Maria Giuliana Lo Piccolo 25 Novembre 2025 LA TUNISIA COME SNODO DELLA ROTTA MEDITERRANEA La Tunisia occupa una posizione strategica per le rotte migratorie provenienti dall’Africa subsahariana verso l’Europa. Le crisi politiche e umanitarie del continente spingono migliaia di persone a dirigersi verso il Nord Africa, spesso senza possibilità di proseguire immediatamente il viaggio, con il rischio di diventare irregolari sul territorio tunisino. Dal 2017, con gli accordi UE-Libia sul contenimento delle partenze, molte persone hanno iniziato a spostarsi irregolarmente dalla Libia alla Tunisia nella speranza di trovare una via più sicura verso l’Europa. Il fenomeno si è consolidato soprattutto dal 2020. Sul piano normativo, la Tunisia non ha sviluppato un sistema efficace di gestione dell’asilo: la Costituzione del 2022 garantisce il diritto d’asilo “secondo la legge”, ma la legge non esiste, creando così un vuoto che impedisce la protezione internazionale. Nonostante l’adozione nel 2018 di una legge avanzata contro discriminazione e razzismo, Amnesty documenta come essa rimanga largamente inapplicata. Le testimonianze raccolte mostrano come le persone africane siano sottoposte a violenze, estorsioni e arresti arbitrari motivati da profiling razziale. > «Hanno semplicemente detto: ‘Non vogliamo neri qui, tornate a casa vostra». > Adama, un giovane ivoriano DISCORSI PRESIDENZIALI E COSTRUZIONE DEL NEMICO INTERNO Uno degli elementi più forti del rapporto è la documentazione dell’impatto del discorso politico. Nel febbraio 2023 il presidente Kaïs Saïed parla pubblicamente di una “minaccia demografica” rappresentata dai migranti subsahariani, accusati di voler “modificare la composizione della popolazione tunisina”. Le parole alimentano un’ondata di xenofobia e violenza. Molti persone migranti raccontano che, subito dopo il discorso, i vicini hanno smesso di salutarli, proprietari di casa hanno annullato contratti d’affitto, tassisti hanno rifiutato di farli salire. > Una donna ivoriana testimonia: > «Dopo quel discorso, era come se tutti avessero ricevuto il permesso di farci > del male». Nessuna istituzione tunisina ha preso pubblicamente le distanze da questa retorica: al contrario, la sicurezza interna ha intensificato controlli, arresti ed espulsioni. 4 INTERCETTAZIONI IN MARE: MANOVRE PERICOLOSE, OPACITÀ ISTITUZIONALE Uno dei capitoli più gravi riguarda le intercettazioni dei migranti in mare, condotte con tattiche pericolose e violente. Da giugno 2024 la Tunisia ha smesso di diffondere i propri dati ufficiali e il 19 giugno 2024 ha notificato all’IMO (International Maritime Organization) l’istituzione di una vasta area SAR (SRR), che consente intercettazioni in una zona molto ampia. Le ONG documentano manovre aggressive come urti volontari, uso di cavi, spray urticanti, violenze fisiche e sequestri di motori. Tali pratiche violano la Convenzione internazionale sul salvataggio marittimo e il Protocollo ONU contro il traffico di migranti. > «Continuavano a colpire la nostra barca con lunghi bastoni con estremità > appuntite, l’hanno bucata… C’erano almeno due donne e tre bambini senza > giubbotti di salvataggio. Li abbiamo visti annegare…» > Céline, una donna camerunese Un ulteriore aspetto critico riguarda la mancata valutazione individuale delle persone in movimento: documenti e beni personali vengono spesso confiscati o distrutti, rendendo impossibile richiedere protezione internazionale. ESPULSIONI COLLETTIVE VERSO LIBIA E ALGERIA Sul fronte terrestre Amnesty documenta migliaia di espulsioni collettive verso Algeria e Libia dall’estate 2023 in avanti. Si tratta di pratiche che violano apertamente il principio di non-refoulement, cardine della Convenzione del 1951 sui rifugiati. Le espulsioni avvengono spesso tramite cooperazione – anche informale – con gruppi armati libici e algerini. Molte persone vengono portate in centri di detenzione illegali e sottoposte a violenze, perquisizioni degradanti e confisca dei documenti. In Algeria si verifica frequentemente il chain refoulement, con respingimenti ulteriori verso Niger o Mali. Il contesto libico è ancora più drammatico, segnato da violenze sistematiche riconosciute dalle Nazioni Unite. > «Avevo un visto valido, ma non ci hanno spiegato nulla né chiesto documenti di > identità… Ci hanno ammanettato con una corda nera e ci hanno messo su un > autobus che ci ha portato in Algeria. Ci hanno solo detto: “Non vogliamo neri > qui, tornate a casa vostra”». ABUSI SESSUALI E TORTURA COME STRUMENTI DI CONTROLLO Numerose donne raccontano di aver subito violenze sessuali da parte di membri della National Guard durante intercettazioni, detenzioni ed espulsioni. Si tratta di abusi che Amnesty classifica esplicitamente come tortura, vietata dalla Convenzione ONU del 1984 5. Anche uomini e minori riportano pestaggi, bruciature, scariche elettriche e violenze degradanti. La discriminazione razziale emerge come fattore strutturale in questi abusi 6. > «Mi hanno presa in tre. Uno mi teneva ferma, gli altri mi toccavano ovunque. > Ho urlato, ma ridevano». ATTACCO ALLE ONG E CHIUSURA DELLO SPAZIO CIVICO Di fronte alle accuse, il governo tunisino nega ogni responsabilità, ma parallelamente porta avanti una strategia di repressione verso ONG e difensori dei diritti umani. Dal maggio 2024 diverse organizzazioni locali e internazionali sono state ostacolate, alcune costrette a chiudere; membri di ONG partner dell’UNHCR sono stati arrestati. Il Presidente Saïed ha alimentato questa campagna definendo le organizzazioni “agenti stranieri” e “traditori”. La situazione è peggiorata quando il governo ha imposto la sospensione delle attività di registrazione dei richiedenti asilo svolte dall’UNHCR dal 2011. Migliaia di persone si sono ritrovate senza possibilità di accedere alla protezione internazionale. > Una volontaria tunisina riferisce: > «Ci trattano come criminali solo perché aiutiamo persone che stanno morendo». IL MEMORANDUM UE–TUNISIA: COOPERAZIONE SENZA TUTELE Il 16 luglio 2023 l’Unione Europea e la Tunisia hanno firmato un Memorandum d’intesa che prevede grandi investimenti europei per contrasto ai trafficanti, controllo dei confini e rimpatri. Secondo Amnesty, il Memorandum è privo di garanzie vincolanti sul rispetto dei diritti umani: non prevede soglie da rispettare né condizioni che limitino l’accesso ai fondi in caso di violazioni. La Tunisia non può essere considerata un “paese terzo sicuro”: non esiste un sistema d’asilo funzionante, il non-refoulement viene violato, e le istituzioni stesse sono responsabili di violenze strutturali contro le persone migranti 7. Il dossier di Amnesty descrive una realtà in cui la Tunisia costruisce un sistema istituzionale e operativo che mira non a gestire le migrazioni, ma a renderle impossibili, attraverso violenza, paura e abbandono. Il titolo del rapporto – Nessuno ti sente quando urli – non è una metafora: è la descrizione puntuale della condizione vissuta da migliaia di persone che, in Tunisia, non hanno alcuna protezione né possibilità di far valere i propri diritti. 1. Studente presso UniPD del corso di Scienze politiche, Relazioni internazionali e Diritti umani al terzo anno, sto svolgendo un tirocinio curricolare presso Melting Pot. Sono appassionato di attualità internazionale e storia delle relazioni internazionali, materia in cui sto scrivendo una tesi di laurea triennale. Ho un diploma di liceo classico ottenuto a Bergamo, e dal liceo in poi ho fatto attività di volontariato locale e in città ↩︎ 2. Tunisia: “Nobody hears you when you scream”: Dangerous shift in Tunisia’s migration policy ↩︎ 3. Metodologia del dossier a pag. 15 ↩︎ 4. Discorsi presidenziali e razzismo istituzionale a pag.25 del rapporto ↩︎ 5. Da pag. 62 del rapporto ↩︎ 6. Sexual violence and torture, da pag. 61 del dossier ↩︎ 7. Le conclusioni di Amnesty da pag. 82 ↩︎
