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I rifugiati di Agadez lanciano una petizione urgente dopo oltre 300 giorni di protesta
Mentre il governo del Niger intensifica la repressione e viola i diritti dei rifugiati, stare al loro fianco è più importante che mai. Firma e condividi ora 1. Da oltre 300 giorni, i rifugiati del Centro “Umanitario” di Agadez, in Niger, continuano la loro protesta pacifica, denunciando condizioni sempre più dure, negligenza amministrativa e intimidazioni da parte delle autorità nazionali. Dall’inizio di luglio, la maggior parte delle persone ospitate nel centro ha smesso di ricevere l’assistenza alimentare. Secondo l’UNHCR, l’aiuto continuerebbe a essere garantito alle cosiddette “categorie vulnerabili”, come vedove, minori non accompagnati e persone con disabilità o patologie croniche. Ma in pratica, le liste degli aventi diritto, emesse dall’UNHCR, hanno escluso numerose persone che rientrano chiaramente nei criteri dichiarati. Inoltre, chi aveva ricevuto aiuti da ONG partner nel 2023 è stato retroattivamente escluso dai nuovi elenchi. A queste persone, al momento della distribuzione, non era stato comunicato che si trattava di un progetto legato all’integrazione economica, né che quel sostegno avrebbe compromesso la possibilità di ricevere aiuti in futuro. In un comunicato diffuso lo scorso maggio, l’UNHCR ha giustificato i tagli come un’opportunità per “favorire l’autosufficienza” attraverso corsi di formazione professionale. Ma la realtà sul campo è che la maggior parte dei rifugiati oggi fatica a soddisfare i propri bisogni fondamentali.  Interviste/Confini e frontiere MENO CIBO, PIÙ AUTONOMIA? IL PARADOSSO DELL’ASSISTENZA DI UNHCR AL CAMPO DI AGADEZ, NIGER I rifugiati: «Non vogliamo restare qui, nel deserto» Laura Morreale 20 Giugno 2025 L’agenzia ONU attribuisce le difficoltà operative ai tagli dei finanziamenti internazionali e alle restrizioni imposte dal governo del Niger. Tuttavia, alcuni operatori umanitari presenti sul territorio segnalano un contesto sempre più repressivo, che rende difficile persino il dialogo diretto con la popolazione rifugiata. In particolare, lo staff UNHCR ha dovuto affrontare ostacoli e intimidazioni quando ha cercato di dialogare con i rifugiati coinvolti nella protesta. I rifugiati riportano che funzionari dell’Ufficio CNE – l’organismo nazionale incaricato di valutare le richieste d’asilo – hanno impedito o interrotto incontri tra il personale UNHCR e i rappresentanti dei rifugiati. Secondo diverse testimonianze, un funzionario del CNE avrebbe affrontato in modo aggressivo e minaccioso un rappresentante dell’UNHCR responsabile delle politiche nutrizionali nel campo, durante un incontro di routine. Episodi simili fanno pensare che le autorità locali stiano volutamente limitando la capacità dell’UNHCR di comunicare e difendere i diritti dei rifugiati. Notizie/Confini e frontiere GESTIRE IL DISSENSO AD AGADEZ Le autorità nigerine dichiarano sciolti i comitati dei rifugiati Laura Morreale 22 Aprile 2025 Nei giorni scorsi, ad alcuni rifugiati è stato detto di “parlare solo per sé stessi”, perché gli organismi di rappresentanza collettiva sono osteggiati dalle autorità nazionali. A partire da maggio, il CNE ha infatti dichiarato illegittimo il comitato dei rifugiati che guida la protesta. All’epoca, otto attivisti erano stati arrestati senza accuse formali e poi rilasciati. Sei di loro – tre donne e tre uomini – si sono visti sospendere la procedura d’asilo tramite un decreto ministeriale datato 3 luglio, con la motivazione di “disturbo dell’ordine pubblico e rifiuto di rispettare le leggi e i regolamenti in vigore nel paese ospitante”. I tentativi di contestare la decisione sono stati respinti dai giudici, che hanno rinviato i casi all’ufficio del governatore. I rifugiati che hanno cercato di presentare denunce formali sono stati ignorati o dirottati altrove. PH: Refugees in Niger Secondo le persone del centro con cui sono in contatto, altri due rifugiati sarebbero stati deportati verso il loro paese d’origine perché “si erano rivolte al tribunale e avevano parlato con i giudici delle condizioni del centro, del trattamento riservato ai rifugiati da parte del personale e degli incidenti verificatisi nel centro, in particolare l’omicidio di un rifugiato