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Mediterranea in catene per due mesi e 10mila euro di multa
La nuova nave di Mediterranea Saving Humans resterà ferma in porto per 60 giorni e i suoi responsabili dovranno pagare una sanzione di 10mila euro. È la decisione notificata dal Prefetto di Trapani, per conto del Ministero dell’Interno, nell’ambito dell’applicazione del cosiddetto Decreto Legge Piantedosi. Si tratta, spiegano dall’organizzazione, di «uno dei più pesanti provvedimenti in questi tre anni contro le imbarcazioni della flotta civile di soccorso». Alla base della contestazione c’è la «grave, premeditata e reiterata disobbedienza» all’ordine del Viminale di raggiungere il porto di Genova, distante oltre 690 miglia, con a bordo dieci naufraghi soccorsi il 21 agosto in acque internazionali davanti alla Libia. Notizie/In mare MEDITERRANEA: «NAUFRAGHI GETTATI IN MARE DAI LIBICI» Il grave episodio durante la prima missione della nuova nave Redazione 22 Agosto 2025 L’Ong respinge le accuse e rivendica la scelta di approdare e a Trapani il 23 agosto, per garantire cure mediche e psicologiche immediate ai sopravvissuti. «E dunque quale sarebbe il grave reato che abbiamo commesso? – si chiede l’equipaggio -. Abbiamo forse fatto del male a qualcuno, abbiamo distrutto qualcosa, abbiamo sparato addosso a qualcuno come fanno i “guardacoste” libici?». La colpa di Mediterranea, sostengono, sarebbe soltanto quella di aver detto «SignorNO!» a un ordine giudicato «assurdo e disumano». Secondo l’organizzazione, comandante ed equipaggio hanno agito «secondo il diritto marittimo, nazionale e internazionale, e secondo i principi di umanità e giustizia». L’accusa rivolta al governo è di utilizzare i poteri istituzionali per «una continua e odiosa propaganda elettorale permanente». «Disobbedire a un ordine illegittimo ed illegale è questione di dignità», si legge ancora nel comunicato, dove si sottolinea come la scelta abbia permesso «qui ed ora» lo sbarco in un porto sicuro dei dieci naufraghi. «A Piantedosi, alle sue catene, continueremo a rispondere “SignorNO!” perché non siamo sudditi». L’associazione annuncia un ricorso urgente all’autorità giudiziaria per chiedere l’annullamento del fermo, definito «un provvedimento di vendetta, abnorme e illegittimo sotto ogni punto di vista». I tribunali, più volte in questi anni, hanno già giudicato illegittimi fermi e multe operate dal governo contro le navi della flotta civile. Tutta la vicenda che ha colpito Mediterranea si inserisce in un contesto già teso, in cui il governo, nonostante l’apparente rigore, si trova in difficoltà di fronte a ciò che accade nel Mediterraneo e al sostegno, mai messo in discussione, del lavoro sporco della cosiddetta Guardia costiera libica, e che si è evidenziato anche con la liberazione del torturatore libico Almasri. «Collaborano con quelle milizie che in Libia sono responsabili di ogni genere di abuso e violenza nei campi di detenzione e, in mare, sparano addosso alle navi umanitarie come avvenuto contro la Ocean Viking. E in Italia sanzionano chi soccorre», denuncia l’organizzazione. Notizie/In mare OCEAN VIKING SOTTO ATTACCO DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA Spari per 20 minuti contro la nave di SOS Méditerranée con 87 naufraghi a bordo Redazione 27 Agosto 2025 «Non ci fermeranno con questi mezzi – conclude l’Ong – siamo convinti che, mentre il criminale “sistema Libia” costruito in questi anni sta mostrando il suo volto più feroce, saranno invece le ragioni della vita e dell’umanità ad affermarsi». Un messaggio che risuona ancora più forte in questi giorni, a dieci anni dalla morte del piccolo Alan Kurdi, il bambino siriano di tre anni la cui immagine sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, divenne un simbolo della mancanza di vie sicure per arrivare in Europa. A distanza di un decennio, tutta l’architettura delle politiche di contrasto alla libertà di movimento continua a costringere le persone a rischiare la vita in mare.
