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Associazione di Cooperazione e Solidarietà ONG

Raccontare è un atto politico – Il corpo delle donne come campo di battaglia
RACCONTARE E’ UN ATTO POLITICO. In questo video le voci delle sopravvissute https://www.acs-ong.it/wp-content/uploads/2025/11/Video-VBG-copia.mp4 DADAxCONGO nasce da questa urgenza: ridefinire la narrazione di guerra attraverso le voci delle sopravvissute, aiutare e creare un ponte con le reti di mutuo aiuto locali, denunciare l’impunità e il silenzio internazionale. DADAxCONGO è uno sforzo per metterci in rete e rompere il tetto del silenzio, sostenere le organizzazioni locali e amplificare le voci delle comunità congolesi. Non possiamo dare sostegno umanitario senza restituire la dignità del racconto e delle storie alle voci e ai corpi cui appartengono. > Mettiti in rete. > > PARTECIPA AL CROWDFUNDING DADAxCONGO – Solidarietà è Sorella > > Trasformiamo la solidarietà in azione, insieme. > > Scrivici su uff.stampa@acs-italia.it, > > Organizza un evento sul tuo territorio, diffondi.
Il corpo delle donne come campo di battaglia – Parte 2. La violenza sessuale sulle donne durante il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo
> RACCONTARE E’ UN ATTO POLITICO.  RACCONTA, DIFFONDI, PARTECIPA AL CROWDFUNDING > DADAxCONGO. > > Trasformiamo la solidarietà in azione, insieme.   Réseau des Femmes pour un Développement Associatif Réseau des Femmes pour la Défense des Droits et la Paix International Alert Capitolo 3 La posizione delle donne e le percezioni socio-culturali della violenza sessuale nel Sud Kivu Per comprendere le ragioni per cui si verificano tali atti di violenza sessuale, è necessario prendere in considerazione la situazione sociale ed economica delle donne nel Sud Kivu. Una conoscenza approfondita del modo in cui vengono percepite le relazioni di genere nella società e, soprattutto, delle attitudini degli uomini nei confronti del corpo femminile in tempo di pace — sia nel Sud Kivu che nei Paesi limitrofi da cui provengono alcuni autori di queste violenze — permette di capire più chiaramente come tali atrocità abbiano potuto verificarsi. Questo capitolo analizza quindi brevemente la posizione delle donne nella società del Sud Kivu, e il contesto socio-culturale ed economico in cui vivono. 3.2 Il significato dello stupro nel contesto tradizionale del Sud Kivu Sebbene lo stupro sia sempre esistito nella società tradizionale del Sud Kivu, esso è stato comunque considerato un atto profondamente riprovevole e un’estrema umiliazione per la vittima e per la sua famiglia, in particolare per il marito. Pertanto, tra i Fulero e i Vira che vivono intorno al Lago Tanganica e lungo il fiume Ruzizi, una donna che fosse stata stuprata non rientrava immediatamente a casa. Inviava invece un messaggio al marito per informarlo di quanto accaduto. Egli allora si armava di una lancia e partiva alla ricerca dello stupratore,che doveva assolutamente uccidere per vendicare l’offesa. Quanto alla donna, essa doveva lavarsi ai margini del villaggio per purificarsi e cambiare i propri abiti prima di rientrare nella casa coniugale. Questo aspetto profondamente umiliante dello stupro è ancora molto vivo nel Sud Kivu oggi. Le donne che hanno subito violenza sessuale avvertono questa umiliazione, così come le loro famiglie e l’intera comunità. In alcuni villaggi, gli uomini cercano di proteggere le donne dallo stupro accompagnandole quando si recano a svolgere determinate attività lontano dalle abitazioni, come prendere l’acqua al pozzo o raccogliere legna nella foresta. Ma la maggior parte delle comunità stigmatizza le donne che sono state stuprate e le ritiene ugualmente responsabili della vergogna e dell’umiliazione che hanno subito. Per questo motivo molte vittime di stupro preferiscono tacere su ciò che è accaduto loro. 3.3 In Burundi e in Ruanda, gli atti di violenza sessuale sono eventi quotidiani Perché i membri dei gruppi armati provenienti dai paesi vicini, coinvolti nel conflitto armato nel Sud Kivu, commettono