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“IL MINISTRO NORDIO SAPEVA DELL’ARRESTO DI ALMASRI”. IL TRIBUNALE DEI MINISTRI SBUGIARDA IL GOVERNO SUL CASO DEL TORTURATORE LIBICO
Il Tribunale dei ministri rivela che il ministro Nordio era al corrente fin da subito dell’arresto, lo scorso gennaio a Torino, del torturatore di migranti libico Almasri, ricercato dalla Corte penale internazionale. Il Dipartimento dell’amministrazione giudiziaria informò la capo di gabinetto del ministero. La scelta di non consegnarlo a L’Aja fu dunque tutta politica. Il Tribunale deve ora decidere se archiviare o chiedere il rinvio a giudizio per la premier Meloni, il sottosegretario Mantovano, il ministro della Giustizia Nordio e quello dell’Interno Piantedosi. Le accusa ipotizzate vanno dal favoreggiamento al peculato, e — solo per il Guardasigilli — omissione d’atti d’ufficio. Le opposizioni parlamentari attaccano Nordio: “Ha mentito, si dimetta”. Il titolare della Giustizia, infatti, nella sua informativa alla Camera aveva negato di essere al corrente di quanto stava accadendo in quelle ore. “Riferiremo in Parlamento quando sarà il momento, però gli atti che abbiamo smentiscono quello che riportano i giornali”, si difende oggi Nordio. Ai nostri microfoni Nello Scavo, giornalista di Avvenire. Ascolta o scarica.
Anche questa è una guerra dimenticata
-------------------------------------------------------------------------------- “A Tripoli quando c’è bisogno di qualcuno che faccia un lavoro di fatica, si prende con la forza un migrante e lo si costringe a fare gratis qualunque cosa”. A. è un migrante che ha incontrato Baobab Experience, a Roma: al presidio si raccolgono molte storie delle persone in movimento per trasformare i numeri in persone e per dare voce a chi non ha voce. A proposito di Baobab: si cercano “cuochi” per i diversi turni settimanali. Visto che il viaggio di Piantedosi in Libia è stato breve magari potrebbe finalmente rendersi utile -------------------------------------------------------------------------------- Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, avrebbero dovuto effettuare una visita ufficiale in Libia. Una volta atterrati a Bengasi, però, a quanto risulta il governo della Libia orientale li ha bloccati e rimandati indietro, dichiarandoli “persona non grata”. No, non se l’aspettavano di essere respinti…. Eppure per loro è normale respingere a tutti i costi tante persone che cercano una vita migliore, o semplicemente “una vita”. Dicono che vogliono combattere gli scafisti. Che vogliono salvare vite. Ma le vite si salvano solo se si accolgono. Non se si respingono. Non si salvano finanziando chi le sequestra, le tortura, le rivende. In Libia, i migranti che provano a partire vengono presi a forza, rinchiusi, picchiati, violentati, umiliati. Alcuni spariscono. Altri sopravvivono solo per raccontare. Non ci sono processi. Non c’è legge. Ci sono solo uomini armati e gabbie. Questa è la realtà che l’Italia e l’Europa scelgono di ignorare. O, peggio, che finanziano. Con accordi firmati sotto banco. Con motovedette donate. Con fondi mascherati da “cooperazione”. L’Italia, oggi, paga la Libia per fare quello che noi non vogliamo più fare apertamente: fermare le persone prima che arrivino a chiedere aiuto. Chi guida quelle motovedette spesso è stato trafficante ieri, miliziano oggi, torturatore domani. Non importa. Basta che fermi i gommoni. Che li riporti indietro. Che chiuda la bocca a chi grida. Ogni respingimento è una condanna rimandata, un destino che si ripete nel silenzio. Anche questo è un atto di guerra. Una guerra senza bombe né carri armati, ma combattuta ogni giorno contro i corpi e le speranze di chi cerca salvezza. Nel 2023, l’UNHCR ha parlato apertamente di crimini contro l’umanità. I sopravvissuti raccontano celle senza luce, fame, pestaggi, madri che partoriscono tra urla e fango. Ma tutto questo accade con il nostro silenzio, e a volte con il nostro plauso. C’è chi dice: “Meglio lì che qui”. Ma se lì è l’inferno, che cosa stiamo dicendo di noi stessi? Che per la nostra sicurezza, per il nostro sonno tranquillo, possiamo accettare tutto? Anche la disumanità? Anche la morte? No, non si stanno combattendo gli scafisti. Si sta combattendo la speranza. Si sta combattendo la libertà di chi fugge da guerre, fame, persecuzioni. Si stanno punendo esseri umani per il solo fatto di essere nati altrove. Questa è una guerra dimenticata. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE: > Rompere ghettizzazione e invisibilità -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Anche questa è una guerra dimenticata proviene da Comune-info.