Ocean Viking sotto attacco della Guardia Costiera libica
Una motovedetta donata dall’Italia apre il fuoco su una nave di ricerca e soccorso con 87 sopravvissuti a bordo. SOS Mediterranee: «Chiediamo la fine immediata della collaborazione con la Libia». «Oggi la Ocean Viking è stata deliberatamente e violentemente attaccata in acque internazionali dalla Guardia Costiera libica che ha sparato centinaia di colpi contro la nostra nave. Gli 87 sopravvissuti e l’equipaggio stanno bene. Stiamo lavorando a ricostruire gli eventi». Con queste parole, intorno alle 20 del 24 agosto, SOS Mediterranee denunciava sui propri canali social uno degli episodi più gravi mai avvenuti contro una nave di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Secondo quanto riportato dall’organizzazione, la MV Ocean Viking si trovava in acque internazionali, a circa 40 miglia nautiche a nord della costa libica. L’attacco è iniziato alle 15:03 ora locale di domenica 24 agosto, quando una motovedetta di classe Corrubia della Guardia Costiera libica ha aperto il fuoco sulla nave di soccorso per almeno 20 minuti ininterrotti. «Due uomini a bordo della motovedetta hanno aperto il fuoco sulla nostra nave umanitaria, iniziando un assalto durato almeno 20 minuti ininterrotti direttamente contro di noi», scrive SOS Méditerranée. «Con già a bordo 87 sopravvissuti» – per lo più cittadini sudanesi in fuga da guerra e persecuzioni – «soccorsi tra la notte di sabato 23 agosto e la mattina di domenica 24 agosto – la nave era stata autorizzata dal Centro di coordinamento italiano a sospendere la rotta verso il porto assegnato e cercare un’altra imbarcazione in difficoltà in acque internazionali. Mentre i team erano impegnati nella ricerca, la motovedetta libica ha illecitamente ordinato alla Ocean Viking di abbandonare la zona e dirigersi verso nord. L’ordine è stato comunicato prima in inglese e poi in arabo tramite il mediatore culturale a bordo, che ha confermato dal ponte che la nave stava già lasciando l’area. Tuttavia, senza alcun preavviso o ultimatum, due uomini a bordo della motovedetta hanno aperto il fuoco. La motovedetta ha circondato la Ocean Viking, prendendo deliberatamente di mira i membri dell’equipaggio sul ponte – la parte della nave dove si svolgono le operazioni di navigazione e governo». Durante quei minuti drammatici, i team di SOS Mediterranee e dell’IFRC hanno messo in sicurezza gli 87 sopravvissuti prima di rifugiarsi all’interno della nave. Fortunatamente, nessuno è rimasto ferito. I colpi, dozzine dei quali sono stati rinvenuti a bordo, hanno perforato oblò ad altezza uomo e danneggiato radar, antenne, gommoni di soccorso e raft di salvataggio. «L’attacco ha causato fori di proiettile all’altezza della testa, la distruzione di diverse antenne, quattro finestre rotte sul ponte e diversi proiettili che hanno colpito e danneggiato i tre RHIBS (motoscafi di soccorso veloci), insieme ad altre attrezzature di soccorso», denuncia ancora l’organizzazione. PH: SOS Méditerranée Il giornalista Sergio Scandura, di Radio Radicale, ha condiviso immagini impressionanti dalla nave: oblò crivellati, interni danneggiati, mezzi di soccorso distrutti. > 🔴 Le immagini dalla nave Ocean Viking. > L'aggressione. Dozzine i proiettili rinvenuti a bordo, sparati dalla c.d. > guardia costiera libica. Oblò forati ad altezza uomo, interni, antenne, > radaristica, RHIB di soccorso, raft di salvataggio: aggressione e danni senza > precedenti. https://t.co/pIAU4qtO65 pic.twitter.com/Vqv3o4FtCJ > > — Sergio Scandura (@scandura) August 25, 2025 Dopo lo sbarco avvenuto ad Augusta la sera del 25 agosto, SOS Méditerranée ha ricordato: «Dopo tutto quello che hanno passato, hanno dovuto affrontare gli attacchi armati alla nostra nave di salvataggio da parte della Guardia Costiera libica. Anche la nostra nave umanitaria non è più un luogo sicuro». Il comunicato sottolinea un aspetto cruciale: la motovedetta che ha sparato era stata donata dall’Italia nel 2023 nell’ambito del programma europeo “Support to Integrated Border and Migration Management in Libya (SIBMMIL)”. PH: Sergio Scandura «Ieri, i nostri team e i sopravvissuti della Ocean Viking sono stati colpiti dalla Guardia Costiera libica, su una nave donata dall’Italia. Chiediamo un’indagine completa su questi orribili eventi e la fine immediata di ogni collaborazione con la Libia», scrive SOS Mediterranee. Valeria Taurino, direttrice generale di SOS Méditerranée Italia, ha ribadito: «Chiediamo che venga condotta un’indagine approfondita sugli eventi e che i responsabili di questi atti che mettono a repentaglio la vita delle persone siano assicurati alla giustizia. Chiediamo inoltre la cessazione immediata di ogni collaborazione europea con la Libia. Non possiamo accettare che una guardia costiera riconosciuta a livello internazionale compia aggressioni illegali». Non è la prima volta che la cosiddetta Guardia Costiera libica ostacola i soccorsi. Già nel 2023 una motovedetta aveva sparato nei pressi dei gommoni della Ocean Viking. Allora non seguì nessuna inchiesta. Questa volta però la portata dell’aggressione è senza precedenti: un assalto mirato, con colpi sparati all’altezza della testa e attrezzature di soccorso distrutte. Durante l’assalto la Ocean Viking ha lanciato un mayday alla NATO. La nave più vicina era un’unità della Marina italiana, che tuttavia non ha risposto. La Procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta con l’ipotesi di tentato omicidio a carico di ignoti, disponendo rilievi scientifici a bordo della nave e la raccolta di testimonianze. Si dovrà accertare se l’attacco della Guardia costiera libica sia avvenuto in acque internazionali: in tal caso la competenza passerebbe alla Procura di Roma. Sul fronte europeo, la Commissione UE ha dichiarato di aver chiesto chiarimenti alle autorità libiche, ribadendo che spetta a Tripoli fare luce sull’accaduto. Bruxelles, al momento, si concentra sulla ricostruzione dei fatti senza annunciare conseguenze immediate.