Tunisia: il confine invisibile d’Europa
Detenzioni arbitrarie, deportazioni e cooperazione UE: come la strategia di esternalizzazione alimenta violenze e violazioni dei diritti delle persone migranti. La Tunisia è uno dei principali Paesi di transito, ma anche di destinazione, per persone migranti, rifugiati e richiedenti asilo, provenienti principalmente dall’Africa sub-sahariana. In passato, le condizioni di vita di rifugiati e migranti erano considerate generalmente migliori rispetto a quelle di altri Paesi, come ad esempio la Libia. Dal 2023, tuttavia, in seguito alla decisione del governo di adottare un approccio più duro, la situazione è nettamente peggiorata.  Kaïs Saïed è in carica dal 2019, ma è nel 2021 che, sospeso il parlamento, ha cominciato a governare per decreto, tanto da parlare di “iper-presidenzialismo”, in cui l’opposizione politica è praticamente assente.  In questa situazione, la questione migratoria viene utilizzata politicamente per compattare la nazione contro un nemico comune, fomentando il razzismo già presente nella società tunisina.  Il presidente, infatti, ha dichiarato che l’arrivo di «orde di migranti illegali» dall’Africa sub-sahariana fa parte di un «piano criminale per cambiare la composizione demografica» 1 della Tunisia. Come ha sottolineato l’antropologa Kenza Ben Azouz, «Incolpando la comunità subsahariana senza affrontare in modo sostanziale la questione migratoria, egli si aggrappa a una logica populista e opportunistica» 2, in accordo con le diffuse (soprattutto in Europa) narrative di una presunta “sostituzione etnica”. Inevitabilmente, questi commenti «danno legittimità a chiunque voglia attaccare una persona nera per strada» 3, denuncia Saadia Mosbah. Quest’ultima, presidente dell’associazione Mnemty, è stata arrestata nel maggio 2024 4, mentre l’associazione, impegnata nella lotta contro il razzismo, è stata sottoposta, insieme a molte altre organizzazioni per i diritti umani, a un mese di sospensione delle attività 5.  E infatti è stato documentato un incremento di violenza contro i migranti africani, tramite raid, arresti arbitrari e detenzioni, ma anche deportazioni di massa ai confini con Algeria e Libia. Le persone migranti vengono abbandonate senza cibo e acqua ed esposte al rischio di rapimenti, estorsioni, lavoro forzato, violenza sessuale e perfino morte 6. Nonostante i richiami e le ingiunzioni al governo da parte delle Nazioni Unite, affinché migliorasse il trattamento delle persone senza cittadinanza e mettesse fine alla retorica xenofoba, il trattamento discriminatorio e violento continua, così come la propaganda razzista.  Ad aprile 2025, ad esempio, le autorità hanno smantellato i campi vicino Sfax, che ospitavano circa 7000 migranti sub-sahariani, dando fuoco alle tende prima di arrestarli e deportarli  7. L’incremento di questo tipo di azioni, insieme alla detenzione di rappresentanti delle organizzazioni della società civile e alla retorica xenofoba, coincide con il crescente supporto dell’Unione Europea per quanto riguarda il controllo del confine e la gestione dei flussi migratori, che è a sua volta parte della più generale strategia di esternalizzazione del confine europeo.  Una tappa fondamentale nella costruzione delle relazioni UE-Tunisia è stata il Memorandum d’intesa firmato a luglio 2023 dal presidente tunisino Kais Saied, dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, dalla premier italiana Giorgia Meloni e dall’ex-premier olandese Mark Rutte. Grazie a questo accordo la Tunisia ha ottenuto 105 milioni di euro dedicati alla gestione dei confini e alla “lotta contro l’immigrazione illegale” 8, che hanno finanziato anche la Guardia Nazionale tunisina, la quale, secondo un’indagine del The Guardian, ha sottoposto centinaia di migranti a stupri, pestaggi e altri abusi 9.  L’ultimo rapporto di Global Detention Project (GDP) e Forum Tunisien pour les droits économiques et sociaux (FTDES) 10, pubblicato a ottobre, fa luce proprio sulla situazione attuale e sulle numerose problematiche legate alla detenzione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. L’utilizzo della detenzione per le persone in movimento è impiegato sistematicamente in Tunisia, anche se la legge tunisina non contiene disposizioni specifiche relative alla detenzione amministrativa per motivi di immigrazione o alla detenzione prima del rimpatrio. Il GDP e l’FTDES, infatti, hanno documentato ripetutamente l’uso di centri di detenzione informali nel Paese, nonostante l’assenza di qualsiasi base legale chiara per il loro funzionamento. Il Forum Tunisien pour les Droits Économiques et Sociaux (FTDES) è un’organizzazione tunisina indipendente, fondata nel 2011, che si occupa di difendere e promuovere i diritti economici, sociali e ambientali. Conduce ricerche, monitora politiche pubbliche e denuncia violazioni riguardanti lavoro, migrazioni, disuguaglianze regionali e giustizia sociale. È riconosciuto come una delle principali voci della società civile tunisina. Questi includono la struttura Al-Wardia, fuori Tunisi, e un’altra vicino a Ben Guerdane, utilizzata per raccogliere i migranti prima della loro deportazione in Libia. Sebbene le autorità designino alcuni siti come “centri di accoglienza e orientamento”, nella pratica essi funzionano come vere e proprie strutture di detenzione. Nel 2020, diverse organizzazioni, come Avocats Sans Frontières e Terre d’Asile Tunisie, hanno inviato degli avvocati al centro di Al-Wardia, i quali hanno riferito di essersi visti negare l’ingresso, confermando che per migranti all’interno non era possibile uscire 11. In seguito alle pressioni della società civile, 22 migranti sono stati rilasciati nel settembre dello stesso anno, ma le autorità hanno comunque continuato a trattenere i non-cittadini all’interno della struttura, compresi donne e bambini, nonostante manchino le basi legali per farlo 12.  Oltre a queste strutture, gli osservatori riportano anche l’uso di stazioni di polizia, sedi della polizia di frontiera e stazioni della polizia di frontiera aeroportuali e marittime per la detenzione di persone senza la cittadinanza tunisina. Rapporti attendibili indicano, inoltre, che un numero significativo di migranti subsahariani viene detenuto all’interno delle carceri del paese e nei “dépôts” (strutture di detenzione preventiva) a seguito della loro condanna per ingresso, soggiorno e uscita irregolari. Alcuni vengono trasferiti in centri di detenzione informali (senza autorizzazione giudiziaria), il che comporta sostanzialmente un allungamento significativo del periodo della loro reclusione 13. Pochi osservatori sono stati in grado di entrare in questi centri e quindi vi è una trasparenza molto limitata riguardo ciò che accade all’interno. Tuttavia, il GDP e l’FTDES hanno documentato in diversi rapporti le condizioni e i trattamenti che i non-cittadini, la maggior parte dei quali di origine subsahariana, devono affrontare durante la permanenza in queste strutture. Nel marzo 2023, France 24 ha pubblicato rapporti e foto dall’interno del centro Al-Wardia, che includono accuse di abusi fisici, grave sovraffollamento e spazio insufficiente per dormire 14. Gli osservatori riportano inoltre che i detenuti hanno difficoltà a contattare avvocati e interpreti, il che, combinato con il mancato obbligo delle autorità di informare i detenuti del loro diritto di fare ricorso, crea significative barriere all’accesso a qualsiasi forma di revisione giudiziaria significativa. A ciò si aggiunge che, poiché la legge tunisina non prevede la detenzione amministrativa, essa non contiene disposizioni riguardanti la durata massima della detenzione, lasciando i detenuti esposti al rischio di detenzione indefinita 15.  