sistematicamente stupri? Poiché ruandesi e burundesi figurano tra le forze armate implicate in questa guerra, può essere utile ripercorrere la storia recente di questi due paesi, anch’essi caratterizzati da violenza sessuale e da relazioni di genere profondamente diseguali. In Ruanda, durante il genocidio del 1994, le donne furono oggetto di violenze sessuali diffuse, perpetrate da milizie hutu, da soldati dell’esercito ruandese (Forces Armées Rwandaises – FAR) e da civili. Membri di milizie e soldati stuprarono donne tutsi ma anche donne hutu, in particolare quelle istruite appartenenti all’élite intellettuale. Funzionari amministrativi, militari e politici, così come capi delle milizie, incoraggiarono e talvolta persino coordinarono, a livello locale e nazionale, omicidi e crimini sessuali. Dopo la vittoria del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), i soldati tutsi dell’Esercito Patriottico Ruandese (APR) stuprarono donne hutu con l’obiettivo di vendicare le donne tutsi che erano state violentate dalle milizie hutu. Le testimonianze concordano sulla brutalità con cui furono perpetrati questi atti. Migliaia di donne furono violentate da uno o più individui, con l’uso di oggetti quali bastoni appuntiti o canne di fucile, e furono ridotte in schiavitù sessuale. Molte furono costrette ad assistere alla tortura e all’uccisione dei propri familiari, nonché al saccheggio delle loro case, prima di essere stuprate. Molte altre furono assassinate dopo la violenza sessuale. Allo stesso modo, in Burundi tutte le forze combattenti, compreso l’esercito burundese, commisero atti di violenza sessuale contro donne e ragazze appartenenti ai gruppi sociali più vulnerabili: sfollate, donne devastate dal conflitto, residenti sia nelle comunità sia nei campi per sfollati, e vedove. La newsletter La Veilleuse, pubblicata a Bujumburadall’associazione femminile locale Dushirehamwe, ha evidenziato l’entità del fenomeno nel paese. Secondo questa pubblicazione, non solo il numero di stupri è stato estremamente elevato, ma le conseguenze di tali atti continuano a costituire uno dei principali problemi affrontati dalle donne rurali in Burundi. Per timore di rappresaglie, molte donne non osano denunciare gli uomini che le hanno violentate. Sebbene la violenza sessuale sia peggiorata con la guerra, le prove indicano chiaramente che essa esisteva già in precedenza, seppure in forma meno massiccia. In entrambi i paesi, infatti, la violenza domestica è sempre stata molto diffusa. Nella sfera privata, molte donne sono vittime di violenza sessuale, fisica e psicologica. In Burundi, la responsabilità della violenza sessuale viene spesso attribuita ai membri dei gruppi armati, ma secondo La Veilleuse non sono gli unici perpetratori: si registrano casi di incesto commessi all’interno delle famiglie, con padri che abusano sessualmente delle figlie. Sono stati segnalati anche stupri di bambini, persino neonati, da parte di persone incaricate della loro cura. La situazione in Ruanda è analoga: le aree rurali hanno conosciuto un aumento della violenza domestica e dei casi di stupro contro donne e ragazze dopo la guerra e il genocidio. Tutti questi elementi attestano chiaramente la correlazione tra la violenza domestica esercitata nella sfera privata e la violenza perpetrata contro le donne nello spazio pubblico da soldati e membri di milizie durante i periodi di conflitto armato.   > RACCONTARE E’ UN ATTO POLITICO.  RACCONTA, DIFFONDI, PARTECIPA AL CROWDFUNDING > DADAxCONGO. > > Trasformiamo la solidarietà in azione, insieme.   