“PIANTEDOSI STRINGE LA MANO A UN CRIMINALE LIBICO”: LA DENUNCIA DI MEDITERRANEA DOPO LA VISITA UFFICIALE DI SADDAM HAFTAR A ROMA
“Piantedosi stringe la mano a un criminale libico“. Lo denuncia Mediterranea Saving Humans dopo la visita ufficiale di Saddam Haftar, mercoledì 11 giugno 2025, al Ministro dell’Inteno italiano Matteo Piantedosi. “Il figlio del generale Khalifa Haftar, Saddam Haftar – spiega il comunicato di Mediterranea – è a capo della famigerata brigata Tarek Ben Zayed, dotata tra le altre cose di un supply vessel con il quale opera catture di profughi in mare e li deporta nei lager della Cirenaica. Anche la giustizia statunitense lo cerca dal maggio di quest’anno: è accusato di rapimenti, omicidi, deportazioni di massa anche nei confronti di cittadini libici. È inoltre segnalato dalle Nazioni Unite come uno dei più influenti trafficanti libici“. “La Libia – denuncia Mediterranea – è consegnata nelle mani di questi capi mafia, da governi senza scrupoli che pur di ottenere il ‘blocco degli sbarchi’ da poter rivendere nella campagna elettorale permanente, sono disposti a sacrificare i principi e i valori di rispetto dei diritti e della dignità umana. Le mani che ha stretto Piantedosi, sono sporche di sangue innocente“. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto è intervenuta Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Humans. Ascolta o scarica. Qui il comunicato integrale di MSH.
RADIO AFRICA: I (TANTI) IMPERIALISMI CHE COLPISCONO IL CONTINENTE E LE “TRACCE COLONIALI” DELLA REPRESSIONE ANTILIBICA A USTICA
Radio Africa: nuova puntata, lunedì 26 maggio 2025, per l’approfondimento quindicinale dedicato all’Africa sulle frequenze di Radio Onda d’Urto, dentro la Cassetta degli Attrezzi. In questi 30 minuti ci occupiamo di: * Imperialism(i): le tante mani sull’Africa. Il punto della situazione sulle influenze e le intromissioni di Usa, Russia, Cina e paesi del Golfo (Emirati Arabi in testa) tra Sudafrica, Burkina Faso (e l’intera fascia subsahariana), Sudan con Cornelia Toelgyes, vicedirettrice di www.africa-express.info  * Tracce coloniali: il viaggio a Ustica di un folto gruppo di realtà della società civile italiana, per rendere omaggio agli oppositori libici alla colonizzazione italiana deportati nelle piccole isole. Pochi giorni fa la visita al cosiddetto “Cimitero degli arabi” per ricordare una storia, ancora oggi sconosciuta, iniziata nel 1911 quando, dopo la sconfitta di Shara Shatt, in Libia, l’occupante italiano rispose con una “caccia all’arabo” e l’esecuzione sommaria di migliaia di persone. Altre, forse 4000, furono frettolosamente imbarcate senza processo per Favignana, le Tremiti, Gaeta e soprattutto Ustica. Le deportazioni continuarono negli anni seguenti, senza soluzione di continuità tra l’Italia “liberale” e quella fascista, fino ad almeno il 1934.  La puntata di Radio Africa, su Radio Onda d’Urto, andata in onda lunedì 26 maggio 2025 alle ore 18.45 (in replica martedì 27 maggio, alle ore 6.30) con Cornelia Toelgyes, vicedirettrice di www.africa-express.info e con  Fabio Alberti fondatore e presidente onorario di Un ponte per tra le realtà organizzatrici dell’appuntamento di Ustica, tenutosi pochi giorni fa. Ascolta o scarica
Decreto Piantedosi, domani l’udienza alla Corte Costituzionale
