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Mercato e manganello, così Macron liquida la libertà associativa
SOCIOLOGI E ATTIVISTI DELL’OSSERVATORIO DELLE LIBERTÀ ASSOCIATIVE ANALIZZANO L’ONDATA DI REPRESSIONE CHE STA COLPENDO LA SOCIETÀ CIVILE (JÉRÔME HOURDEAUX) L’Osservatorio L’Osservatorio delle libertà associative è stato creato nel 2019 per documentare le pressioni e gli ostacoli che già all’epoca subiva un numero crescente di associazioni. Da allora, la situazione è costantemente peggiorata e si è instaurato un clima di sfiducia tra i poteri pubblici e il settore associativo, in particolare sulla questione delle libertà pubbliche. La legge del 24 agosto 2021 che rafforza il rispetto dei principi della Repubblica, nota come legge sul separatismo, ha rappresentato una svolta in quello che molte associazioni vivono come un allineamento politico. Questo testo ha in particolare istituito un contratto di impegno repubblicano (CER), che le associazioni devono firmare e rispettare, pena la perdita dei loro sussidi. Una lotta contro il “separatismo” che ha preso di mira le associazioni musulmane, quelle che lottano contro l’islamofobia, gli ecologisti, i gruppi di estrema sinistra e di estrema destra. Un campo di applicazione molto più ampio della lotta contro il separatismo islamista, obiettivo iniziale del testo. Nel loro libro L’État contre les associations. Anatomie d’un tournant autoritaire (Lo Stato contro le associazioni. Anatomia di una svolta autoritaria) (Textuel, 17 settembre 2025), due dei promotori dell’Osservatorio delle libertà associative, i sociologi Antonio Delfini e Julien Talpin, riflettono sulla volontà dello Stato di controllare il settore associativo e propongono alcune piste per difenderlo, o addirittura organizzare una risposta. Mediapart ha intervistato Antonio Delfini, ricercatore presso l’Osservatorio delle libertà associative, ricercatore associato al Centro di studi e ricerche amministrative, politiche e sociali (Ceraps) dell’Università di Lille e dipendente della Coordinazione Pas sans nous. Mediapart: Prima di parlare della legge sul separatismo, lei spiega che essa si inserisce in un continuum repressivo più globale, in un contesto di restringimento dello spazio pubblico. Può descrivere in dettaglio questa evoluzione e le diverse forme di pressione, ostacoli e repressioni che possono colpire le associazioni? Antonio Delfini: L’Osservatorio delle libertà associative è stato creato in un periodo in cui diversi casi che opponevano associazioni allo Stato o agli enti territoriali avevano agitato l’attualità: il taglio dei sussidi all’associazione Genepi da parte del Ministero della Giustizia, l’accanimento giudiziario contro il collettivo Justice pour Adama, o i mezzi colossali messi in atto contro gli attivisti di Bure accusati di associazione a delinquere… Il primo rapporto dell’Osservatorio, pubblicato nell’ottobre 2020, presentava cento casi di associazioni ostacolate, dimostrando che il fenomeno riguarda tutti i settori associativi, dal sociale allo sport, a tutti i livelli, dallo Stato ai comuni, e tutti gli eletti, sia di destra che di sinistra – anche se l’estrema destra è in prima linea in questa repressione. Il rapporto proponeva una prima tipologia degli attacchi contro le associazioni: tagli ai sussidi, ma anche interdizione e messa al bando di alcuni attivisti, ricorsi abusivi in tribunale come cause per diffamazione o multe ripetute e, infine, ostacoli fisici e polizieschi. Questi attacchi devono essere interpretati nel contesto più ampio della contrazione dello spazio civico, conseguenza dell’avvento di un neoliberismo autoritario. In un contesto di crisi politica istituzionale e di incessanti attacchi contro le minoranze, la repressione dei contro-poteri mediatici, giuridici, sindacali e associativi è sintomo di un momento storico che alcuni non esitano più a definire «pre-fascista». In questo contesto, le associazioni sono prese tra due fuochi. Da un lato, vengono privatizzate, mercificate, messe in concorrenza tra loro tramite bandi di gara. Dall’altro, vengono represse, si cerca di zittirle. Il mercato e il manganello. Una frase che a volte si sente sul campo riassume questa filosofia: «Non si morde la mano che ti nutre». C’è quindi una sorta di estensione alle associazioni dei doveri di riservatezza e neutralità politica richiesti agli