Questo paper rappresenta un estratto tradotto di uno studio più ampio dal titolo: Il corpo delle donne come campo di battaglia: la violenza sessuale contro donne e ragazze durante la guerra nella Repubblica Democratica del Congo  Sud Kivu (1996–2003) Réseau des Femmes pour un Développement Associatif Réseau des Femmes pour la Défense des Droits et la Paix International Alert 2005 Questo studio è stato condotto e redatto da un team di consulenti composto da: Marie Claire Omanyondo Ohambe Professoressa Associata Institut Supérieur des Techniques Médicales Sezione Scienze Infermieristiche Kinshasa Repubblica Democratica del Congo Jean Berckmans Bahananga Muhigwa Professore Dipartimento di Biologia Centre Universitaire de Bukavu Bukavu Repubblica Democratica del Congo Barnabé Mulyumba Wa Mamba Direttore Institut Supérieur Pédagogique Bukavu Repubblica Democratica del Congo Revisione a cura di: Martine René Galloy Consulente internazionale Specialista in Genere, Conflitto e Processi Elettorali Ndeye Sow Consigliera Senior International Alert Catherine Hall Addetta alla Comunicazione International Alert I dati sul campo sono stati raccolti da un team composto da: Donne del Réseau des Femmes pour un Développement Associatif (RFDA), che hanno condotto la ricerca a Uvira, nella Piana della Ruzizi, a Mboko, Baraka, Fizi e Kazimia: 1. Lucie Shondinda 2. Gégé Katana 3. Elise Nyandinda 4. Jeanne Lukesa 5. Judith Eca 6. Brigitte Kasongo 7. Marie-Jeanne Zagabe Donne del Réseau des Femmes pour la Défense des Droits et la Paix (RFDP), che hanno condotto la ricerca a Bukavu, Walungu, Kabare, Kalehe e Shabunda: 1. Agathe Rwankuba 2. Noelle Ndagano 3. Rita Likirye 4. Venantie Bisimwa 5. Laititia Shindano 6. Jeanne Nkere La ricerca è stata coordinata da: Annie Bukaraba Coordinatrice Programma “Women’s Peace” di International Alert, Repubblica Democratica del Congo orientale  
Gazaweb e gli alberi della rete | Manolo Luppichini | TEDxEnna
GUARDA IL TALK INTEGRALE QUI Un racconto intenso e necessario su Gaza, tra immagini e connessioni. Manolo Luppichini ci porta nel cuore del conflitto e ci racconta come, con il progetto “Gaza Web e gli alberi della rete”, si sia ristabilita la comunicazione dopo il blackout digitale, grazie all’uso di eSIM virtuali. Sottolinea l’importanza vitale della connessione per le comunità in guerra, definendola un gesto di resistenza. SOSTIENI IL PROGETTO GAZAWEB – GLI ALBERI DELLA RETE 
GAZAWEB – nella puntata di Quante Storie su Rai 3
https://www.acs-ong.it/wp-content/uploads/2025/11/estratto_QS_Luna-GazaWeb-1-2.mp4 Per diversi anni la rete ha alimentato il sogno di una democrazia digitale, capace di abbattere muri e costruire ponti. Cos’è rimasto oggi di quel sogno? Perché il web si è trasformato in un megafono per sovranisti e odiatori? Come scoraggiare la dittatura dell’algoritmo, che ha trasformato internet in un supermercato delle multinazionali? A queste domande risponde il giornalista Riccardo Luna, specializzato in temi legati all’innovazione tecnologica, in una puntata di Quante Storie che, raccontando le origini del web, esplora i pericoli e le potenzialità del nostro futuro, non solo virtuale. Interviene Manolo Luppichini, che racconta l’importanza delle connessioni a Gaza e l’embargo internet come strategia di guerra che disgrega la resistenza dal basso colpendo i più vulnerabili. SOSTIENI IL PROGETTO GAZAWEB – GLI ALBERI DELLA RETE  GUARDA L’INTERA PUNTATA SU RAIPLAY
Il corpo delle donne come campo di battaglia: la violenza sessuale sulle donne durante il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo
> RACCONTARE E’ UN ATTO POLITICO.  RACCONTA, DIFFONDI, PARTECIPA AL CROWDFUNDING > DADAxCONGO. > > Trasformiamo la solidarietà in azione, insieme.   Réseau des Femmes pour un Développement Associatif Réseau des Femmes pour la Défense des Droits et la Paix International Alert CAPITOLO 3 La posizione delle donne e le percezioni socio-culturali della violenza sessuale nel Sud Kivu Per comprendere le ragioni per cui si verificano tali atti di violenza sessuale, è necessario prendere in considerazione la situazione sociale ed economica delle donne nel Sud Kivu. Una conoscenza approfondita del modo in cui vengono percepite le relazioni di genere nella società e, soprattutto, delle attitudini degli uomini nei confronti del corpo femminile in tempo di pace — sia nel Sud Kivu che nei Paesi limitrofi da cui provengono alcuni autori di queste violenze — permette di capire più chiaramente come tali atrocità abbiano potuto verificarsi. Questo capitolo analizza quindi brevemente la posizione delle donne nella società del Sud Kivu, e il contesto socio-culturale ed economico in cui vivono. 