Anatomia di un approdo qualsiasi
Lampedusa, agosto. Il giorno dopo l’ennesimo naufragio. Attraverso la descrizione delle pratiche di sbarco al molo Favaloro, spazio liminale e metonimia del confine europeo, il testo mette in luce la tensione costante tra accoglienza e controllo, tra salvataggio e classificazione. Il molo appare come luogo fisico di approdo, ma anche come dispositivo politico e simbolico, in cui il “naufrago” diventa “migrante ufficiale” e i corpi, ridotti a numeri, vengono gestiti secondo logiche amministrative e securitarie. Al tempo stesso, negli interstizi di questo limine, si collocano forme di riconoscimento reciproco: gesti minimi che aprono spazi di relazione volti a restituire dignità e soggettività. In un contesto dominato dall’urgenza e dalle cifre, è possibile interrompere la “circolarità della violenza”: questo accade quando si trasforma il molo da luogo di pura gestione a spazio di resistenza e un corpo migrante da numero torna ad essere persona. PH: Tanja Boukal È agosto, l’indomani dell’ennesima strage evitabile, e quello che si compie stasera è un normalissimo arrivo, il secondo della giornata. Ci sono stati tempi, sull’isola, in cui gli approdi si susseguivano senza sosta, ma le politiche europee e gli accordi con Libia e Tunisia stanno ottenendo il loro effetto nella riduzione dei numeri di persone migranti che approdano qui. Anche la tipologia degli arrivi pare diversa: ai grandi gruppi paiono stranamente sostituirsi i piccoli. Se non fosse per la presenza dei giornalisti, passerebbe inosservato ciò sta accadendo in questa calda serata d’estate, accanto ad una delle spiagge più turistiche dell’isola, la Guitgia: vacanzieri spensierati alla ricerca di mare e divertimento e cittadini stranieri non autorizzati, i primi attesi con impazienza, i secondi fermati, schedati, soccorsi, respinti, salvati e, in qualche modo, comunque accolti. Stasera partecipo come volontaria a uno sbarco, per usare un termine poco amato da chi interviene al molo per il suo richiamo al linguaggio militare. Evento marittimo numero 2 (EV. 2), lo definiscono le forze dell’ordine o la Croce Rossa (CRI). Tuttavia, molti, nelle conversazioni informali, ritornano all’uso della parola militare. Già: un Mediterraneo in assetto di guerra, eserciti e flotte civili che dispiegano i propri equipaggi in questa frontiera liquida. E poi quella terrestre, coi moli: due a Lampedusa, il Favaloro – più noto – e il Commerciale. PH: Tanja Boukal Spazio liminale, soglia giuridica, emotiva e politica. Non luogo, primo spazio di relazione e di accoglienza a terra, ma anche di trasformazione perché qui il “naufrago” diventa “migrante ufficiale”. Spazio di osservazione, di azione, ma anche di potere delle diverse agenzie i cui operatori (sia istituzionali e governativi che non) occupano un territorio che definisce anche la loro importanza in ordine di intervento e di decisione 1. Mai accesso libero, il molo diventa metonimia del confine: geografico, cronologico, politico, esistenziale. Rappresenta il trait d’union di tutte le contraddizioni: luogo di soccorso e accoglienza, ma anche spazio di cesura in cui si definisce chi può restare e chi deve essere respinto, chi è potenzialmente legale e chi non lo è, chi deve essere protetto e chi no, chi è vulnerabile e chi appare ancora dotato di forze e capacità, chi è vittima e chi è carnefice. La funzione del molo, come luogo di transito e di organizzazione delle operazioni di sbarco, non può essere separata dalla sua carica simbolica e neppure dalla violenza che lo abita, perché qui le politiche migratorie si concretizzano e si traducono nella classificazione e gestione delle persone che fanno parte di un evento. Al molo, le dinamiche di intervento ed azione sono continuamente ridisegnate, discusse e ristabilite durante il tempo dello sbarco, in una sorta di danza fluttuante, a seconda del momento in cui le persone migranti arrivano, le loro condizioni fisiche, il loro numero, la presenza di donne o minori non accompagnati, i tempi di trasferimento, ma anche a seconda delle competenze e del saper essere degli operatori e della loro disponibilità emotiva al tempo X dell’approdo. È un giorno d’agosto.  