organi dello Stato. Non possono più svolgere il loro ruolo di contro-potere, di stimolo democratico, di denuncia. Possiamo riassumerlo con la formula: «Difficile d’être contestataire quand on est prestataire», è difficile essere contestatori quando si è fornitori. In che modo la legge sul separatismo ha rappresentato una svolta per le libertà associative? Questo testo ha la particolarità di riguardare una serie di settori che a priori sono piuttosto lontani dal campo di applicazione abituale dell’antiterrorismo: l’istruzione, lo sport e quindi il mondo associativo. Questa estensione dell’antiterrorismo al mondo associativo è giustificata da una tesi ampiamente condivisa all’interno dello Stato che identifica un continuum tra, da un lato, azioni legali, come il velo o la difesa dei diritti dei musulmani, e, dall’altro, azioni riprovevoli come il proselitismo abusivo o il terrorismo. Secondo questo approccio, il passaggio all’atto violento è favorito da un terreno associativo che è quindi opportuno indebolire (tramite il contratto di impegno repubblicano) o far scomparire (tramite misure di scioglimento amministrativo). Il problema è che gli obiettivi di questa legge sono vaghi: il lavoro parlamentare è stato avviato senza alcuna quantificazione precisa delle associazioni interessate. E, durante tutte le discussioni, le qualificazioni sono rimaste vaghe: i parlamentari hanno preso di mira a turno associazioni “separatiste”, ‘islamiste’, “comunitariste” senza che si capisse bene cosa questi aggettivi significassero precisamente per loro… Cosa è cambiato in questo testo riguardo allo scioglimento delle associazioni? Estende i motivi di scioglimento amministrativo, una decisione presa su proposta del ministro dell’Interno in Consiglio dei ministri. Prima del 2021, la legislazione consentiva lo scioglimento delle associazioni che «incitavano a manifestazioni armate nelle strade». Da allora, essa riguarda anche le associazioni che incitano a «atti violenti contro persone o beni». Questa modifica comporta diverse implicazioni importanti. Qualificando i danni alla proprietà come “violenza” e non più come ‘degradazione’, come nel caso del codice penale, questa misura ridefinisce il perimetro della violenza. Ma è anche l’estensione del concetto di “provocazione” che deve essere messa in discussione. Non si tratta più di sanzionare atti, ma intenzioni, discorsi, idee. Ancor prima della legge sul separatismo, dall’inizio del quinquennio di Emmanuel Macron si è assistito a un forte aumento delle misure di scioglimento. Quarantaquattro associazioni sciolte tra il 30 marzo 2019 e il 12 giugno 2025: quasi il 25% delle misure adottate dalla creazione del dispositivo nel 1936. Al di là del numero, è la frequenza che riflette il cambiamento di status di questo dispositivo: mentre in passato gli scioglimenti erano concentrati in brevi ondate in momenti cruciali della storia (la Liberazione, la decolonizzazione, il Maggio ’68, gli attentati terroristici, ecc.), oggi la procedura è diventata uno strumento di regolamentazione ordinario. Da misura eccezionale, è diventata una pratica di routine dello Stato. Lei sostiene che ci si debba opporre a tutti i provvedimenti di scioglimento, anche quelli che riguardano le associazioni di estrema destra. Perché? Innanzitutto perché lo scioglimento è uno strumento di polizia amministrativa che prescinde dai principi della procedura giudiziaria (contraddittorietà, presunzione di innocenza, proporzionalità della pena, ecc. Se le associazioni hanno commesso atti riprovevoli, i tribunali sono lì per accertarli e sanzionarli, se del caso. Tanto più che esiste una procedura di scioglimento giudiziario che non viene quasi mai utilizzata. Gran parte dei recenti scioglimenti o tagli di sovvenzioni sono stati giustificati sulla base di azioni o dichiarazioni che, o non sono mai state pronunciate o commesse, o sono in realtà del tutto legali. Una semplice istruttoria giudiziaria potrebbe dimostrare il carattere abusivo e arbitrario della sanzione. Ma è anche la lunga storia a dimostrarci che l’introduzione di strumenti repressivi, anche se concepiti con le migliori intenzioni, si ritorce sempre contro il campo dell’emancipazione. È il caso della misura di scioglimento stessa, creata inizialmente per combattere le leghe fasciste negli anni ’30, che molto rapidamente si è rivoltata contro i