La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Brindisi grazie al ricorso di SOS MEDITERRANEE contro il fermo amministrativo del 9 febbraio 2024, a seguito dello sbarco di 261 sopravvissuti nel porto salentino. Il fermo era stato motivato in base alle false accuse mosse dalle autorità marittime libiche. In discussione al Palazzo della Consulta l’intero impianto di una legge ingiusta, discriminatoria e punitiva.  Si svolgerà domani l’udienza nel corso della quale la Corte Costituzionale sarà chiamata a valutare la costituzionalità del Decreto-legge 1/2023 poi convertito in legge n° 15/2023: il cosiddetto Decreto Piantedosi. La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Brindisi, nell’ambito del giudizio dovuto al ricorso con il quale SOS MEDITERRANEE aveva contestato il fermo amministrativo alla nave Ocean Viking il 9 febbraio 2024. «Qualunque sia la decisione della Corte – spiega la direttrice di SOS MEDITERRANEE Italia Valeria Taurino – quella di domani è già una giornata storica: di fronte ai tentativi di questo governo di aggirare con leggi ingiuste il diritto internazionale, quello umanitario e, soprattutto, i doveri di umanità, il fatto di essere di fronte alla più Alta Corte del Paese dimostra in modo inequivocabile che lo Stato di Diritto non è scavalcabile. Soccorrere chi è in pericolo di vita è un diritto e un dovere, e sta a chi vorrebbe rovesciare questo principio inviolabile dimostrare che così non è, non certo a chi, animato da spirito umanitario, è in mare per provare a salvare vite umane. Del resto, già nell’accoglimento della nostra richiesta di sospensione del fermo, il Tribunale di Brindisi aveva sottolineato come le nostre attività di ricerca e soccorso siano ‘di per sé meritevoli’ di tutela istituzionale.». I legali di SOS MEDITERRANEE Dario Belluccio e Francesca Cancellaro ribadiranno, davanti ai giudici della Suprema Corte, quanto già aveva convinto il Tribunale Brindisino a richiede l’intervento del Palazzo della Consulta. Secondo i legali dell’associazione, infatti, è in gioco un principio giuridico fondamentale: “Non può essere sanzionata una condotta che è finalizzata a salvare la vita di altri”. Oltre a questo, gli avvocati che rappresentano la ONG contesteranno diversi elementi di dubbia costituzionalità nel decreto Piantedosi. Le principali questioni riguardano: Il principio di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione. “Il principio di proporzionalità dovrebbe sempre guidare le decisioni del legislatore quando si tratta di limitare i diritti fondamentali”, avevano dichiarato gli avvocati nell’udienza che ha avuto luogo nell’ottobre 2024. “In questo caso, sono in gioco diritti fondamentali, sia per coloro che sono colpiti dalla sanzione prevista dalla legge, come le navi di soccorso, sia per i naufraghi stessi. La detenzione della nave rappresenta una sanzione che inibisce le attività di salvataggio e quindi impedisce l’accesso ai diritti fondamentali delle persone in pericolo in mare.” Il principio di determinatezza. Questo principio è incrinato dal fatto che il decreto subordina l’accertamento della condotta illecita della Ocean Viking alle valutazioni delle autorità di uno Stato terzo, in questo caso la Libia.  Inoltre, il team legale di SOS MEDITERRANEE sostiene che la legge è così vaga da obbligare la ONG di ricerca e soccorso a rispettare qualsiasi indicazione, anche se provenienti da autorità appartenenti ad altri Stati come la Libia: dal punto di vista legale quindi la sanzione dell’Italia alla Ocean Viking -una nave battente bandiera norvegese e in acque internazionali – per non aver rispettato le indicazioni delle autorità libiche è ampiamente discutibile. I giudici della Corte Costituzionale sono dunque chiamati a esprimersi principalmente su questi rilievi sollevati dal giudice di merito, che mettono in dubbio non soltanto singole previsioni legislative ma l’intero impianto di una legge ingiusta, discriminatoria e punitiva.       Redazione Italia