3.1 La posizione delle donne La posizione delle donne nel Sud Kivu è caratterizzata, da un punto di vista economico, dalla “femminilizzazione della povertà”, aggravata dall’assenza di politiche o meccanismi per la promozione femminile; e, da un punto di vista socio-culturale, dalla persistenza di costumi, pratiche e leggi discriminatorie nei confronti delle donne. Questi fattori le rendono particolarmente vulnerabili in un contesto di conflitto armato: non solo aumentano la probabilità che si verifichino violenze di genere, ma — agli occhi degli autori — contribuiscono persino a legittimarle. 3.1.1 La femminilizzazione della povertà Quando scoppiò la guerra nella Repubblica Democratica del Congo, la popolazione locale — e in particolare le donne — era già stata resa vulnerabile dal malfunzionamento delle strutture statali e dalla mancanza di infrastrutture economiche e sociali adeguate, dovuta a trent’anni di regime dittatoriale sotto il presidente Mobutu. Per decenni gli stipendi dei funzionari pubblici e dei dipendenti delle imprese statali non erano stati pagati regolarmente, e così la popolazione era stata costretta ad assumersi compiti che avrebbero dovuto spettare allo Stato: costruzione di scuole, pagamento degli insegnanti, manutenzione delle strade e fornitura di servizi sanitari. In questo contesto di impoverimento generalizzato, il peso della sopravvivenza è ricaduto sempre più sulle donne. La mancanza di sviluppo economico e sociale ha determinato un ulteriore impoverimento della popolazione femminile, soprattutto nelle aree rurali e semi-urbane. Le donne costituiscono la forza trainante dell’economia di sussistenza del Sud Kivu, basata essenzialmente su agricoltura e allevamento. Circa l’80% della popolazione della provincia si dedica all’agricoltura, e il 70% di queste persone sono donne. Le donne sono attive anche nel settore informale, in particolare nel piccolo commercio, nella sartoria, nella tintura, nella ceramica e nella lavorazione dei cesti. Operano inoltre ai margini dell’industria mineraria, dove vengono impiegate come manodopera sfruttata e sottopagata. La guerra ha avuto un effetto devastante sulle attività economiche e sociali delle donne. Le risorse già scarse e i mezzi di produzione delle organizzazioni femminili di base sono stati distrutti o saccheggiati. Oltre alla situazione di insicurezza, le donne devono affrontare problemi strutturali che aggravano ulteriormente la loro povertà: * difficoltà di accesso alla terra a causa della sovrappopolazione e dell’eccessivo sfruttamento dei terreni fertili, e per via delle tradizioni patriarcali; * distruzione delle infrastrutture economiche o loro assenza; * tassazione pesante imposta dal Rassemblement Démocratique Congolais (RCD), che ha contribuito a erodere ulteriormente i redditi femminili. La guerra ha inoltre prodotto un elevato numero di vedove e donne sfollate, improvvisamente divenute capofamiglia senza alcuna preparazione. Esse vivono al di sotto della soglia di povertà e dipendono in larga misura dagli aiuti alimentari (quando disponibili) per sopravvivere. I tassi di HIV/AIDS sono elevati, anche a causa della diffusione degli stupri commessi dai gruppi armati. La guerra e la povertà hanno costretto molte donne e ragazze alla prostituzione di sopravvivenza, che le rende particolarmente vulnerabili alla violenza sessuale. Tale fenomeno crea condizioni “in cui le relazioni sessuali abusive sono più largamente accettate e in cui molti uomini, civili e combattenti, considerano il sesso come un servizio facilmente ottenibile mediante coercizione”. Parallelamente, la violenza domestica è aumentata, a causa della disoccupazione maschile, delle tensioni e dell’incertezza sul futuro politico del Paese. Questo aumento della violenza domestica durante i periodi di guerra è un fenomeno diffuso, confermato da studi — ad esempio — sull’ex Jugoslavia, dove durante il conflitto si verificarono episodi di violenza sessuale di crudeltà senza precedenti. 