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Agadez, il limbo nel deserto: cinque anni di attesa e silenzio per i rifugiati intrappolati nel “centro umanitario”
Da oltre cinque anni, quasi duemila rifugiati e richiedenti asilo vivono intrappolati nel deserto del Niger, nel “centro umanitario” di Agadez. Sono persone fuggite da guerre, persecuzioni, violenze; persone che hanno attraversato confini dove hanno subìto abusi in Algeria e in Libia, che sono sopravvissute ai respingimenti e ai rastrellamenti, e che oggi si ritrovano abbandonate in un luogo che, più che un rifugio, somiglia a una prigione a cielo aperto. Una vicenda che come redazione seguiamo con attenzione dal novembre 2024, in contatto diretto con le persone che si trovano nel centro. L’appello pubblicato il 25 novembre scorso 1 ci offre l’occasione di continuare a tenere gli occhi aperti su Agadez e di rilanciare la loro voce: una voce stremata ma ostinata, che continua a chiedere solo ciò che dovrebbe essere garantito a chiunque – dignità, protezione, futuro. Agadez è distante quindici chilometri dalla città, isolato nel nulla. Il campo, costruito con fondi europei e italiani, si presenta come un progetto umanitario, ma chi lo abita lo descrive come un luogo di confinamento: tende consumate dal vento del deserto, prefabbricati che non proteggono né dal sole né dalle tempeste di sabbia, un accesso irregolare a servizi essenziali come acqua potabile, cure mediche, elettricità, istruzione. Dal 2025, perfino l’assistenza alimentare è stata ridotta: solo alcune categorie, considerate “vulnerabili”, ricevono ancora un sostegno regolare. Gli altri, quelli che l’UNHCR non ha inserito in liste di priorità, sopravvivono come possono. La protesta, iniziata il 22 settembre 2024, ha oltrepassato l’anno. Per mesi gli abitanti del campo hanno organizzato sit-in, marce, lettere aperte, scioperi della fame: sempre pacifici, sempre ignorati. Il loro slogan, «We don’t want to stay here», è un grido semplice e limpido: non chiedono privilegi, ma di essere liberati da un’attesa infinita che li consuma. La risposta delle autorità è stata troppo però spesso la criminalizzazione del dissenso. A marzo 2025 otto rappresentanti dei rifugiati sono stati arrestati durante una protesta. Sono stati rilasciati dopo dieci giorni, ma l’episodio ha lasciato un segno profondo: molti hanno perso lo status di protezione, altri vivono nella paura di subire la stessa sorte. Il “centro umanitario” di Agadez è un simbolo potente dell’esternalizzazione delle frontiere europee. Qui, nel cuore del deserto, si materializzano le contraddizioni di un sistema che, in nome della sicurezza e del controllo migratorio, preferisce trattenere le persone lontano dai propri confini – anche quando questo significa lasciarle vivere per anni in condizioni disumane. La retorica della “protezione internazionale” si sgretola davanti alla realtà: non si tratta di accoglienza, ma di sospensione della vita. Di un tempo morto imposto a uomini, donne, bambini che non hanno alcuna prospettiva di reinsediamento né possibilità di integrarsi nel Niger. L’appello chiede di ascoltare finalmente le loro voci, di riconoscere che quanto accade ad Agadez non è un’emergenza ma una scelta politica. Chiede che si aprano percorsi di reinsediamento reali, che si garantiscano condizioni minime di vita dignitosa, che si ponga fine a un sistema che confonde la gestione con l’abbandono. Chiede, soprattutto, di vedere i rifugiati per ciò che sono: persone che hanno perso tutto e che ora rischiano di perdere anche la speranza. Agadez non è un episodio isolato: è un ingranaggio di un meccanismo che sposta sempre più lontano la responsabilità, rendendo invisibili le vite che schiaccia. Raccontare ciò che accade nel deserto del Niger significa rompere un silenzio conveniente, riportare al centro ciò che troppo spesso resta ai margini: la dignità umana come principio non negoziabile. 1. Leggi l’appello sul blog di Davide Tommasin ↩︎
UNHCR sotto accusa: la lunga protesta dei rifugiati di Agadez
Il “centro umanitario” dell’UNHCR di Agadez 1, in Niger, sorge in mezzo al deserto. È l’eredità degli accordi firmati nel 2017 dal ministro Minniti e finanziati da Italia e Unione Europea. Oggi quel centro è diventato il simbolo della crisi dell’umanitarismo contemporaneo: dietro i campi per rifugiati in Africa, sostenuti dalle nostre istituzioni, si celano politiche di contenimento e criminalizzazione delle migrazioni. Fame, proteste e arresti arbitrari scandiscono la vita quotidiana dei rifugiati di Agadez, nel silenzio dell’Europa. Nel cuore del Sahara nigerino, ad Agadez, migliaia di persone vivono intrappolate in un limbo amministrativo e geografico. Il Centro “Umanitario” di Agadez, finanziato da fondi italiani ed europei e gestito dall’UNHCR, è diventato simbolo di un sistema di contenimento che serve più agli interessi europei che a proteggere i diritti dei rifugiati. Da oltre un anno, centinaia di residenti del campo protestano