Al molo, stanotte, tutti i presenti sono in attesa: medico e infermiere per effettuare una prima verifica delle condizioni fisiche delle persone, due agenti di Frontex accompagnati da un mediatore linguistico dell’OIM, una persona di Save the Children, un’operatrice di International Rescue Committee (IRC), quattro operatori della CRI e poi noi volontari del Forum solidale di Lampedusa. Le forze dell’ordine sono dispiegate ai nostri lati. Ognuno al suo posto. PH: Tanja Boukal La nave della Guardia Costiera entra in porto poco dopo le 21.00, con a bordo il suo carico di naufraghi. Partiti da Tripoli due giorni fa, sono quarantuno persone a sbarcare: uomini provenienti da Bangladesh ed Egitto, cinque bambini, tre donne, almeno tre minori – o forse di più – ma solo questi confermati. Dal ponte della CP le persone scendono e cominciano a camminare lungo la striscia di cemento che li separa dal cancello, dove li attende il furgone della Croce Rossa, pronto a trasportarli all’hotspot. Il personale medico provvede subito a mettere una fascetta attorno al polso, a indicare se un qualunque tipo di patologia affligga queste persone. In genere, si tratta di scabbia. Stanotte una persona viene trasportata al poliambulatorio in barella: si è sentita male poco prima dell’arrivo a terra. Nulla di grave: è “solo” l’effetto di un viaggio estenuante in mare, senza acque, sotto il sole, in balia della corrente e delle preghiere che forse stavolta sono state ascoltate. Durante i primi scambi, il corpo si impone: ferite, piedi nudi, sguardi, movimenti raccontano in silenzio. L’odore arriva prima delle parole: un miscuglio acre di urina, sale marino e vomito. I vestiti sono zuppi, impregnati d’acqua e di viaggio. I piedi scalzi, bianchi di macerazione per le ore trascorse in acqua, raccontano di chilometri camminati e di ore immobili. Sfilano, timidi, esitanti. Stanotte, come sempre, mi sembrano vergognarsi dei nostri sguardi, dei vestiti bagnati, della miseria dei loro corpi. Noi volontari del forum lampedusano siamo in ultima postazione sul molo. PH: Tanja Boukal Siamo in quattro: proviamo ad accogliere in questo spazio ristretto, in un tempo che anche lui è di limite- limine, queste persone sfiancate dal viaggio, da quello che le ha precedute, dal deserto che hanno attraversato, dalle prigioni in cui sono stati forse detenute, dalle connection house che hanno incontrato nel percorso, e così a ritroso, fino ad arrivare al paese che li ha visti nascere. Distribuiamo the, acqua e ciabatte: il gesto si ripete, meccanico, ma ogni volta diverso perché tentiamo di lasciare loro spazio, di incontrarle, una per una. Un giovane egiziano fa da interprete improvvisato: non un mediatore ufficiale, ma un membro del gruppo che, per istinto, si mette a fare da ponte linguistico e culturale. Questa mediazione spontanea mostra come, anche in un contesto di vulnerabilità estrema come questo, possano emergere forme di auto-organizzazione e solidarietà interna. C’è una donna con un bambino piccolo portata subito al punto medico per accertamenti; sembra stare bene. I minori non accompagnati, egiziani, attendono in silenzio, scalzi come la maggior parte del gruppo. Sorridono, di risposta a un sorriso, dicono “grazie” a un semplice “Benvenuto. Sei al sicuro”. Una sicurezza momentanea, ma consolazione al viaggio appena lasciato alle spalle, in attesa di un altro che ricomincia. Parlo con un uomo. Dice di venire dall’Egitto. Alla domanda da dove sia partito, la risposta è secca: “Tripoli”. Poi il silenzio. Gli chiedo se sa dove si trovi. “Lapadusa”, pronuncia. Gli spiego il percorso che lo attende: da quest’isola alla Sicilia, poi un centro in Italia. Anche lui, come molti altri, non sa se vuole restare, parla di un altrove in Europa, dove ci sono familiari, connazionali, o solo un futuro immaginato che qui, sul molo, stanotte non si può spiegare. Un ragazzo chiede di sedersi. Fa segno che sta male e prima di poterlo allontanare dal gruppo, vomita bile. Il corpo si piega su se stesso. Cerchiamo di portarlo in un angolo protetto, lontano dagli sguardi perché la vergogna, in questi momenti, è quasi tangibile. Osservo altri che massaggiano le gambe. So che le traversate avvengono in posizioni forzate, con corpi incastrati tra loro, spesso dai trafficanti stessi. Muoversi durante il tragitto in mare è pericoloso: basta alterare l’equilibrio della barca per rischiarne il capovolgimento. Così le persone restano immobili per ore: l’assenza di movimento diventa dolore. Molti hanno lo sguardo perso, un’assenza che sembra protezione. Ma basta cercare i loro occhi perché, quasi sempre, succeda qualcosa: lo sguardo ritorna e spesso si allarga in un sorriso. Nel primo luogo di procedure e controlli, il contatto visivo agisce come atto di riconoscimento reciproco, interrompe la logica amministrativa dello sbarco, apre uno spazio di relazione tra chi arriva e chi accoglie. Stanotte, in risposta al freddo di questi uomini e in mancanza di vere coperte, tiriamo fuori quelle termiche: mantelline ripiegate con cui li copriamo. Lo facciamo per scelta: le apriamo, li avvolgiamo. Uno per uno: perché si mantenga un contatto autentico, perché sentano che sono persone e non numeri, perché la cura dell’altro questo prevede. In attesa di salire sul bus della Croce Rossa per il