Gaza L’esercito israeliano ha attaccato all’alba di oggi l’ospedale Nasser di Khan Younis. È l’ultimo ospedale semi-funzionante nel sud di Gaza. È stato colpito il reparto di chirurgia. Sono stati uccisi due malati e feriti diversi operatori sanitari. In un successivo attacco con droni contro l’ospedale è stato preso di mira il giornalista Hassan Eslaiah, che stava ricevendo le cure per le ferite subite in un precedente attacco. Nella giornata di ieri sono arrivati negli ospedali di Gaza i corpi di 33 uccisi e 94 feriti. Il ricercato per crimini di guerra Netanyahu ha dichiarato: “stiamo distruggendo sempre più case a Gaza”. E quindi i palestinesi “non hanno più un posto dove tornare”. Il criminale di guerra lo ha detto in un intervento a porte chiuse alla Commissione Affari Esteri e Difesa del parlamento israeliano. Secondo Queste rivelazioni la conseguenza più ovvia dell’offensiva militare sulla Striscia è che “i cittadini di Gaza sceglieranno di emigrare fuori dalla loro terra. Ma il problema principale è trovare paesi che li accolgano”. Deportazione forzata. Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, ha affermato che António Guterres è preoccupato per i risultati pubblicati, che indicano che una persona su cinque a Gaza rischia la carestia, mentre l’intera popolazione si trova ad affrontare elevati livelli di insicurezza alimentare acuta e il rischio di carestia. Un comunicato stampa congiunto del Programma Alimentare Mondiale e del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) ha lanciato l’allarme: il rischio di carestia minaccia tutte le zone di Gaza. Nella dichiarazione si afferma che la fame e la malnutrizione sono peggiorate notevolmente da quando, il 2 marzo, sono stati vietati tutti gli aiuti. Viene sottolineato che le famiglie di Gaza stanno morendo di fame e che il cibo di cui hanno bisogno è bloccato al confine. Infatti, ci sono più di 116.000 tonnellate di aiuti alimentari, sufficienti a sfamare un milione di persone per un massimo di quattro mesi, pronti per essere inviati attraverso i corridoi degli aiuti. Liberazione di ostaggio L’ala militare di Hamas, Brigate Qassam, ha consegnato agli operatori della Croce Rossa internazionale l’ostaggio con cittadinanza americana e israeliana Idan Alexander, 21 anni. La consegna è avvenuta a nord della città di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza meridionale. È il primo soldato dell’esercito israeliano, maschio e in vita, catturato il 7 ottobre 2023, ad essere liberato. La prima foto scattata durante la consegna a fianco dei miliziani di Hamas e della rappresentante della CRI mostra il giovane in buone condizioni. Secondo la famiglia, Alexander ha rifiutato di incontrare Netanyahu e si recherà in Qatar per essere ricevuto da Trump e dall’emiro Tamim. La trattativa per la sua liberazione è avvenuta direttamente in Qatar tra funzionari USA esponenti di Hamas. Uno smacco per il governo Netanyahu che si trova ad affrontare una critica delle famiglie degli ostaggi israeliani per non aver fatto nulla per la liberazione dei loro cari. Subito dopo il rilascio, Tel Aviv ha mandato una delegazione a Doha per riprendere le trattative indirette con Hamas. Il gesto di Hamas, compiuto su suggerimento dei paesi arabi mediatori, Egitto e Qatar, dovrebbe attenuare il blocco degli aiuti alimentari alla popolazione di Gaza con l’apertura di un valico sotto il controllo degli Stati Uniti. In un comunicato, il movimento palestinese afferma: “Confermiamo la volontà di avviare immediatamente i negoziati per raggiungere un accordo globale per un cessate il fuoco duraturo e invitiamo l’amministrazione Trump a proseguire i suoi sforzi per porre fine alla guerra”. Giornalisti nel mirino L’esercito israeliano ha rivendicato l’assassinio del giornalista Hassan Eslaiah. Un attacco con i droni contro il complesso ospedaliero Nasser, di Khan Younis, lo ha colpito con un missile mentre era sul letto