contro le condizioni disumane del campo, denunciando fame, abbandono e violenze. La protesta non si è fermata, nonostante le intimidazioni delle autorità nigerine. Tra i rifugiati c’è tanta frustrazione, ma non rassegnazione: «Se ti trovassi qui, al mio posto», mi confida uno di loro, «non smetteresti nemmeno tu di protestare, quando vedi i bambini senza un futuro, i giovani e le donne che ogni giorno restano sotto il sole per rivendicare i propri diritti, i malati che non ricevono cure, e tante altre cose che non ti lasciano dormire la notte e ti fanno venire gli incubi». Il blog Keep Eyes on Agadez ha lanciato dal 3 ottobre una serie in sei parti dal titolo “Debunking UNHCR: Aid, Lies, and Migration in Agadez, Niger”, che denuncia le contraddizioni e le omissioni dell’UNHCR nella gestione del centro di Agadez 2. Attraverso documentazione e testimonianze dirette, i rifugiati accusano l’agenzia di aver costruito una narrazione “sterilizzata” della realtà, dove la retorica dell’“autonomia” e della “protezione” nasconde in realtà pratiche di detenzione, abbandono e repressione del dissenso. Le prime tre parti della serie sono già pubblicate sul blog. La prima parte (The Foundation of a Lie: Unpacking the Centre’s True Purpose 3) ricostruisce la vicenda dei sei manifestanti pacifici scomparsi dopo un raid del 21 agosto 2025: un episodio che, secondo la Relatrice speciale ONU Mary Lawlor, potrebbe configurare un caso di sparizione forzata. Notizie NIGER. TENSIONI AL “CENTRO UMANITARIO” DI AGADEZ: ARRESTATI SEI ATTIVISTI UNHCR non si è ancora espressa sui fatti Laura Morreale 1 Settembre 2025 L’UNHCR, accusata di aver ignorato per venti giorni le richieste di chiarimento delle famiglie e di aver preferito rispondere a interlocutori esterni anziché ai rifugiati stessi, è dipinta come un attore che opera più per compiacere le agende diplomatiche e i finanziatori europei che per difendere i diritti umani. La seconda parte (Services Available? A Masterclass in Gaslighting as demonstrated by UNHCR 4) smonta la narrazione ufficiale sui servizi disponibili nel campo. Le dichiarazioni di UNHCR su salute, cibo, istruzione e sicurezza vengono definite un “capolavoro di gaslighting istituzionale”. In realtà, affermano gli autori, l’agenzia avrebbe utilizzato la fame come strumento di coercizione, sospendendo i buoni alimentari non per mancanza di fondi ma come punizione collettiva contro chi protestava. Otto persone sono morte in due mesi per mancanza di cure; l’istruzione è inesistente; le strutture abitative fatiscenti. Persino il concetto di “protezione”, osservano i rifugiati, ha perso significato: negli ultimi anni si sono registrati arresti di massa, violenze e uccisioni nel silenzio delle istituzioni preposte a tutelarli. La terza parte (The Refugee Status Revocation Scandal 5) affronta lo scandalo della revoca dello status di rifugiato a otto leader delle proteste. Secondo la legge nigerina, UNHCR partecipa come osservatore alle commissioni che decidono sullo status, ma non avrebbe fatto nulla per impedire le decisioni illegali prese dalle autorità del Niger. Gli otto rifugiati sarebbero stati costretti a firmare documenti in francese, senza traduzione e senza capire il contenuto. Dopo un nuovo raid, sei di loro sono stati deportati e consegnati alle autorità del Ciad. La vicenda, secondo Refugees in Niger, rivela la complicità diretta dell’UNHCR in violazioni del diritto internazionale. La protesta e il collettivo Refugees in Niger che la guida fanno parte di un più ampio network transnazionale di attivismo guidato dai migranti che si batte contro gli effetti dell’esternalizzazione delle frontiere nei paesi africani e contro la logica del contenimento che sta dietro luoghi come il Centro di Agadez. Un mese fa, davanti alla sede dell’UNHCR a Ginevra, è stato presentato The Book of Shame (Libro della vergogna): un resoconto documentato che ricostruisce le radici storiche dei movimenti di protesta in Niger, Libia e Tunisia. «Cos’è il Book of Shame? È una richiesta di responsabilità, nata non nei think tank ma nei centri di detenzione e nei campi per rifugiati, nelle tende di protesta e nelle chat di WhatsApp, nel dolore e nella rabbia di chi è stato lasciato indietro e di chi gli è rimasto accanto. Le nostre esperienze e le nostre rivendicazioni dovevano essere preservate, documentate e condivise». È un testo cruciale perché dà voce, in prima persona, a chi rivendica i propri diritti dopo aver subito sulla propria pelle le conseguenze di una gestione del movimento migratorio che si autoproclama “giusta e razionale” ma che produce morte e disuguaglianze. Il Book of Shame riconduce le violazioni dei diritti dei rifugiati e delle persone in movimento alle politiche europee di contenimento e chiama i governi e le istituzioni dell’UE ad assumersi le loro responsabilità. Rapporti e dossier “BOOK OF SHAME” IRROMPE A GINEVRA “UNHCR = UNFAIR, IOM = NASTY”: la protesta sotto le sedi delle agenzie ONU  Redazione 23 