Da Farzåd a Langer. L’Iran e l’Italia in tempi di guerraNei primi giorni di giugno Farzåd è venuto a farci visita al centro di
aggregazione Approdo di Garbatella, a Roma, dove ha preso vita un laboratorio
radiofonico rivolto a ragazze e ragazzi delle scuole medie. Da poche ore sui
titoli dei quotidiani campeggiava la notizia del cessate il fuoco in Iran e
della fine della “guerra dei dodici giorni”. Prima che Farzåd facesse ingresso
nella nostra redazione, ho raccontato ai ragazzi quel poco che sapevo di lui. Ha
circa quaranta anni, è nato in Iran, è laureato in letteratura francese, faceva
il libraio, vive in Italia da una decina d’anni, è stato il protagonista di un
audio documentario trasmesso da Rai Radio3 e realizzato dall’amico e collega
Ciro Colonna in cui si dava molto spazio al lavoro di Farzåd qui a Roma: il
corriere in bicicletta.
Per una ventina di minuti, i ragazzi lo hanno tempestato di domande. Farzåd ha
risposto generosamente a ogni questione, seppure la vicenda lo facesse sempre
più sudare (i ragazzi mi avevano costretta a spegnere il ventilatore, per
evitare che il brusio disturbasse la registrazione). Le loro curiosità mi hanno
stupita. Nel corso della chiacchierata abbiamo scoperto che Farzåd legge romanzi
russi, che il suo calciatore preferito è Maradona, che tra montagna e mare
sceglie montagna, che per fare le consegne utilizza una bicicletta a pedalata
assistita, che il suo nome di battesimo (che non corrisponde a quello
d’invenzione che stiamo utilizzando in questo articolo) deriva da un libro epico
della tradizione iraniana, che è andato via dall’Iran per cercare una vita
diversa, che ascolta Mina, De Andrè e la musica tradizionale iraniana, che la
cosa che più lo ha colpito di Roma nei primi giorni dopo il suo arrivo erano i
palazzi e i monumenti, e che, sì, anche se ci lavora, crede che boicottare G.
sia una buona idea.
Come nelle migliori interviste, è stato dopo, a microfono spento (e ventilatore
riattivato), che Farzåd ha raccontato di questi giorni di guerra. Le notizie
arrivavano frammentate, confuse. La comunicazione con la famiglia e gli amici si
arrestava per interminabili ore. Lui nella calura di Roma smetteva di fare ogni
cosa, il cervello si arrovellava nel tentativo di capire, tuttavia districarsi
tra le tante informazioni, a volte discordanti, era impossibile. «Poi c’è stata
la tregua e finalmente ho potuto riprendere a parlare con amici e parenti. Dopo
gli attacchi degli hacker dello stato di Israele sulle infrastrutture digitali
della tv statale dell’Iran, il governo ha deciso di disconnettere Internet sulle
reti cellulari e non riuscivo a parlare con nessuno».
Nei giorni successivi alcuni amici di Farzåd riescono a connettersi, lo
aggiornano sui bombardamenti in tempo reale, lo mettono in contatto con i
genitori, portano informazioni sulla guerra e sulle condizioni di salute dei
parenti anche ad altri amici residenti all’estero. Farzåd, dal suo appartamento
rovente a San Lorenzo, attende notizie giorno e notte.
«L’ultima notte prima del cessate il fuoco è stata dura. In quelle ore c’è stato
il più pesante attacco delle forze armate di Israele sulle città iraniane. Gli
amici a Teheran riportavano le notizie dei bombardamenti e della difesa aerea da
parte delle forze iraniane in diretta sulla nostra chat. Mi hanno raccontato di
gente traumatizzata dagli attacchi, a molti ancora sembra di sentire i boati
dopo quella notte».
Dopo due giorni dalla tregua la connessione è stata riallacciata parzialmente.
Farzåd passa ore intere a parlare e scrivere con gli amici in Iran, «i cittadini
parlano di guerra ovunque, tutto il tempo; dicono che non è ancora finita,
aspettano un’imminente minaccia; sono tutti d’accordo sull’idea che ci sarà un
nuovo attacco da parte di Israele, ma ovviamente non sanno quando avverrà».