movimenti decoloniali, la sinistra extraparlamentare, ecc. Infine, insieme ad altri ricercatori e ricercatrici, abbiamo condotto uno studio sulle conseguenze degli scioglimenti per le associazioni interessate. Risulta che lo scioglimento sia meno costoso per le associazioni di estrema destra – che comunque operano ai margini della legalità – rispetto alle associazioni antirazziste, ad esempio, che utilizzano il diritto per difendere cause e minoranze. Le prime riescono a ricostituirsi clandestinamente, mentre le seconde subiscono un impatto più duro. È per questi motivi che l’estrema destra deve essere combattuta alle urne, nei tribunali, nelle strade, ma non in Consiglio dei ministri. E cosa è cambiato con il contratto di impegno repubblicano? Si tratta di uno strumento intermedio rispetto allo scioglimento. Non si tratta di far scomparire, ma di indebolire in modo duraturo un’associazione privandola dei sussidi. Queste due misure sono state comunque concepite come complementari. Se l’introduzione del CER ha suscitato importanti critiche da parte del mondo associativo, la sua applicazione è più sfumata. Ad oggi, il dispositivo è stato mobilitato esplicitamente solo in cinque casi, spesso contro associazioni locali. In due casi, il Planning familial 71 e Alternatiba Poitiers, le associazioni hanno vinto la causa. La compagnia teatrale Arlette Moreau è oggi davanti al tribunale amministrativo di Bordeaux e diverse associazioni hanno procedimenti in corso. In sintesi, il dispositivo è molto poco utilizzato dalle istituzioni perché sistematicamente contestato davanti ai tribunali. E, al momento, sistematicamente bocciato. Ma il CER svolge un ruolo indiretto ben sintetizzato da Sonia Backès – allora segretaria di Stato alla cittadinanza – in una valutazione intermedia del dispositivo un anno dopo la sua applicazione: si trattava di «disinibire l’amministrazione» facendo saltare un «blocco psicologico». Quali soluzioni esistono per ridare spazio al mondo associativo? Lei ne difende la politicizzazione. Può spiegarsi meglio? Le associazioni sono presenti ovunque nella vita quotidiana: sanità, sport, alloggio, lavoro, ecologia, istruzione, ecc. Svolgono un ruolo fondamentale nell’attuazione concreta delle politiche pubbliche, nell’accompagnamento dei più svantaggiati, nell’istruzione popolare. Ma le associazioni non sono riconosciute per il giusto valore del ruolo politico che svolgono: quello di un contro-potere necessario al funzionamento della democrazia, che mira a colmare il vuoto lasciato dal crollo dei partiti, a far emergere gli interessi e le cause dei gruppi emarginati nel dibattito pubblico. Non mancano esempi di iniziative associative che hanno portato a grandi progressi: basti pensare ad Act Up sulla salute, agli Enfants de Don Quichotte sull’alloggio, ecc. Ma, lungi dall’essere riconosciute, queste mobilitazioni potrebbero oggi essere sanzionate con il CER. È necessario difendersi in tribunale e sui media. È per questo che abbiamo messo in atto, sulla scia dell’Osservatorio delle libertà associative, , un sistema di difesa delle associazioni per fornire loro gli strumenti necessari quando vengono attaccate per una presa di posizione o un’azione che hanno intrapreso. Ma è anche necessario reagire sviluppando la solidarietà tra associazioni su base territoriale o settoriale. Diverse associazioni attaccate si sono già impegnate in questa direzione: a Brest, una sessantina di associazioni hanno firmato un testo di sostegno a seguito dei tagli ai finanziamenti della prefettura nei confronti di un patronato laico e di media associativi che avevano sostenuto uno squat culturale; a Lille, un centinaio di persone si sono riunite pochi giorni dopo l’utilizzo del CER contro l’Atelier populaire d’urbanisme. Nei settori della cultura e della difesa dei diritti delle donne, federazioni come l’Union fédérale d’intervention des structures culturelles (Ufisc) o il Planning familial svolgono un importante lavoro di sostegno e difesa dei membri della loro rete. Tutte queste iniziative inviano un messaggio: se un’associazione viene attaccata, altre si alzeranno in suo sostegno.   The post Mercato e manganello, così Macron liquida la libertà associativa first appeared on Popoff Quotidiano. L'articolo Mercato e manganello, così Macron liquida la libertà associativa sembra essere il primo su Popoff Quotidiano.
