Tag - Libia

Justice Fleet Alliance: le ONG del Mediterraneo interrompono i contatti con Tripoli
Il 5 novembre 2025 a Bruxelles la Justice Fleet Alliance ha tenuto la sua prima conferenza stampa congiunta, trasmessa in diretta streaming. Le organizzazioni coinvolte hanno annunciato una decisione storica: sospendere ogni comunicazione operativa con il JRCC (Joint Rescue Coordination Centre) libico. Dopo anni di violazioni dei diritti umani da parte delle autorità libiche, le organizzazioni non governative di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale hanno creato una “coalizione per la giustizia”, con il supporto del Centro europeo per i diritti costituzionali e umani e di Refugees in Libya. «Dieci anni dopo l’estate della migrazione, stiamo fondando la Justice Fleet. I nostri obiettivi? Lottare insieme contro i crimini di Stato. Vogliamo creare pressione pubblica e legale per realizzare un cambiamento politico 1» Durante la conferenza, i partner coinvolti sono intervenuti in merito ai fondamenti legali e morali della decisione e alle richieste rivolte ai policy makers europei: SEA-WATCH: COS’È LA JUSTICE FLEET E QUAL’È IL SUO BACKGROUND L’Unione Europea, nel tentativo di bloccare le traversate nel Mediterraneo, si rende complice di crimini contro l’umanità e ostacola la società civile impegnata nei soccorsi, criminalizzandola e diffamandola. In risposta a queste violazioni sistematiche, tredici organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e del diritto marittimo internazionale si sono unite per dare vita alla Justice Fleet, la più grande alleanza civile di organizzazioni di ricerca e soccorso in mare. «È una risposta alla coercizione degli Stati europei a comunicare con le milizie libiche, autori di quotidiane violenze in mare e in opposizione al rinnovo tacito del Memorandum d’Intesa Italia-Libia. 2» Alliance Members (Germania, Francia, Italia e Spagna) CompassCollective – Louise Michel – Mediterranea Saving Humans – Mission Lifeline – Pilotes Volontaires – RESQSHIP – r42-Sail And Rescue – Salvamento Marítimo Humanitario – Sea-Eye – SEA PUNKS – Sea-Watch – SOS Humanity – Tutti gli Occhi sul Mediterraneo La campagna della Justice Fleet Alliance nasce dopo che la nave civile Mediterranea, di Mediterranea Saving Humans, il 4 novembre 2025 ha sbarcato a Porto Empedocle 92 persone soccorse, rifiutando il porto assegnato di Livorno, distante oltre 1.200 km e quattro giorni di navigazione. Notizie/In mare «ABBIAMO AGITO PER SALVARE VITE»: SBARCATE LE 92 PERSONE SOCCORSE DA MEDITERRANEA Lo Stato minaccia nuove sanzioni per aver scelto Porto Empedocle Redazione 5 Novembre 2025 L’equipaggio ha disobbedito agli ordini illegittimi del Governo italiano, agendo in “stato di necessità” (art. 54 c.p.), nel pieno rispetto del diritto marittimo nazionale e internazionale, a tutela dei diritti fondamentali della vita e della dignità delle persone soccorse, giudicate dal medico di bordo non idonee a ulteriori giorni di navigazione. Per questa decisione la nave è stata bloccata e il comandante ha ricevuto una contestazione per presunta violazione del Decreto Piantedosi per “non aver raggiunto senza ritardo il porto di sbarco assegnato”. L’episodio evidenzia la volontà del Governo di ostacolare il soccorso civile, inumana ossessione che guida l’imposizione di norme che mettono a rischio la vita delle persone. «Lo spirito con cui la nave ha agito è lo spirito che anima la Justice Fleet e per questo esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Mediterranea 3» L’obiettivo della Justice Fleet è quello di unire azioni legali, politiche e comunicative per rafforzare le reti di solidarietà nei confronti delle persone in movimento, soprattutto quelle bloccate in Libia. L’alleanza si prefigge di sostenere i soccorsi, contrastare respingimenti illegali, repressione e criminalizzazione delle ONG, opponendosi alle politiche di morte europee che, in nome della sicurezza delle frontiere, impediscono i salvataggi ledendo i diritti umani. COMPASS COLLECTIVE: SULL’ILLEGITTIMITÀ DEL CENTRO DI COORDINAMENTO DEI SOCCORSI IN LIBIA Dall’istituzione di una zona SAR libica nel 2018 e la successiva creazione di un centro di coordinamento dei soccorsi associato a Tripoli, viene esercitata una pressione crescente sulle ONG affinché comunichino con le autorità libiche. Tuttavia, la cosiddetta Guardia Costiera Libica è in realtà una rete di milizie armate che, invece di soccorrere, rapisce le persone durante l’attraversata, perpetrando violenze sistematiche. Non disponendo di un governo centrale, questa rete è stata addestrata e finanziata dall’UE nell’ambito delle politiche di “controllo della migrazione”. Il JRCC di Tripoli non rispetta gli standard stabiliti dall’Organizzazione marittima internazionale previsti nelle convenzioni SOLAS e SAR: non è operativo 24 ore su 24, manca di capacità linguistiche e infrastrutture tecniche adeguate. Le azioni violente che mettono in atto in mare non possono ovviamente essere considerate salvataggi, ma costituiscono la prima linea di un sistema di crimini istituzionalizzato. Anche le Corti europee – da quelle italiane a quella dei diritti dell’uomo – hanno confermato che i respingimenti verso la Libia violano il diritto internazionale. Nel marzo 2024, dopo un salvataggio coordinato dalla Humanity 1 e il fermo imposto alla nave, il Tribunale di Crotone ha revocato il provvedimento, stabilendo 4 che la “guardia costiera libica” e il JRCC non sono autorità legittimate al soccorso. La Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la decisione nel giugno successivo, ribadendo che la Libia non è un porto sicuro e che le ONG agiscono nel rispetto del diritto internazionale. L’8 luglio 2025, in riferimento al caso Ocean Viking 5, la Corte costituzionale italiana ha precisato che i comandanti devono seguire solo istruzioni legittime e conformi alle norme di soccorso in mare: ordini che mettono in pericolo vite umane non sono vincolanti e la loro disobbedienza non è punibile. Ne deriva che le istruzioni della “guardia costiera libica” non sono mai legittime: «Seguire le loro istruzioni illegali è contro il diritto internazionale. […] Quindi la decisione della Justice Fleet di sospendere tutte le comunicazioni operative con le autorità marittime libiche non è solo moralmente giusta, ma è giuridicamente necessaria 6». In linea con le decisioni giudiziarie, la Justice Fleet Alliance rifiuta quindi ogni collaborazione con la Libia, considerata un “attore illegittimo in mare”, garantendo che il dovere di soccorso non si trasformi in complicità con crimini politici. La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare impone a ogni comandante di soccorrere chi è in pericolo e di garantirne lo sbarco in un luogo sicuro, indipendentemente da nazionalità o status. La Libia, priva di un sistema d’asilo e responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, non può essere considerata un luogo che soddisfa gli standard. Ne consegue che portare i naufraghi in Libia è illegale e, di fatto, nel momento in cui le autorità italiane ed europee ordinano alle ONG di coordinarsi con le unità libiche, chiedono loro di commettere un illecito. Obbedire significherebbe rendersi complici di un sistema criminale, e il rifiuto non è una sfida ma un atto di rispetto del diritto internazionale. «La Justice Fleet oggi sta tracciando un’importante linea giuridica e morale secondo cui la vita umana viene prima degli ordini. 7» CENTRO EUROPEO PER I DIRITTI COSTITUZIONALI E UMANI: SUI CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ NEL MAR MEDITERRANEO E SULLA TERRAFERMA DA PARTE DI ATTORI LIBICI La Libia non può essere considerata un “place of safety”: rapporti internazionali documentano torture, abusi, schiavitù, stupri e lavoro forzato all’interno di campi dove le persone in movimento vengono imprigionate 8. Le autorità marittime libiche e le milizie affiliate, incluse la cosiddetta Guardia costiera, il JRCC di Tripoli e gruppi come la brigata TBZ 9, hanno abitualmente fatto ricorso alle armi e a manovre calcolate per mettere in pericolo le persone in mare. Per ragioni politiche, le persone intercettate vengono riportate con la forza in Libia e rinchiuse in prigioni gestite da agenzie statali, milizie e attori privati, dando vita a un sistema detentivo divenuto altamente redditizio. Dal 2011 questo sistema è parte dell’economia del conflitto libico, ulteriormente rafforzata nel 2016 dalle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere, che hanno rimodellato quest’industria della detenzione contribuendo alla creazione di una struttura transnazionale di contenimento che si traduce in crimini contro l’umanità. «È importante notare che ciò che sta accadendo nel Mediterraneo non è una crisi umanitaria o un fallimento della governance, ma un sistema deliberato di violenza organizzata 10» Il 27 marzo 2023, la missione di inchiesta delle Nazioni Unite (NU) sulla Libia ha dichiarato:  «L’UE e i suoi Stati membri sostengono la cosiddetta guardia costiera libica […]; in questo modo, contribuiscono al sequestro illegale di rifugiati in mare e alla detenzione illegittima 11.» Nella stessa indagine, le NU classificano le intercettazioni e i respingimenti in mare come equivalenti alla reclusione o ad altre gravi privazioni della libertà personale, violando alcuni tra i primi articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) 12. Gli attori della politica congiunta di “prevenzione della migrazione”, sono pienamente consapevoli che tali azioni prevedibilmente si concretizzano in atti violenti, eppure l’importanza ricade sull’agenda coordinata di contenimento. Nel loro obiettivo tacito nascondono e sminuiscono il quadro, ma gli orrori incasellati come “abusi isolati” sono evidentemente parte di un attacco diffuso e sistematico contro migranti e rifugiati che tentano di lasciare la Libia. RIFUGIATI IN LIBIA – SULLE ESPERIENZE DI VIOLENZA DELLE MILIZIE LIBICHE «Mentre continuiamo a sensibilizzare sulla condizione di chi attraversa il mediterraneo, la situazione in Libia peggiora di giorno in giorno. 