Persone migranti, rifugiati e richiedenti asilo detenuti nella struttura di Al-Wardia hanno inoltre segnalato violenze durante perquisizioni e arresti, trasferimenti verso altri siti non identificati e problemi, tra cui scarsa igiene, mancanza di cibo, confisca dei beni, stress psicologico. Inoltre, poiché il trattenimento legato all’immigrazione non è previsto dalla legge tunisina, non esistono nemmeno garanzie o protezioni formali per gruppi vulnerabili come i bambini, le vittime di tratta e i richiedenti asilo. Allo stesso tempo, tuttavia, la legge non prevede alcuna base giuridica per privare tali gruppi della libertà per motivi legati alla migrazione 16.  Inoltre, in assenza di un sistema nazionale di asilo, l’UNHCR ha condotto la registrazione dei richiedenti asilo e la determinazione dello status di rifugiato, ma queste procedure sono state sospese nel giugno 2024, lasciando molte persone bloccate senza uno status legale. Ciò ha lasciato centinaia di persone senza protezione ed esposte all’arresto e alla detenzione. I rapporti indicano che molti – in particolare quelli provenienti dall’Africa sub-sahariana – che intendono richiedere protezione vengono arrestati, detenuti e deportati senza avere l’opportunità di fare domanda di asilo.  L’FTDES e il GDP chiedono pertanto la ripresa immediata della registrazione delle domande di asilo e l’adozione di una legge nazionale sull’asilo conforme agli standard internazionali. Ritengono inoltre che le strutture di detenzione debbano essere chiuse immediatamente. Le organizzazioni che presentano la denuncia invitano inoltre le autorità ad adottare regole chiare e pubbliche per qualsiasi luogo in cui una persona sia privata della libertà: registrazione, informazioni in una lingua che il detenuto comprenda, accesso a un avvocato e a un interprete al momento dell’arrivo, certificato medico, separazione tra uomini e donne e visite regolari da parte di organizzazioni indipendenti. Senza trarre insegnamenti dai risultati devastanti della cooperazione con la Libia, l’attuale cooperazione UE-Tunisia in materia di controllo delle migrazioni ha portato al contenimento delle persone in un Paese in cui sono esposte a diffuse violazioni dei diritti umani. Questa cooperazione è ancora in corso a più di due anni di distanza, nonostante le allarmanti e ben documentate segnalazioni di violazioni. Tuttavia, dando priorità al controllo della migrazione a scapito del diritto internazionale, la collaborazione è stata celebrata dai funzionari europei come un successo, citando una significativa riduzione degli arrivi irregolari via mare di persone dalla Tunisia dal 2024 17. Come ha dichiarato Heba Morayef, direttrice regionale per il Medio Oriente e il Nord Africa di Amnesty International, «il silenzio dell’UE e dei suoi Stati membri di fronte a questi orribili abusi è particolarmente allarmante. Ogni giorno che l’UE persiste nel sostenere in modo sconsiderato il pericoloso attacco della Tunisia ai diritti dei migranti, dei rifugiati e di coloro che li difendono, senza rivedere in modo significativo la sua cooperazione in materia di migrazione, i leader europei rischiano di diventarne complici» 18. 1. Tunisia’s President Saied claims sub-Saharan migrants threaten country’s identity, Le Monde (23 febbraio 2023) ↩︎ 2. Cfr. Le Monde (23 febbraio 2023) ↩︎ 3. Cfr. Le Monde (23 febbraio 2023) ↩︎ 4. Affaire Mnemty : la justice tunisienne relance les poursuites, la société civile alerte, tunisienews (6 agosto 2025) ↩︎ 5. Suspension des activités de l’association Mnemty, BusinessNews (28 ottobre 2025) ↩︎ 6. Global Detention Project, “Tunisia: Detention and “Desert Dumping” of Sub-Saharan Refugees,” 8 luglio 2024 ↩︎ 7. Tunisia dismantles sub-Saharan migrant camps and forcibly deports some | Reuters, Reuters (5 aprile 2025) ↩︎ 8. EU-Tunisia Memorandum of Understanding ↩︎ 9. The brutal truth behind Italy’s migrant reduction: beatings and rape by EU-funded forces in Tunisia | Global development | The Guardian, The Guardian (19 settembre 2024) ↩︎ 10. Global Detention Project, “Tunisia: Issues Related To The Immigration Detention Of Migrants, Refugees, And Asylum Seekers”, ottobre 2025 ↩︎ 11. Note-juridique-El-Ourdia-VF.pdf, OMCT, “Note sur la détention arbitraire au centre de détention de migrants d’El-Ouardia,” 2023 ↩︎ 12. Tunisia, la denuncia: “Nei centri di detenzione illegale anche migranti bambini”, Dire (17 novembre 2025) ↩︎ 13. Note-juridique-El-Ourdia-VF.pdf, OMCT, “Note sur la détention arbitraire au centre de détention de migrants d’El-Ouardia,” 2023 ↩︎ 14. ‘They spit on us’: What’s really going on in the El Ouardia migrant centre in Tunis, France24 (13 marzo 2023). ↩︎ 15. Note-juridique-El-Ourdia-VF.pdf, OMCT, “Note sur la détention arbitraire au centre de détention de migrants d’El-Ouardia,” 2023 ↩︎ 16. En Tunisie, “les prisons sont remplies de migrants subsahariens” condamnés pour “séjour irrégulier” – InfoMigrants, Infomigrants (18 novembre 2024) ↩︎ 17. Answer given by Mr Brunner on behalf of the European Commission ↩︎ 18. Tunisia: Rampant violations against refugees and migrants expose EU’s complicity risk, Amnesty International (6 novembre 2025) ↩︎
Tunisia: escalation del governo contro le ong
Amnesty International ha dichiarato oggi che le autorità tunisine stanno incrementando le azioni repressive nei confronti delle persone che difendono i diritti umani e delle organizzazioni non governative (ong), attraverso arresti arbitrari, imprigionamenti, congelamenti dei beni, limitazioni alle operazioni bancarie e provvedimenti giudiziari sospensivi, il tutto ricorrendo al pretesto del contrasto ai “finanziamenti esteri sospetti” e trincerandosi dietro “interessi nazionali”. In uno sviluppo senza precedenti, sei operatori di ong e un difensore dei diritti umani del Consiglio tunisino per i rifugiati andranno a processo (la prima udienza, prevista il 16 ottobre, è stata rimandata al 24 novembre) per accuse derivanti unicamente dal loro legittimo lavoro in difesa delle persone richiedenti asilo e rifugiate. Solo negli ultimi quattro mesi, almeno 14 ong tunisine e internazionali sono state destinatarie di un provvedimento giudiziario di sospensione delle attività per almeno 30 giorni. Nelle ultime tre settimane sono state colpite l’Associazione delle donne democratiche tunisine, il Forum tunisino per i diritti economici e sociali e la sezione tunisina dell’Organizzazione mondiale contro la tortura. “Uno dei risultati più importanti della rivoluzione del 2011, il decreto legge 88 sulle associazioni, è in corso di smantellamento”, ha dichiarato Erika Guevara Rosas, alta direttrice delle ricerche e delle campagne di Amnesty International. A partire dal 2023 le autorità tunisine hanno spesso emesso dichiarazioni diffamatorie nei confronti delle ong che ricevono fondi dall’estero. Nel maggio 2024 il presidente Kais Saied ha accusato le ong che si occupano d’immigrazione di essere “traditrici” e “agenti stranieri” che cercano di far “insediare” migranti dell’Africa subsahariana. Un giorno dopo quelle parole, la procura di Tunisi ha annunciato un’indagine