nel 2022”. In un contesto di tagli all’assistenza alimentare, restrizioni alla libertà d’espressione e mancanza di accesso alla giustizia, le condizioni psicologiche dei residenti del centro sono peggiorate. Una rifugiata, Nawal Daoud Mohamed, è stata rilasciata dal centro nonostante fosse noto che soffrisse di disturbi psicologici e ora risulta scomparsa. Il CNE ha riferito che sarebbe apparsa in un villaggio a ottanta chilometri dalla città di Agadez, ma i rifugiati non sanno se l’informazione sia accurata o se si tratti di una strategia per evitare disordini nel campo. Secondo i rifugiati, questo caso è emblematico di una negligenza generalizzata verso il benessere psicologico dei residenti del centro. Secondo i rifugiati, questo caso è emblematico di una negligenza generalizzata verso il benessere psicologico dei residenti del centro. Di seguito, condividiamo il messaggio e la petizione inviataci dai rifugiati di Agadez con cui siamo in contatto da diversi mesi: -------------------------------------------------------------------------------- Grazie a Melting Pot Europa per il sostegno costante e per aver dato visibilità agli abusi in corso ad Agadez. Nonostante la nostra resistenza, e una protesta pacifica e legale che dura da oltre 309 giorni, la situazione è purtroppo peggiorata. Abbiamo bisogno della vostra voce. Vi chiediamo di firmare, condividere e amplificare queste storie, petizioni e testimonianze da Agadez. Enough is enough: when peaceful protest is met with collective punishment Dal 15 luglio 2025, i rifugiati del Centro Umanitario di Agadez hanno vissuto quanto segue: * Nawal Daoud Mohamed, una donna di 27 anni, è scomparsa dopo essere uscita dal campo. Era in stato di grave sofferenza psicologica a causa delle condizioni di vita estreme e disumane del Centro Umanitario di Agadez. * Pompe dell’acqua disattivate nel mese più caldo dell’anno, lasciando 2.000 persone – tra cui 800 bambini – senza acqua adeguata, con temperature nel deserto che superano i 50°C. * Assistenza alimentare eliminata per 1.730 persone come punizione per l’espressione pacifica del dissenso. L’UNHCR lo chiama “promozione dell’autosufficienza”. Il diritto internazionale lo chiama punizione collettiva. Su oltre 2.000 residenti, solo 270 persone classificate come “più vulnerabili” hanno ancora accesso alla nutrizione di base. * Otto leader comunitari, sopravvissuti a una detenzione arbitraria a marzo, oggi affrontano nuove minacce semplicemente perché si rifiutano di restare in silenzio. Il CNE ha intensificato le intimidazioni, avvertendo che lo status di rifugiato potrebbe essere revocato a chiunque continui a documentare le condizioni del centro con la campagna #KeepEyesOnAgadez. * Le cure mediche sono state ridotte al minimo, con farmaci limitati a semplici antidolorifici, mentre donne incinte muoiono durante il parto e i bambini vengono respinti da cliniche chiuse. -------------------------------------------------------------------------------- Non possiamo lasciare che tutto questo continui. Firma ora le petizioni per chiedere il ripristino immediato di cibo, acqua, cure mediche e la fine delle intimidazioni. Ogni firma aumenta la pressione sul governo del Niger e sull’UNHCR. ✍️ Petizione al Governo del Niger ✍️ Petizione all’UNHCR Bastano 5 minuti, ma possono salvare delle vite. Condividi questo appello e tagga 3 persone che hanno a cuore i diritti umani. Quando firmiamo insieme, i funzionari devono ascoltare. 1. ✍️ Petizione al Governo del Niger ✍️ Petizione all’UNHCR ↩︎
Lascio il Niger, non il silenzioso grido dei poveri
CI SONO LUOGHI CHE NON PERMETTONO ALLE FERITE DI RIMARGINARSI COL RISCHIO DI DIMENTICARE IL SILENZIOSO GRIDO DEI POVERI. “EPPURE SOLO IN LORO SCORRE L’UNICA E DECISIVA TRASFORMAZIONE DEL MONDO…”. IN MAGGIO MAURO ARMANINO CI AVEVA ANNUNCIATO CHE AVREBBE LASCIATO IL NIGER, CROCEVIA DI ROTTE MIGRATORIE E UNO DEI PAESI PIÙ IMPOVERITI DEL MONDO, DOVE HA VISSUTO PER QUATTORDICI ANNI: QUESTO IL SUO ULTIMO ARTICOLO DA NIAMEY Unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- Ogni volta mi dico che è l’ultima. L’ultima missione, l’ultimo Paese e l’ultimo popolo da lasciare. La storia si ripete e, senza saperlo o volerlo, cado nella stessa trappola. Si parte per un tempo, si vorrebbe e dovrebbe rimanere per sempre