trasporto all’hotspot, alcune chiedono di andare in bagno. Non possono andarci sole, devono essere accompagnate per questioni di sicurezza, di controllo e gestione e per questo andiamo noi volontari del forum: per interrompere la circolarità di una violenza che ci è imposta e che obbliga uomini a tornare bambini, privati persino dell’autonomia di un gesto elementare come andare in bagno. Stanotte non ci autorizzano, perché le persone stanno per essere trasportate all’hotspot. “Possono aspettare. Avrebbero dovuto chiedere prima”. Corpi obbligati a un’attesa che un altro decide per loro. PH: Tanja Boukal Quando le persone sono in attesa di essere caricate sul pulmino della CRI per il trasferimento all’hotspot, le fila si rompono e l’ordine è meno evidente. Lo spazio è occupato in modo meno armonico e ordinato, nonostante la sorveglianza della polizia non si abbassi mai. Gli operatori, invece, si muovono in questo spazio. Il clima, generalmente si distende. Sono molte le persone in attesa che chiedono “Wi- Fi”: il bisogno evidente è quello di comunicare a chi è rimasto a casa di essere arrivato a destinazione ed essere sopravvissuto. Un uomo ci chiede di chiamare la famiglia: non ha il telefono. Parla un inglese stentato. Racconta in lacrime che ha lasciato sua figlia in Bangladesh, appena nata e che non ha potuto chiamare in questi mesi. Vuole avvisare per dire che ce l’ha fatta a bruciare queste frontiere, ad arrivare. La conversazione si chiude: il trasferimento all’hotspot non aspetta i tempi di una conversazione, di un bagno, una preghiera, di una confessione. Uno sbarco ha il tempo di cifre e urgenze vitali. Tutto il resto deve attendere. Solo negli interstizi di questo limine la relazione ha spazio per fiorire. Ed è lì, nella frontiera fragile tra controllo e accoglienza, che un operatore agisce perché un corpo migrante da numero diventi persona, perché uno sbarco si trasformi in approdo e la relazione, anche solo per un istante di confine, interrompa la catena della violenza. 1. In M. MARCHETTI, Il fondamento territoriale del potere di fronte alle trasformazioni spaziali globali, pubblicato sulla rivista Diritti fondamentali il territorio è condizione di esistenza delle strutture di potere; è forma spaziale ove l’uomo orienta i propri sensi, colloca, individua ed organizza le strutture della vita comune; esso ha un’intima essenza antropologica, essendo l’uomo stesso “un essere terrestre, un essere che calca la terra”, avvinto ad essa da un legame simbiotico che imprime unità ed identità al gruppo stesso. Gli antropologi definiscono tale legame ricorrendo all’espressione “imperativo territoriale”, per intendere quell’istinto o quella pulsione primordiale che spinge gli uomini (come anche gli animali) a difendere il territorio in forza di un sentimento possessivo, esclusivo ed escludente ↩︎
Un’altra strage nel Mediterraneo, lo stesso cinismo
Un’altra strage di persone migranti a sud di Lampedusa. Ventisette morti, tra cui una neonata e tre ragazzini. Novantasette persone partite, sessanta arrivate vive. Lo ricorda con chiarezza «Osservatorio Repressione»: è l’onda lunga della “dottrina Piantedosi”. Aspettare, calcolare, trasformare il soccorso in un’operazione di polizia. Il naufragio è avvenuto a 14 miglia a sud-ovest dell’isola, a due miglia dalle acque territoriali italiane. Due barconi partiti dalla costa libica, forse da Tripoli scrive nel suo comunicato la Guardia costiera italiana. Uno si riempie d’acqua, le persone si spostano sull’altro, che si ribalta a sua volta. Quando Guardia costiera e Guardia di finanza arrivano, lo scafo è già capovolto, i corpi già in mare. Eppure un aereo di Frontex sorvolava quell’area la sera prima. Non li ha visti? O le autorità italiane stavano preparando l’ennesima «operazione di contrasto all’immigrazione irregolare» in attesa che le barche entrassero nelle acque nazionali? Oppure le autorità si attendevano l’ennesimo respingimento? Come mai le due imbarcazioni sono passate inosservate?  Il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura lo scrive senza mezzi termini: «Strage senza immagini: zero dalla Guardia Costiera in mare, zero dal porto di Lampedusa. Serve far passare “in cavalleria” questo ennesimo dramma. Parlarne al massimo mezza giornata, nascondere i corpi dei vivi e dei morti: evitare al governo un altro incubo stile Cutro». Il Comando della Guardia costiera si limita a un comunicato stringato, in violazione delle stesse procedure Sar nazionali che impongono la comunicazione pubblica delle operazioni di soccorso. Sapere se qualcuno era a conoscenza della situazione e non è intervenuto subito non è un dettaglio: significa stabilire se ci troviamo davanti a un’ennesima omissione di soccorso mascherata da «prontezza