contro le ong che forniscono “sostegno finanziario a migranti illegali”. Nelle settimane successive le autorità hanno effettuato raid negli uffici di tre ong e avviato indagini sul bilancio e sulle attività di almeno 12 ong tunisine e internazionali che si occupano d’immigrazione. La polizia ha arrestato otto tra direttori ed ex direttori del personale di quelle ong con l’accusa di “reati finanziari”. Due delle tre ong sono sotto processo per reati inesistenti col rischio, in caso di condanna, di pesanti pene detentive. Nel settembre 2024, poco prima delle elezioni presidenziali, il giro di vite si è esteso alle ong che si occupano di monitoraggio elettorale, corruzione e diritti umani. Un mese dopo il ministero delle Finanze ha avviato indagini su almeno dieci ong, compreso l’ufficio di Tunisi del Segretariato internazionale di Amnesty International. Contemporaneamente, ad almeno 20 ong sono state imposte indebite limitazioni nelle operazioni bancarie che hanno ostacolato il ricevimento di fondi dall’estero. Detenzione in attesa del processo Due dei tre imputati nel processo contro il personale del Consiglio tunisino per i rifugiati (il fondatore e direttore Mustapha Djemali e il direttore dei progetti Abderrazek Krimi) sono detenuti arbitrariamente in attesa del processo dal maggio 2024. Insieme a loro sono imputati altri quattro operatori della stessa ong, tutti per “aver costituito un’organizzazione per favorire gli ingressi clandestini” e “aver fornito ospitalità” a questi ultimi, reati che comportano fino a 13 anni di carcere. Un secondo caso giudiziario riguarda tre operatori della sezione tunisina dell’ong francese per i diritti dei migranti Terra d’asilo – Sherifa Riahi, Yadh Bousseimi e Mohamed Joo – che andranno a processo il 15 dicembre per le false accuse di “aver fornito ospitalità a persone in entrata o in uscita dal territorio” e “aver favorito l’ingresso, l’uscita, il movimento o la permanenza irregolari di uno straniero”. Nel rinvio a giudizio che ha chiuso le indagini, il giudice ha citato una presunta “società civile sostenuta dall’Europa che intende promuovere l’integrazione economica e sociale di migranti irregolari in Tunisia e il loro insediamento permanente” nel paese. Tra le altre ong sotto inchiesta per inesistenti “reati finanziari” figurano Bambine e bambini della luna e l’antirazzista Mnemty, i cui rappresentanti legali sono stati in carcere per mesi tra il 2023 e il 2024. Fino al 12 dicembre 2024 è rimasta in carcere per gli stessi motivi anche Salwa Ghrissa, direttrice dell’Associazione per la promozione del diritto alla differenza. La repressione si allarga Nel settembre 2024 la commissione elettorale ha negato l’accredito a due autorevoli ong di monitoraggio, Mourakiboun e Iwatch, per “finanziamenti esteri sospetti”. Nel giro di due settimane sono stati congelati i loro conti bancari. Dall’ottobre 2024 l’Unità anti-evasione fiscale ha avviati indagini contro almeno 11 ong, tra le quali l’ufficio tunisino di Amnesty International, il cui presidente e due funzionari sono stati convocati per interrogatori durante i quali è stato chiesto di fornire documentazione pluriennale relativa ai bilanci. Nell’ottobre 2025 un’analoga indagine è stata aperta dalla sezione crimini finanziari della polizia di Gorjani. Nel luglio 2025 un’analoga richiesta di fornire dati contabili è stata fatta al Forum tunisino per i diritti economici e sociali. La polizia di Gorjani ha posto sotto indagine ulteriori ong e organizzazioni giornalistiche per “finanziamenti esteri sospetti”, malcondotta finanziaria, riciclaggio di denaro e altri reati. Il 21 ottobre 2025 il quotidiano filogovernativo Al Chourouk ha riferito di un’indagine su decine di associazioni circa fondi ricevuti dalle Open Society Foundations. Provvedimenti di sospensione delle attività Tra luglio e novembre del 2025 14 ong sono state raggiunte da provvedimenti giudiziari di sospensione delle attività per una durata di 30 giorni ai sensi dell’articolo 45 del decreto legge 88 che concerne specifiche violazioni nella gestione dei fondi e nella reportistica finanziaria. L’articolo prevede che il provvedimento di sospensione sia preceduto da una comunicazione scritta che dà 30 giorni di tempo per rettificare quanto necessario, ma molte delle 14 ong non l’hanno ricevuta. Questo provvedimento significa, ad esempio, chiudere per un mese i rifugi anti-violenza per le donne sottoposte a violenza domestica. Proseguono nel frattempo le campagne diffamatorie. L’11 ottobre 2025 un gruppo di 25 ong ha emesso una dichiarazione a sostegno degli abitanti di Gabés, che denunciano i danni alla salute causati da una fabbrica statale di sostanze chimiche. Immediatamente dopo le piattaforme social e i mezzi d’informazione vicini al presidente Saied hanno accusato le 25 ong di essere “mercenarie”, “agenti stranieri”, “corrotte” e “traditrici”. Ostacoli alle operazioni bancarie e al legittimo ricevimento di finanziamenti  Dall’ottobre del 2024 le ong stanno subendo ostacoli indebiti e ritardi nelle operazioni bancarie relative al ricevimento di finanziamenti dall’estero: 20 ong hanno riferito che le loro banche hanno rifiutato di lavorare i trasferimenti o hanno rimandato indietro i fondi ai soggetti donatori. Almeno due banche hanno chiuso i conti delle ong senza alcuna giustificazione e diverse ong hanno difficoltà ad aprire nuovi conti bancari o, a causa dell’onerosa documentazione richiesta, subiscono ritardi di settimane. “Questa persecuzione amministrativa giudiziaria ha creato un clima di paura, soffocando lo spazio civico e limitando i diritti alla libertà d’associazione e alla libertà d’espressione. Le autorità tunisine devono immediatamente agire per rispettare i diritti umani, consentire alle ong di portare avanti le loro attività in favore dei diritti umani, proteggere le persone che difendono i diritti umani e gli operatori umanitari, annullare i provvedimenti sospensivi e i congelamenti dei conti bancari”, ha concluso Guevara Rosas. Redazione Italia
Livorno, i ragazzi tunisini morti al porto sono vittime delle politiche di respingimento
Due giovani ancora senza nome sono morti nel porto industriale di Livorno. Era il 30 ottobre, intorno alle 13:30, quando i loro corpi sono stati risucchiati dalle eliche delle navi in manovra, nelle acque del canale tra la Darsena Toscana e il varco Zara.   I due ragazzi erano stati trovati poco prima dalla Polizia Marittima sulla nave Stena Shipper, battente bandiera danese, ma noleggiata dalla compagnia statale tunisina CoTuNav, proveniente dal porto di Radès. Erano arrivati a Livorno nascosti in uno dei container della nave.  Una volta scoperti, sarebbero stati reimbarcati sulla stessa nave e affidati alla custodia del comandante, in attesa di essere rimpatriati. Una riconsegna quindi “informale”, al di fuori di qualsiasi procedura operativa e prevista dalle normative, senza alcuna identificazione. Chiusi in una cabina a bordo, sarebbero riusciti a liberarsi e, nel tentativo disperato di evitare il ritorno in Tunisia, si sarebbero gettati in mare. Quel che è certo è che erano vivi, in Italia, quando la polizia di frontiera li ha fatti scendere dal cargo e poi risalire, per essere riconsegnati al comandante della nave. Nessun colloquio con un avvocato, nessun mediatore, nessuna informativa sui loro diritti. Nessuna possibilità di chiedere asilo, o anche solo di manifestare la volontà di farlo.  