Settembre 2025 Amplificare le testimonianze dei rifugiati è fondamentale, per superare le politiche di repressione e abbandono, mascherate dietro la narrazione umanitaria e della migrazione come emergenza da contenere. In alcuni casi, la vicenda di Agadez ha raggiunto una certa risonanza internazionale, rilanciata da testate come Le Monde 6, Le Monde (gennaio 2025), The Guardian 7 e The New Humanitarian 8. Anche alcuni funzionari ONU si sono espressi sulla situazione, soprattutto dopo l’arresto dei sei attivisti. Anche in Italia, alcuni giornalisti hanno acceso i riflettori sul caso 9 , anche perché il nostro Ministero dell’Interno risulta tra i principali finanziatori del centro. Ma l’attenzione resta discontinua, spesso legata a episodi di violazioni eclatanti come la sospensione degli aiuti alimentari o gli arresti: non è ancora abbastanza. L’aumento di visite istituzionali suggerisce che l’UNHCR non può più ignorare il problema di fronte a un crescente riscontro dell’opinione pubblica. Il 12 settembre, Fafa Olivier Attidzah, rappresentante dell’UNHCR nella Repubblica Centrafricana, ha visitato il campo. La sua presenza è stata accolta positivamente, perché – a differenza di altre occasioni – ha permesso un confronto diretto con il movimento. Un residente del campo mi ha raccontato della visita: «Ci ha chiesto: ‘Cosa volete? Voglio aiutarvi.’ Gli abbiamo risposto: ‘Non vogliamo restare qui, in questo centro. Questa è la nostra richiesta principale. Non vogliamo restare qui, nel deserto’. Ci ha detto che sarebbe tornato presto, ma non è tornato». La rivendicazione centrale della protesta rimane quindi inascoltata. Gli arresti arbitrari, il ricatto dei voucher alimentari imposto dalle autorità nigerine e avallato dall’UNHCR, la prolungata negligenza sui servizi di base non sono riusciti a piegare la resistenza. «Non ci fermeremo finché la nostra richiesta di vivere in un ambiente dignitoso non sarà accolta. Restate al nostro fianco». Come supportare la protesta? I rifugiati hanno condiviso un appello all’azione sul loro blog: La crisi di Agadez rappresenta una prova fondamentale per la protezione dei rifugiati nel XXI secolo. La manipolazione delle legittime richieste di sopravvivenza, liquidate come “frustrazioni”, crea un precedente pericoloso che altri governi imiteranno. Se l’UNHCR può abbandonare il proprio mandato nel deserto del Niger, dove i rifugiati non hanno voce né visibilità, allora può abbandonarli ovunque. Ogni firma, ogni condivisione, ogni lettura rafforza la loro voce e rende più costosa la persecuzione. Quando migliaia di persone chiedono responsabilità, diventa più difficile per l’UNHCR e per le autorità del Niger mantenere il silenzio. 1. Firma le petizioni: Al governo del Niger Alla dirigenza dell’UNHCR 2. Leggi e diffondi “The Book of Shame” – la raccolta di testimonianze dei rifugiati 3. Dona alle organizzazioni che li sostengono, come Refugees in Libya 4. Visita la sezione Action Alert: scegli tra diversi modi di aiutare, in base alle tue possibilità e alla tua posizione. Questa sezione viene aggiornata regolarmente. 5. Dai voce ai rifugiati di Agadez: segui e condividi gli account dei nostri attivisti (@MrsalAhmd95964 | @mayor_refugees @refugeesniger | @RefugeesTunisia @RefugeesinLibya @yousef_ism58349) e usa gli hashtag come #KeepEyesOnAgadez. 6. Parla di Agadez con amici, familiari, colleghi e giornalisti. 7. Diffondi il messaggio: il silenzio è il nemico della giustizia. 1. Consulta tutti gli articoli sulla protesta ↩︎ 2. New 6 Part Series DEBUNKING UNHCR: Aid, Lies, and Migration in Agadez, Niger ↩︎ 3. Part 1: The Foundation of a Lie: Unpacking the Centre’s True Purpose ↩︎ 4. Part 2: Services Available? A Masterclass in Gaslighting as demonstrated by UNHCR ↩︎ 5. Part 3: The Refugee Status Revocation Scandal ↩︎ 6. Au Niger, des réfugiés expulsés d’Algérie se sentent abandonnés et manifestent ↩︎ 7. ‘We don’t want to stay here’: UN accused of abandoning refugees in Niger, The Guardian (giugno 2025) ↩︎ 8. Niger arrests six Sudanese refugees in raid on Agadez camp, The New Humanitarian (27 agosto 2025) ↩︎ 9. Migranti, 1500 persone in rivolta nel campo nigerino finanziato dal governo italiano: “Qui i bambini muoiono”, Fanpage (gennaio 2025); I prigionieri di Agadez: la protesta dei migranti nel centro finanziato dall’Ue, Domani (dicembre 2024) ↩︎
“The Book of Shame” irrompe a Ginevra
