Mercato e manganello, così Macron liquida la libertà associativaSOCIOLOGI E ATTIVISTI DELL’OSSERVATORIO DELLE LIBERTÀ ASSOCIATIVE ANALIZZANO
L’ONDATA DI REPRESSIONE CHE STA COLPENDO LA SOCIETÀ CIVILE (JÉRÔME HOURDEAUX)
L’Osservatorio L’Osservatorio delle libertà associative è stato creato nel 2019
per documentare le pressioni e gli ostacoli che già all’epoca subiva un numero
crescente di associazioni. Da allora, la situazione è costantemente peggiorata e
si è instaurato un clima di sfiducia tra i poteri pubblici e il settore
associativo, in particolare sulla questione delle libertà pubbliche.
La legge del 24 agosto 2021 che rafforza il rispetto dei principi della
Repubblica, nota come legge sul separatismo, ha rappresentato una svolta in
quello che molte associazioni vivono come un allineamento politico. Questo testo
ha in particolare istituito un contratto di impegno repubblicano (CER), che le
associazioni devono firmare e rispettare, pena la perdita dei loro sussidi.
Una lotta contro il “separatismo” che ha preso di mira le associazioni
musulmane, quelle che lottano contro l’islamofobia, gli ecologisti, i gruppi di
estrema sinistra e di estrema destra. Un campo di applicazione molto più ampio
della lotta contro il separatismo islamista, obiettivo iniziale del testo.
Nel loro libro L’État contre les associations. Anatomie d’un tournant
autoritaire (Lo Stato contro le associazioni. Anatomia di una svolta
autoritaria) (Textuel, 17 settembre 2025), due dei promotori dell’Osservatorio
delle libertà associative, i sociologi Antonio Delfini e Julien Talpin,
riflettono sulla volontà dello Stato di controllare il settore associativo e
propongono alcune piste per difenderlo, o addirittura organizzare una risposta.
Mediapart ha intervistato Antonio Delfini, ricercatore presso l’Osservatorio
delle libertà associative, ricercatore associato al Centro di studi e ricerche
amministrative, politiche e sociali (Ceraps) dell’Università di Lille e
dipendente della Coordinazione Pas sans nous.
Mediapart: Prima di parlare della legge sul separatismo, lei spiega che essa si
inserisce in un continuum repressivo più globale, in un contesto di
restringimento dello spazio pubblico. Può descrivere in dettaglio questa
evoluzione e le diverse forme di pressione, ostacoli e repressioni che possono
colpire le associazioni?
Antonio Delfini: L’Osservatorio delle libertà associative è stato creato in un
periodo in cui diversi casi che opponevano associazioni allo Stato o agli enti
territoriali avevano agitato l’attualità: il taglio dei sussidi all’associazione
Genepi da parte del Ministero della Giustizia, l’accanimento giudiziario contro
il collettivo Justice pour Adama, o i mezzi colossali messi in atto contro gli
attivisti di Bure accusati di associazione a delinquere…
Il primo rapporto dell’Osservatorio, pubblicato nell’ottobre 2020, presentava
cento casi di associazioni ostacolate, dimostrando che il fenomeno riguarda
tutti i settori associativi, dal sociale allo sport, a tutti i livelli, dallo
Stato ai comuni, e tutti gli eletti, sia di destra che di sinistra – anche se
l’estrema destra è in prima linea in questa repressione.
Il rapporto proponeva una prima tipologia degli attacchi contro le associazioni:
tagli ai sussidi, ma anche interdizione e messa al bando di alcuni attivisti,
ricorsi abusivi in tribunale come cause per diffamazione o multe ripetute e,
infine, ostacoli fisici e polizieschi.
Questi attacchi devono essere interpretati nel contesto più ampio della
contrazione dello spazio civico, conseguenza dell’avvento di un neoliberismo
autoritario. In un contesto di crisi politica istituzionale e di incessanti
attacchi contro le minoranze, la repressione dei contro-poteri mediatici,
giuridici, sindacali e associativi è sintomo di un momento storico che alcuni
non esitano più a definire «pre-fascista».
In questo contesto, le associazioni sono prese tra due fuochi. Da un lato,
vengono privatizzate, mercificate, messe in concorrenza tra loro tramite bandi
di gara. Dall’altro, vengono represse, si cerca di zittirle. Il mercato e il
manganello. Una frase che a volte si sente sul campo riassume questa filosofia:
«Non si morde la mano che ti nutre».