Le autorità parlano di una “procedura standard”, ma si tratta in realtà di un respingimento informale, una pratica che da anni si consuma silenziosamente nei porti italiani, probabilmente i più noti alle cronache sono quelli dell’Adriatico. Un’inchiesta di Lighthouse Reports, pubblicata nel gennaio 2023 1, grazie al lavoro del Network Porti Adriatici aveva infatti documentato decine di casi di rimpatri forzati – compresi minori non accompagnati – dai porti di Venezia, Ancona, Bari e Brindisi verso la Grecia, in violazione del diritto internazionale.  Anche a Livorno, il comportamento delle autorità sembra ricalcare lo stesso schema: quando i due giovani hanno capito che sarebbero stati rispediti indietro, hanno tentato di fuggire e si sono buttati in mare.  Appresa la notizia, i primi a chiedere di fare chiarezza sulla vicenda sono stati i sindacati e le associazioni. «Troppe cose ancora non tornano – hanno scritto Usb Livorno e la sezione locale di Asgi -: due ragazzi sono morti nel tentativo di conquistare una vita migliore. Non sappiamo niente di loro perché qualcuno ha deciso che non avevano diritto di parlare con un avvocato, un mediatore o un’associazione. Dopo averli fatti sbarcare e tenuti ore al varco portuale, li hanno rinchiusi in una cabina e, una volta tuffatisi in mare, sono morti affogati». Durante il partecipato presidio del 7 novembre al varco Zara, al quale ha preso parte anche il Sindaco della città, il rappresentante di Usb Livorno ha chiesto giustizia: «Vogliamo sapere chi ha deciso per il rimpatrio immediato, se c’è un decreto di espulsione, se davvero hanno chiesto, come alcuni testimoni affermano, di parlare con un avvocato. E perché, quando i loro corpi non erano ancora stati trovati, è stato autorizzato il passaggio di un’altra nave nel canale. Evidentemente, la vita di due persone vale meno dei traffici marittimi». Anche la Cgil Toscana e la Cgil Livorno hanno definito l’episodio l’ennesimo capitolo nero del fallimento delle politiche securitarie. «La criminalizzazione e l’etichetta di clandestino hanno sostituito l’umanità e le buone pratiche di accoglienza – si legge in una nota -. Occorre individuare le responsabilità di chi ha portato due ragazzi a gettarsi in mare piuttosto che affidarsi alle istituzioni». Il deputato Marco Grimaldi di AVS è intervenuto in Parlamento: «Lo Stato ha altri due morti sulla coscienza. Non gli è stato permesso di chiedere protezione internazionale, di vedere un medico, un avvocato. La polizia li ha caricati su una nave perché li riportasse in Tunisia. Si sono buttati in acqua e sono morti. Perché non hanno ricevuto cure e accoglienza? Perché non hanno avuto la possibilità di chiedere asilo?». Nel frattempo, la procura di Livorno ha aperto un fascicolo per omicidio colposo contro ignoti. Nessuno è al momento indagato. Il comandante della nave avrebbe dichiarato di aver “controllato i due migranti ogni venti minuti”. Asgi ha predisposto un esposto perché ci sia un’indagine accurata sulle procedure utilizzate e si chiariscano le responsabilità.  Secondo i dati pubblicati da Il Tirreno, nel porto di Livorno si registrano in media una ventina di respingimenti l’anno. Ma altre fonti parlano di più del doppio. Negli ultimi due anni – riferisce ancora il quotidiano – sono state rafforzate le barriere fisiche a chiusura della banchina destinata alle navi provenienti dal Nordafrica, per rendere più difficile l’accesso alle aree di sbarco. Dall’inizio del 2024, circa sessanta navi arrivate da Tunisi e Radès, molte delle quali appartenenti alla compagnia CoTuNav, hanno attraccato nello stesso punto. Il fenomeno strutturale dei respingimenti interessa sicuramente altri porti tirrenici, ma al momento non si hanno dati ufficiali.  Di sicuro il caso di Livorno non è isolato, ma un ulteriore tassello della pratica dei respingimenti informali che da anni si consuma nei porti italiani, tanto sull’Adriatico quanto sul Tirreno. Una pratica illegittima, che viola la Convenzione di Ginevra, l’articolo 10 della Costituzione e l’articolo 33 della Convenzione europea dei diritti umani, perché impedisce a chi arriva di esercitare il diritto di chiedere protezione internazionale.  Qualsiasi persona rintracciata in area portuale o prima dell’ingresso formale nel territorio nazionale deve essere informata dalle autorità della possibilità di presentare domanda d’asilo, ricevere assistenza legale e linguistica e non può essere rimandata in un Paese dove potrebbe rischiare persecuzioni o trattamenti inumani e degradanti.  La violazione è resa ancor più grave con due giovani che potevano essere ancora minorenni. Nulla di tutto ciò è accaduto e due ragazzi sono morti perché un sistema politico, culturale e amministrativo è strutturalmente razzista e seleziona chi può restare e chi deve essere respinto in base alla provenienza geografica, al colore e alla classe.  Chi parla di “incidente” o “fatalità” non vuole mettere in discussione questa nuda verità: le morti sono l’effetto diretto di un clima politico che favorisce delle scelte che riducono le persone a “irregolari” da espellere, senza alcuna valutazione ulteriore, senza il rispetto dei loro diritti. Scelte che ancora una volta hanno ucciso. 1. Respingimenti illegali dall’Italia alla Grecia: richiedenti asilo detenuti in prigioni segrete, Meltingpot.org ↩︎
Rifinanziati i “rimpatri umanitari” dalla Libia nonostante l’allarme dell’ONU
Nonostante i richiami delle Nazioni Unite, il governo italiano ha rifinanziato i programmi di “rimpatrio volontario umanitario” dalla Libia, strumenti che da anni sollevano gravi criticità sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone migranti 1. Lo rende noto il progetto Sciabaca & Oruka di Asgi che promuove, in rete con organizzazioni della società civile europee e africane, azioni di contenzioso strategico per la libertà di circolazione e per contrastare le violazioni dei diritti umani causate dalle politiche di esternalizzazione delle frontiere. A luglio 2025 il Ministero degli Affari Esteri, scrive il progetto, ha disposto l’erogazione di 7 milioni di euro all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) per l’attuazione del progetto Multi-Sectoral Support for Migrants and Vulnerable Populations in Libya, della durata di due anni. Oltre 3 milioni saranno destinati al rimpatrio di 910 persone verso i paesi d’origine, attraverso il cosiddetto Voluntary Humanitarian Return (VHR), una forma di rimpatrio volontario assistito rivolta a migranti «bloccati o in situazioni di vulnerabilità, tra cui l’intercettazione in mare, la detenzione arbitraria e lo sfruttamento». Secondo i documenti ufficiali, tali operazioni mirano a «ridurre la vulnerabilità» delle persone e a «migliorare la loro situazione di protezione». Ma la realtà descritta da numerosi organismi internazionali è ben diversa. Già il 30 aprile 2025, la Relatrice Speciale sulla tratta di esseri umani, il Relatore Speciale sui diritti dei migranti e il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite avevano indirizzato una comunicazione formale al governo italiano per esprimere forte preoccupazione riguardo a un progetto simile, anch’esso finanziato dall’Italia, denominato “Multi-Sectoral Support for Vulnerable Migrants in Libya”. Nel documento, lə espertə Onu evidenziavano che il rimpatrio volontario, nelle condizioni esistenti in Libia, «funziona in pratica come l’ultima e l’unica soluzione alle intercettazioni e alla detenzione prolungata per periodi indeterminati». In queste circostanze, aggiungevano, «in assenza di alternative, migranti, rifugiati e richiedenti asilo possono essere costretti ad accettare di tornare in situazioni non sicure, dove rischiano