Davanti alle sedi delle agenzie delle Nazioni Unite, il 12 e 13 settembre, rifugiatə e attivistə si sono dati appuntamento per denunciare quello che definiscono «il tradimento del mandato di protezione» da parte di UNHCR e IOM. Due giorni di protesta organizzati dal collettivo Refugees in Libya sotto le sedi “umanitarie” dove è stato anche presentato The Book of Shame, ossia “Il libro della vergogna”. Il 12 settembre, in Rue de Montbrillant 94, davanti al quartier generale dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR), si è svolta la conferenza stampa con la presentazione del volume. Il giorno successivo, la manifestazione si è spostata alla sede dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), in Route des Morillons 17, proseguendo poi per le strade di Ginevra con slogan e testimonianze. > We have a new song and slogan for IOM the @UNmigration . > > Sing 🎶: > > IOM 🎵, IOM 🎵, WHY ARE YOU NASTY? 💩 > 🎶🎶 🎶🎶 🎵🎵🎵🎵🎵🎵🎵🎵 pic.twitter.com/oTpcRI2AwQ > > — Refugees In Libya (@RefugeesinLibya) September 17, 2025 «Abbiamo fatto ciò che i rifugiati non dovrebbero mai fare: abbiamo scritto un libro che nomina e critica le agenzie umanitarie che dovrebbero essere i nostri “salvatori”», ha dichiarato David Yambio, portavoce di Refugees in Libya. «Per anni hanno scritto su di noi: rapporti, statistiche, progetti. Ora siamo noi ad aver scritto di loro: di UNHCR, di IOM e dell’Unione europea. Lo abbiamo chiamato Book of Shame». Il Book of Shame – ha precisato – non è un rapporto accademico né una raccolta di dati. È, come scrivono gli autori nell’introduzione, «un libro nato dalla rabbia, dal lutto e dal rifiuto di rimanere in silenzio (…). E’ più di un catalogo di fallimenti, è un atto collettivo di resistenza, un intervento politico di difensori dei diritti umani rifugiati che rifiutano di essere messi a tacere». All’interno ci sono le testimonianze dirette da Libia, Tunisia e Niger, raccolte tramite hotline e reti di solidarietà dall’inizio del 2024 all’estate del 2025. Il testo denuncia il fallimento strutturale dell’UNHCR nel garantire protezione: dalle difficoltà di registrazione e rinnovo dei documenti, all’assenza di assistenza medica, fino alle accuse di corruzione e complicità con le milizie libiche. Scarica – clicca qui Una parte importante è dedicata anche all’IOM e alle pratiche camuffate da “ritorno volontario”, descritte come «ricatti» rivolti a persone detenute e tenute in condizioni insopportabili. «Da anni conosciamo il loro concetto di ricatto. A chi è detenuto e torturato in Libia viene proposta una sola alternativa: tornare indietro, verso il Paese che ha cercato di fuggire», sottolinea il collettivo di rifugiati. Il libro si apre con un capitolo scritto da Yambio, dal titolo emblematico The Witness Must Speak. Qui, il portavoce ripercorre la sua esperienza: l’infanzia segnata dalla guerra in Sudan, la fuga attraverso mezza Africa e infine l’incubo libico, fatto di torture, estorsioni e detenzione. «UNHCR era presente nei centri di detenzione, ma la loro cura non era mai libertà. Portavano coperte, sapendo che eravamo ridotti in schiavitù. Vedevano le donne stuprate, ma dicevano che non era nelle loro mani liberarci», scrive Yambio. > Questo non è un libro neutrale. Non è scritto nel linguaggio della diplomazia. > È ciò che deve essere detto da chi è stato ignorato troppo a lungo. > > Refugees in Libya Durante la protesta, il gruppo di attivistə ha ribadito a più riprese le accuse contenute nel volume: «UNHCR protegge le frontiere europee, non i rifugiati». In Niger, raccontano, «ogni atto di repressione contro i rifugiati nel campo di Agadez è avvenuto con l’accordo di UNHCR»; in Tunisia, i rifugiati denunciano sgomberi e attacchi contro insediamenti informali, con la complicità delle agenzie internazionali. Secondo Yambio, la radice del problema è politica: «Il sistema dell’aiuto umanitario cammina mano nella mano con quello del contenimento. Ti danno da mangiare, ma la porta resta chiusa. Ti curano le ferite, ma ti lasciano in gabbia. È un sistema costruito non per salvare, ma per contenere». L’obiettivo di Refugees in Libya è chiaro: far conoscere a giornalisti, politici, società civile quanto avviene quotidianamento dove operano le organizzazioni “umanitarie” che dovrebbero difendere i diritti fondamentali delle persone migranti e costringere queste istituzioni internazionali a guardarsi allo specchio. «Chi sorveglia chi dovrebbe sorvegliare la nostra vita? Chi chiede conto a chi trae profitto dal nostro esilio?», domanda il portavoce nelle ultime pagine del libro. «Non scriviamo come vittime in attesa di essere salvate», conclude Yambio. «Scriviamo come persone che hanno osato nominare la macchina dell’abbandono, e che continueranno a farlo. Questo libro è la nostra arma, la nostra testimonianza, il nostro fuoco». La mobilitazione di Ginevra si è inserita nella Chain of Action 2025, una serie di iniziative transnazionali che segnano i dieci anni dalla crisi del 2015 e dalla morte del piccolo Alan Kurdi, immagine che allora riuscì a scuotere le coscienze europee ma che oggi appare sbiadita.  Il prossimo appuntamento promosso da Refugees in Libya saranno le giornate di azione del 15-18 ottobre “Stop Memorandum Italia – Libia”. «Nessun accordo con chi è responsabile di crimini contro l’umanità. Cancelliamo il memorandum d’intesa italo-libico», annuncia il collettivo che insieme a numerose organizzazioni per la difesa dei diritti umani, la flotta civile, avvocatə, ricercatori e attivistə sta costruendo le giornate di mobilitazione per fermare il rinnovo del famigerato accordo.