13» Dal 2016 le milizie libiche attaccano in mare persone in fuga dal paese e soccorritori civili.  Un rapporto di Sea Watch documenta oltre 60 episodi negli ultimi dieci anni, tra sparatorie, speronamenti, blocchi, aggressioni, minacce e intimidazioni. Anche in condizioni meteorologiche avverse, le milizie libiche hanno inseguito le imbarcazioni con l’unico obiettivo di riportale in Libia. La Justice Fleet Alliance ha stilato un elenco dei casi 14 avvenuti negli ultimi anni; di seguito un estratto: Le spiegazioni degli episodi citati: Incidenti violenti in mare da parte delle milizie libiche | Justice Fleet 2025: Inseguimento di una barca mentre le persone erano cadute in acqua; una persona annegata 2025: Una motovedetta donata dall’UE spara in direzione della Sea-Watch 5 2025: Attacco armato di 20 minuti contro l’Ocean Viking 2024: Intercettate donne e bambini sotto la minaccia delle armi 2024: Minaccia alla Mare Jonio durante un’operazione di soccorso 2024: Manovre pericolose intorno all’Humanity1 2023: Molestato un gommone da una motovedetta libica 2022: Minaccia agli aerei civili con missili SAM (missili terra-aria) 2022: Sparatoria contro persone in acqua 2021: Tentativo di speronare un’imbarcazione in fuga 2020: Uccisione di tre persone allo sbarco 2018: Interferenza con un’operazione di soccorso, causando la scomparsa di cinque persone 2017: Sparatoria contro una nave della Guardia Costiera italiana 2016: Interferenza con un’operazione di soccorso, causando una serie di decessi SOS HUMANITY: SULLA COOPERAZIONE UE-LIBIA Dalla fine dell’operazione Mare Nostrum, l’UE ha indirizzato fondi per impedire alle persone di raggiungere l’Europa, sviluppando un complesso sistema di mezzi e strumenti per impedire l’esercizio del diritto di asilo e stringendo accordi con la Libia sulla “gestione delle frontiere nel Mediterraneo centrale”. Uno dei principali canali di finanziamento è stato il Fondo d’Emergenza per l’Africa (EUTF for Africa), lanciato nel 2015. Questi fondi, che avrebbero dovuto affrontare le cause profonde degli sfollamenti, sono stati invece dirottati (per 57,2 milioni di euro) verso il controllo della migrazione e la gestione militarizzata delle frontiere. Nell’ambito della strategia di prevenzione della migrazione definita propagandisticamente “illegale” l’UE ha fornito imbarcazioni, attrezzature e risorse finanziarie, nonché addestramento ed equipaggiamento delle milizie svolgendo un ruolo chiave nella creazione del centro di coordinamento del “salvataggio libico”. Da allora, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per le Migrazioni, più di 145.000 persone sono state intercettate e riportate in Libia. Nel 2024, la Corte dei conti europea ha rilevato che i progetti UTF risultano frammentati, inefficaci e privi di adeguate tutele per i diritti umani. Nel 2021 la strategia europea è confluita nel nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI) – Europa globale, valido fino al 2027, che per la gestione delle frontiere libiche ha stanziato 12 milioni di euro per un’accademia di frontiera, 8 per la modernizzazione del centro libico di coordinamento dei “soccorsi” e 5 per la formazione delle forze di sicurezza. Entro il 2027 l’UE avrà speso almeno 84 milioni di euro in misure di deterrenza in Libia. Documenti del Consiglio Europeo mostrano che il NDICI mira a potenziare le intercettazioni e collegare i centri di coordinamento, rafforzando il sistema che intrappola le persone in Libia. «Formando, equipaggiando e finanziando gli attori marittimi in Libia che commettono sistematicamente violazioni dei diritti umani, l’Unione Europea è direttamente complice di questi abusi. Ogni euro speso per una gestione violenta delle frontiere rappresenta un’Europa che avrebbe potuto salvare vite umane. È tempo che l’UE smetta di esternalizzare le proprie responsabilità legali e morali e inizi a sostenerle. 15» Il 2 novembre 2025 il Memorandum Italia-Libia, firmato nel 2017, è stato rinnovato tra le proteste delle organizzazioni per i diritti umani, della Search and Rescue Organization e dei gruppi auto-organizzati di rifugiati. Notizie/In mare LA PAROLA A REFUGEES IN LIBYA: «STOP MEMORANDUM!» "Stage of Survivors" ha concluso a Roma una settimana di mobilitazione 20 Ottobre 2025 A metà ottobre 2025 la Camera, con una mozione della maggioranza, lo ha tacitamente prorogato 16 fino al 2 febbraio 2026, richiamando la retorica del “contrasto ai trafficanti” e della “prevenzione delle partenze”, nonostante il patto implichi di fatto una collaborazione con i criminali, poiché prevede il finanziamento dei centri di detenzione e il sostegno alle milizie. La natura di questa cooperazione risulta più evidente alla luce dell’accusa rivolta all’Italia dalla Procura della Corte Penale Internazionale (CPI) per il mancato trasferimento a L’Aja di Osama Almasri, ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli sospettato di crimini contro l’umanità. Proseguendo su questa linea, consapevoli delle conseguenze lesive dei diritti umani, UE e Stati membri alimentano un ciclo di violenza e sfruttamento. Questo è stato denunciato già nel novembre 2022 dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (ECCHR), che ha presentato un esposto 17 alla Corte penale internazionale contro funzionari di UE, Italia, Malta e Libia per il loro ruolo nelle intercettazioni sistematiche delle persone in movimento. «Porre fine alla nostra comunicazione di salvataggio con l’JRCC libico che coordina questi gruppi è una necessità e una linea chiara contro la complicità europea con i crimini che si stanno verificando in Libia. 18» NON CI SI ARRENDE DAVANTI ALLE POLITICHE INGIUSTE: «LORO INFRANGONO LA LEGGE. NOI VINCIAMO IN TRIBUNALE.» Oggi, Italia, Germania, Malta, Frontex e l’UE stanno violando il diritto di asilo, attaccando i diritti umani e il diritto internazionale. Il Mar Mediterraneo è diventato un luogo di illegalità, non perché manchino le leggi, ma perché gli Stati europei scelgono deliberatamente di non rispettarle. Le organizzazioni civili di soccorso, insieme a partner internazionali e sulla base di rapporti delle Nazioni Unite, stanno portando questi crimini davanti alla giustizia – dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ai tribunali italiani – dove emerge un giudizio coerente: le attuali politiche europee sono illegali. In dieci anni di violazioni, numerosi procedimenti hanno evidenziato l’illiceità delle pratiche dell’Unione nel Mediterraneo, confermando al contrario la legittimità delle operazioni di salvataggio delle ONG. 2009Il tribunale di Agrigento assolve l’equipaggio della nave Cap Anamur riconoscendo la scriminante dell’adempimento al dovere di soccorrere.2017La nave Iuventa viene sequestrata per presunto favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (articolo 12, TUI); dopo sette anni di processo il tribunale dichiara l’insussistenza del fatto.2018La nave Open Arms è sequestrata con l’accusa di associazione a delinquere e favoreggiamento. Il provvedimento viene annullato vista la sussistenza dello stato di necessità.2019La capitana della nave See Watch 3, Carola Rakete, è accusata ex. articolo 12, TUI. Caso concluso con il riconoscimento della giustificazione per adempimento al dovere derivante dagli obblighi internazionali.2019La nave Vos Thalassa sbarca 66 naufraghi che si erano opposti al respingimento in Libia. Nel 2021, la Corte Suprema Italiana riconosce il loro diritto di resistere ai respingimenti illegali, per legittima difesa.2021Alla nave Vos Triton viene imposto di riportare in Libia 170 persone soccorse. Il Tribunale di Roma 19 giudica l’Italia responsabile di sequestro e ordina il rilascio di un visto umanitario alla vittima che ha avviato il procedimento. Questi casi mostrano che chi contesta le politiche euro-libiche diventa bersaglio della repressione, mentre le decisioni giudiziarie evidenziano l’illegalità delle azioni della guardia costiera libica e degli Stati europei. Le sentenze confermano che un’imbarcazione non idonea è già in distress e, per il diritto del mare, chi è in distress, prima di essere un migrante, è un naufrago che deve essere soccorso; lo stato di necessità è inoltre aggravato dalla condizione di fuga dalle torture libiche. «Gli Stati hanno trasformato il mare in un’arma contro gli esseri umani. Ma quando la nostra lotta collettiva per la libertà viene criminalizzata, la resistenza diventa un dovere. La Justice Fleet si schiera esattamente dove dobbiamo schierarci: contro un sistema che punisce la solidarietà e sancisce il razzismo». Carola Rakete – Ex deputata del Parlamento europeo Le organizzazioni civili portano sempre più spesso queste battaglie davanti ai giudici, riaffermando la supremazia del diritto sulle logiche politiche. Nonostante ciò, la maggior parte dei respingimenti e delle violenze rimane nell’ombra, impunita e scoperta da tutele giuridiche, rendendo estremamente importante e necessaria l’azione della Justice Fleet. Il controllo statale sui flussi migratori deve cedere di fronte all’obbligo di soccorrere in sicurezza fino a un “porto sicuro”, per questo l’Alleanza assume una posizione chiara: stop alla collaborazione con i criminali. «Chiediamo la fine immediata di ogni cooperazione tra l’UE e gli attori libici violenti, la fine immediata del sostegno ai crimini contro l’umanità in mare e sulla terraferma. 