e poi, al solito, si torna. C’è una partenza in senso inverso. Dall’italico occidente al Sahel, dal Porto Antico di Genova alla porzione di Sahel riservata al Niger. Dalla sponda del Mediterraneo alla sponda del Sahara per un viaggio durato quattordici anni e qualche mese. Si passa, nel frattempo, dal Paese stampato sulla cartina geografica e dai confini ben definiti al Paese reale. Le strade, i volti, le storie di sabbia e i nomi di vento si mescolano come solo la polvere sa fare con consumata maestria. Ogni volta mi dico che è l’ultima e, senza capirlo, si recidiva. Fuggitivo, disertore, traditore, mercante, mercenario e allo stesso tempo creatura di sabbia attraversato dall’unica fragilità che accomuna gli umani che si chiama vita. I ricordi delle persone seppellite nel cimitero cristiano di Niamey. Ogni volta lo stesso pensiero che si affaccia alla mente perché una parte di me rimane in quella terra benedetta dalle lacrime di coloro che rimangono. Migranti con un nome imprestato dal destino, bambini che partono ancora prima di aver cominciato il viaggio e alcuni rifugiati che scoprono nella sabbia del camposanto la penultima dimora che, senza saperlo, cercavano. Nelle valigie di ritorno c’è tutto e non c’è nulla di quanto vissuto, amato, tradito e, in questo caso, abbandonato. Si affacciano alla memoria le parole che si avventurano nel deserto. Quanto è cambiato degli occhi e dello sguardo nel frattempo degli avvenimenti che accadono, passano, permangono e sono pronti a riapparire alla prima occasione propizia. Il passato non si accumula ma si seleziona e si organizza nella memoria del vissuto che si scava nei volti che indicano il cammino da seguire. “Se hace camino al andar“, camminando si scopre la via, scriveva Antonio Machado nell’altro millennio di un altro continente. Ci sono infatti ferite che non dovrebbero mai essere guarite perché solo aperte tengono desta l’attenzione ai protagonisti del transito in questo Paese e cioè i poveri. Inventano la storia che nessuno legge e raccontano storie che pochi ascoltano. Eppure proprio e solo in loro scorre l’unica e decisiva trasformazione del mondo. Le centinaia di migranti dalle avventure inverosimili, le comunità cristiane perseguitate, le chiese bruciate, il rapimento e la lunga prigionia dell’amico Pierluigi Maccalli, l’insicurezza per i contadini dei villaggi, il golpe dei militari e la retorica di una sovranità nazionale ad uso e consumo del potere. Le decine di dibattiti pubblici e l’amicizia con alcuni militanti della società civile che non si è fatta espropriare. Il cammino imprevedibile con una comunità di periferia e infine la nostalgia del tempo che, sostengono in molti, è il secondo nome di Dio. Soprattutto però il privilegio di guardare la realtà dal sud, dalla Grande Periferia del mondo. Sono luoghi di verità che non permettono alle ferite di rimarginarsi col rischio di dimenticare il silenzioso grido dei poveri. Si parte dal sud, senza sapere se il net funziona, quando ci sarà prossimo black out, l’appuntamento mancato senza dire nulla, lo stupore della pioggia, gli asini re della strada e i semafori a stagioni coi bambini da ogni parte si cammini e l’eleganza dei poveri nei giorni di festa. Ogni volta mi dico che è l’ultima e allora parto e poi cado nella trappola che la sabbia sapientemente nasconde. Torno soprattutto col NO che l’amico e compagno di viaggio Moussa Tchangari, attore storico della società civile di Niamey, ha ripetuto a chi voleva accaparrarne l’adesione al sistema. Si trova in galera dal 3 dicembre dell’anno scorso con la mani nude e libere di scrivere l’unica parola per la quale si può dare anche la vita. Si tratta della dignità che nessuno potrà rubargli e che, con riconoscenza, ho deposto nel mio bagaglio di ritorno. Niamey, luglio 2025 -------------------------------------------------------------------------------- Operaio in Liguria, prete (presso la Società delle Missioni Africane), antropologo, Mauro Armanino ha vissuto in Costa d’Avorio, Argentina, Liberia. Negli ultimi 14 anni ha lavorato in Niger, a Niamey, nell’accoglienza ai migranti. Nell’archivio di Comune sono leggibili oltre 250 suoi articoli. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Lascio il Niger, non il silenzioso grido dei poveri proviene da Comune-info.