Niger. Tensioni al “Centro Umanitario” di Agadez: arrestati sei attivisti
Molti rifugiati vogliono lasciare il campo dopo l’irruzione della polizia nigerina Dopo mesi di intimidazioni e minacce per fermare la protesta dei rifugiati al Centro Umanitario di Agadez 1, giovedì 21 agosto la polizia nigerina ha fatto irruzione nel campo e arrestato sei persone 2. Si tratta di tre uomini e tre donne: Mohamed Abdullah, Abdullah Hashim, Imad Younis, Zubaida Abdeljabbar, Zahra Daoud Juma, Hoda Musa Mohamed. Tutti erano particolarmente attivi nel movimento autorganizzato che, da settembre scorso, chiede soluzioni alternative al Centro, dove i rifugiati vivono isolati nel deserto, con servizi essenziali carenti, denunciando da mesi la loro condizione. I testimoni affermano che le sei persone arrestate hanno subito abusi da parte della polizia: «Sono stati picchiati e torturati. Una delle donne ha perso conoscenza a causa della violenza delle percosse». Le donne arrestate sono state separate forzatamente dai loro figli. Video Refugees in Niger «Hanno lasciato qui i loro figli e le autorità non hanno permesso loro di portarli con sé. Quando si sono rifiutate di salire in macchina senza i figli, le hanno picchiate brutalmente». Le autorità non hanno reso noto dove hanno trasferito i sei attivisti, ma potrebbero essere state deportate fuori dai confini del Niger 3 . Non è la prima volta che le autorità nigerine usano la forza per reprimere la protesta e i suoi rappresentanti. Le stesse persone erano già state arrestate a maggio, senza accuse formali, per poi essere rilasciate dopo qualche giorno. Il mese scorso, inoltre, una circolare del Ministero dell’Interno del Niger aveva sospeso l’esame delle loro richieste di asilo per “disturbo dell’ordine pubblico e rifiuto di rispettare le leggi e i regolamenti in vigore nel paese ospitante”. È un fatto estremamente grave: l’arresto, la persecuzione di persone e la revoca della possibilità di ricevere protezione solo per aver esercitato il diritto di esprimersi e protestare, senza aver commesso alcun reato. Sulla vicenda si è espressa anche la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i Difensori dei Diritti Umani, Mary Lawlor, che ha commentato: «Sto ricevendo notizie molto preoccupanti riguardo all’arresto e alla detenzione in isolamento di sei attivisti, tutti rifugiati, in rappresaglia per il loro impegno a favore dei diritti dei rifugiati nei pressi di Agadez, in Niger, la scorsa settimana. Chiedo la loro immediata liberazione». Altrettanto grave è il silenzio dell’UNHCR sulla vicenda. L’agenzia, che gestisce il Centro tramite finanziamenti europei – incluso un consistente contributo del Ministero dell’Interno italiano – ha il mandato di proteggere i rifugiati, garantendo anche che i governi ospitanti rispettino il loro status giuridico e i loro diritti. Non è chiaro se e come l’ufficio UNHCR in Niger stia affrontando la situazione, ma finora non una parola è stata spesa pubblicamente né sulle tensioni al Centro né sulla sorte dei sei rifugiati dispersi. Con questo raid nel campo, le autorità nigerine intendono chiaramente scoraggiare il protrarsi della protesta. Finora, però, non ci sono riuscite: la mobilitazione continua con ostinazione e, tra meno di un mese, compirà un anno. Tuttavia, dopo l’irruzione della polizia, la situazione al Centro Umanitario è diventata estremamente tesa. Altre persone temono di essere arrestate: hanno appreso informalmente l’esistenza di una lista di persone sorvegliate dalla polizia. Si respira un clima di paura generalizzata, che colpisce soprattutto i più vulnerabili. «Ora i bambini vivono in un costante stato di paura, al punto da non riuscire a dormire la notte per timore della polizia. Anche solo alla vista di un agente, scoppiano a piangere e corrono dalle madri». Secondo i testimoni, negli ultimi giorni, molte persone hanno lasciato il campo, probabilmente per dirigersi verso i paesi limitrofi: «Il totale disinteresse dell’UNHCR e il mancato adempimento delle proprie responsabilità nei confronti dei rifugiati […] hanno portato a un’ondata di partenze dal centro, soprattutto da parte di famiglie con bambini che vi soggiornavano da molto tempo». Mentre al Centro cresce la tensione e le famiglie vivono nell’incertezza e nella paura, la protesta continua e mette in discussione l’intera logica dei confini chiusi su cui si basa l’impalcatura umanitaria del campo. La retorica che descrive il Niger come un paese accogliente, nonostante le sue difficoltà interne, appare ipocrita e piegata alla volontà dei paesi europei, che spostano