operativa». Nella serata del 14 agosto, la GC ha poi diffuso alle redazioni un comunicato con due brevi video: il primo mostra le operazioni di soccorso di ieri, con l’imbarcazione in vetroresina rovesciata; il secondo documenta i pattugliamenti di oggi alla ricerca dei dispersi. Immagini che arrivano solo a posteriori, quando il racconto e la percezione pubblica della strage sono già stati neutralizzati. Francesca Saccomandi di Mediterranean Hope è diretta: «Non sono tragedie ma morti annunciate, frutto di politiche di respingimento di cui i governi europei sono responsabili». Tra le salme ci sono un bambino di quattro anni e uno di appena un anno e mezzo. La madre di quest’ultimo ha perso nello stesso giorno marito e figlio. Un ragazzo ha visto morire il suo migliore amico, dopo otto anni di attesa in Libia. Perfino Flavio Di Giacomo dell’Oim è netto: «È inadeguato il pattugliamento, il soccorso, il salvataggio. Serve rafforzare il sistema europeo di pattugliamento, perché salva vite e porta le persone in un porto sicuro, non in Libia».  Sea Watch aggiunge: «Rabbia e frustrazione. È quello che sentiamo per l’ennesimo naufragio a poche miglia da Lampedusa. La nostra Aurora e altre Ong se indirizzate avrebbero potuto soccorrere le persone in pochi minuti. Qualcuno sapeva della presenza di quella barca?». E intanto l’aereo Seabird resta bloccato: avrebbe potuto avvistare le imbarcazioni e dare tempestivamente l’allarme, ma sarebbe stato un testimone scomodo del mancato soccorso. Le ultime notizie riportano che la procura di Agrigento ha aperto un fascicolo di indagine per “per naufragio colposo”. Per il governo Meloni, invece, la colpa è sempre e solo dei «trafficanti di esseri umani». Piantedosi ribadisce la necessità di «prevenire i viaggi in mare sin dai territori di partenza», mentre Meloni denuncia l’«inumano cinismo con cui i trafficanti organizzano questi loschi viaggi». Parole già pronte, buone per coprire le proprie responsabilità politiche. Ma quando il governo un vero trafficante e torturatore ce l’ha sotto mano, come nel caso Almasri, ricorda ancora «Osservatorio Repressione», lo rimanda velocemente in Libia con un volo di Stato. Il bollettino di guerra ha superato le 700 vittime nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno ad oggi. E si continuerà a contarle finché il mare resterà un confine da militarizzare e uno spazio di non soccorso, finché questo regime dei confini italiano ed europeo continuerà ad avvantaggiare altri amici trafficanti e a lasciare come unica via per arrivare in Europa quella del mare. Il resto è propaganda. E ipocrisia di chi è colpevole di queste morti.
Grecia, sospensione dell’asilo e nuova riforma razzista del governo Mitsotakis
Con il pretesto dell’aumento degli arrivi sulle isole meridionali, il governo di Kyriakos Mitsotakis ha sospeso per tre mesi l’accesso all’asilo per le persone che arrivano via mare da paesi del Nord Africa, ordinandone l’espulsione immediata senza registrazione. Parallelamente, prosegue in Parlamento l’iter della “Riforma del quadro e delle procedure per i rimpatri di cittadini di Paesi terzi”, che amplia la detenzione, introduce pene detentive per chi resta senza documenti e limita le possibilità di regolarizzazione. La norma radicalizza le linee guida del nuovo Patto UE su migrazione e asilo, anticipandone la traduzione più repressiva. ONG e movimenti denunciano gravi violazioni del diritto internazionale, mentre cresce il coordinamento per una risposta sociale e politica. UNO STATO DI EMERGENZA COSTRUITO AD ARTE L’aumento degli arrivi di persone in movimento sulle isole meridionali greche è diventato il nuovo pretesto del governo di centro-destra guidato da Kyriakos Mitsotakis per giustificare l’ennesima offensiva contro il diritto di asilo. Dall’inizio dell’estate, in particolare, Creta e Gavdos hanno registrato un incremento 1 di approdi di persone in fuga da Libia, Tunisia e Algeria. Una dinamica nota da tempo, trasformata oggi in “minaccia nazionale” per invocare misure straordinarie. SOSPENSIONE DELL’ASILO E DEPORTAZIONI IMMEDIATE L’11 luglio con l’emendamento n. 71 della legge 5218, il Parlamento ha imposto un divieto di tre mesi alla presentazione di domande di asilo per le persone che arrivano via mare, prevedendo la loro immediata espulsione verso il Paese di transito o di origine, senza alcuna registrazione. La misura colpirà soprattutto i nuovi arrivi provenienti da Libia, Tunisia e Algeria. «Una situazione tanto grave quanto prevedibile», osserva l’avvocato Minos Mouzourakis di Refugee Support Aegean 2. «L’aumento degli arrivi dalla Libia è una realtà da almeno due anni, come dimostra anche il recente procedimento penale 3 contro alti funzionari della guardia costiera greca