20» RIBELLIONE È RIVOLUZIONE CONTRO LE INGIUSTIZIE: «CONTINUEREMO I SOCCORSI MA CI SCHIERIAMO CONTRO LA COMPLICITÀ» In risposta alle violenze dei libici nel Mediterraneo e alla complicità degli Stati europei, le organizzazioni di ricerca e salvataggio hanno intrapreso quindi un passo storico: «Non riconosceremo mai gli attori libici come autorità competenti di ricerca e salvataggio e non obbediremo alla coercizione dello Stato italiano 21» La sospensione delle comunicazioni operative con il JRCC, imposta dalla Legge 15/23 (“Decreto Piantedosi”), può comportare multe, detenzioni e la confisca dei mezzi delle ONG, evidenziando ancora una volta la distanza tra le leggi italiane, frutto di un decennio di politiche schierate, e il diritto internazionale. Le organizzazioni della Justice Fleet Alliance scelgono la via della disobbedienza giusta opponendosi al riconoscimento delle pattuglie libiche e ai probabili futuri ordini di collaborazione che ne deriverebbero. Sono pronte a sostenere le conseguenze delle loro decisioni morali e legali; in un Mediterraneo trasformato in confine armato, non comunicare con chi rapisce, tortura e uccide non è un atto di sfida ma di umanità: disobbedire significa oggi riaffermare il diritto del mare. «Rischieremo la detenzione o addirittura la confisca delle nostre navi e dei nostri aerei in Italia, cosa che combatteremo davanti a tutti i tribunali 22» A fianco della Justice Fleet Alliance, si schierano altre realtà che contrastano i crimini commessi in mare e nei lager libici. JLProject 23, nato nel 2019 e impegnato da anni in indagini forensi pro bono per intentare azioni legali contro gli Stati responsabili dei respingimenti illegali in Libia, ha dichiarato il suo sostegno all’Alleanza: «Noi stiamo indagando molto sui crimini della cosiddetta guardia costiera libica e siamo molto soddisfatte della decisione di non comunicare con quei criminali.» Sara Fratini – JL Project La Justice Fleet Alliance si inserisce quindi in una più ampia cornice di resistenza civile che, unendo giurisprudenza e attivismo, difende la centralità della persona e i principi del diritto internazionale. In un contesto in cui la legalità è piegata alle politiche di controllo, riaffermare che il soccorso non è un reato ma un dovere rappresenta un vero atto di giustizia: in mare come a terra, il diritto non si negozia, la migrazione non va criminalizzata e chi salva vite non può essere condannato. > «Quando gli ordini rendono i soccorritori potenzialmente complici di crimini > contro l’umanità, il rifiuto è l’unica risposta legittima. 24» 1. Dichiarazione rilasciata il 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance, tenutasi a Bruxelles. Dichiarazioni rilasciate in lingua inglese e tradotte dall’autrice ↩︎ 2. Ibidem ↩︎ 3. Le Ong del soccorso in mare si uniscono nella Justice Fleet e interrompono le comunicazioni con Tripoli, Sea Watch (5 novembre 2025) ↩︎ 4. Court confirms: Detention Unlawful, SOS Humanity (12 giugno 2025) ↩︎ 5. LaOcean Viking è stata la prima nave umanitaria a ricevere un fermo amministrativo in base al Decreto Piantedosi, accusata di aver ignorato l’ordine libico di «lasciare il soccorso». L’equipaggio ha completato l’operazione, ritenendo l’ordine imposto ex lege al comandante illegittimo e contrario agli obblighi italiani sui diritti fondamentali. La giudice di Brindisi, annullando il fermo, ha dichiarato: « Imporre il fermo a una nave umanitaria va a compromettere il diritto di essere soccorsi ». Ha inoltre rimesso gli atti alla Corte costituzionale, rilevando una presunta violazione dell’art. 25, comma 2, a causa dei «presupposti inadeguati per l’applicazione del fermo», non riconoscendo la «delega in bianco» all’autorità libica ↩︎ 6. Dichiarazione rilasciata il 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance, tenutasi a Bruxelles ↩︎ 7. Ibidem ↩︎ 8. «Migrants and refugees suffer unimaginable horrors during their transit through and stay in Libya» – Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights (OHCHR) / United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL). Report on the human-rights situation of migrants and refugees in Libya (20 dicembre 2018) ↩︎ 9. La Brigata Tariq Ben Zeyad (TBZ) è un’organizzazione delle forze armate libiche, guidata da Saddam Haftar, figlio del comandante dell’Esercito nazionale libico (LNA) Khalifa Haftar. Attiva dal 2016, comprendente ex soldati gheddafisti, è accusata di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni, torture, sequestri, stupri e sfollamenti forzati. Amnesty International documenta un “catalogo degli orrori” commessi dal 2016, tra cui l’espulsione collettiva di migliaia di rifugiati e migranti da Sabha e dal sud della Libia. ↩︎ 10. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 11. HRC – Press Conference: Fact-Finding Mission on Libya | UN Web TV; Report of the Independent Fact-Finding Mission on Libya – Human Rights Council (marzo 2023) ↩︎ 12. CEDU – Art.1: Obbligo di rispettare i diritti dell’uomo; Art.2: Diritto alla vita; Art.3: Proibizione della tortura; Art.4: Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato; Art. 5: Diritto alla libertà e alla sicurezza ↩︎ 13. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 14. Sul sito justice-fleet.org la lista delle violenze della cosiddetta guardia costiera libica documentate dalla società civile negli ultimi 10 anni e in continuo aggiornamento: 60 Libyan attacks at sea as EU rolls out red carpet for militias, new data shows • Sea-Watch e.V. ↩︎ 15. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 16. Grazie a una clausola all’articolo 8 che prevede il rinnovo automatico triennale salvo richiesta scritta di revoca con preavviso di tre mesi di una delle parti ↩︎ 17. Qui il testo dell’esposto ↩︎ 18. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 19. Caso Vos Triton: Italia ritenuta responsabile per il respingimento delegato verso la Libia. A. arriva in sicurezza a Roma, Asgi (marzo 2025) ↩︎ 20. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 21. Ibidem ↩︎ 22. Ibidem ↩︎ 23. Qui il sito di JLProject ↩︎ 24. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎
Rifinanziati i “rimpatri umanitari” dalla Libia nonostante l’allarme dell’ONU
Nonostante i richiami delle Nazioni Unite, il governo italiano ha rifinanziato i programmi di “rimpatrio volontario umanitario” dalla Libia, strumenti che da anni sollevano gravi criticità sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone migranti 1. Lo rende noto il progetto Sciabaca & Oruka di Asgi che promuove, in rete con organizzazioni della società civile europee e africane, azioni di contenzioso strategico per la libertà di circolazione e per contrastare le violazioni dei diritti umani causate dalle politiche di esternalizzazione delle frontiere. A luglio 2025 il Ministero degli Affari Esteri, scrive il progetto, ha disposto l’erogazione di 7 milioni di euro all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) per l’attuazione del progetto Multi-Sectoral Support for Migrants and Vulnerable Populations in Libya, della durata di due anni. Oltre 3 milioni saranno destinati al rimpatrio di 910 persone verso i paesi d’origine, attraverso il cosiddetto Voluntary Humanitarian Return (VHR), una forma di rimpatrio volontario assistito rivolta a migranti «bloccati o in situazioni di vulnerabilità, tra cui l’intercettazione in mare, la detenzione arbitraria e lo sfruttamento». Secondo i documenti ufficiali, tali operazioni mirano a «ridurre la vulnerabilità» delle persone e a «migliorare la loro situazione di protezione». Ma la realtà descritta da numerosi organismi internazionali è ben diversa. Già il 30 aprile 2025, la Relatrice Speciale sulla tratta di esseri umani, il Relatore Speciale sui diritti dei migranti e il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite avevano indirizzato una comunicazione formale al governo italiano per esprimere forte preoccupazione riguardo a un progetto simile, anch’esso finanziato dall’Italia, denominato “Multi-Sectoral Support for Vulnerable Migrants in Libya”. Nel documento, lə espertə Onu evidenziavano che il rimpatrio volontario, nelle condizioni esistenti in Libia, «funziona in pratica come l’ultima e l’unica soluzione alle intercettazioni e alla detenzione prolungata per periodi indeterminati». In queste circostanze, aggiungevano, «in assenza di alternative, migranti, rifugiati e richiedenti asilo possono essere costretti ad accettare di tornare in situazioni non sicure, dove rischiano di essere esposti alle medesime condizioni da cui fuggivano». Inoltre, sottolineavano come le persone coinvolte non possano esprimere un consenso libero e informato, poiché «la mancanza di assistenza adeguata le priva di fatto della possibilità di accedere alla protezione internazionale e alle garanzie giudiziarie». La