Li chiamano i figli della rivoluzione, i figli della guerra. Sono le persone
come Farzåd, nate a ridosso della rivoluzione del 1979 che ha rovesciato la
monarchia. Sono gli stessi che sono scesi in piazza nel 2009, cantando a gran
voce siamo la generazione della guerra e combattiamo fino alla fine contro lo
Stato. «Storicamente accade che dopo un tentativo di rovesciamento di un regime,
sia che si tratti di un colpo di stato sia che si tratti di un intervento
militare di un altro paese, quando non si raggiunge il risultato desiderato, il
sistema diventa ancora più aggressivo nei confronti di chi lo critica. Per ora
hanno arrestato più di settecento persone e ne hanno impiccate altre sei per
spionaggio. Un esempio recente di una situazione simile lo abbiamo visto in
Turchia, dopo il colpo di stato fallito nel 2016, che ha portato all’arresto di
tanti e alla persecuzione di vari gruppi della società turca».
I genitori di Farzåd, entrambi militanti comunisti, hanno avuto un ruolo attivo
nella rivoluzione del 1979, prima che si affermasse la componente islamista. Per
questo motivo non hanno più potuto esercitare la loro professione (erano due
insegnanti), per questa ragione la loro vita ha subito una brusca virata
insperata. Racconto a Farzåd di avere parlato con altre persone di origine
iraniana qui a Roma, alcuni si sono detti felici dell’attacco. «Nessuno dei miei
amici ha gioito degli attacchi sulle città e sulle infrastrutture civili del
paese. Anche i dissidenti in Iran non sono felici. Certo, sono felici i
dissidenti monarchici che vivono nella calma e nella tranquillità delle società
occidentali. Loro sì che sono contenti, credevano e speravano che con questi
attacchi finisse la teocrazia. Chiaramente questa loro speranza non coincide con
la realtà dei fatti. Questa gente vive in una bolla, in un’altra realtà. Chi si
trova in Iran è abbastanza intelligente da vedere quello che è successo. Queste
persone hanno visto già questo spettacolo in Iraq, in Libia e in Siria. Il
governo genocida di Israele non può essere il salvatore del popolo iraniano.
Questo fatto è chiaro ai cittadini iraniani all’interno del paese, ma non ai
monarchici all’estero. Il cancelliere tedesco che afferma che “Israel is doing
our dirty job” probabilmente dovrebbe pensare alle conseguenze di questo dirty
job per l’Europa». Farzåd fa l’esempio della Siria e dell’Iraq e di quello che è
accaduto dopo la guerra civile causata dall’intervento militare occidentale.
Trenta anni fa, esattamente il 3 luglio 1995, Alexander Langer si impiccava a un
albero di albicocco, alle porte di Firenze. Langer amava spesso ripetere che
tutto il suo lavoro, da politico, da scrittore, da sociologo, da attivista,
aveva un obiettivo: “provare a fare pace tra gli uomini e pace con il creato”.
Nello sforzo di tendere verso questa meta, promuoveva trasformazioni ecologiche
e trasformazioni sociali con radici ben solide nella non violenza e nel rifiuto
verso ogni divisione etnica. Ho pensato a lui dopo avere incontrato Farzåd.
Perché la sua storia è impastata di distorsioni, è una biografia che fa i conti
spietati con un sistema in cui crisi ambientale e guerre si intrecciano
indissolubilmente. E poi perché la vicenda di Farzåd costituisce un prezioso
tassello di un mosaico della Storia, di quelli che Langer avrebbe saputo
mirabilmente raccontare e appuntare sulla sua immancabile agendina.
Salutiamo Farzåd, lo lasciamo alle sue consegne in bicicletta tra le bollenti
strade di Roma e alle sue conversazioni con gli amici in Iran. E nella mente
rileggo i biglietti lasciati da Langer quel 3 luglio 1995. L’ ultimo è
un’esortazione: “Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”. (marzia
coronati)