Le navi di JP Morgan che portano i Caterpillar a Israele
QUANDO BOICOTTAGGIO E DISINVESTIMENTO LASCIANO IL SEGNO La decisione del fondo sovrano norvegese NBIM di disinvestire da Caterpillar Inc. e da cinque banche israeliane ha una portata storica. Il Fondo governativo della Norvegia è il più grande fondo d’investimento al mondo, gestisce circa 2.000 miliardi di dollari. Il suo comitato etico ha valutato come «rischio inaccettabile che [Caterpillar e le banche israeliane, NdR] contribuiscano a gravi violazioni dei diritti degli individui in situazioni di guerra e conflitto». La decisione, che accomuna Caterpillar e le banche israeliane che finanziano gli insediamenti illegali in Cisgiordania, indica per la prima volta la corresponsabilità di un’azienda simbolo dell’industria americana con i crimini che si stanno commettendo in Palestina. Caterpillar Inc. è una mega azienda globale, oggi al 65° posto della classifica di Fortune 500, con 113.000 dipendenti e 64,8 miliardi di dollari di fatturato. È una public company inserita nel prestigioso Indice Dow Jones alla Borsa di New York, i cui principali azionisti sono grandi fondi d’investimento come Vanguard, State Streets e BlackRock, ma anche Melinda & Bill Gates ecc. L’impiego militare dei grandi bulldozers americani iniziò con la Prima guerra mondiale, per il traino dei pezzi d’artiglieria mediante trattori cingolati. Il modello pesante D9, introdotto da Caterpillar nel 1954, ha fatto le sue prove nella guerra del Vietnam ed è stato poi adottato dall’esercito israeliano nella guerra di Suez (1956). Dagli anni Ottanta le IDF utilizzano sulla linea del fronte i Caterpillar D9, modificati mediante un kit di blindatura e armamento progettato dal Centro di recupero e manutenzione dell’esercito e da IAI Israeli Aerospace Industries, installato sulle macchine con la collaborazione di ITE, la società importatrice in esclusiva di Caterpillar in Israele appartenente al gruppo Zoko. Come abbiamo scritto in un precedente articolo, una filiale americana di Leonardo (DRS Sustainment Systems) sta fornendo i triler a due assi che trasportano i carri armati e i bulldozer utilizzati a Gaza dai militari israeliani. Caterpillar non può ignorare l’utilizzazione che ne fa l’esercito israeliano per demolire illegalmente abitazioni e coltivazioni palestinesi, distruggere strade e infrastrutture urbane. Nel 1989, questi reati vennero pubblicamente denunciati da alcune ong, le stesse che nel 2001 spedirono oltre 50.000 lettere di protesta a Caterpillar. Nel 2004 l’Alto commissario ai Diritti umani dell’ONU inviò una lettera ufficiale alla società, anche in seguito alla vasta risonanza della morte della ventitreenne attivista americana Rachel Corrie, schiacciata da un bulldozer Caterpillar mentre tentava di impedire la demolizione di un’abitazione palestinese. Quel tragico episodio ebbe anche conseguenze legali, poiché dopo aver inutilmente intentato una causa in Israele contro l’esercito israeliano – subito archiviata per «grave responsabilità» della stessa vittima – la famiglia Corrie ne sollevò un’altra negli Stati Uniti contro il governo americano, accusato di aver favorito crimini di guerra e la violazione dei diritti umani, dal momento che i macchinari di Caterpillar erano e sono tuttora forniti a Israele mediante il programma Foreign Military Sales, sovvenzionato con i soldi dei contribuenti americani. Da decenni Caterpillar è inserita negli elenchi delle aziende che traggono profitti dall’occupazione illegale israeliana dei Territori palestinesi, stilati dalla Coalition of Women for Peace (vedi Who Profits?) e dall’American Friends Service Committee. Nel novembre 2024 la stessa amministrazione Biden in scadenza aveva deciso una temporanea sospensione della consegna di 134 Caterpillar D9 ordinati “con urgenza” da Israele nel 2023, compresi pezzi di ricambio, manutenzione e addestramento. Una misura che per quanto assai timida è stata immediatamente abolita dal presidente