per il naufragio di Pylos del 14 giugno 2023, che ha causato oltre 600 morti. Né Creta né Gavdos dispongono di strutture di accoglienza o registrazione, e i piani per crearle sono stati respinti solo tre mesi fa dal Ministero della Migrazione». Il nuovo ministro della Migrazione e dell’Asilo, Thanos Plevris – subentrato il 28 giugno a Makis Voridis, dimessosi in seguito allo scandalo sui fondi agricoli dell’UE – ha già dichiarato che la sospensione dell’asilo potrebbe essere estesa in caso di una “nuova crisi” 4. Chi è Makis Voridis La nomina a marzo di Makis Voridis 5 a ministro della Migrazione ha visto un’intensificazione della retorica e delle politiche anti-migranti. Voridis, con una lunga storia di affiliazioni di estrema destra, tra cui la leadership nell’ala giovanile del partito greco neofascista Epen (Unione Politica Nazionale), ha confermato le aspettative di un programma aggressivamente razzista, illegale e xenofobo. Fonte: Legal Centre Lesvos ONG E SOCIETÀ CIVILE: “PROVVEDIMENTO ILLEGALE” La risposta delle organizzazioni è stata immediata. Più di 100 ONG e associazioni hanno firmato una dichiarazione congiunta per chiederne l’annullamento. «Il diritto di chiedere asilo e la protezione dal respingimento sono principi fondamentali che non possono mai essere limitati. Entrambi sono sanciti da strumenti di diritto internazionale e dell’UE che prevalgono su qualsiasi disposizione legislativa nazionale, come già sottolineato da autorevoli istituzioni a livello greco e internazionale. Questa sospensione è illegale – scrivono le organizzazioni – e deve essere revocata». 🔗 JOINT STATEMENT: THE UNLAWFUL SUSPENSION OF ACCESS TO ASYLUM IN GREECE MUST BE IMMEDIATELY WITHDRAWN Adriana Tidona, ricercatrice di Amnesty International per le migrazioni, aggiunge: «Le autorità greche hanno inoltre annunciato l’intenzione di istituire un centro di detenzione a Creta, per trattenere le persone che arrivano in modo irregolare. Se attuata, questa proposta rischia di generare situazioni di detenzione automatica e quindi arbitraria delle persone migranti, in violazione del diritto dell’Unione europea e del diritto internazionale». LA NUOVA RIFORMA SUI RIMPATRI: CONTINUITÀ E RADICALIZZAZIONE «Chiunque sia illegale in Grecia non sarà mai legalizzato», dichiarava a fine maggio l’ex ministro dell’Immigrazione e dell’Asilo Makis Voridis, riferendosi alle modifiche legislative che stava promuovendo per rafforzare il sistema di rimpatrio. Il disegno di legge preparato da Voridis e, messo in consultazione il 17 luglio dal nuovo ministro dell’Immigrazione Thanos Plevris 6, nei primi giorni di agosto, è stato presentato in Parlamento l’8 agosto scorso 7. Chi è Thanos Plevris Ministro della Migrazione dal 28 giugno 2025, è noto per posizioni estremiste e dichiarazioni apertamente razziste. Celebre, e inquietante, la frase: «La sicurezza delle frontiere non può esistere senza vittime, per essere chiari, se non ci sono morti». La sua nomina segna la continuità e, per certi versi, la radicalizzazione della linea di Voridis La “Riforma del quadro e delle procedure per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi” aggiorna il quadro normativo per espulsioni e rimpatri. L’obiettivo dichiarato dal governo è rafforzare la gestione delle espulsioni, prevenire abusi delle procedure d’asilo e ridurre le falle amministrative. In realtà, la norma amplia la detenzione, inasprisce pene e restrizioni, limitando drasticamente le possibilità di regolarizzazione. I punti principali sono:Paesi di rimpatrio ampliati: inclusi residenza abituale, “paese terzo sicuro” e primo paese di asilo.Pene per soggiorno illegale: carcere (minimo 2 anni) o multa fino a 10.000€, senza possibilità di sospensione salvo rimpatrio volontarioMulte e pene aumentate per chi entra o rientra illegalmenteDefinizioni più severe di “rischio di fuga”, come mancanza di residenza fissa o rifiuto di identificazionePartenza volontaria ridotta: da 25 a 14 giorni, con controlli elettroniciDivieti di ingresso più duri: fino a 10 anni, estendibiliPene per soggiorno illegale: carcere (minimo 2 anni) o multa fino a 10.000€, senza possibilità di sospensione salvo rimpatrio volontarioMeno possibilità di richiedere asilo più volte e abolizione del permesso di soggiorno dopo 7 anni di presenza irregolare Un disegno di legge marcatamente razzista, i cui punti salienti Plevris ha illustrato in una recente intervista 8. «Il piano, che sarà votato all’inizio di settembre, prevede che chiunque arrivi in Grecia e veda respinta la propria domanda di asilo sarà condannato a una pena detentiva da due a cinque anni. L’unica possibilità di evitare il carcere sarà quella di collaborare al proprio rimpatrio. Nel frattempo, durante l’esame della richiesta di