d’ospedale per ricevere le cure di un precedente attacco. Il nome di Hassan è noto alle cronache perché il 7 ottobre 2023, da freelance per l’Associated Press, aveva scattato foto di un carro armato in fiamme al confine con Gaza. Il mese scorso, le truppe israeliane di invasione avevano preso di mira Eslaiah, con un attacco aereo, ma lui era riuscito a salvarsi. È il 213esimo giornalista palestinese ucciso da Israele a Gaza. Libia Scontri a Tripoli. Il capo miliziano Abdel Ghani al-Kikli è stato assassinato ieri sera a Tripoli, capitale della Libia: era accusato di esecuzioni extragiudiziali, torture e gravi violazioni dei diritti umani. Nonostante ciò, lo scorso marzo aveva potuto raggiungere indisturbato l’Italia. È stata una dura giornata per la popolazione della capitale libica con ore di scontri tra milizie governative con armi di artiglieria pesante in mezzo alle case. Soltanto in tarda serata, le forze fedeli al premier Dbeiba sono riuscite a prendere il controllo della situazione, ma è stato raccomandato alla popolazione di rimanere a casa. ANBAMED
Testimoni
-------------------------------------------------------------------------------- Foto di Mediterranea -------------------------------------------------------------------------------- Martedì sera 6 maggio ricevo un messaggio da David, mio compagno e fratello della rete RefugeesinLibya. “Bro, guarda”. È un video. Una donna con in braccio un bimbo, accovacciata in un androne lurido, la luce scarsa. Sussurra quasi, in una lingua che non conosco. Si vede un’altra ragazza vicino a lei, distesa a terra. David mi scrive. “È chiusa nel lager di Almasri, con lei tante altre mamme con i bambini. Le hanno catturate in mare, hanno fatto dei morti. Adesso le chiedono il riscatto”. Il 2 maggio, di mattina presto, Fatima con il suo bambino, insieme alla sorella Rakuya, più giovane di lei, sale sul barcone di legno ancorato a cento metri dal bagnasciuga della spiaggia di Sabratha. Provo a immaginare quello che nel messaggio non è scritto. Ha dovuto tenere il bambino in alto, sollevarlo con le braccia sopra l’acqua del mare, mentre i miliziani che gestiscono il business dei viaggi, spingevano la gente avanti, ordinando di fare in fretta. 130, 140 persone per un vecchio peschereccio di legno, a due ponti, dove alla fine, dalla stiva al tetto della plancia, non c’è più posto nemmeno per uno spillo. Quelli in stiva devono premersi sulla faccia dei panni bagnati: il fumo del vecchio motore diesel fa soffocare. È un paradosso quel motore: se i suoi pistoni continuano a martellare, il fumo ti fa morire lì dentro. Se si ferma, e l’aria può finalmente entrarti nei polmoni senza ucciderti, si ferma anche la pompa di sentina, che è quella che butta fuori l’acqua altrimenti, pieno così, il barcone affonda. David dice che loro, Fatima e sua sorella, sono profughe etiopi. Guardo il bimbo nel video: avrà un anno. È nato in Libia. La traduzione delle parole di Fatima la fanno tre persone diverse, che parlano altrettante varianti dell’amarico, la lingua ufficiale. Ma magari è tigrino o oromiffa. In Etiopia si parlano ottanta lingue e duecento dialetti diversi. “Aiutateci, siamo all’inferno”. Appena dopo un’ora dalla partenza, i miliziani stavolta in versione “guardia costiera”, hanno assaltato il barcone pieno di gente. Hanno sparato raffiche di mitra. Qualcuno è morto subito, colpito direttamente. Quando sei ammassato in quella maniera, dove scappi? Dove ti ripari? Solo dietro ad altri corpi, se sei fortunato e quello davanti a te è sfortunato. I colpi di mitra passano lo scafo, e incendiano il motore. “Una ragazza è morta bruciata davanti a noi”, dice Fatima nel video. Ritorno a immaginare. Un’ora di navigazione, con un barcone come quello