sempre più lontano dalle proprie coste il controllo delle frontiere. Non si può fingere che le persone al Centro umanitario di Agadez stiano bene, che abbiano reali opportunità di lavoro e di inserimento sociale. Alle loro legittime richieste viene risposto che il campo non è una prigione e che sono liberi di andarsene. Ma andare dove? Verso paesi vicini che li sfruttano, li respingono o li sottopongono a nuove violenze? Notizie I RIFUGIATI DI AGADEZ LANCIANO UNA PETIZIONE URGENTE DOPO OLTRE 300 GIORNI DI PROTESTA Non possiamo lasciare che tutto questo continui: firma subito e sostieni i rifugiati Laura Morreale 31 Luglio 2025 1. Leggi tutti gli articoli di Laura Morreale sulla vicenda ↩︎ 2. Vedi anche: Niger, “centro umanitario” Agadez & il nuovo stato di polizia, Davide Tommasin (22 agosto 2025) ↩︎ 3. Urgent appeal: refugee human rights defenders arbitrarily arrested in Niger, Refugees in Libya ↩︎
I rifugiati di Agadez lanciano una petizione urgente dopo oltre 300 giorni di protesta
Mentre il governo del Niger intensifica la repressione e viola i diritti dei rifugiati, stare al loro fianco è più importante che mai. Firma e condividi ora 1. Da oltre 300 giorni, i rifugiati del Centro “Umanitario” di Agadez, in Niger, continuano la loro protesta pacifica, denunciando condizioni sempre più dure, negligenza amministrativa e intimidazioni da parte delle autorità nazionali. Dall’inizio di luglio, la maggior parte delle persone ospitate nel centro ha smesso di ricevere l’assistenza alimentare. Secondo l’UNHCR, l’aiuto continuerebbe a essere garantito alle cosiddette “categorie vulnerabili”, come vedove, minori non accompagnati e persone con disabilità o patologie croniche. Ma in pratica, le liste degli aventi diritto, emesse dall’UNHCR, hanno escluso numerose persone che rientrano chiaramente nei criteri dichiarati. Inoltre, chi aveva ricevuto aiuti da ONG partner nel 2023 è stato retroattivamente escluso dai nuovi elenchi. A queste persone, al momento della distribuzione, non era stato comunicato che si trattava di un progetto legato all’integrazione economica, né che quel sostegno avrebbe compromesso la possibilità di ricevere aiuti in futuro. In un comunicato diffuso lo scorso maggio, l’UNHCR ha giustificato i tagli come un’opportunità per “favorire l’autosufficienza” attraverso corsi di formazione professionale. Ma la realtà sul campo è che la maggior parte dei rifugiati oggi fatica a soddisfare i propri bisogni fondamentali.  Interviste/Confini e frontiere MENO CIBO, PIÙ AUTONOMIA? IL PARADOSSO DELL’ASSISTENZA DI UNHCR AL CAMPO DI AGADEZ, NIGER I rifugiati: «Non vogliamo restare qui, nel deserto» Laura Morreale 20 Giugno 2025 L’agenzia ONU attribuisce le difficoltà operative ai tagli dei finanziamenti internazionali e alle restrizioni imposte dal governo del Niger. Tuttavia, alcuni operatori umanitari presenti sul territorio segnalano un contesto sempre più repressivo, che rende difficile persino il dialogo diretto con la popolazione rifugiata. In particolare, lo staff UNHCR ha dovuto affrontare ostacoli e intimidazioni quando ha cercato di dialogare con i rifugiati coinvolti nella protesta. I rifugiati riportano che funzionari dell’Ufficio CNE – l’organismo nazionale incaricato di valutare le richieste d’asilo – hanno impedito o interrotto incontri tra il personale UNHCR e i rappresentanti dei rifugiati. Secondo diverse testimonianze, un funzionario del CNE avrebbe affrontato in modo aggressivo e minaccioso un rappresentante dell’UNHCR responsabile delle politiche nutrizionali nel campo, durante un incontro di routine. Episodi simili fanno pensare che le autorità locali stiano volutamente limitando la capacità dell’UNHCR di comunicare e difendere i diritti dei rifugiati. Notizie/Confini e frontiere GESTIRE IL DISSENSO AD AGADEZ Le autorità nigerine dichiarano sciolti i comitati dei rifugiati Laura Morreale 22 Aprile 2025 Nei giorni scorsi, ad alcuni rifugiati è stato detto di “parlare solo per sé stessi”, perché gli organismi di rappresentanza collettiva sono osteggiati dalle autorità nazionali. A partire da maggio, il CNE ha infatti dichiarato illegittimo il comitato dei rifugiati che guida la protesta. All’epoca, otto attivisti erano stati arrestati senza accuse formali e poi rilasciati. Sei di loro – tre donne e tre uomini – si sono visti sospendere la procedura d’asilo tramite un decreto ministeriale datato 3 luglio, con la motivazione di “disturbo dell’ordine pubblico e rifiuto di rispettare le leggi e i regolamenti in vigore nel paese ospitante”. I tentativi di contestare la decisione sono stati