C’è quindi una sorta di estensione alle associazioni dei doveri di riservatezza
e neutralità politica richiesti agli organi dello Stato. Non possono più
svolgere il loro ruolo di contro-potere, di stimolo democratico, di denuncia.
Possiamo riassumerlo con la formula: «Difficile d’être contestataire quand on
est prestataire», è difficile essere contestatori quando si è fornitori.
In che modo la legge sul separatismo ha rappresentato una svolta per le libertà
associative?
Questo testo ha la particolarità di riguardare una serie di settori che a priori
sono piuttosto lontani dal campo di applicazione abituale dell’antiterrorismo:
l’istruzione, lo sport e quindi il mondo associativo.
Questa estensione dell’antiterrorismo al mondo associativo è giustificata da una
tesi ampiamente condivisa all’interno dello Stato che identifica un continuum
tra, da un lato, azioni legali, come il velo o la difesa dei diritti dei
musulmani, e, dall’altro, azioni riprovevoli come il proselitismo abusivo o il
terrorismo.
Secondo questo approccio, il passaggio all’atto violento è favorito da un
terreno associativo che è quindi opportuno indebolire (tramite il contratto di
impegno repubblicano) o far scomparire (tramite misure di scioglimento
amministrativo).
Il problema è che gli obiettivi di questa legge sono vaghi: il lavoro
parlamentare è stato avviato senza alcuna quantificazione precisa delle
associazioni interessate. E, durante tutte le discussioni, le qualificazioni
sono rimaste vaghe: i parlamentari hanno preso di mira a turno associazioni
“separatiste”, ‘islamiste’, “comunitariste” senza che si capisse bene cosa
questi aggettivi significassero precisamente per loro…
Cosa è cambiato in questo testo riguardo allo scioglimento delle associazioni?
Estende i motivi di scioglimento amministrativo, una decisione presa su proposta
del ministro dell’Interno in Consiglio dei ministri. Prima del 2021, la
legislazione consentiva lo scioglimento delle associazioni che «incitavano a
manifestazioni armate nelle strade». Da allora, essa riguarda anche le
associazioni che incitano a «atti violenti contro persone o beni».
Questa modifica comporta diverse implicazioni importanti. Qualificando i danni
alla proprietà come “violenza” e non più come ‘degradazione’, come nel caso del
codice penale, questa misura ridefinisce il perimetro della violenza. Ma è anche
l’estensione del concetto di “provocazione” che deve essere messa in
discussione. Non si tratta più di sanzionare atti, ma intenzioni, discorsi,
idee.
Ancor prima della legge sul separatismo, dall’inizio del quinquennio di Emmanuel
Macron si è assistito a un forte aumento delle misure di scioglimento.
Quarantaquattro associazioni sciolte tra il 30 marzo 2019 e il 12 giugno 2025:
quasi il 25% delle misure adottate dalla creazione del dispositivo nel 1936.
Al di là del numero, è la frequenza che riflette il cambiamento di status di
questo dispositivo: mentre in passato gli scioglimenti erano concentrati in
brevi ondate in momenti cruciali della storia (la Liberazione, la
decolonizzazione, il Maggio ’68, gli attentati terroristici, ecc.), oggi la
procedura è diventata uno strumento di regolamentazione ordinario. Da misura
eccezionale, è diventata una pratica di routine dello Stato.
Lei sostiene che ci si debba opporre a tutti i provvedimenti di scioglimento,
anche quelli che riguardano le associazioni di estrema destra. Perché?
Innanzitutto perché lo scioglimento è uno strumento di polizia amministrativa
che prescinde dai principi della procedura giudiziaria (contraddittorietà,
presunzione di innocenza, proporzionalità della pena, ecc. Se le associazioni
hanno commesso atti riprovevoli, i tribunali sono lì per accertarli e
sanzionarli, se del caso. Tanto più che esiste una procedura di scioglimento
giudiziario che non viene quasi mai utilizzata.
Gran parte dei recenti scioglimenti o tagli di sovvenzioni sono stati
giustificati sulla base di azioni o dichiarazioni che, o non sono mai state
pronunciate o commesse, o sono in realtà del tutto legali. Una semplice
istruttoria giudiziaria potrebbe dimostrare il carattere abusivo e arbitrario
della sanzione.
Ma è anche la lunga storia a dimostrarci che l’introduzione di strumenti
repressivi, anche se concepiti con le migliori intenzioni, si ritorce sempre
contro il campo dell’emancipazione. È il caso della misura di scioglimento
stessa, creata inizialmente per combattere le leghe fasciste negli anni ’30, che
molto rapidamente si è rivoltata contro i movimenti decoloniali, la sinistra
extraparlamentare, ecc.