di essere esposti alle medesime condizioni da cui fuggivano». Inoltre, sottolineavano come le persone coinvolte non possano esprimere un consenso libero e informato, poiché «la mancanza di assistenza adeguata le priva di fatto della possibilità di accedere alla protezione internazionale e alle garanzie giudiziarie». La comunicazione denunciava anche il rischio che i programmi VHR «possano aprire canali di mobilità forzata verso i paesi di origine e legittimare la cooperazione con la Libia in violazione del principio di non respingimento». Lə relatorə delle Nazioni Unite rilevavano inoltre la mancanza di trasparenza sull’impatto di questi progetti e l’assenza di «misure preventive e di mitigazione contro i rischi di tratta o di rimpatrio illegale». Un ulteriore elemento critico è il supporto tecnico e operativo previsto per le autorità libiche: il progetto include infatti attività di rafforzamento della capacità di gestione delle operazioni di ricerca e soccorso (SAR) e di intercettazione in mare. Secondo gli esperti, ciò rischia di tradursi in un aumento delle intercettazioni e dei respingimenti illegali verso la Libia, dove le persone migranti sono sistematicamente esposte a detenzioni arbitrarie, torture e violenze, in un contesto che la stessa giurisprudenza italiana riconosce come non sicuro. La comunicazione ONU si concludeva con una serie di richieste al governo italiano: informazioni sull’utilizzo dei fondi, sulle misure di prevenzione delle violazioni dei diritti umani e sulle alternative alla detenzione e al rimpatrio. Tuttavia, nella risposta fornita a luglio 2025, l’Italia non ha dato riscontri sostanziali alle criticità sollevate. La valutazione del monitoraggio è stata completamente delegata all’OIM, senza alcun controllo indipendente da parte del governo. UNA STRATEGIA DI ESTERNALIZZAZIONE SEMPRE PIÙ STRUTTURALE Nonostante le contestazioni, l’Italia ha proseguito nella strategia di esternalizzazione delle frontiere. Ad aprile 2025 è stato approvato un ulteriore stanziamento di 20 milioni di euro per il programma L.A.I.T. – Sviluppo dei meccanismi di rimpatrio volontario assistito e di reintegrazione (AVRR) e di rimpatrio volontario umanitario (VHR), in collaborazione con OIM e AICS. Il nuovo progetto prevede il rimpatrio di oltre 3.300 persone da Algeria, Libia e Tunisia e il rafforzamento delle capacità istituzionali dei governi di questi paesi nella gestione dei rimpatri. Si tratta di un tassello ulteriore in un processo ormai consolidato: il massiccio finanziamento dei rimpatri “volontari”, che consente di rimpatriare persone in assenza delle garanzie previste per i rimpatri forzati, contribuendo al contempo ad “alleggerire” la pressione migratoria sui paesi di transito e a consolidare la cooperazione con regimi autoritari o instabili. Questi programmi, presentati come strumenti di protezione umanitaria, finiscono invece per legittimare il blocco della mobilità e per violare il diritto d’asilo e il principio di non-refoulement. A fronte di queste pratiche, diverse organizzazioni italiane – tra cui ASGI, A Buon Diritto, ActionAid Italia, Lucha y Siesta, Differenza Donna, Spazi Circolari e Le Carbet – hanno promosso un contenzioso legale e lanciato la campagna di comunicazione «Voluntary Humanitarian Refusal – a choice you cannot refuse», per denunciare «l’uso distorto dei fondi pubblici destinati a programmi che, sotto la facciata di “umanitari”, contribuiscono in realtà a violare diritti fondamentali e limitare la libertà di movimento». > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da VHR: Voluntary Humanitarian Refusal > (@voluntary.humanitarian.refusal) 1. Nowhere but Back. Assisted return, reintegration and the human rights protection of migrants in Libya, by the OHCHR Migration Unit ↩︎
Protezione sussidiaria alla richiedente tunisina: lo Stato di origine non è in grado o non vuole garantire una protezione effettiva
Il Tribunale di Messina ha riconosciuto a una cittadina tunisina la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. b), D.Lgs. 251/2007, ritenendo sussistente un “danno grave” derivante da trattamenti inumani o degradanti. Il Tribunale ha precisato che tale forma di tutela si applica anche nei casi di violenza privata sistemica, quando lo Stato di origine non è in grado o non vuole garantire una protezione effettiva, determinando un rischio concreto di ulteriori abusi. Dopo la scomparsa del marito indebitato, la donna era stata aggredita e abusata dai cognati che volevano costringerla a un matrimonio riparatore. Rifiutandosi, aveva subito violenze sessuali, espulsione da casa e continue minacce nonostante i tentativi di fuggire. Il Tribunale ha ritenuto il racconto coerente e credibile, osservando che le lievi incongruenze del racconto innanzi la Commissione territoriale, derivavano dal trauma e non da inattendibilità, e ha riconosciuto la difficoltà di riferire le violenze sessuali per vergogna e rimozione. Il giudice ha riconosciuto la fragilità psicologica e culturale della donna, vittima di un contesto patriarcale che stigmatizza la denuncia delle violenze. Tale vulnerabilità, unita all’isolamento e all’assenza di sostegni, è stata considerata indice di rischio personale di trattamento degradante, in linea con la giurisprudenza di Cass. n. 10986/2021 e n. 13449/2023 sulle vittime di violenza di genere come soggetti in “vulnerabilità strutturale”. Tribunale di Messina, decreto del 28 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Giulia Vicari per la segnalazione e il commento. -------------------------------------------------------------------------------- * Consulta altri provvedimenti relativi all’accoglimento di richieste di protezione da parte di cittadini/e della Tunisia * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali” VEDI LE SENTENZE * Status di rifugiato * Protezione sussidiaria * Permesso di soggiorno per protezione speciale
Ancora in fiamme la Mezza Luna Fertile, pur con aliti di pace
Sudan Nonostante avessero annunciato il loro assenso ad una tregua umanitaria temporanea, le milizie “Forze di supporto rapido” hanno bombardato il Kordofan, poche ore dopo gli attacchi dei droni su Atbara e Omdurman. Una commissione di esperti delle Nazioni Unite ha accusato le milizie di aver commesso atrocità contro i civili a El Fasher, nel Darfur settentrionale. Le Forze di Supporto Rapido e il Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese del Nord (SPLM-N) hanno bombardato la città di Dilling, importante centro del Kordofan Meridionale. Un drone delle Forze di Supporto Rapido ha bombardato diverse località a El Obeid, nel Kordofan Settentrionale. L’Emergency Lawyers Group, un gruppo per i diritti umani che monitora le violazioni in Sudan, ha riferito che 6 persone sono state uccise e 12 ferite quando un proiettile ha colpito all’interno dell’ospedale di Dilling. Tunisia La famiglia del prigioniero politico tunisino Jawhar Ben Mbarek e i suoi avvocati hanno lanciato un grido d’allarme, avvertendo di un pericolo imminente che potrebbe costargli la vita dopo che 10 giorni fa aveva intrapreso uno sciopero della fame totale e a tempo indeterminato, all’interno del carcere “Belli” nel governatorato di Nabeul (nord). Un gesto di protesta contro l’”ingiustizia politica” e un “processo iniquo”, subiti nel procedimento noto come “cospirazione contro la sicurezza dello Stato 1”. Ben Mbarek, professore di diritto costituzionale, è una delle figure di maggior spicco dell’opposizione al presidente Kais Saied da quando quest’ultimo ha dichiarato lo stato di