che massimo fa sei nodi, significa che li hanno catturati a sei miglia dalla costa. Acque libiche. Gli stessi che si sono fatti dare i soldi per il viaggio, li hanno venduti ai loro compari. Un sistema criminale come quello del “controllo delle frontiere” ben congegnato. Questi banditi hanno ben compreso il concetto di “massimizzazione dei profitti e minimizzazione del rischio”. Grazie ai finanziamenti del memorandum Italia-Libia, e ai tanti viaggi del Falcon dei servizi segreti carico appunto di “servizi” da rendere ai signorotti della guerra libici, in otto anni gli “scafisti del globo terraqueo” si sono presi il governo libico. Hanno puntato agli apparati di sicurezza: ministero degli interni, polizia, marina militare e guardia costiera. Organizzano le partenze forti del fatto che non esistono vie legali per un profugo, per una madre con suo figlio, di lasciare la Libia verso l’Europa. I corridoi umanitari, che per fortuna esistono ma solo grazie all’impegno della Chiesa, dei Valdesi e dell’Arci, equivalgono a svuotare il mare con un cucchiaio. L’Unione Europea, codarda in questo come in tutto il resto, è solo passacarte di chi ha preso l’iniziativa, e cioè la premier dell’Italia. Che nonostante l’Onu, nonostante la Corte Penale internazionale e nonostante quello che tutti sanno, ha deciso di caratterizzare il suo “impegno” a dare la caccia agli “scafisti del globo terraqueo”, riempiendo di milioni di euro i loro capi. D’altronde, a chi importano le vite di quelle madri, di quei bambini? Come dice Piantedosi, l’importante è che non partano. Fatima e Rakuya sono registrate da UNHCR. Da anni. Come la stragrande maggioranza. Hanno la certificazione da asilo immediato, venendo dall’Etiopia. Eppure niente. Con David riusciamo, dopo molti tentativi, a prendere di nuovo la linea. Parliamo con Rakuya, che ci spiega nel dettaglio. Quella che vediamo nel video distesa a terra, è una ragazza che è morta. Il giorno dopo, ci dice Rakuya, è morto anche un bimbo piccolo, che aveva bevuto molta acqua in mare. Li hanno assaltati sparando, hanno catturato i sopravvissuti e li hanno portati nel lager di “Osama”. Osama è il nome con il quale è conosciuto Almasri, il protetto del governo italiano, che è “capo della polizia giudiziaria libica” e “direttore del Al-Nasr Detention Center”, il lager di Zawhija, cinquanta chilometri a nordovest di Tripoli. Ci facciamo mandare la posizione. Risulta da Google maps, è quello. Il telefono con il quale ci hanno chiamato da quella prigione, è l’unico che sono riusciti a tenersi, nascondendolo. I miliziani è la prima cosa che fanno: spogliano tutti e tutte nudi, e sequestrano i telefoni: l’addestramento gli ha insegnato che non devono rimanere tracce dei loro crimini. A volte sono distratti, qualcuno gli sfugge. Hanno comunicato agli internati che vogliono 6.000 dinari a testa per farli uscire da lì. Ora non immagino più niente. La mia mente si rifiuta di pensare cosa faranno alle donne adesso. Cosa faranno agli uomini. Cosa faranno ai bambini. Mandiamo tutto alla Corte Penale Internazionale. È questo il motivo per cui, per il governo italiano, siamo un “pericolo per la sicurezza nazionale”. Per questo i servizi segreti ci spiano. In Libia non vogliono testimoni. E nemmeno qui. Hanno ricevuto lo stesso addestramento si vede. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTA NOTIZIA DI MEDITERRANEA S.H.: Uccisioni in mare ad opera della cosiddetta guardia costiera libica e gli orrori nel lager di Almasri, protetto dal governo italiano -------------------------------------------------------------------------------- Luca Casarini, Mediterranea Saving Humans -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Testimoni proviene da Comune-info.