3.1.2 Costumi, pratiche e legislazione discriminatori Alcuni costumi, pratiche e leggi ostacolano l’accesso delle donne alla proprietà, all’istruzione, alle tecnologie moderne e all’informazione. Le donne soffrono spesso di analfabetismo o di scarsa istruzione, poiché in molte famiglie i maschi continuano a essere privilegiati rispetto alle femmine nell’accesso alla scuola. Molte ragazze appartenenti ai gruppi più svantaggiati abbandonano gli studi per matrimonio o gravidanza precoce. È difficile per le donne accedere ai mezzi di produzione come terra, proprietà o credito. Alcuni aspetti della legislazione congolese discriminano ancora le donne: ad esempio, una donna sposata deve ottenere il permesso del marito per aprire un conto bancario o richiedere un prestito. Tradizionalmente, le donne non possono ereditare dai padri o dai mariti. Nelle zone rurali, le donne producono e gestiscono il 75% della produzione alimentare, trasformano i prodotti per il consumo familiare e vendono circa il 60% nei mercati locali, ma spesso non ricevono alcun guadagno, poiché i proventi vanno direttamente ai mariti. Molti gruppi etnici mantengono pratiche tradizionali che perpetuano la sottomissione femminile, riducendo le donne allo status di proprietà privata. Tra i Bashi, Bavira, Fulero e Bembe, la consuetudine del levirato — per cui una vedova viene “ereditata” dal fratello del marito — è ancora viva, privando le donne della libertà di scegliere un nuovo coniuge. Tra i Banyamulenge, le donne erano considerate proprietà collettiva del clan: il suocero, il cognato o il marito della cognata avevano il diritto, con il consenso del marito, di avere rapporti sessuali con lei. Sebbene tali pratiche siano state in parte limitate dall’influenza del cristianesimo, non sono del tutto scomparse. Alcuni Bami (capi tradizionali) rivendicavano il droit de seigneur sulle donne della comunità che desideravano, facendole “consegnare” alle proprie case per un matrimonio forzato o per rapporti sessuali. Tali costumi persistono tuttora in alcune etnie (Lega, Fulero, Bembe e Bashi), e i genitori spesso li tollerano per il prestigio e i vantaggi che derivano dai legami con i Bami. 3.1.3 L’assenza di politiche e meccanismi di promozione femminile La provincia del Sud Kivu dispone di pochissimi meccanismi di promozione femminile. Un Ministero per gli Affari Femminili fu creato a livello nazionale all’inizio degli anni ’80, con una sede provinciale a Bukavu. Tuttavia, molte organizzazioni femminili lo consideravano solo uno strumento politico per mobilitare l’elettorato femminile a favore del presidente Mobutu. I fondi destinati alla promozione delle donne furono poi ridotti, e il ministero fu assorbito da quello per gli Affari Sociali, diventandone un semplice dipartimento. Durante l’amministrazione del Rassemblement Démocratique Congolais (RCD), al potere nel Sud Kivu dal 1998 al 2003, fu istituito un Consiglio Provinciale delle Donne (marzo 2001), indipendente dal ministero di Kinshasa ma privo di risorse per sviluppare progetti di sviluppo femminile. Strumenti internazionali come la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) e la Piattaforma di Pechino sono stati raramente applicati, a causa della mancanza di finanziamenti. Un’indagine condotta nel 2001 dal governo della RDC e dall’UNICEF su tutto il territorio nazionale ha rivelato un quadro allarmante, mostrando che la situazione delle donne e dei bambini era peggiorata sotto quasi tutti gli aspetti dal 1995.   > RACCONTARE E’ UN ATTO POLITICO.  RACCONTA, DIFFONDI, PARTECIPA AL CROWDFUNDING > DADAxCONGO. > > Trasformiamo la solidarietà in azione, insieme.   