emergenza il 25 luglio 2021. È una figura di spicco del Fronte di Salvezza Nazionale, una coalizione di personalità politiche e partiti di opposizione, in particolare il partito islamista Ennahda. Inizialmente è stato condannato in un processo farsa a 18 anni di carcere. Turchia /Israele La giustizia turca ha emesso mandati di arresto per genocidio contro il primo ministro israeliano Netanyahu e diversi politici e militari israeliani, tra cui il ministro della guerra Katz e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. I mandati di arresto riguardano un totale di 37 sospetti. Tra questi, figura anche il capo di Stato Maggiore israeliano, Eyal Zamir, secondo quanto riferito dalla procura di Istanbul, che denuncia il “genocidio e i crimini contro l’umanità perpetrati in modo sistematico da Israele a Gaza”. La giustizia turca cita anche il caso dell’Ospedale dell’amicizia turco-palestinese nella Striscia di Gaza – costruito dalla Turchia – colpito e completamente distrutto a marzo dall’esercito israeliano. Turchia/Kurdistan Ankara sta vagliando un progetto per far rientrare i combattenti e i civili curdi rifugiati in Iraq. Una legge è allo studio ed è oggetto di discussioni in una commissione parlamentare che coinvolge anche deputati curdi. Secondo una fonte di Ankara, la proposta prevede prima il ritorno dei civili e poi l’amnistia per i combattenti che consegnano all’esercito iracheno le loro armi. Alcuni capi del movimento della guerriglia non saranno ammessi al rientro ma otterranno asilo politico in altri paesi. La proposta di legge dovrebbe essere discussa in parlamento entro novembre. Di seguito un’intervista all’avvocato di Ocalan, sul processo di pacificazione: LA PACE INCERTA TRA CURDI E TURCHI: UN PERCORSO DIFFICILE, CORAGGIOSO E DI SPERANZA PER I CURDI. – Anbamed Pakistan/Afghanistan Il secondo round di trattative a Istanbul è fallito. Lo ha ammesso il ministro della guerra di Islamabad, Assif, che ha però assicurato che gli scontri di frontiera non riprenderanno se non ci saranno attacchi da parte dei Talebani pakistani rifugiati in territorio afghano. La crisi tra i due paesi è arrivata al culmine in seguito ad una serie di attacchi di guerriglieri a postazioni di confine in Pakistan, con decine di vittime: l’aeronautica di Islamabad ha bombardato la stessa capitale afghana Kabul. Le mediazioni di Doha prima e adesso di Ankara non sono riuscite ad avvicinare le posizioni dei due paesi. ANBAMED
Tunisia: diffuse violazioni contro persone rifugiate e migranti
Amnesty International ha diffuso oggi un nuovo rapporto, intitolato “‘Nessuno ti sente quando urli’: la svolta pericolosa della politica migratoria in Tunisia”, evidenziando come negli ultimi tre anni le autorità tunisine abbiano progressivamente smantellato le tutele per le persone rifugiate, richiedenti asilo e migranti – in particolare per le persone nere provenienti dall’Africa subsahariana – passando pericolosamente a pratiche di polizia razziste e a diffuse violazioni dei diritti umani che mettono a rischio la loro vita, la loro sicurezza e la loro dignità. L’Unione europea rischia di rendersi complice di tutto ciò, mantenendo in piedi la cooperazione nel controllo dei flussi migratori senza garanzie effettive in materia di diritti umani. Nel nuovo rapporto Amnesty International documenta come, alimentate dalla retorica razzista di esponenti politici, le autorità tunisine abbiano effettuato arresti e detenzioni su base razziale, intercettamenti in mare pericolosi e sconsiderati, espulsioni collettive di decine di migliaia di persone rifugiate e migranti verso l’Algeria e la Libia e come abbiano sottoposto le stesse a maltrattamenti e torture tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale, attuando al contempo una repressione contro la società civile che fornisce assistenza essenziale. Nel giugno 2024 le autorità tunisine hanno posto fine al ruolo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nella gestione delle domande d’asilo, cancellando di fatto l’unica possibilità di chiedere protezione nel paese. Nonostante questo grave arretramento, l’Unione europea ha continuato a cooperare con la Tunisia nel controllo dei flussi migratori senza prevedere garanzie efficaci in materia di diritti umani. Proseguendo su questa strada, l’Unione europea rischia di rendersi complice di gravi violazioni dei diritti umani e di contribuire a intrappolare un numero crescente di persone in una situazione in cui le loro vite e i loro diritti restano in pericolo. “Alimentando la xenofobia e abbattendo colpo dopo colpo la protezione dei rifugiati, le autorità tunisine si rendono responsabili di orribili violazioni dei diritti umani. Devono porre fine immediatamente a questo arretramento devastante e fermare l’incitamento al razzismo e le espulsioni collettive che mettono in pericolo vite umane. Devono garantire il diritto d’asilo e assicurare che nessuna persona sia espulsa verso un luogo dove rischi di subire gravi violazioni dei diritti umani. Il personale delle organizzazioni non governative e i difensori e le difensore dei diritti umani arrestati per aver assistito persone rifugiate e migranti devono essere scarcerati senza condizioni”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice regionale per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International. “L’Unione europea deve sospendere con urgenza ogni forma di assistenza nel controllo delle frontiere e dei flussi migratori finalizzata a trattenere le persone in Tunisia e interrompere i finanziamenti alle forze di sicurezza e ad altri soggetti responsabili di violazioni dei diritti umani contro le persone rifugiate e migranti. Invece di privilegiare la deterrenza e alimentare le violazioni dei diritti umani, la cooperazione con la Tunisia dovrebbe mirare a garantire misure di protezione adeguate e procedure d’asilo nel paese, integrando criteri e condizioni in materia di diritti umani chiari e vincolanti, per evitare qualsiasi complicità in tali violazioni”, ha aggiunto Morayef. Amnesty International ha condotto la propria ricerca tra febbraio 2023 e giugno 2025, intervistando 120 persone rifugiate e migranti provenienti da quasi 20 stati (92 uomini e 28 donne, comprese otto persone di età compresa tra 16 e 17 anni) a Tunisi, Sfax e Zarzis. L’organizzazione ha inoltre analizzato fonti delle Nazioni Unite, della stampa e della società civile, oltre ai profili social ufficiali delle autorità di Tunisi. Prima della pubblicazione, Amnesty International ha condiviso le proprie conclusioni con le autorità tunisine, europee e libiche. Al momento della pubblicazione non era pervenuta alcuna risposta. Una crisi alimentata dalla retorica razzista Le testimonianze raccolte rivelano un sistema di gestione della migrazione e dell’asilo concepito per escludere e punire, anziché proteggere. Almeno 60 delle persone intervistate, tra cui tre minorenni, due rifugiati e cinque richiedenti asilo, sono state arrestate e detenute in modo arbitrario. Persone rifugiate e migranti dell’Africa subsahariana sono state prese di mira da singoli soggetti e dalle forze di sicurezza in un contesto di profilazione razziale sistemica e in varie ondate di violenza razzista alimentate dalla propaganda d’odio razziale, a partire dalle dichiarazioni del presidente Kais Saied del febbraio 2023, riprese poi da altri funzionari e parlamentari. La situazione è peggiorata a causa della repressione che ha colpito almeno sei organizzazioni non governative che fornivano sostegno essenziale a persone migranti e rifugiate, con