ROMA: “SABOTARE LA GUERRA NON È REATO”, EXTINCTION REBELLION OCCUPA LA FABBRICA ARMIERA LEONARDO
Azione di Extinction Rebellion a Roma presso la sede dell’azienda armiera Leonardo: martedì 29 aprile, verso le ore 12.30, lo stabilimento sulla Tiburtina è stato occupato da oltre un centinaio di persone. Il movimento ha esposto diversi striscioni sui quali era scritto “Leonardo complice”, “Partigiane per il clima, non per le vostre guerre” e ancora “Sabotare la guerra non è reato”. La manifestazione è un atto di denuncia della complicità della Leonardo, azienda armiera partecipata dallo Stato, e del governo italiano nel genocidio in corso in Palestina. Deferita anche la complicità dell’Italia e dell’azienda con la Guardia costiera libica. Infine è stato chiesto all’azienda di convertire la produzione da ambito militare a civile, senza penalizzare lavoratrici e lavoratori. In collegamento con Radio Onda d’Urto durante l’azione, Laura, attivista di Extinction Rebellion, ci ha raccontato l’azione: “ci siamo arrampicate prima su una struttura poi su un albero grazie a delle corde e ad altri strumenti, calato delle bandiere di Exintion Ribellion e alcuni striscioni mentre le altre attiviste sotto facevano canti, cori, balli e abbastanza rumore da attirare molto presto le forze dell’ordine che quindi sono arrivate”. Francesco, attivista di Extinction Rebellion, ha riportato il successo dell’iniziativa affermando che “abbiamo fatto valere i nostri diritti costituzionali di manifestare. Ci siamo fatti identificare, in questo modo la polizia non ha avuto nessuna ragione di portarci in Questura” come già successo dopo alcune proteste, quando attivisti e attiviste di Extinction Rebellion sono state portati in caserma e fermate per ore. Per esempio com’era successo a Brescia durante un’azione simile: erano stati sequestrati per ore dalla Questura, dove avevano anche subito perquisizioni degradanti. “È stato subito chiaro che stavamo avendo un grosso riscontro perché anche le persone delle aziende vicine sono uscite, ci hanno guardato, ci hanno inneggiato. Anche dalla Leonardo si sono affacciate lavoratrici e lavoratori. Siamo riusciti a volantinare, poi dalla Leonardo è arrivata la proposta di incontrarci ed ascoltare le nostre richieste che sono quelle di smettere immediatamente di vendere armi per il genocidio che sta avvenendo in Palestina, così come alla Guardia costiera libica e in tutti i contesti simili e di riconvertire l’azienda da ambito militare ad ambito civile senza però penalizzare i lavoratori. In realtà quando abbiamo riferito quali erano le nostre richieste, le modalità nelle quali ci sentivamo sicure, quindi che questo fosse registrato, che si potesse filmare, quello che è apparso ovvio, in realtà, è che l’unico obiettivo fosse quello di farci andare via sulle nostre gambe”. Dopo l’azione alla Leonardo, attiviste e attivisti sono partiti in corteo per le vie di Roma. Il collegamento nel momento in cui attivisti e attiviste stavano per uscire dalla Leonardo in corteo per le vie di Roma con Laura Extinction Rebellion Brescia e Francesco di Extinction Rebellion Milano. Ascolta o scarica
Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, in dieci anni 28.000 vittime nel Mediterraneo
Il Mediterraneo centrale si conferma la rotta migratoria più letale al mondo, con migliaia di persone che ogni anno rischiano la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), come si legge nel nuovo report interattivo “Missing Migrants and Countries in Crisis”, dal 2014 ad oggi sono morte o scomparse oltre 28mila persone nel “mare nostrum”, di cui la maggior parte proprio nel tratto che separa la Libia dall’Italia, ovvero il Mediterraneo centrale. La risposta? Uno sforzo coordinato e umanitario, secondo gli esperti dell’agenzia delle Nazioni Unite. Cause di morte delle persone in movimento in tutto