comunicazione denunciava anche il rischio che i programmi VHR «possano aprire canali di mobilità forzata verso i paesi di origine e legittimare la cooperazione con la Libia in violazione del principio di non respingimento». Lə relatorə delle Nazioni Unite rilevavano inoltre la mancanza di trasparenza sull’impatto di questi progetti e l’assenza di «misure preventive e di mitigazione contro i rischi di tratta o di rimpatrio illegale». Un ulteriore elemento critico è il supporto tecnico e operativo previsto per le autorità libiche: il progetto include infatti attività di rafforzamento della capacità di gestione delle operazioni di ricerca e soccorso (SAR) e di intercettazione in mare. Secondo gli esperti, ciò rischia di tradursi in un aumento delle intercettazioni e dei respingimenti illegali verso la Libia, dove le persone migranti sono sistematicamente esposte a detenzioni arbitrarie, torture e violenze, in un contesto che la stessa giurisprudenza italiana riconosce come non sicuro. La comunicazione ONU si concludeva con una serie di richieste al governo italiano: informazioni sull’utilizzo dei fondi, sulle misure di prevenzione delle violazioni dei diritti umani e sulle alternative alla detenzione e al rimpatrio. Tuttavia, nella risposta fornita a luglio 2025, l’Italia non ha dato riscontri sostanziali alle criticità sollevate. La valutazione del monitoraggio è stata completamente delegata all’OIM, senza alcun controllo indipendente da parte del governo. UNA STRATEGIA DI ESTERNALIZZAZIONE SEMPRE PIÙ STRUTTURALE Nonostante le contestazioni, l’Italia ha proseguito nella strategia di esternalizzazione delle frontiere. Ad aprile 2025 è stato approvato un ulteriore stanziamento di 20 milioni di euro per il programma L.A.I.T. – Sviluppo dei meccanismi di rimpatrio volontario assistito e di reintegrazione (AVRR) e di rimpatrio volontario umanitario (VHR), in collaborazione con OIM e AICS. Il nuovo progetto prevede il rimpatrio di oltre 3.300 persone da Algeria, Libia e Tunisia e il rafforzamento delle capacità istituzionali dei governi di questi paesi nella gestione dei rimpatri. Si tratta di un tassello ulteriore in un processo ormai consolidato: il massiccio finanziamento dei rimpatri “volontari”, che consente di rimpatriare persone in assenza delle garanzie previste per i rimpatri forzati, contribuendo al contempo ad “alleggerire” la pressione migratoria sui paesi di transito e a consolidare la cooperazione con regimi autoritari o instabili. Questi programmi, presentati come strumenti di protezione umanitaria, finiscono invece per legittimare il blocco della mobilità e per violare il diritto d’asilo e il principio di non-refoulement. A fronte di queste pratiche, diverse organizzazioni italiane – tra cui ASGI, A Buon Diritto, ActionAid Italia, Lucha y Siesta, Differenza Donna, Spazi Circolari e Le Carbet – hanno promosso un contenzioso legale e lanciato la campagna di comunicazione «Voluntary Humanitarian Refusal – a choice you cannot refuse», per denunciare «l’uso distorto dei fondi pubblici destinati a programmi che, sotto la facciata di “umanitari”, contribuiscono in realtà a violare diritti fondamentali e limitare la libertà di movimento». > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da VHR: Voluntary Humanitarian Refusal > (@voluntary.humanitarian.refusal) 1. Nowhere but Back. Assisted return, reintegration and the human rights protection of migrants in Libya, by the OHCHR Migration Unit ↩︎
MIGRANTI: ANCORA UN FERMO AI DANNI DI MEDITERRANEA SAVING HUMANS, “COLPEVOLE” DI SALVATAGGIO
Completato il soccorso e lo sbarco a Porto Empedocle di 92 persone migranti, tra cui 31 minori non accompagnati, alla nave Mediterranea di Mediterranea Saving Humas viene ora nuovamente contestato di “non aver raggiunto senza ritardo” il porto assegnato di Livorno, a oltre 1.200 km di distanza. “Abbiamo deciso – replica MSH – di far sbarcare tutte le persone a Porto Empedocle perché il medico di bordo e lo stesso CIRM hanno certificato che non erano in grado di affrontare altri giorni di navigazione. Nonostante ciò, la nostra nave è stata bloccata. Un provvedimento ingiusto, che punisce chi soccorre vite e lascia il mare senza soccorso. Non accetteremo che queste politiche disumane diventino la norma”. Così Mediterranea Saving Humans, nelle stesse ore in cui si è aperto a Modena il processo che vede parte civile don Mattia Ferrari, cappellano di MSH. L’accusa è diffamazione aggravata nei confronti del titolare di un account su X che da anni pubblica post contro le attività delle ong e della società civile per salvare i migranti.   L’uomo dietro all’account @rgowans è risultato essere un 56enne polacco, che in passato ha avuto un ruolo come addetto ai dati riservati del servizio Frontex. Di questo –  oltre che del recente arresto in Libia per mano del governo di Tripoli del torturatore Almasri – Radio Onda d’Urto ha parlato nell’intervista a Luca Casarini, tra i fondatori e portavoce di Mediterranea Saving Humans. Ascolta o scarica
Nel Mediterraneo si continua a morire mentre chi salva vite è criminalizzato
Nel Mediterraneo si continua a morire, mentre chi salva vite continua a essere criminalizzato. È uno stesso tragico e odioso copione che ormai si ripete da tempo. Da una parte sempre più persone muoiono nell’indifferenza e nel silenzio istituzionale, dall’altra il governo italiano, nonostante le sentenze dei tribunali, non mostra segni di ravvedimento e prosegue nella sua opera di attacco alle organizzazioni di soccorso: l’ultima è Mediterranea Saving Humans, colpita da un nuovo blocco amministrativo dopo l’ultimo salvataggio e approdo a Porto Empedocle. Notizie/In mare «ABBIAMO AGITO PER SALVARE VITE»: SBARCATE LE 92 PERSONE SOCCORSE DA MEDITERRANEA Lo Stato minaccia nuove sanzioni per aver scelto Porto Empedocle Redazione 5 Novembre 2025 L’associazione, che rivendica giustamente di aver salvato la vita a 92 persone, ha replicato alle accuse del ministro dell’Interno Piantedosi, che sui social ha diffuso false informazioni sull’operato della nave.  «Siamo indignati dalle menzogne del ministro: da parte nostra c’è sempre stata la massima collaborazione con la Sanità marittima», ha dichiarato MSH. A bordo, ha raccontato il medico Gabriele Risica, «abbiamo accolto la medica dell’USMAF, le abbiamo messo a disposizione l’ospedale di bordo e visitato insieme le persone soccorse». Anche la capomissione Sheila Melosu ha denunciato «la vergogna di un ministro che parla di sicurezza delle persone mentre è indagato per aver protetto un torturatore di migranti, e che voleva far viaggiare fino a Livorno persone malate e bisognose di cure immediate». Un episodio che si inserisce nella costante strategia di criminalizzazione delle ONG, con la nave Mediterranea che subisce un altro fermo illegittimo nel porto siciliano per violazione del Decreto Piantedosi, mentre le autorità italiane continuano a ostacolare chi salva vite in mare e a finanziare chi le intercetta e le imprigiona. Il 2 novembre, infatti, si è rinnovato automaticamente il Memorandum tra Italia e Libia, che resterà in vigore fino al 2026, assicurando nuovi fondi e mezzi alla guardia costiera libica, la stessa che cattura e riporta nei lager migliaia di persone e che attacca le navi della flotta civile. Approfondimenti/In mare MEMORANDUM ITALIA-LIBIA, UN PATTO DI VIOLAZIONI E ABUSI Il 2 novembre l’accordo sarà rinnovato. Refugees in Libya: manifestiamo a Roma il 18 ottobre Carlotta Zaccarelli 29 Settembre 2025 Nel frattempo, solo negli ultimi 30 giorni, cinque naufragi hanno aggiornato il conto delle vittime e dei dispersi lungo le rotte del Mediterraneo. Il 18 ottobre, Sea-Watch ha denunciato un naufragio ignorato dalle autorità: un morto accertato e 22 persone disperse, mentre le navi umanitarie venivano tenute lontane dall’area dei soccorsi. “Abbiamo chiesto aiuto per ore, nessuno è intervenuto”, ha riferito l’Ong, accusando Roma e La Valletta di omissione di soccorso. Il 22 ottobre, al largo di Salakta, in Tunisia, almeno 40 persone migranti, tra cui diversi neonati, sono morte dopo che la loro imbarcazione si è capovolta. Solo 30 persone sono state salvate. Le vittime provenivano da Paesi dell’Africa subsahariana e cercavano di raggiungere l’Italia da una delle rotte più brevi e più letali del Mediterraneo. Diverse inchieste hanno evidenziato come la Tunisia sia un Paese non sicuro nel garantire i diritti fondamentali e come le persone nere siano sottoposte a violenze e tratta gestite dalle stesse autorità. Rapporti e dossier/In mare STATE TRAFFICKING SVELA LA TRATTA DI MIGRANTI TRA TUNISIA E LIBIA Un rapporto con 30 testimonianze da un confine esterno della UE Redazione 1 Marzo 2025 Il 24 ottobre, 14 persone migranti sono annegate nel mar Egeo, al largo di Bodrum, in Turchia. Solo due si sono salvate, tra cui un giovane afgano che ha nuotato per sei ore fino a riva. Tre giorni dopo, il 27 ottobre, quattro migranti sono morti al largo della Grecia, dopo l’affondamento di un gommone. E il 28 ottobre un altro barcone è affondato davanti a Surman, in Libia: 18 morti e oltre 60 sopravvissuti, secondo la Croce Rossa libica e l’OIM. Le vittime erano in gran parte uomini sudanesi, bengalesi e pakistani in fuga da guerre e povertà. Cinque naufragi in dieci giorni: più di 70 morti accertati, decine di dispersi e un mare che continua a inghiottire vite nell’indifferenza politica. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), al 25 ottobre 2025 sono 472 le persone morte e 479 quelle disperse sulla rotta del Mediterraneo centrale dall’inizio dell’anno. A questo bollettino di guerra vanno aggiunti gli ultimi naufragi: nel 2025 si può stimare che circa 550 persone abbiano perso la vita, senza contare i naufragi cosiddetti “fantasma” che non finiscono nei conteggi ufficiali. Nello stesso periodo, 22.509 persone migranti – tra cui 832 minori – sono state intercettate e riportate in Libia, dove finiscono spesso in centri di detenzione, subendo torture, violenze sessuali, estorsioni, privazione di cibo e cure. Nemmeno l’arresto del generale libico Al Masri cambia la sostanza: la Libia rimane un Paese diviso e controllato da milizie e trafficanti che si arricchiscono sulla pelle dei migranti. Nonostante la situazione sia nota e denunciata da anni, resta un alleato politico e operativo dell’Europa, che continua a esternalizzare il controllo delle proprie frontiere. Come ha rivelato un’inchiesta di Irpimedia, la Commissione europea e Frontex hanno ospitato a metà ottobre una delegazione tecnica libica, con esponenti provenienti sia dall’est sia dall’ovest del Paese: per la prima volta anche funzionari della Cirenaica, sotto il controllo del generale Khalifa Haftar, sono stati invitati presso la sede di Frontex a Varsavia e a Bruxelles. Il Mediterraneo centrale continua a essere la rotta migratoria più mortale del mondo. Ma ogni nuovo naufragio rimane a sé stante, invisibilizzato e velocemente archiviato come un fatto di cronaca. I media fanno sempre più fatica ad andare oltre la notizia flash e a costruire una narrazione diversa, e così queste stragi scompaiono in fretta. Dove sono le storie che danno dignità ai numeri, ai volti, alle famiglie, ai sogni interrotti, al dolore? Cosa serve perché si trovi finalmente una risposta a quella domanda che da anni viene ripetuta e mai ascoltata: quante morti ancora serviranno prima che l’Europa apra vie legali e sicure di accesso, affinché si affronti il tema politico e sociale della libertà di movimento? Finché la risposta sarà il rinnovo di accordi come quello con la Libia e il blocco delle navi umanitarie, il Mediterraneo continuerà a essere una tomba. E l’Italia, insieme all’Unione Europea, continuerà a chiamare “cooperazione” ciò che è in realtà complicità nelle stragi. Fonti: InfoMigrants, OIM, UNHCR, ANSA, Reuters, Sea-Watch, Mediterranea Saving Humans, Mosaique FM. Interviste/In mare «RIPRISTINARE LA LIBERTÀ DI MOVIMENTO È L’UNICA RISPOSTA POLITICA ALLE MIGRAZIONI» Intervista a Gabriele Del Grande, giornalista e documentarista Laura Pauletto 3 Novembre 2025
MIGRANTI: LA LIBIA ARRESTA ALMASRI, IL TORTURATORE DI MIGRANTI COCCOLATO DAL GOVERNO ITALIANO
La Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la ratifica e l’esecuzione del trattato sulla deportazione delle persone detenute tra l’Italia e la Libia, dove la Procura libica ha ordinato la detenzione di Osama Al-Masri, il torturatore libico, e il suo rinvio a giudizio con l’accusa di tortura di detenuti e della morte di uno di loro sotto tortura. Si tratta dello stesso Almasri su cui pendono accuse analoghe della CPI; fermato a gennaio in Italia, era stato liberato e caricato in tutta fretta da Governo e Servizi italiani su un aereo di Stato e riportato, sano e salvo, in Libia. L’ordine di carcerazione preventiva dell’ex dirigente della polizia giudiziaria a Tripoli – di fatto, uno dei ras dei lager per migranti – segue gli interrogatori e la raccolta di elementi su violazioni dei diritti dei migranti nella principale struttura di riforma e riabilitazione della capitale. ‘Felice per l’arresto, ma per Italia è una figuraccia’, commenta Angela Bitonti, legale di una donna ivoriana, da anni residente in Italia e vittima delle torture di Almasri, che annuncia oggi la volontà di chiedere un risarcimento al Governo italiano, mentre +Europa vuole le dimissioni di Nordio. Su Radio Onda d’Urto Alice, Baobab di Roma, realtà impegnata da 10 anni al fianco dei migranti arrivati in Italia dopo essere transitati, in gran parte, proprio dai lager libici di Almasri e degli altri gerarchi, foraggiati dall’Unione Europea. Ascolta o scarica
LIBIA: ULTIMATUM A MSF. DEVE LASCIARE IL PAESE ENTRO IL 9 NOVEMBRE
Il Ministero degli affari esteri libico ha ordinato a Medici Senza Frontiere di lasciare il paese entro il 9 novembre. L’espulsione sembra voler proseguire l’ondata repressiva che, dallo scorso marzo, sta colpendo le organizzazioni umanitarie che operano nella parte occidentale del Paese. Il 27 marzo 2025 l’équipe di MSF aveva infatti ricevuto l’ordine di sospendere le attività che, in Libia, svolge in collaborazione con le autorità locali. Un ordine – sopraggiunto dopo la chiusura imposta dall’Agenzia per la sicurezza interna (ISA) e l’interrogatorio di diversi membri del suo staff – che ha colpito anche altre 9 organizzazioni umanitarie che operano nella stessa zona. Tuttavia, dopo circa due mesi e mezzo di la sospensione forzata da parte delle autorità libiche, MSF ha potuto riprendere le proprie attività, incentrate principalmente sull’assistenza ai rifugiati e alle persone migranti di passaggio nel Paese. Ora questo nuovo ordine, giunto senza alcuna motivazione specifica, rischia di rimettere tutto in discussione. “Siamo profondamente rammaricati per questa decisione e preoccupati per le conseguenze che avrà sulla salute delle persone che assistiamo – dichiara Steve Purbrick, responsabile dei programmi MSF in Libia, attraverso le pagine del sito dell’organizzazione medico-umanitaria  – Riteniamo di avere ancora un ruolo importante da svolgere in Libia, in particolare nella diagnosi e nel trattamento della tubercolosi, nel supporto al sistema sanitario libico, ma anche nel garantire l’accesso all’assistenza sanitaria ai rifugiati e alle persone migranti che sono escluse dalle cure e soggette a detenzioni arbitrarie e gravi violenze”. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto il racconto e l’analisi di Candida Lobes, Advocacy Manager di MSF Italia, con cui abbiamo approfondito anche i contorni del comunicato diramato oggi dall’ONG per chiedere – a pochi giorni dal rinnovo automatico previsto per il 2 di novembre – l’interruzione dell’accordo Italia-Libia in quanto “perpetua scellerate politiche di respingimento e detenzione sulla pelle delle persone alimentando nel Mediterraneo il numero delle morti in mare.” Ascolta o scarica
Caso Almasri: Lam Magok chiede alla Corte Costituzionale di fare luce sull’operato dei ministri
Nuovo sviluppo nel cosiddetto caso Almasri: Biel Rouei Lam Magok, sopravvissuto alle torture del militare libico 1, il 17 ottobre scorso ha chiesto alla Corte Costituzionale di intervenire dopo che la Camera dei Deputati ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Nordio, Piantedosi e del sottosegretario Mantovano. La decisione della Camera era arrivata lo scorso 9 ottobre, suscitando forti polemiche. Notizie CASO ALMASRI: LAM MAGOK DENUNCIA IL GOVERNO ITALIANO PER “FAVOREGGIAMENTO” «Il Governo mi ha reso vittima una seconda volta» Redazione 4 Febbraio 2025 Gli avvocati Francesco Romeo e Antonello Ciervo, difensori di Lam Magok, hanno depositato un’istanza presso il Tribunale dei Ministri per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, chiedendo che sia la Corte Costituzionale a stabilire la legittimità del voto parlamentare. «Con questa istanza chiediamo al Tribunale dei Ministri di rivolgersi alla Corte Costituzionale per stabilire che la Camera non aveva il potere di negare l’autorizzazione a procedere, perché ha agito in assenza dei presupposti previsti dalla legge costituzionale n. 1 del 1989», spiega l’avvocato Romeo, dello staff legale di Baobab Experience. La legge prevede che il Parlamento possa bloccare un processo contro un ministro solo se questi agisce a tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per perseguire un interesse pubblico preminente nell’esercizio delle sue funzioni. Secondo la difesa di Lam Magok, nel caso dei ministri coinvolti nessuno di questi presupposti sussisteva. Nella relazione di maggioranza della Camera «non si individua quale sarebbe l’interesse dello Stato costituzionalmente rilevante – denuncia Romeo – Si fa solo riferimento a un generico timore di ritorsioni ai danni di cittadini italiani in Libia, a possibili rischi per le forniture di gas e alla preoccupazione rispetto a boicottaggi nella cooperazione contro l’immigrazione clandestina». Non solo mancherebbero prove concrete dei rischi, ma secondo Romeo non è stata valutata alcuna alternativa lecita e proporzionata rispetto all’espulsione lampo di Almasri con volo di Stato. «Nordio, Piantedosi e Mantovano hanno agito nell’ambito esclusivo delle proprie competenze, senza alcuna deliberazione del Consiglio dei Ministri, come invece richiede la legge per giustificare un interesse pubblico preminente», sottolinea l’avvocato. Il legale evidenzia anche come la relazione della maggioranza non abbia considerato gli obblighi internazionali dell’Italia verso la Corte Penale Internazionale. «L’esecuzione di un obbligo internazionale in materia di cooperazione giudiziaria con la CPI è stata completamente sacrificata sull’altare dell’interesse pubblico a preservare rapporti economici e diplomatici con la Libia, con Almasri e la sua milizia armata: una scelta arbitraria e illecita», denuncia il legale. Lam Magok, riconosciuto persona danneggiata dalle condotte dei ministri e del sottosegretario, commenta: «Per paura di danni ai gasdotti italiani e per timore di incrinare i rapporti tra Italia e Libia, i ministri hanno liberato e riportato a Tripoli un uomo ricercato dalla CPI per crimini di guerra e contro l’umanità, l’uomo che ha torturato me e tante altre persone». «Ma l’interesse di un Paese non può in nessun modo coincidere con il sacrificio di migliaia di esseri umani», conclude Magok. L’iniziativa segna un nuovo passo nella battaglia legale per ottenere verità e giustizia, sottolineando i limiti dell’atto politico e il rispetto dei principi dello Stato di diritto. 1. Caso Almasri: depositata al Tribunale dei Ministri la memoria che accusa l’Italia di aver protetto un criminale ↩︎