Questo paper rappresenta un estratto tradotto di uno studio più ampio dal titolo: Il corpo delle donne come campo di battaglia: la violenza sessuale contro donne e ragazze durante la guerra nella Repubblica Democratica del Congo  Sud Kivu (1996–2003) Réseau des Femmes pour un Développement Associatif Réseau des Femmes pour la Défense des Droits et la Paix International Alert 2005 Questo studio è stato condotto e redatto da un team di consulenti composto da: Marie Claire Omanyondo Ohambe Professoressa Associata Institut Supérieur des Techniques Médicales Sezione Scienze Infermieristiche Kinshasa Repubblica Democratica del Congo Jean Berckmans Bahananga Muhigwa Professore Dipartimento di Biologia Centre Universitaire de Bukavu Bukavu Repubblica Democratica del Congo Barnabé Mulyumba Wa Mamba Direttore Institut Supérieur Pédagogique Bukavu Repubblica Democratica del Congo Revisione a cura di: Martine René Galloy Consulente internazionale Specialista in Genere, Conflitto e Processi Elettorali Ndeye Sow Consigliera Senior International Alert Catherine Hall Addetta alla Comunicazione International Alert I dati sul campo sono stati raccolti da un team composto da: Donne del Réseau des Femmes pour un Développement Associatif (RFDA), che hanno condotto la ricerca a Uvira, nella Piana della Ruzizi, a Mboko, Baraka, Fizi e Kazimia: 1. Lucie Shondinda 2. Gégé Katana 3. Elise Nyandinda 4. Jeanne Lukesa 5. Judith Eca 6. Brigitte Kasongo 7. Marie-Jeanne Zagabe Donne del Réseau des Femmes pour la Défense des Droits et la Paix (RFDP), che hanno condotto la ricerca a Bukavu, Walungu, Kabare, Kalehe e Shabunda: 1. Agathe Rwankuba 2. Noelle Ndagano 3. Rita Likirye 4. Venantie Bisimwa 5. Laititia Shindano 6. Jeanne Nkere La ricerca è stata coordinata da: Annie Bukaraba Coordinatrice Programma “Women’s Peace” di International Alert, Repubblica Democratica del Congo orientale    
OLIVI SOTTO ASSEDIO. Il secondo report della Campagna Olivi-Cultura di Pace
LEGGI, SCARICA E DIFFONDI IL REPORT COMPLETO In questo periodo la stagione della raccolta delle olive in Palestina dovrebbe essere nel pieno del suo svolgimento, ma i contadini palestinesi si trovano ad affrontare ancora una volta una realtà fatta di aggressioni sistematiche, danneggiamenti e restrizioni all’accesso ai terreni. Nella prima settimana dall’avvio ufficiale della stagione, dal 15 al 21 ottobre 2025, coloni e militari israeliani si sono resi responsabili di episodi sempre più intensi e ricorrenti a danno della popolazione civile palestinese, che hanno interessato tutta la regione della Cisgiordania occupata, dopo che numerosi altri attacchi erano stati registrati contro i contadini che avevano provato ad anticipare la raccolta nel tentativo di sfuggire alle violenze. Particolarmente gravi sono gli episodi documentati nella zona di Hebron e Nablus, dove la violenza dei coloni armati e dell’esercito ha raggiunto livelli fuori controllo, con attacchi mirati anche contro donne e bambini, mentre continuano le espulsioni sistematiche, le demolizioni e i tentativi di intimidazione volti a costringere i palestinesi ad abbandonare le proprie terre. Il presente rapporto è il risultato delle attività di monitoraggio e documentazione condotte sul campo dai partner palestinesi della campagna “Olivi – Cultura di Pace”: Arab Agronomists Association (AAA), Palestinian Agricultural Relief Committee (PARC), Palestinian Farmers’ Union (PFU) e Arab Center for Agricultural Development (ACAD), in collaborazione con le comunità rurali e con il supporto di media, istituzioni e organizzazioni locali, nell’ambito della campagna “Olivi – Cultura di Pace”. LEGGI, SCARICA E DIFFONDI IL REPORT COMPLETO
5 ragioni per cui non senti parlare del Congo
1.PARLARE DEL CONGO SIGNIFICA NOMINARE RESPONSABILITÀ.  Raccontare le responsabilità dietro le violenze significa esporre attori statali, multinazionali e reti di complicità internazionale. Ecco che i conflitti che mettono in discussione interessi consolidati ricevono meno copertura. Perché? Le narrazioni mainstream e le agende mediatiche sono influenzate da interessi di politica economica.  Il risultato?  * Scarsa indagine giornalistica sulle catene di approvvigionamento dei minerali. * Debole pressione diplomatica verso attori coinvolti per timore di compromettere alleanze strategiche. * Sovraesposizione di crisi che non mettono in discussione poteri economici. 