Trump appena insediatosi, nel gennaio 2025. I CAT D9 sono stati consegnati nel porto di Haifa in 9 luglio scorso, con un’operazione di logistica marittima curata dal Ministero della difesa israeliano e dalla rappresentanza israeliana per il procurement militare di stanza a Washington, che includeva anche la consegna di alcuni mezzi militari leggeri. Il Ministero stesso ha diffuso le immagini dello scaricamento a Haifa, e i media israeliani hanno ampiamente ripreso l’evento come prova della ristabilita alleanza di ferro con gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump. A sx: operazioni di sbarco dei Caterpillar D9 dalla nave «SLNC Severn» nel porto di Haifa, il 9 luglio 2025. Sopra: la sistemazione dei bulldozer di Caterpillar nella stiva della portarinfuse «SLNC Severn» [fonte: Ministero della difesa di Israele, ripreso dal «Jerusalem Post» del 9.7.2025 L’intento propagandistico è stato però temperato da una serie di “oscuramenti”: le immagini riprendono i mezzi sbarcati ma i militari hanno offuscato il nome della nave e della compagnia marittima dipinto sulle fiancate, nonché le insegne commerciali sulle motrici degli autoarticolati che hanno preso in carico i Caterpillar sulla banchina portuale. L’osservatorio Weapon Watch è riuscito a ricostruire gran parte della catena logistica che ha rifornito a Israele i Caterpillar D9, macchinari dual use intensamente utilizzati dai militari per compiere una vasta e documentatissima serie di crimini di guerra. Per il trasporto dagli Stati Uniti, solitamente i grandi bulldozer D9 viaggiano in parte o del tutto disassemblati, in ogni caso privi degli accessori pesanti (pale, bracci oleopneumatici, cabine ecc.), e anche nel caso in esame la consegna è stata effettuata senza accessori, dalla nave al mezzo gommato mediante gru portuale. Invece la nave utilizzata per l’operazione era di tipologia inusuale, una portarinfuse con bandiera USA, nome «SLNC Severn», un tipo di nave solitamente impiegato per trasportare le cosiddette “rinfuse secche” (come minerali, carbone, cereali, cemento, ecc.). Nelle quattro stive coperte della «Severn» – al riparo da sguardi indiscreti – sono state ospitate dozzine di D9. Ciascuna macchina è stata caricata e scaricata mediante le grandi gru a portale. La «SLNC Severn» è una delle sette navi della compagnia Schuyler Line Navigation Company, con sede a Annapolis, Maryland, tutte battenti bandiera americana per poter operare sotto l’ombrello del Jones Act, la legge fondamentale per la supremazia marittima degli Stati Uniti. Da fine maggio la «Severn» è noleggiata per trasportare i D9, il 2 giugno viene fotografata mentre carica una ventina di bulldozer al terminal Holt Logistics di Gloucester City, New Jersey, che si trova nel grande comprensorio portuale di Filadelfia, Pennsylvania. A fine giugno ha intrapreso il viaggio senza scali intermedi per arrivare ad Ashdod il 7 luglio e il 9 a Haifa. La «SLNC Severn» al terminal Holt Logistics di Gloucester City, NJ; fotografata il 2 giugno 2025. Nell’ovale rosso, una ventina di Caterpillar D9 sulla banchina pronti all’imbarco. Fonte: Marine Traffic. È pressochè certo che la «Severn» sia tuttora al servizio della logistica militare USA a sostegno di Israele, con rotte pendolari tra costa orientale statunitense e Israele. Secondo «The Ditch», il 7 agosto la nave ha caricato nel porto di Paulsboro (sempre nell’area di Filadelfia, dove si trova un altro terminal di Holt) 374 tonnellate di bombe, del tipo da 2000 libbre, anch’esse bloccate in precedenza dall’amministrazione Biden. Da notare che la «Severn» ha recentemente fatto scalo a Souda Bay, Creta, una delle maggiori basi aeronavali americane nel Mediterraneo, dove in passato è stata vista movimentare merci con le gru di bordo. La compagnia di navigazione Schuyler è stata acquisita nell’agosto 2024 da JP Morgan Chase, una delle quattro più importanti banche americane, con l’intento dichiarato di rafforzare i programmi marittimi