Mama Africa: quando la cura sfida la violenza
Quello che segue è un estratto di una lunga conversazione con Marino Dubois, Mama Africa: ricordi, appunti, riflessioni, informazioni tra traiettorie, persone, violenze e i meccanismi che le governano. È una parte dello scambio – intervista tra lei e quattro membri dell’equipaggio di Tanimar: Marie Milliard, Roberta Derosas, Georges Kouagang e Luca Queirolo Palmas 1. Il testo documenta la trasformazione delle frontiere mediterranee: respingimenti in mare, deportazioni nel deserto, rapimenti, estorsioni e la violenza crescente negli accampamenti a nord di Sfax, in Tunisia. L’intervista descrive inoltre le reti complesse di attori informali che operano lungo le rotte – arnaqueurs, cokseurs, aventuriers, taxi-mafia – ed evidenzia il ruolo politico dell’azione di Dubois: bénévole au sujet de la migration, così come si definisce lei di fronte ai suoi oltre 100mila followers. In una casa di campagna da qualche parte in Europa vive Marino Dubois, detta Mama Africa. Intorno a lei, quaderni fitti di note e di numeri di telefono, appunti, date. Sul suo profilo Facebook, che è stato chiuso e riaperto più volte, scorrono avvisi, fotografie, richieste di aiuto. Ad ogni momento, che sia giorno o notte, le arrivano chiamate da uomini e donne, esseri umani in cerca di speranza, bloccati da qualche parte in Tunisia o Libia, persone in viaggio lungo le rotte del Mediterraneo. Riceve richieste da famiglie che cercano i propri cari, da chi non sa più a chi rivolgersi, perché compresso dalle logiche degli Stati europei che gestiscono la vita e la morte delle persone, riducendo a cifre la sorte di chi attraversa il Mediterraneo. Marino Dubois ha cominciato circa otto anni fa: l’elemento scatenate per lei è stato l’omicidio di un giovane della Guinea che viveva in Francia. Si trattava di Mamoudou Barry, ricercatore all’Università de Rouen-Normandie, ucciso per il colore della sua pelle, a pugni e colpi di bottiglia. Rouen (19 luglio 2020), manifestazione in memoria di Mamoudou Barry Questo omicidio di stampo razzista, ennesimo frutto della violenza a cui molti sono sottomessi, l’ha spinta ad agire. Da allora il suo lavoro si è trasformato in un’attività costante: informare, raccogliere testimonianze, denunciare sparizioni, restituire tracce e nomi a chi rischia di svanire senza lasciare segno. Abbiamo passato con lei due lunghe giornate: la conversazione tra noi è stata un filo stretto tessuto per ore. Dal suo racconto emergono le trasformazioni delle frontiere mediterranee: i respingimenti in mare, le deportazioni nel deserto, la tratta di stato che continua fra Tunisia e Libia nonostante il fenomeno sia ormai divenuto pubblico e documentato 2, i rapimenti e le estorsioni a scopo di riscatto, la violenza crescente negli accampamenti improvvisati negli uliveti intorno a Sfax. Una violenza che si ripete come la corrente del Mediterraneo: silenziosa, continua, inevitabile. L’intervista restituisce anche la complessità delle reti che si muovono attorno a queste rotte animate da arnaqueurs, cokseurs, taxi-mafia: figure che gestiscono spostamenti, soldi e persone lungo i percorsi migratori. Dubois spiega questi termini e ne restituisce la funzione all’interno di un sistema di violenza e solidarietà che conosce dall’interno. Li ritroviamo, insieme a molti altri, nel Contro-dizionario del confine, testo che raccoglie e restituisce l’esperienza del viaggio a partire dai diretti protagonisti 3. Nel corso della conversazione emergono le relazioni che Dubois ha tessuto: con le persone in viaggio, con le famiglie che cercano i dispersi, con chi la chiama per chiedere aiuto, coi bambini che portano il suo nome, tra progetti scolastici nati negli insediamenti, i matrimoni e i battesimi a cui è stata invitata, nelle reti di solidarietà che operano tra precarietà e violenza. È un lavoro di cura il suo, in cui da pensionata continua una esperienza lavorativa da assistente sociosanitaria, ma in un contesto in cui la vita e la morte sono in gioco ogni giorno sul filo di una chiamata o di una notizia condivisa. Quello che fa, ha un valore politico: raccontare la realtà delle frontiere, denunciare violenze e sparizioni, costruire reti di sostegno significa sfidare le logiche statali e l’indifferenza europea, restituendo voce e visibilità a chi è marginalizzato e invisibile.  COME HAI COMINCIATO A SOSTENERE LE PERSONE CHE CERCANO DI ATTRAVERSARE LA FRONTIERA EUROPEA? L’elemento scatenante è stata la storia di un ragazzo della Guinea, 7 o 8 anni fa. Un giovane che abitava in Francia e che, intervenendo in soccorso di un’altra persona, aggredita, è stato ucciso. Mi aveva scioccato il fatto che un ragazzo potesse essere freddato in quel modo, a mani nude, in Francia. Era una brava persona. Aveva una vita davanti. Ho iniziato così, da quell’ingiustizia che mi è sembrata insopportabile. CHI SA QUELLO CHE FAI? Scherzi? Nessuno qui sa che sono Marino Dubois e nessuno deve saperlo. Neppure la mia famiglia. Non capirebbero quello che faccio, e poi credo che sarebbe un pericolo. Nessuno sa dove abito, anche se la mia foto è sulla pagina facebook. Nessuno sa in che paese vivo. Ho già ricevuto molte minacce. CHE LAVORO FACEVI PRIMA? Ero assistente sociosanitaria in ospedale. Ora sono in pensione. In realtà, continuo il mio lavoro, solo in un altro modo, curando, ascoltando. Facevo parte del mondo medico; ho lavorato anche in un reparto di cure palliative, quindi c’è qualcosa che continua. In ospedale ti trovi di fronte alla morte. Ma ora mi trovo di fronte a molte morti. Si prova una sorta di angoscia, di stress, perché ti dici: “Ma…ove sono? Quanti sono? Quanti sopravvissuti?”. Poi ti immagini al loro posto. E quando li portano alle prigioni e li picchiano e li mandano in Libia, sono spesso feriti. Per esempio, nell’ultima barca erano tutti ustionati molto gravemente.  Prima del 2023, in Tunisia, le persone intercettate in mare erano lasciate libere di tornare negli uliveti o nelle città; ma è dal 2023, dai grandi arrivi a Lampedusa e con l’Unione Europea alle spalle, che le autorità tunisine hanno cambiato il loro modo di agire. Ecco cosa hanno causato gli accordi. Altri morti. Ecco tutto. L’Unione Europea vuole fermare il flusso migratorio, ma hanno coscienza delle morti che generano queste politiche?  Potrebbero mandarli a casa loro, se volessero. Che sia l’Algeria o la Tunisia, hanno tutti aeroporti, hanno l’OIM. Io dico: ”Ma fateli partire, non gettateli nel deserto, non mandateli a morire”. Questo è il problema. E così dal 2023: siamo nel 2025, sono passati due anni. Provate a immaginare il numero di morti… RACCONTACI COSA FA OGNI GIORNO MAMA AFRICA… Sono passati 7 anni, ma non vedo passare il tempo, non lo conto. Sono attiva tutti i giorni, 24 ore su 24, perché le persone migranti che sono lì, gli avventurieri, non mi lasciano dormire. Mi chiamano nel cuore della notte, a volte mi dicono che è urgente. Sai, mi dicono che la mattina si alzano e la prima cosa che fanno è ascoltare Mama Marino, leggono quello che ho pubblicato su Facebook, le notizie, quali sono i giorni adatti alla navigazione e quali no…Non hanno idea, bisogna stare sempre ad ascoltarli e ti chiedono molte parole, molto sostegno. Riconoscimento, speranza. Perché non ce l’hanno più, hanno perso tutto. È così. Quindi sono obbligata a rispondere. Spesso mi dicono che non mi devo ammalare: “Curati, curati. Non ti ammalare perché abbiamo bisogno di te, abbiamo troppo bisogno di te. Non ti ammalare”, mi dicono. Hanno perso tutto, non hanno nulla. Per loro sono una persona importante, anche se per me non è così, ma per loro lo sono. Forse è egoista, ma loro hanno bisogno che io sia lì per le loro richieste, le loro domande, i loro problemi, per aiutare a recuperare quanto hanno perso, per i contatti…  INTORNO A TE SI È CREATO UN INCREDIBILE SISTEMA DI COMUNICAZIONE E DI SAPERE CONDIVISO. AD ESEMPIO, QUANDO ABBIAMO PERSO UN NOSTRO AMICO IN TUNISIA, TI ABBIAMO CHIESTO DI PUBBLICARE LA SUA FOTO. GRAZIE AI COMMENTI AL POST DI QUESTA SCOMPARSA, ABBIAMO SCOPERTO RAPIDAMENTE CHE ERA STATO DETENUTO, POI DEPORTATO E VENDUTO IN LIBIA E CHE ERA RIUSCITO A SCAPPARE IN ALGERIA; SIAMO ANCHE RIUSCITI A CHIAMARLO TRAMITE UN COKSEUR… Pubblico molti post perché ci sono tantissime persone che scompaiono. Ed è importante pubblicare la foto di qualcuno che molto probabilmente è deceduto, perché significa anche lasciarne una traccia. Questo è il problema quando le persone scompaiono: perché le autorità non recuperano tutti i corpi di chi muore in mare? Perché li seppelliscono in fosse comuni e nessuno ne sa più nulla? Le famiglie non sono al corrente. Lo trovo inaccettabile. Per