respinti dai giudici, che hanno rinviato i casi all’ufficio del governatore. I rifugiati che hanno cercato di presentare denunce formali sono stati ignorati o dirottati altrove. PH: Refugees in Niger Secondo le persone del centro con cui sono in contatto, altri due rifugiati sarebbero stati deportati verso il loro paese d’origine perché “si erano rivolte al tribunale e avevano parlato con i giudici delle condizioni del centro, del trattamento riservato ai rifugiati da parte del personale e degli incidenti verificatisi nel centro, in particolare l’omicidio di un rifugiato nel 2022”. In un contesto di tagli all’assistenza alimentare, restrizioni alla libertà d’espressione e mancanza di accesso alla giustizia, le condizioni psicologiche dei residenti del centro sono peggiorate. Una rifugiata, Nawal Daoud Mohamed, è stata rilasciata dal centro nonostante fosse noto che soffrisse di disturbi psicologici e ora risulta scomparsa. Il CNE ha riferito che sarebbe apparsa in un villaggio a ottanta chilometri dalla città di Agadez, ma i rifugiati non sanno se l’informazione sia accurata o se si tratti di una strategia per evitare disordini nel campo. Secondo i rifugiati, questo caso è emblematico di una negligenza generalizzata verso il benessere psicologico dei residenti del centro. Secondo i rifugiati, questo caso è emblematico di una negligenza generalizzata verso il benessere psicologico dei residenti del centro. Di seguito, condividiamo il messaggio e la petizione inviataci dai rifugiati di Agadez con cui siamo in contatto da diversi mesi: -------------------------------------------------------------------------------- Grazie a Melting Pot Europa per il sostegno costante e per aver dato visibilità agli abusi in corso ad Agadez. Nonostante la nostra resistenza, e una protesta pacifica e legale che dura da oltre 309 giorni, la situazione è purtroppo peggiorata. Abbiamo bisogno della vostra voce. Vi chiediamo di firmare, condividere e amplificare queste storie, petizioni e testimonianze da Agadez. Enough is enough: when peaceful protest is met with collective punishment Dal 15 luglio 2025, i rifugiati del Centro Umanitario di Agadez hanno vissuto quanto segue: * Nawal Daoud Mohamed, una donna di 27 anni, è scomparsa dopo essere uscita dal campo. Era in stato di grave sofferenza psicologica a causa delle condizioni di vita estreme e disumane del Centro Umanitario di Agadez. * Pompe dell’acqua disattivate nel mese più caldo dell’anno, lasciando 2.000 persone – tra cui 800 bambini – senza acqua adeguata, con temperature nel deserto che superano i 50°C. * Assistenza alimentare eliminata per 1.730 persone come punizione per l’espressione pacifica del dissenso. L’UNHCR lo chiama “promozione dell’autosufficienza”. Il diritto internazionale lo chiama punizione collettiva. Su oltre 2.000 residenti, solo 270 persone classificate come “più vulnerabili” hanno ancora accesso alla nutrizione di base. * Otto leader comunitari, sopravvissuti a una detenzione arbitraria a marzo, oggi affrontano nuove minacce semplicemente perché si rifiutano di restare in silenzio. Il CNE ha intensificato le intimidazioni, avvertendo che lo status di rifugiato potrebbe essere revocato a chiunque continui a documentare le condizioni del centro con la campagna #KeepEyesOnAgadez. * Le cure mediche sono state ridotte al minimo, con farmaci limitati a semplici antidolorifici, mentre donne incinte muoiono durante il parto e i bambini vengono respinti da cliniche chiuse. -------------------------------------------------------------------------------- Non possiamo lasciare che tutto questo continui. Firma ora le petizioni per chiedere il ripristino immediato di cibo, acqua, cure mediche e la fine delle intimidazioni. Ogni firma aumenta la pressione sul governo del Niger e sull’UNHCR. ✍️ Petizione al Governo del Niger ✍️ Petizione all’UNHCR Bastano 5 minuti, ma possono salvare delle vite. Condividi questo appello e tagga 3 persone che hanno a cuore i diritti umani. Quando firmiamo insieme, i funzionari devono ascoltare. 1. ✍️ Petizione al Governo del Niger ✍️ Petizione all’UNHCR ↩︎
Lascio il Niger, non il silenzioso grido dei poveri