asilo, la persona potrà essere posta in detenzione amministrativa. Stiamo investendo nella detenzione e nel rimpatrio – ha dichiarato Plevris – e questo può essere ottenuto solo con una politica di disincentivi: chi entra illegalmente nel Paese deve sapere che, se il suo asilo viene respinto, le conseguenze saranno tali da non avere alcun motivo per rimanere». La propaganda governativa Il 7 agosto, Plevris ha visitato 5 strutture. In una foto osserva sorridente il segretario generale per l’accoglienza mangiare il cibo distribuito. “Il nostro ministero non è un hotel”, ha commentato, chiedendo di rivedere il menù “in stile alberghiero” fornito nei campi. Fonte: Efsyn SUL CAMPO: VIOLENZE E NUOVE INFRASTRUTTURE Il Legal Centre Lesvos (LCL) ha pubblicato un rapporto che copre i primi sei mesi del 2025 sull’isola di Lesvos 9, offrendo un quadro complessivo della stretta repressiva in atto. Il LCL denuncia la persistenza di pratiche illegali: perdurare di violenze di frontiera, respingimenti violenti, condizioni degradanti nei campi, espulsioni collettive e ritardi arbitrari. Nuove infrastrutture, come il Centro di Accesso Controllato di Vastria (finanziato dall’UE), sono progettate per aumentare detenzione ed espulsioni. 🔗 NEW REPORT UNPACKS THE CONSTRUCTION OF A MIGRANT DETENTION CENTRE. A REPORT BY CPT AEGEAN MIGRANT SOLIDARITY Eppure la risposta legale non si ferma: assoluzioni in processi per “traffico di migranti“, liberazione di imputati nel caso “Moria 6” 10, incriminazione di 17 ufficiali della Guardia Costiera per il naufragio di Pylos 11. A Creta cresce la solidarietà verso uomini e ragazzi sudanesi criminalizzati, migliorando l’accesso alla difesa legale. Il naufragio di Pylos Il 14 giugno 2023, un peschereccio partito dalla Libia con centinaia di persone si è capovolto e affondato al largo di Pylos, causando oltre 600 morti. L’inchiesta ha portato all’incriminazione di 17 ufficiali della Guardia Costiera greca. È il naufragio più letale della storia recente I MOVIMENTI: «DOBBIAMO RESISTERE» Il 27 luglio, il Coordinamento Antirazzista di Atene – formato da Open Assembly Against Pushbacks and Border Violence, Solidarity with migrants, Mataris Sudan Solidarity Committee e Assembly Against Detention Centers 12 – ha convocato un incontro nel quartiere di Exarchia 13. > «Dobbiamo affrontare tutto questo come un attacco e organizzare la nostra > resistenza, le nostre alleanze e le nostre azioni», hanno affermato. Tra repressione e resistenza, la Grecia si conferma uno dei laboratori più estremi della politica migratoria europea: norme e pratiche securitarie si sperimentano sulle vite delle persone. Ma la mobilitazione, dentro e fuori i tribunali, dimostra che l’opposizione sociale è viva – e pronta a rilanciare. 1. Leggi: Crete – Gavdos: 7,336 refugee arrivals in the first half of 2025, lack of management plan, Refugee Support Aegean (RSA) (9 luglio 2025) ↩︎ 2. Leggi l’editoriale pubblicato su ECRE il 17 luglio 2025 ↩︎ 3. Pylos Shipwreck: Criminal prosecution for felonies against 17 members of the Coast Guard, RSA (23 maggio 2025) ↩︎ 4. Greece may extend North Africa asylum ban if migrant flow resurges, Reuters (7 agosto 2025) ↩︎ 5. Greek PM seeks ‘reset’ with former far-right activist as migration minister, The Guardian (Marzo 2025) ↩︎ 6. Nel suo discorso inaugurale come ministro, Plevris ha dichiarato apertamente che le persone che entrano in Grecia senza autorizzazione avranno solo due opzioni: tornare indietro o essere mandate in prigione, e ha dichiarato – in violazione del diritto greco e internazionale – che a nessuno che entri irregolarmente sarà permesso di richiedere asilo Fonte: Legal centre Lesvos ↩︎ 7. Leggi il comunicato stampa governativo ↩︎ 8. L’intervista a Plevris su MonoNews (10 agosto 2025) ↩︎ 9. Lesvos Situation Report January – June 2025, LCL (24 luglio 2025) ↩︎ 10. Il 4 aprile 2025, 3 dei “6 di Moria” sono stati assolti! Erano stati condannati per incendio doloso insieme ad altri 3 adolescenti. Questi 6 adolescenti afghani sono stati assurdamente accusati degli incendi che hanno distrutto il catastrofico campo di Moria a Lesbo nel settembre 2020. Fonte: Solidarity Campaign FreetheMoria6 ↩︎ 11. Leggi anche l’articolo su Efsyn (7 agosto 2025) ↩︎ 12. Detenzione amministrativa: sistemi carcerari e apartheid in Palestina e Grecia. Un podcast di Against Detention Centers Athens ↩︎ 13. La notizia e il testo di convocazione su Efsyn (23 luglio 2025) Efsyn (Εφημερίδα των Συντακτών, Efimerida ton Syntakton) è un quotidiano cooperativo greco. Il suo nome significa “Il giornale dei redattori”. È stato fondato nel 2012 da ex dipendenti del quotidiano Eleftherotypia, che aveva cessato le pubblicazioni. È una cooperativa gestita interamente dai suoi dipendenti ↩︎