esempio: ci sono molte donne che sono morte, diverse incinte, ho molti video… È dura vedere quelle immagini. A volte vengono deportati e abbandonati più volte, che sia in Libia, in Tunisia, in Algeria. Ci sono migranti che non escono dal deserto per giorni, settimane. Non c’è acqua, non hanno niente, non hanno più il telefono, non possono più comunicare la loro posizione, non sanno dove si trovano. Così muoiono molte persone. HAI VISTO DEI CAMBIAMENTI DA QUANDO HAI INIZIATO LA TUA ATTIVITÀ? Certo. La situazione è peggiorata, perché 7-8 anni fa non vedevo nulla di tutto questo. Ho incominciato quando molte persone migranti erano in Algeria. Le loro condizioni di vita erano pessime. C’erano comunque dei morti nei cantieri, dove lavoravano e vivevano. Poi ho conosciuto il Niger e anche qui, che dire? Le condizioni anche lì sono disumane: le persone non hanno cibo, fanno la fila per lavarsi, non c’è acqua, ci sono le tempeste di sabbia, dormono per terra all’aperto. Le condizioni sono spaventose. Ma la situazione è peggiorata in tutti i sensi, sia a livello delle autorità, ma anche fra i migranti… la violenza è aumentata. Perché la violenza chiama violenza. A partire dal settembre 2023, dopo l’ultimo grande ingresso a Lampedusa, è stato un disastro. Ho iniziato così ad occuparmi anche della Tunisia e quello che facevo prima non ha più nulla a che vedere con l’attualità. Ora ad esempio ci sono i rapimenti, un fenomeno che prima non esisteva.  PUOI SPIEGARTI MEGLIO? CHI SONO I RAPITORI, I KIDNAPPEUR? Ci sono sequestri di persona operati a scopo di riscatto da tunisini o altri migranti subsahariani e spesso sono legati ad altre forme di violenza e tortura sulle persone sequestrate. È un sistema in cui trovi migranti e non, arnaqueurs, taxi mafia, cokseurs. Per esempio – e mi riferisco principalmente alla Tunisia – ci sono persone che vengono respinte nel deserto dell’Algeria e lì trovano i taxi mafia che si offrono di riportarli a Sfax. Le persone pagano, è costoso, tra i 200 e 250 euro. Solo che, invece di essere liberate, sono portate dai kidnappeur, in case e altri luoghi a Sfax. Le persone vengono torturate, picchiate; i sequestratori prendono loro il telefono e chiamano le famiglie. Un tempo a me accadeva che mi chiamassero mentre torturavano le persone; ricevevo i video. Ci sono i rapimenti che fanno parte di un sistema di violenza diffusa. C’è molta droga, molto alcool, che prima non c’erano. E anche questa è colpa di Sayed, del presidente tunisino. Risale a quando ha cacciato tutti da Sfax, quando ha proibito ai neri di avere un tetto e un lavoro. Li hanno caricati su dei bus per poi scaricarli negli zitounes (uliveti) e lì, i migranti hanno costruito case di fortuna, per chilometri. L’alcool, i machete, la droga…ma le persone non sono arrivate con i machete, con l’alcol e neppure con la droga, le caramelle, i bonbons come dicono loro. E chi li produce? Chi glieli dà? Non è nemmeno erba, sono pasticche. Vengono da qualche parte, non le producono certo i migranti negli uliveti. Sono i tunisini a far arrivare droga e alcool.  HAI PARLATO DI KM, DI ZITOUNES… Risale tutto al 2023, quando le persone sono state cacciate da Sayed e portate a Nord di Sfax. Chi non è partito prendendo il mare, ha costruito tende e baracche sotto gli ulivi, lungo i km di costa. Sono gli zitounes.  Sono campi di ulivi, di proprietà di persone tunisine. A volte sono grandi campi, a volte sono più piccoli. Infiniti chilometri, come noi abbiamo città con tanti chilometri, dal km 5, 6 fino all’80 credo, e quindi tutti i chilometri vengono utilizzati dai migranti per accampare perché non hanno più diritto a stare nelle case. In realtà, le autorità tunisine li hanno parcheggiati in questi posti. E poi li hanno respinti, hanno distrutto le loro tende e loro le hanno ricostruite e così di seguito… e questo non fa altro che creare problemi perché, come ho detto, la violenza genera violenza. Perché si creano bande che sono in conflitto e che vogliono prendere il controllo dello spazio e dei traffici… e questo crea grossi problemi. La gente ora ha paura. Hanno persino paura di parlarmi.  PIÙ SI BLOCCA IL MARE, PIÙ AUMENTA LA VIOLENZA… MA ALLO STESSO TEMPO, NEGLI ZITOUNES CI SONO ANCHE MOLTE INIZIATIVE DI SOLIDARIETÀ… Sì, un giorno un migrante mi ha chiamato per dirmi: «Stiamo per avviare un progetto scolastico». Ho detto: «È fantastico, perché ci sono tanti, tantissimi bambini, almeno li terrà occupati». All’inizio ce n’erano una decina, ma poi si sono ritrovati con una trentina di bambini. Era davvero una buona cosa. Li teneva occupati. E poi tutto questo è stato distrutto. C’erano anche delle moschee, luoghi di preghiera, degli ospedali. Ci sono stati matrimoni, ci sono stati battesimi. Le autorità distruggono, loro ricostruiscono. E LE PERSONE TI FANNO PARTECIPARE A QUEI MOMENTI COSÌ INTIMI? Certo! Anche quando ci sono i sacrifici, quando si preparano a salire sulla barca per attraversare, quando sacrificano la pecora prima di un viaggio, tutto questo, sì. Sono al corrente di tutto, mi informano. Ci sono bambini che portano il mio nome. CI HAI RACCONTATO CHE A VOLTE TI CHIAMAVANO DURANTE LE TORTURE… Ora non lo fanno quasi più, perché gli aguzzini a Sfax, i sequestratori, bloccano i telefoni. Prima, quando mi chiamavano, potevamo localizzarli. Ora non più. Più volte, mi han chiamato e mi hanno fatto sentire come torturano. Prendono dei sacchetti di plastica, li incendiano e poi li fanno cadere sui loro corpi, oppure usano i coltelli o i machete. Anche le donne vengono picchiate, torturate, violentate. È terribile. La violenza, questa violenza prima non esisteva, perché le persone potevano andarsene. E ora sono bloccati lì a Sfax come topi. Ma in fondo è quello che le autorità tunisine volevano. Le persone non hanno più niente. Ne ho tanti, tanti che mi chiamano, che mi chiedono aiuto. E io… non posso aiutare tutti. Mi chiedono aiuto ogni giorno, ma io non riesco. Non hanno niente da mangiare e anche questo ovviamente crea violenza. Come puoi sopportare tutto questo? Appena riattacco, il telefono squilla di nuovo, per un’altra cosa e sono sempre in movimento. Assistere a tutta questa violenza è terribile. PER CHI NON HA MAI VISTO LA TUA PAGINA, PUOI SPIEGARE COSA FAI? Allora, innanzitutto i migranti la usano come pagina di informazione; guardano quello che ho scritto, perché così ricevono almeno informazioni su ciò che accade nei paesi in cui si trovano. Parlo delle aggressioni; quando c’è la polizia che brucia gli uliveti o ci sono arresti, lo racconto. E poi le sparizioni e le deportazioni: persone che scompaiono, le famiglie nei paesi di origine che mi mandano foto, che mi chiedono di pubblicarle. Ne ritroviamo molti. Ricevo molte chiamate dalle famiglie. Pubblico anche le barche che sono scomparse. O ancora: che una certa barca è partita da un porto. Scrivo sui naufragi, informo sulle condizioni meteo nei luoghi di partenza di Algeria, Tunisia e Marocco e su quelli di arrivo a Lampedusa, Pantelleria, Spagna…dico di non partire con il cattivo tempo. Perché ho iniziato a farlo? perché penso che potrò salvare delle vite. È il mio obiettivo. Anche dare consigli. Per esempio: esistono problemi di sovraccarico nelle barche, li invito a rispettare le condizioni meteo, di fare attenzione alla costruzione della barca, al motore. La maggior parte dei naufragi è dovuta a questo, perché le persone partono in condizioni molto sfavorevoli, con barche che erano di legno e ora sono di ferro, saldate male. Non ho mai navigato, eppure sono diventata un’esperta di meteo, barche, di motori. Proprio io, che non sono mai salita su una barca. Ci sono troppi capitani inesperti, sempre più inesperti, persone che non sono mai state in mare e che sono messe al comando. La maggior parte dei naufragi è dovuta al mancato rispetto delle condizioni base di sicurezza. E poi, nelle pubblicazioni, parlo dei cokseurs. Loro sono le persone che offrono informazioni e contatti per proseguire il viaggio, raccolgono i passeggeri per formare gli equipaggi di autobus, taxi, barche, per costituire insomma il gruppo di viaggio. Ci sono i lanceurs, che “lanciano” in mare le persone. Lo fanno ovviamente tutti in cambio di soldi. Alcuni sono corretti, altri meno. Capita che gli aventuriers diano i soldi ai cokseurs e questi poi non organizzano il viaggio. Allora il mio compito è quello di far recuperare i soldi alle persone. Organizzo delle conferenze, cerchiamo un terreno d’intesa, un rimborso possibile per chi ha pagato. E se non si trova un accordo, allora io pubblico le facce dei cokseurs sulla mia pagina dicendo che sono degli imbroglioni, degli arnaqueurs. Finire sulla mia pagina, fa cattiva pubblicità e toglie “clienti” a un cokseur. Adesso, ad esempio, sto denunciando “il mauritano”, fa prezzi stracciati, fa partire con cattivo tempo, con barche di ferro più grandi, fanno molti naufragi le barche del “mauritano”… COME HAI SVILUPPATO QUESTA CAPACITÀ DI RAPPRESENTANZA, DI COMUNICAZIONE? NEL TUO LAVORO, PER ESEMPIO, FACEVI ATTIVITÀ SINDACALE? PERCHÉ CI SEMBRI QUASI UNA SINDACALISTA DEI PASSEGGERI DA QUELLO CHE RACCONTI… NE DIFENDI I DIRITTI DI FRONTE AD “ORGANIZZATORI” CHE NON RISPETTANO GLI ACCORDI… Mai fatto sindacato. Difendo solo i più poveri e non l’avevo mai fatto prima. Non lo so, è venuto così e sono state le persone a insegnarmi… Sono state loro a darmi le carte in mano. A volte mi arrabbio. A volte ci vogliono mesi e mesi