il mondo: più della metà annegano I numeri della tragedia: oltre 28mila vittime del Mediterraneo centrale Il report IOM evidenzia che dal 2014 ad oggi sono state registrati oltre 28mila tra morti e dispersi lungo le principali rotte migratorie verso l’Europa. Di questi, oltre 20mila decessi sono avvenuti nel Mediterraneo centrale, la rotta più letale al mondo. Solo nel 2023, oltre 2.500 persone sono morte nel tentativo di attraversare il mare, un dato che sottolinea come la situazione stia peggiorando anno dopo anno. Questi numeri, purtroppo, sono destinati a essere sottostimati, in quanto non tutti i naufragi vengono registrati, a causa dell’impossibilità del monitoraggio delle acque e della mancanza di un sistema di soccorso efficiente. La tragica realtà è che molte persone muoiono non a causa delle difficoltà del viaggio, ma a causa dell’assenza di soccorsi in tempo utile. Centinaia, anche migliaia potrebbero essere i “naufragi invisibili”, di cui non si ha alcuna notizia. I numeri, dice l’OIM, sono “immensamente sottostimati”. Luoghi dove muoiono le persone in movimento: al primo posto c’è la Libia Le cause principali della migrazione: guerre, povertà e disastri climatici Oltre ai numeri, il report esplora anche le cause profonde che spingono le persone a intraprendere viaggi così pericolosi. Conflitti armati, instabilità politica e disastri climatici sono tra i fattori principali. Paesi come la Libia, il Sudan, lo Yemen e l’Afghanistan sono i principali Paesi di origine per i migranti diretti verso l’Europa, ma anche le difficoltà economiche e le carestie in Africa sub-sahariana stanno accelerando l’emigrazione. L’IOM sottolinea che i migranti sono sempre più vulnerabili, con migliaia di persone costrette a fuggire da conflitti e violazioni dei diritti umani, senza alcuna garanzia di protezione lungo il loro cammino. Conclusioni: la necessità di un soccorso in mare coordinato e di vie legali per i migranti Il report dell’IOM si conclude con un appello agli Stati per garantire la sicurezza delle persone in transito, nel rispetto degli obblighi internazionali. L’assenza di vie legali sicure per l’ingresso in Europa è – secondo l’OIM – un fattore che costringe i migranti a rischiare la vita attraversando rotte pericolose e affidandosi ai trafficanti. L’IOM richiede anche una risposta più umanitaria e coordinata da parte degli Stati, con l’obiettivo di proteggere i migranti e salvare vite umane. Taurino: “Nel Mediterraneo le Ong sono l’unica risposta umanitaria a una crisi senza fine” “Sono le Ong come SOS MEDITERRANEE a colmare il vuoto colpevolmente lasciato dagli Stati, e il report dell’Oim implicitamente lo conferma” – dichiara Valeria Taurino, direttrice generale di SOS MEDITERRANEE Italia. “Da anni denunciamo la mancanza di coordinamento e il vuoto di soccorsi con cui gli Stati europei e l’Italia, volutamente, creano una barriera e una cortina di silenzio, venendo meno agli obblighi dettati dal diritto marittimo internazionale ma, prima ancora, dai doveri di umanità”. “Purtroppo – continua Taurino – sappiamo già che questo report sarà ignorato da una classe dirigente europea che ha deciso di farsi sorda al grido che proviene dal nostro mare, ma ci auguriamo che questo dolore sia invece ascoltato da sempre più persone nella società civile che rifiutano di perdere la propria umanità”. Redazione Italia
#libia L’Italia addestrerà i piloti militari libici L’accordo prevede la partecipazione del personale dello Stato nordafricano ai corsi di addestramento presso il 70° Stormo di stanza a #Latina e presso il 61° Stormo di #Galatina (Lecce) #aeronautica https://pagineesteri.it/2025/04/22/africa/litalia-addestrera-i-piloti-militari-libici/?fbclid=IwY2xjawJ0CnFleHRuA2FlbQIxMQBicmlkETBmWjlBYUUxUWlFZ2FvSnNuAR5pW9eIu0kbSRHIgDToV80L6N7D8iU2NHu8heemf-00lvQRV4J58jF6r3U4VA_aem_bcjDoxDid6Z-Q6RBfCRqMQ