CI SONO LUOGHI CHE NON PERMETTONO ALLE FERITE DI RIMARGINARSI COL RISCHIO DI DIMENTICARE IL SILENZIOSO GRIDO DEI POVERI. “EPPURE SOLO IN LORO SCORRE L’UNICA E DECISIVA TRASFORMAZIONE DEL MONDO…”. IN MAGGIO MAURO ARMANINO CI AVEVA ANNUNCIATO CHE AVREBBE LASCIATO IL NIGER, CROCEVIA DI ROTTE MIGRATORIE E UNO DEI PAESI PIÙ IMPOVERITI DEL MONDO, DOVE HA VISSUTO PER QUATTORDICI ANNI: QUESTO IL SUO ULTIMO ARTICOLO DA NIAMEY Unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- Ogni volta mi dico che è l’ultima. L’ultima missione, l’ultimo Paese e l’ultimo popolo da lasciare. La storia si ripete e, senza saperlo o volerlo, cado nella stessa trappola. Si parte per un tempo, si vorrebbe e dovrebbe rimanere per sempre e poi, al solito, si torna. C’è una partenza in senso inverso. Dall’italico occidente al Sahel, dal Porto Antico di Genova alla porzione di Sahel riservata al Niger. Dalla sponda del Mediterraneo alla sponda del Sahara per un viaggio durato quattordici anni e qualche mese. Si passa, nel frattempo, dal Paese stampato sulla cartina geografica e dai confini ben definiti al Paese reale. Le strade, i volti, le storie di sabbia e i nomi di vento si mescolano come solo la polvere sa fare con consumata maestria. Ogni volta mi dico che è l’ultima e, senza capirlo, si recidiva. Fuggitivo, disertore, traditore, mercante, mercenario e allo stesso tempo creatura di sabbia attraversato dall’unica fragilità che accomuna gli umani che si chiama vita. I ricordi delle persone seppellite nel cimitero cristiano di Niamey. Ogni volta lo stesso pensiero che si affaccia alla mente perché una parte di me rimane in quella terra benedetta dalle lacrime di coloro che rimangono. Migranti con un nome imprestato dal destino, bambini che partono ancora prima di aver cominciato il viaggio e alcuni rifugiati che scoprono nella sabbia del camposanto la penultima dimora che, senza saperlo, cercavano. Nelle valigie di ritorno c’è tutto e non c’è nulla di quanto vissuto, amato, tradito e, in questo caso, abbandonato. Si affacciano alla memoria le parole che si avventurano nel deserto. Quanto è cambiato degli occhi e dello sguardo nel frattempo degli avvenimenti che accadono, passano, permangono e sono pronti a riapparire alla prima occasione propizia. Il passato non si accumula ma si seleziona e si organizza nella memoria del vissuto che si scava nei volti che indicano il cammino da seguire. “Se hace camino al andar“, camminando si scopre la via, scriveva Antonio Machado nell’altro millennio di un altro continente. Ci sono infatti ferite che non dovrebbero mai essere guarite perché solo aperte tengono desta l’attenzione ai protagonisti del transito in questo Paese e cioè i poveri. Inventano la storia che nessuno legge e raccontano storie che pochi ascoltano. Eppure proprio e solo in loro scorre l’unica e decisiva trasformazione del mondo. Le centinaia di migranti dalle avventure inverosimili, le comunità cristiane perseguitate, le chiese bruciate, il rapimento e la lunga prigionia dell’amico Pierluigi Maccalli, l’insicurezza per i contadini dei villaggi, il golpe dei militari e la retorica di una sovranità nazionale ad uso e consumo del potere. Le decine di dibattiti pubblici e l’amicizia con alcuni militanti della società civile che non si è fatta espropriare. Il cammino imprevedibile con una comunità di periferia e infine la nostalgia del tempo che, sostengono in molti, è il secondo nome di Dio. Soprattutto però il privilegio di guardare la realtà dal sud, dalla Grande Periferia del mondo. Sono luoghi di verità che non permettono alle ferite di rimarginarsi col rischio di dimenticare il silenzioso grido dei poveri. Si parte dal sud, senza sapere se il net funziona, quando ci sarà prossimo black out, l’appuntamento mancato senza dire nulla, lo stupore della pioggia, gli asini re della strada e i semafori a stagioni coi bambini da ogni parte si cammini e l’eleganza dei poveri nei giorni di festa. Ogni volta mi dico che è l’ultima e allora parto e poi cado nella trappola che la sabbia sapientemente nasconde. Torno soprattutto col NO che l’amico e compagno di viaggio Moussa Tchangari, attore storico della società civile di Niamey, ha ripetuto a chi voleva accaparrarne l’adesione al sistema. Si trova in galera dal 3 dicembre dell’anno scorso con la mani nude e libere di scrivere l’unica parola per la quale si può dare anche la vita. Si tratta della dignità che nessuno potrà rubargli e che, con riconoscenza, ho deposto nel mio bagaglio di ritorno. Niamey, luglio 2025 -------------------------------------------------------------------------------- Operaio in Liguria, prete (presso la Società delle Missioni Africane), antropologo, Mauro Armanino ha vissuto in Costa d’Avorio, Argentina, Liberia. Negli ultimi 14 anni ha lavorato in Niger, a Niamey, nell’accoglienza ai migranti. Nell’archivio di Comune sono leggibili oltre 250 suoi articoli. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Lascio il Niger, non il silenzioso grido dei poveri proviene da Comune-info.