prima di recuperare i soldi. E la gente aspetta un anno, due anni. A volte non hanno tutti i loro soldi, ma va bene, per me se recuperano qualcosa per curarsi, per mangiare. HAI CORRISPONDENTI PRINCIPALI NEI DIVERSI PAESI… Sono in contatto con molte persone e poi ci sono quelli che mi chiamano molto spesso e con cui ho già instaurato un rapporto di fiducia e che, anche se rimpatriate, continuano a chiamarmi dalla Guinea, Costa d’Avorio, Mali, Burkina, per raccontarmi di loro e darmi informazioni. LAVORI CON IL TELEFONO SU WHATSAPP, SU FACEBOOK E POI HAI DEI QUADERNI… Questo è il quaderno dove annoto tutto. Ogni volta che ricevo una chiamata, annoto. Per esempio, se tu guardi qui è annotata la data “1° settembre” e ho scritto di una barca che era partita. Conservo tutti i quaderni. Ci sono i numeri di telefono di chi mi chiama, di associazioni, di un medico, di chi può dare una mano…Guarda qui per esempio: “Tarfaya, 8 aprile, non partito. Terza ondata, naufragio, nessun morto, salire, salire sugli scogli, molto stanco, non ha la forza di camminare”. Scrivo così come viene, come mi dicono. Ah, mi ricordo di questo evento (sfoglia il quaderno): un ragazzo che aveva perso sua sorella, una giovane donna ritrovata poi morta in ospedale. Faccio anche delle ricerche per chi è deceduto, ci sono le famiglie che mi chiamano. Una volta si poteva… Ora non si può più. Avevo dei conoscenti, potevano andare all’obitorio, negli ospedali, cercare in Tunisia. A un certo punto, era possibile. Facevano delle giornate “porte aperte”, diciamo; ora non è più possibile, non c’è più accesso ad ospedali e obitori. I parenti non sapranno mai dove sono finiti i loro figli. Sono triste perché so che li seppelliscono in fosse comuni.  Ecco un altro esempio: uno studente che aveva i documenti e che aveva perso molti dei suoi fratelli su una barca. Voleva rimpatriare i corpi nel loro paese ma non è stato possibile. C’erano 10 corpi. Li hanno seppelliti nelle fosse comuni che nessuno sa dove siano, perché nessuno lo dice. Come tutte le persone che muoiono in Tunisia negli ospedali. Mi sono sempre chiesta: dove sono i corpi? Cosa ne fanno? Dove sono le persone? Ci sono molte persone che sono malate. E vanno in ospedale e spariscono. È per questo che i migranti hanno paura di andare in ospedale. Perché sanno che… non si hanno più notizie. Non so cosa ne facciano. Ne ho sentito parlare spesso di traffico degli organi, ma non ho prove. Cosa ne fanno di tutte queste persone che muoiono? Perché, quando qualcuno muore, dovrebbero segnalarlo all’ambasciata, no? Quello che non riesco a capire è come mai i presidenti africani rimangano in silenzio di fronte al massacro dei propri cittadini. È come se non fossero camerunesi, non fossero nigeriani, non fossero… Non so, se un italiano morisse in Tunisia… sarebbe sulla prima pagina di tutti i giornali.  TI ASSUMI QUESTA RESPONSABILITÀ DI PARLARE, DI RACCONTARE… Se so che una barca è naufragata, sono obbligata a dirlo, non posso lasciar loro credere che le persone sono vive se non lo sono. Perché la guardia costiera tunisina sulla sua pagina web racconta solo bugie. È anche insopportabile l’ipocrisia europea; perché se ascolti i nostri governanti che stringono accordi con la Tunisia, la Libia, ti dicono che lo fanno per salvare vite umane. Quindi vogliono bloccare la migrazione perché, se le persone partono, muoiono. Eppure sanno benissimo cosa accade con i loro accordi… quello che vi ho appena raccontato. I migranti mi fanno sempre questa domanda «Ma cosa abbiamo fatto, cosa abbiamo fatto?». Ed è proprio così: sai dirmi tu cosa hanno fatto? 1. Luca Queirolo Palmas, docente di sociologia delle migrazioni all’Università di Genova, coordina il progetto di ricerca Solroutes; Georges Kouagang, mediatore culturale e rifugiato, è parte del Laboratorio di Sociologia Visuale dell’Università di Genova e anima il progetto The Routes Journal; Marie Millard, filmaker e webdesigner; Roberta Derosas, social worker, ricercatrice indipendente, attivista ↩︎ 2. Si veda il rapporto State Trafficking a cura del collettivo RR(X) ↩︎ 3. Equipaggio Della Tanimar, Controdizionario del confine. Parole alla deriva nel Mediterraneo centrale, TAMU, Napoli 2026 ↩︎
La parola a Refugees in Libya: «Stop Memorandum!»
FRANCESCO LORINI 1 Il 2 febbraio 2017 veniva firmato a Roma il Memorandum of Understanding (MoU) fra il governo libico del generale Fayez Mustafa Serraj e il governo italiano a guida PD del presidente Gentiloni. A tale firma si era arrivati grazie al lavoro del ministro dell’Interno italiano Marco Minniti, con l’obiettivo di avviare la “cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere”. Approfondimenti MEMORANDUM ITALIA-LIBIA, UN PATTO DI VIOLAZIONI E ABUSI Il 2 novembre l’accordo sarà rinnovato. Refugees in Libya: manifestiamo a Roma il 18 ottobre Carlotta Zaccarelli 29 Settembre 2025 Uno dei principali intenti era quello dell’“adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza già attivi nel rispetto delle norme pertinenti, usufruendo di finanziamenti disponibili da parte italiana e di finanziamenti dell’Unione Europea. La parte italiana contribuisce, attraverso la fornitura di medicinali e attrezzature mediche per i centri sanitari di accoglienza, a soddisfare le esigenze di assistenza sanitaria dei migranti illegali, per il trattamento delle malattie trasmissibili e croniche gravi” 2. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: con il sostegno finanziario dell’Italia, dell’Unione Europea e il coordinamento di Frontex, il MoU ha formato, finanziato ed equipaggiato le milizie libiche, che hanno sistematicamente rapito, detenuto arbitrariamente, torturato, ridotto in schiavitù, ucciso e violentato persone migranti e rifugiate in quei “centri di accoglienza” che, fuori da ogni controllo, si sono rivelati essere «la porta dell’inferno» (secondo la definizione data da chi è riuscito fortunosamente a uscirne). I finanziamenti italiani e comunitari hanno sostenuto l’acquisto di armi, attrezzature e motovedette della sedicente Guardia costiera libica, che solo pochi giorni fa – come riportato da queste pagine – ha aperto il fuoco su un’imbarcazione di migranti in zona SAR maltese, ferendone gli occupanti, uno dei quali è ora in fin di vita per un proiettile che lo ha colpito alla testa. Notizie LE FORZE LIBICHE SPARANO SULLE PERSONE MIGRANTI IN FUGA NEL MEDITERRANEO CENTRALE La denuncia di Alarm Phone e Mediterranea, ma le autorità italiane ed europee restano a guardare Redazione 16 Ottobre 2025 L’accordo tra Italia e Libia ha durata triennale e si rinnova tacitamente ogni tre anni, a meno di disdetta entro tre mesi dalla scadenza. Da allora è stato rinnovato da tutti i governi italiani che si sono succeduti, indipendentemente dal loro colore politico. È per questo che sabato 18 ottobre 2025, i militanti di Refugees in Libya, un gruppo di persone che sono riuscite a mettersi in salvo dai lager libici e dagli aguzzini che li hanno torturati per mesi, hanno dato voce a una richiesta forte e chiara: il memorandum va fermato. PH: Clara Marnette Sul palco, donne, uomini e bambini provenienti dal Sudan, dall’Eritrea e da altri paesi africani avevano in comune il trauma subito nelle carceri libiche: nessuno di loro ha dimenticato chi ancora oggi lotta per la sopravvivenza in condizioni disumane sull’altra sponda del Mediterraneo. Con il titolo Stage of Survivors hanno messo in scena la rappresentazione del processo ai responsabili delle loro sofferenze e di tutte le persone transitate o ancora detenute nei campi libici: ministri e sottosegretari, per ognuno dei quali viene formalizzato il capo d’imputazione. Dal palco hanno così ripercorso, in qualità di testimoni, le violenze viste e subite durante la detenzione in Libia. Un’azione che guarda e non dimentica chi ha avuto meno fortuna di loro e si trova ancora rinchiuso in un carcere al di là del Mediterraneo, ma al tempo stesso è rappresentazione del coraggio di denunciare gli abusi subiti a voce alta – anche se a volte rotta dal pianto – per quelle ferite dell’anima che spesso sono molto più difficili da cicatrizzare di quelle sui corpi. Un’azione che è volontà di denunciare un sistema ben descritto da Mamadou, il quale paragona il MoU a un grande banchetto in cui i rifugiati sono il piatto di portata: «Perché – ha spiegato – in Libia le persone vengono vendute come il pane». La manifestazione si è chiusa con vari interventi dal palco delle realtà che, a vario titolo, supportano Refugees in Libya, fra le quali il JLProject, un collettivo che realizza indagini forensi per aiutare persone raccolte in mare e respinte in Libia, al fine di richiedere all’autorità giudiziaria il riconoscimento del respingimento illegale e la condanna dell’Italia al rilascio di visti d’ingresso per motivi umanitari alle vittime. La settimana di mobilitazione, anche se non riuscirà nell’intento di far cessare l’accordo, è stata per gli organizzatori un momento significativo di presa di parola collettiva. Lo Stage of Survivors ha condannato quattro ministri italiani per crimini contro l’umanità a causa del loro sostegno agli attori criminali in Libia e in mare. Nessuno, un giorno, potrà dirsi innocente o affermare di non sapere ciò che avveniva in mare e sull’altra sponda del Mediterraneo. PH: Clara Marnette 1. Attivista della scuola di italiano Libera La Parola di Trento ↩︎ 2. Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana ↩︎