Mediterranea in catene per due mesi e 10mila euro di multa

Progetto Melting Pot Europa - Wednesday, September 3, 2025

La nuova nave di Mediterranea Saving Humans resterà ferma in porto per 60 giorni e i suoi responsabili dovranno pagare una sanzione di 10mila euro. È la decisione notificata dal Prefetto di Trapani, per conto del Ministero dell’Interno, nell’ambito dell’applicazione del cosiddetto Decreto Legge Piantedosi.

Si tratta, spiegano dall’organizzazione, di «uno dei più pesanti provvedimenti in questi tre anni contro le imbarcazioni della flotta civile di soccorso».

Alla base della contestazione c’è la «grave, premeditata e reiterata disobbedienza» all’ordine del Viminale di raggiungere il porto di Genova, distante oltre 690 miglia, con a bordo dieci naufraghi soccorsi il 21 agosto in acque internazionali davanti alla Libia.

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L’Ong respinge le accuse e rivendica la scelta di approdare e a Trapani il 23 agosto, per garantire cure mediche e psicologiche immediate ai sopravvissuti. «E dunque quale sarebbe il grave reato che abbiamo commesso? – si chiede l’equipaggio -. Abbiamo forse fatto del male a qualcuno, abbiamo distrutto qualcosa, abbiamo sparato addosso a qualcuno come fanno i “guardacoste” libici?».

La colpa di Mediterranea, sostengono, sarebbe soltanto quella di aver detto «SignorNO!» a un ordine giudicato «assurdo e disumano».

Secondo l’organizzazione, comandante ed equipaggio hanno agito «secondo il diritto marittimo, nazionale e internazionale, e secondo i principi di umanità e giustizia». L’accusa rivolta al governo è di utilizzare i poteri istituzionali per «una continua e odiosa propaganda elettorale permanente».

«Disobbedire a un ordine illegittimo ed illegale è questione di dignità», si legge ancora nel comunicato, dove si sottolinea come la scelta abbia permesso «qui ed ora» lo sbarco in un porto sicuro dei dieci naufraghi. «A Piantedosi, alle sue catene, continueremo a rispondere “SignorNO!” perché non siamo sudditi».

L’associazione annuncia un ricorso urgente all’autorità giudiziaria per chiedere l’annullamento del fermo, definito «un provvedimento di vendetta, abnorme e illegittimo sotto ogni punto di vista». I tribunali, più volte in questi anni, hanno già giudicato illegittimi fermi e multe operate dal governo contro le navi della flotta civile.

Tutta la vicenda che ha colpito Mediterranea si inserisce in un contesto già teso, in cui il governo, nonostante l’apparente rigore, si trova in difficoltà di fronte a ciò che accade nel Mediterraneo e al sostegno, mai messo in discussione, del lavoro sporco della cosiddetta Guardia costiera libica, e che si è evidenziato anche con la liberazione del torturatore libico Almasri.

«Collaborano con quelle milizie che in Libia sono responsabili di ogni genere di abuso e violenza nei campi di detenzione e, in mare, sparano addosso alle navi umanitarie come avvenuto contro la Ocean Viking. E in Italia sanzionano chi soccorre», denuncia l’organizzazione.

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«Non ci fermeranno con questi mezzi – conclude l’Ong – siamo convinti che, mentre il criminale “sistema Libia” costruito in questi anni sta mostrando il suo volto più feroce, saranno invece le ragioni della vita e dell’umanità ad affermarsi».

Un messaggio che risuona ancora più forte in questi giorni, a dieci anni dalla morte del piccolo Alan Kurdi, il bambino siriano di tre anni la cui immagine sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, divenne un simbolo della mancanza di vie sicure per arrivare in Europa. A distanza di un decennio, tutta l’architettura delle politiche di contrasto alla libertà di movimento continua a costringere le persone a rischiare la vita in mare.