2. LE RISORSE CHE FINANZIANO LO SFRUTTAMENTO Il sottosuolo congolese è ricco di materie prime, risorse come: coltan, cobalto, oro, diamanti, stagno. Questi minerali alimentano intere industrie globali – dall’elettronica all’automotive.  Le catene di approvvigionamento, spesso opache, permettono a attori economici internazionali di trarre profitto dall’instabilità, consolidando pratiche predatorie: accaparramento delle risorse, sfruttamento del lavoro. * I Prezzi e domanda globali incentivano estrazioni anche in contesti di conflitto. * Le aziende non tracciano adeguatamente la provenienza delle materie prime = complicità indiretta.  * Risultato: le comunità locali sono private di controllo e beneficio sulle risorse del proprio territorio. Mettere in luce questi legami sfida interessi economici coloniali.  Quando la ricchezza estraibile diventa fonte di profitto per attori esterni, l’instabilità conviene e l’informazione diventa più sottile e filtrata.  3.GUERRE PER PROCURA E INTERESSI GEOPOLITICI Il conflitto in Congo non è solo un conflitto interno. E’ il risultato di interventi regionali e di competizioni geopolitiche. Gruppi e attori esterni operano nel paese con l’obiettivo di controllare risorse o influenza politica. Questo rende il conflitto complesso da raccontare: non è solo una guerra interna ma un intreccio di interessi regionali e internazionali, con responsabilità diffuse. Punti chiave da analizzare: * Presenza di milizie locali sostenute — direttamente o indirettamente — da potenze regionali. * Interessi strategici (controllo delle rotte, accesso alle risorse) che coinvolgono attori esterni. La complessità geopolitica rende più difficile una narrazione semplice e facilmente digeribile dai media mainstream. 4.RAZZISMO SISTEMICO E GERARCHIE DI ATTENZIONE MEDIATICA L’attenzione internazionale ai conflitti soffre di bias.  Le emergenze che coinvolgono paesi e popolazioni africane spesso ricevono meno copertura e meno mobilitazione pubblica. Questo fenomeno si spiega anche e soprattutto decostruendo e analizzando dinamiche storiche e culturali: pregiudizi razziali e bias e il valore differenziale attribuito alle vite umane nelle narrazioni globali. L’attenzione internazionale ai conflitti soffre di bias. E questo come si manifesta?  * con una copertura mediatica limitata o episodica, senza follow-up. * una minor pressione pubblica su governi e istituzioni affinché intervengano o condannino. * minore priorità nelle agende politiche rispetto ad altre crisi percepite come “più vicine” o “più strategiche”. Quando la violenza riguarda popolazioni nere è derubricata a “conflitto africano”. Questo disvalore sistemico alimenta il circolo della non-rappresentazione e dell’impunità. 5. IL PROFITTO DEL SILENZIO – COMPLICITÀ ECONOMICA E MORALE L’invisibilità del conflitto è funzionale a chi ci profitta: le catene di profitto, le reti di corruzione e l’economia informale del conflitto prosperano quando c’è scarsa trasparenza. Le conseguenze di invisibilizzazione?  * Assenza di indagini indipendenti e accountability. * Sostegno implicito a pratiche di sfruttamento e finanziamento di milizie. * Difficoltà per le organizzazioni che operano sul posto di ottenere visibilità e fondi necessari. Il silenzio non è mai neutrale: avalla un sistema che non mette in discussione pratiche economiche coloniali, storie di abuso di popoli e terre.    DADAxCONGO è uno sforzo per metterci in rete e rompere il tetto del silenzio sostenere le organizzazioni locali e amplificare le voci delle comunità congolesi. Non possiamo dare sostegno umanitario senza restituire la dignità del racconto e delle storie alle voci e ai corpi cui appartengono. Assistiamo le donne congolesi del Nord Kivu, le più colpite dal conflitto, con kit di dignità nell’emergenza, le sosteniamo in questa fase emergenziale perché possano trovare spazio per raccontare e per resistere. Facciamoci amplificatori. Condividi. Partecipa. Dona al crowdfunding su produzionidalbasso.com Solidarietà è Sorella.  