governativi e «restore America’s maritime dominance», secondo le parole del presidente Trump. Nell’ultimo anno alla flotta di Schuyler si sono aggiunte anche una petroliera da 50.000 tonnellate e una nave per carichi fuori norma, rafforzando ulteriormente la già notevole presenza di JP Morgan nel settore marittimo. L’attesa per un aumento dei noli e dei programmi governativi sostenuti dal clima bellico è infatti molto diffusa tra gli operatori. Non a caso la propaganda militare israeliana ha enfatizzato la portata dell’operazione logistica in corso dal 7 ottobre 2023 come la più grande nella storia di Israele, con 100.000 tonnellate di materiale militare movimentato attraverso 870 voli e 144 trasporti marittimi. La “complicità logistica” di molti governi ed operatori è decisiva per compiere i crimini contro l’umanità e le violazioni degli accordi internazionali in vigore. Per riportare nella legalità gli operatori e spingere i governi verso una ricostruzione dell’ordine internazionale basato sulla diplomazia e il disarmo, le vie principali e più incisive si dimostrano il boicottaggio delle catene logistiche militarizzate e nel disinvestimento finanziario da chi produce strumenti di guerra e distruzione.
Militarizzazione e spesa pubblica: partiti gli investimenti per il riarmo europeo e italiano
CI SI INDEBITA PER IL RIARMO QUANDO MANCANO I SOLDI PER LE SCUOLE E LA SANITÀ O PER LA MANUTENZIONE DEI TERRITORI Si vanno, giorno dopo giorno, delineando gli scenari dei prossimi bilanci nazionali con un forte impulso alla spesa militare. Ad esempio, l’Italia potrà ricorrere a 14,9 miliardi del fondo Safe (Security Action for Europe)  che ammonta complessivamente a 150 miliardi per progetti dei paesi UE legati alla difesa. https://www.eunews.it/2025/09/09/safe-per-litalia-in-arrivo-prestiti-da-149-miliardi-di-euro-per-rilanciare-la-difesa/ Ad oggi non tutti i Paesi europei si sono avvalsi della possibilità di attingere da questi fondi che poi sono prestiti destinati al riarmo, fondi che dovranno essere spesi nei prossimi 5 anni e restituiti entro 45. Sono 19 i Paesi dell’Unione Europea che hanno deciso di accedere ai prestiti europei per il riarmo e in questi giorni è stata resa la ripartizione dei fondi dalla apposita Commissione (la foto con cui abbiamo aperto l’articolo). I prestiti serviranno anche per investimenti tecnologici in ambito militare, per la produzione di missili e sistemi di arma, per droni e anti drone, non esiste settore escluso nell’ottica di ampliare la produzione nazionale, per acquisire le competenze tecnologiche indispensabili a dare vita a un articolato e sinergico sistema a livello comunitario. Nasce in sintesi una sorta di grande sistema militare europeo adibito all’innovazione tecnologica e alla produzione di armi tecnologicamente avanzato. E questo piano di riarmo è frutto delle decisioni assunte dal vecchio continente. Inizialmente dovevano finanziare progetti comuni in funzione della guerra in Ucraina per poi acquisire caratteristiche diverse che vanno nella direzione auspicata dai grandi interessi economici che ruotano attorno al settore militare. È innegabile che l’Unione Europea voglia fare un salto di qualità e nonostante le iniziali perplessità anche il Governo Italiano ha deciso di accedere ai prestiti per acquistare 24 Eurofighter e 5 batterie Samp-t, il sistema missilistico sviluppato dal consorzio italo-francese Eurosam. La scelta di  applicare il prossimo anno la “clausola di salvaguardia” che scorpora dai vincoli di bilancio le spese per la difesa è data per scontata già nel 2026. Il nostro Paese andrà a spendere in tre anni 40 miliardi in sistemi d’arma, ma le cifre sono in costante crescita e supereranno presto gli ambiziosi obiettivi di marca militarista già noti. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Ciao Alessandro
Ci ha lasciato Alessandro Giangrande, che è stato a lungo un compagno di strada di Carteinregola, anche come membro del direttivo, portando nell’associazione il suo impegno di una vita per […]