Infine, insieme ad altri ricercatori e ricercatrici, abbiamo condotto uno studio
sulle conseguenze degli scioglimenti per le associazioni interessate. Risulta
che lo scioglimento sia meno costoso per le associazioni di estrema destra – che
comunque operano ai margini della legalità – rispetto alle associazioni
antirazziste, ad esempio, che utilizzano il diritto per difendere cause e
minoranze.
Le prime riescono a ricostituirsi clandestinamente, mentre le seconde subiscono
un impatto più duro. È per questi motivi che l’estrema destra deve essere
combattuta alle urne, nei tribunali, nelle strade, ma non in Consiglio dei
ministri.
E cosa è cambiato con il contratto di impegno repubblicano?
Si tratta di uno strumento intermedio rispetto allo scioglimento. Non si tratta
di far scomparire, ma di indebolire in modo duraturo un’associazione privandola
dei sussidi. Queste due misure sono state comunque concepite come complementari.
Se l’introduzione del CER ha suscitato importanti critiche da parte del mondo
associativo, la sua applicazione è più sfumata. Ad oggi, il dispositivo è stato
mobilitato esplicitamente solo in cinque casi, spesso contro associazioni
locali. In due casi, il Planning familial 71 e Alternatiba Poitiers, le
associazioni hanno vinto la causa. La compagnia teatrale Arlette Moreau è oggi
davanti al tribunale amministrativo di Bordeaux e diverse associazioni hanno
procedimenti in corso.
In sintesi, il dispositivo è molto poco utilizzato dalle istituzioni perché
sistematicamente contestato davanti ai tribunali. E, al momento,
sistematicamente bocciato. Ma il CER svolge un ruolo indiretto ben sintetizzato
da Sonia Backès – allora segretaria di Stato alla cittadinanza – in una
valutazione intermedia del dispositivo un anno dopo la sua applicazione: si
trattava di «disinibire l’amministrazione» facendo saltare un «blocco
psicologico».
Quali soluzioni esistono per ridare spazio al mondo associativo? Lei ne difende
la politicizzazione. Può spiegarsi meglio?
Le associazioni sono presenti ovunque nella vita quotidiana: sanità, sport,
alloggio, lavoro, ecologia, istruzione, ecc. Svolgono un ruolo fondamentale
nell’attuazione concreta delle politiche pubbliche, nell’accompagnamento dei più
svantaggiati, nell’istruzione popolare. Ma le associazioni non sono riconosciute
per il giusto valore del ruolo politico che svolgono: quello di un contro-potere
necessario al funzionamento della democrazia, che mira a colmare il vuoto
lasciato dal crollo dei partiti, a far emergere gli interessi e le cause dei
gruppi emarginati nel dibattito pubblico.
Non mancano esempi di iniziative associative che hanno portato a grandi
progressi: basti pensare ad Act Up sulla salute, agli Enfants de Don Quichotte
sull’alloggio, ecc. Ma, lungi dall’essere riconosciute, queste mobilitazioni
potrebbero oggi essere sanzionate con il CER.
È necessario difendersi in tribunale e sui media. È per questo che abbiamo messo
in atto, sulla scia dell’Osservatorio delle libertà associative, , un sistema di
difesa delle associazioni per fornire loro gli strumenti necessari quando
vengono attaccate per una presa di posizione o un’azione che hanno intrapreso.
Ma è anche necessario reagire sviluppando la solidarietà tra associazioni su
base territoriale o settoriale. Diverse associazioni attaccate si sono già
impegnate in questa direzione: a Brest, una sessantina di associazioni hanno
firmato un testo di sostegno a seguito dei tagli ai finanziamenti della
prefettura nei confronti di un patronato laico e di media associativi che
avevano sostenuto uno squat culturale; a Lille, un centinaio di persone si sono
riunite pochi giorni dopo l’utilizzo del CER contro l’Atelier populaire
d’urbanisme.
Nei settori della cultura e della difesa dei diritti delle donne, federazioni
come l’Union fédérale d’intervention des structures culturelles (Ufisc) o il
Planning familial svolgono un importante lavoro di sostegno e difesa dei membri
della loro rete. Tutte queste iniziative inviano un messaggio: se
un’associazione viene attaccata, altre si alzeranno in suo sostegno.
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