conseguenze umanitarie gravissime e un enorme vuoto di protezione. Dal maggio 2024 le autorità hanno detenuto arbitrariamente almeno otto loro operatori e due ex funzionari locali che avevano collaborato con esse. La prossima udienza del processo al personale di una delle organizzazioni non governative, il Consiglio tunisino per i rifugiati, è fissata per il 24 novembre. “Li abbiamo visti annegare” Amnesty International ha indagato su 24 intercettamenti in mare e ha raccolto le testimonianze di 25 persone rifugiate e migranti che hanno descritto comportamenti pericolosi, sconsiderati e violenti da parte della Guardia costiera tunisina: speronamenti, manovre ad alta velocità che hanno rischiato di far capovolgere le imbarcazioni, colpi inferti a persone e imbarcazioni con manganelli, lancio di gas lacrimogeni da distanza ravvicinata e la mancata valutazione individuale delle necessità di protezione al momento dello sbarco. “Céline”, una donna migrante camerunese intercettata dopo la partenza dalla regione orientale di Sfax nel giugno 2023, ha raccontato ad Amnesty International: “Continuavano a colpire la nostra barca di legno con lunghi bastoni appuntiti, l’hanno bucata… C’erano almeno due donne e tre neonati senza giubbotti di salvataggio. Li abbiamo visti annegare e poi non abbiamo più visto i corpi. Non ho mai avuto così tanta paura”. Nonostante le persistenti preoccupazioni per la mancanza di trasparenza nei dati sugli intercettamenti, nel 2024 le autorità tunisine hanno smesso di pubblicare statistiche ufficiali dopo aver istituito, con il sostegno dell’Unione europea, una zona di ricerca e soccorso marittimo. In precedenza, avevano riferito un aumento significativo degli intercettamenti. “Andate in Libia, là vi uccideranno” Dal giugno 2023 in poi le autorità tunisine hanno avviato espulsioni collettive di decine di migliaia di persone rifugiate e migranti, perlopiù provenienti dall’Africa subsahariana, dopo arresti su base razziale o intercettamenti in mare. Amnesty International ha accertato che, tra giugno 2023 e maggio 2025, sono state effettuate almeno 70 espulsioni collettive, che hanno riguardato oltre 11.500 persone. Le forze di sicurezza tunisine hanno sistematicamente abbandonato persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate – anche donne incinte e bambini – in aree remote e desertiche ai confini con la Libia e l’Algeria, senza acqua né cibo, spesso dopo aver loro confiscato telefoni, documenti d’identità e denaro, esponendole così a gravi rischi per la vita e la sicurezza. Dopo la prima ondata di espulsioni, tra giugno e luglio del 2023, almeno 28 persone migranti sono state trovate morte lungo il confine libico-tunisino e 80 risultano disperse. Queste espulsioni sono state condotte senza alcuna garanzia procedurale e in violazione del principio di non respingimento. Mentre chi veniva spinto verso l’Algeria doveva camminare per settimane per tornare indietro o rischiare ulteriori respingimenti a catena fino al Niger, le persone che venivano condotte verso la Libia spesso finivano nelle mani delle guardie di frontiera locali o di milizie che le abbandonavano lì o le portavano in strutture non ufficiali. In Libia le persone migranti e rifugiate subiscono violazioni dei diritti umani gravi e sistematiche, commesse nell’impunità, che una missione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha qualificato come crimini contro l’umanità. “Ezra”, un uomo della Costa d’Avorio, ha raccontato ad Amnesty International come le forze di polizia tunisine lo abbiano espulso verso il confine libico nella notte tra il 1° e il 2 luglio 2023, insieme ad altre 24 persone, almeno una delle quali minorenne: “Siamo arrivati nella zona di confine con la Libia verso le sei del mattino… Un ufficiale tunisino ha detto: ‘Andate in Libia, là vi uccideranno’. Un altro ha aggiunto: ‘O nuotate, o correte verso la Libia’. Ci hanno restituito un sacco pieno dei nostri telefoni distrutti…”. Le persone che facevano parte di questo gruppo hanno tentato di risalire la costa verso la Tunisia ma uomini in uniforme militare le hanno intercettate e inseguite con i cani, hanno picchiato quattro di loro e infine le hanno riportate al confine. “Ci hanno costretti a gridare più volte ‘Tunisia mai più, non torneremo mai più’ Le forze di sicurezza tunisine hanno sottoposto 41 uomini, donne e minorenni a maltrattamenti e torture durante intercettamenti, espulsioni o detenzioni. “Hakim”, cittadino camerunese, ha descritto come gli agenti lo abbiano portato e abbandonato al confine con l’Algeria nel gennaio 2025: “Ci hanno presi uno per uno, ci hanno circondati, ci hanno fatto sdraiare, ci hanno ammanettati… Ci picchiavano con tutto ciò che avevano: mazze, manganelli, tubi di ferro, bastoni di legno… Ci hanno costretti a ripetere più volte ‘Tunisia mai più, non torneremo mai più’. Ci colpivano e prendevano a calci ovunque”. Amnesty International ha inoltre documentato 14 casi di stupro o altre forme di violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza tunisine, alcuni dei quali avvenuti durante perquisizioni corporali o denudamenti forzati condotti in modo umiliante, tali da configurare tortura. “Karine”, una donna camerunese, ha raccontato ad Amnesty International che il 26 maggio 2025 agenti della Guardia nazionale l’hanno violentata due volte: prima durante una perquisizione dopo un intercettamento nella regione di Sfax, poi al confine con l’Algeria, dopo un’espulsione collettiva. Il sostegno irresponsabile dell’Unione europea, a scapito di vite e dignità Ignorando le conseguenze devastanti della propria cooperazione con la Libia, l’attuale cooperazione tra l’Unione europea e Tunisia sul controllo delle migrazioni ha perseguito e ottenuto la detenzione di persone in un paese dove sono esposte a diffuse violazioni dei diritti umani. Tale cooperazione comprende il finanziamento delle capacità di ricerca e soccorso della guardia costiera tunisina e la fornitura di formazione ed equipaggiamento per la gestione delle frontiere, allo scopo di ridurre le partenze irregolari verso l’Europa. Nel luglio 2023 l’Unione europea ha firmato con la Tunisia un Memorandum d’intesa elaborato senza garanzie effettive in materia di diritti umani, come una valutazione d’impatto preventiva trasparente, un monitoraggio indipendente con procedure chiare per dare seguito alle denunce di violazioni dei diritti umani e una clausola di sospensione esplicita in caso di violazioni. Queste carenze sono state evidenziate nel 2024 dalla Mediatrice europea. La cooperazione prosegue da oltre due anni, nonostante numerose allarmanti e ben documentate segnalazioni di violazioni dei diritti umani. Nonostante stessero sacrificando il diritto internazionale per privilegiare il controllo delle migrazioni, funzionari europei l’hanno presentata come un successo, citando la diminuzione degli arrivi via mare di persone provenienti dalla Tunisia dal 2024. “Il silenzio dell’Unione europea e dei suoi stati membri di fronte a queste terribili violazioni dei diritti umani è particolarmente inquietante. Ogni giorno in cui l’Unione europea continua a sostenere in modo sconsiderato l’offensiva della Tunisia contro i diritti delle persone migranti e rifugiate e di chi le difende, senza una revisione sostanziale della cooperazione in corso, i leader europei rischiano di rendersi complici”, ha concluso Morayef. Nota: i nomi delle persone che hanno raccontato ad Amnesty International la loro esperienza sono stati cambiati per tutelare la loro incolumità. Amnesty International