Documento approvato all’unanimità dal Collegio Docenti dell’IC “Giuliana Saladino” di Palermo
LA SCUOLA RIPUDIA LA GUERRA! Iniziamo l’anno scolastico 2025/26 con il cuore colmo di tristezza. La barbarie bellica sembra essersi impadronita della nostra esistenza; la violenza scriteriata sta cancellando i valori dell’umanità che, in Ucraina e a Gaza, lentamente stanno morendo sotto i bombardamenti di missili e droni-killer. Il numero spropositato di morti civili, il massacro di bambini e bambine, la distruzione delle abitazioni, la fame usata come arma, i raid sugli ospedali, l’uccisione di giornalisti, l’esportazione degli armamenti, lo sfollamento di milioni di persone… tutto ciò sta diventando parte del nostro immaginario collettivo. Non possiamo abituarci alla barbarie, non possiamo assuefarci all’indifferenza. Gli educatori, gli insegnanti, la scuola non possono abituarsi alla barbarie né assuefarsi all’indifferenza. Significherebbe condannare alla marginalità eterna la più importante istituzione culturale del Paese. Abbiamo l’obbligo di reagire, di educare alla pace, di costruire percorsi di convivenza e di democrazia. “Prendere la parola” è un obbligo educativo e morale della Scuola. L’istituto Comprensivo Giuliana Saladino lo ha sempre fatto! Non siamo rimasti inermi davanti all’occupazione militare di un Paese sovrano: abbiamo partecipato convintamente alla grande mobilitazione di studenti, studentesse e docenti per condannare l’aggressione della Russia all’Ucraina. Abbiamo discusso in classe della terribile azione criminale del 7 ottobre 2023, compiuta da Hamas contro i civili israeliani. Non abbiamo taciuto davanti alla scriteriata e vergognosa operazione di pulizia etnica di Israele contro il popolo palestinese che, da decenni, soffre davanti all’indifferenza della comunità internazionale. Abbiamo fatto una manifestazione e appeso uno striscione sulla facciata della scuola per chiedere lo stop alle bombe su Gaza. Abbiamo avuto l’onore di incontrare la scrittrice ebrea Edith Bruck e con lei abbiamo imparato la necessità di contrastare, quotidianamente, tutte le forme di razzismo e di antisemitismo. Tutti i giorni, nella nostra missione educativa, pratichiamo l’inclusione e combattiamo ogni manifestazione di discriminazione e di pregiudizio. L’istituto comprensivo Giuliana Saladino continuerà a farlo! A tal fine il collegio dei docenti, riunito in seduta plenaria, assume le seguenti determinazioni: – – – – – – la prima riunione del collegio dei docenti sarà aperta con un minuto di silenzio per ricordare tutte le vittime della guerra e con un minuto di rumore per chiedere di fermare il massacro in Ucraina e il genocidio di Gaza; la bandiera della pace sarà posizionata in mezzo alle bandiere istituzionali che campeggiano sulla facciata della scuola affinché giunga forte il messaggio di pace ai governi italiani ed europei; il 2 ottobre, in occasione della giornata internazionale della non-violenza, organizzeremo una manifestazione per le vie del quartiere per chiedere la fine di tutte le guerre; l’attività educativa e il percorso di accoglienza delle prime settimane sarà interamente dedicato alla pace. Ogni ordine di scuola costruirà, in modo autonomo, percorsi didattici, analizzando gli aspetti storici, etici, pedagogici per consentire alle studentesse e agli studenti di tutte le età di partecipare alla manifestazione con adeguata consapevolezza; saranno coinvolte le famiglie, le associazioni, la parrocchia San Giovanni Apostolo e la società civile affinché vi sia una ampia partecipazione alla manifestazione; alle iniziative della scuola sarà data la massima diffusione al fine di sensibilizzare e coinvolgere le altre istituzioni scolastiche della città e del Paese. Tutto ciò nella piena applicazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione che recita testualmente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Palermo, 01/09/2025