OLIVI SOTTO ASSEDIO. Il primo report della Campagna Olivi-Cultura di Pace
LEGGI, SCARICA E DIFFONDI IL REPORT COMPLETO Nelle colline ricoperte di uliveti e nelle fertili valli della Cisgiordania occupata la stagione della raccolta delle olive è iniziata ufficialmente il 15 ottobre. Quest’anno, tuttavia, molte famiglie palestinesi hanno deciso di anticiparne l’avvio, nel tentativo di prevenire le sempre più frequenti aggressioni da parte dei coloni israeliani e riuscire a salvare almeno parte del raccolto. Ma già nei primi giorni i contadini sul campo hanno assistito a un’ondata di violenze senza precedenti che ha scandito la raccolta, con attacchi sistematici, furti di olive, incendi e distruzione degli oliveti e gravi restrizioni alla libertà di movimento. Nel corso della scorsa raccolta delle olive del 2024, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) ha registrato almeno 225 attacchi da parte dei coloni in 82 aree della Cisgiordania, con 171 casi di uccisione o ferimento di palestinesi. Più di 2.500 ulivi sono stati bruciati, oltre a numerosi episodi di distruzione e furto di attrezzi agricoli. Le prime testimonianze e gli eventi documentati nelle prime settimane di raccolta fanno presagire che il record dello scorso anno potrebbe essere ampiamente superato. I contadini palestinesi sono sottoposti a un costante clima di terrore, soggetti ad intimidazioni quotidiane che preannunciano un crollo drammatico della produzione olivicola, pilastro dell’economia rurale e fonte primaria di sostentamento per migliaia di famiglie palestinesi. Le testimonianze raccolte sul terreno dai partner palestinesi della campagna “Olivi-Cultura di Pace” segnalano un’escalation di violenze già nelle settimane precedenti l’avvio ufficiale della stagione olivicola, previsto a inizio ottobre. Le organizzazioni palestinesi attive sul campo stanno portando avanti un’intensa attività di monitoraggio e assistenza alle comunità agricole locali, documentando sul campo numerose violazioni da parte di coloni e militari israeliani, tra cui alberi sradicati o incendiati, accessi negati ai terreni, contadini aggrediti fisicamente anche con armi da fuoco. Un contesto allarmante che evidenzia l’urgenza di proteggere il diritto al lavoro, alla terra e alla sicurezza di migliaia di famiglie palestinesi, e che rafforza il significato della campagna “Olivi-Cultura di Pace”, nata per sostenere la resistenza contadina e la difesa nonviolenta del territorio. LEGGI, SCARICA E DIFFONDI IL REPORT COMPLETO READ, DOWNLOAD AND SHARE THE REPORT (English version)
Verso Gaza City – Dopo l’accordo sul Cessate il Fuoco
Verso Gaza City. Ali Tayeh, per noi e per tutti gli amici Ali pittore, che collabora con diversi nostri progetti, come coordinatore di Gazaweb e di alcune attività di SOS GAZA, si mette in cammino da Deir al Balah verso Gaza City da dove era dovuto fuggire con la moglie e la figlia di 4 anni qualche settimana fa, dopo una lunga resistenza all’evacuazione. Ci ha scritto questa mattina: ‘ho caricato il telefono e la macchina fotografica e mi incammino per Gaza City’. Oggi è il giorno dopo dell’annuncio della prima fase del cessate il fuoco e, con lui, centinaia di persone piene di speranza percorrono le strade a piedi, cercando di raggiungere le proprie case o cosa ne è rimasto, dopo l’inizio del ritiro delle truppe dell’Idf da Gaza City. https://www.acs-ong.it/wp-content/uploads/2025/10/1010-copia_VWKpsIo3.mp4
Manolo Luppichini fa il punto sulla situazione a Gaza e sulla missione Global Sumud Flotilla
Manolo Luppichini, media attivista e videomaker in rappresentanza di ACS con la Global Sumud Flotilla, interviene nell’episodio Extra di Newsroom in cui si fa il punto sulla situazione a Gaza e sulla Global Sumud Flotilla, di nuovo in viaggio verso la Striscia. Manolo ha viaggiato a bordo della Summertime, una delle imbarcazioni di osservazione e supporto della missione umanitaria. Interessante e necessario l’intervento di Cecilia Anesi, che esplora il “paradosso dei visti umanitari: un diritto riconosciuto, ma negato nei fatti.”
Siamo approdati a Cipro
Gli eventi ci costringono ad approdare a Cipro. Fatichiamo a divincolarci dai gangli burocratici, ma è essenziale sbarcare le persone che abbiamo raccolto dalle altre imbarcazioni nei giorni precedenti. Le autorità locali—articolate in diversi settori, immigrazione, dogana, polizia, portuale…—marcano stretto, impedendoci ogni movimento. Ci stiamo dando da fare per uscirne il prima possibile con l’aiuto del legal team e dei consolati. Quindi niente allarme. Almeno per ora. Gli occhi restano puntati sul genocidio in corso a Gaza e sul popolo palestinese vessato dall’occupazione e massacrato dai sionisti. Per la libertà di movimento, per un Mediterraneo che unisce le popolazioni, finalmente libero dai coloni. Avanti! #freepalestine🇵🇸 #EndTheSiege https://www.acs-ong.it/wp-content/uploads/2025/10/1003_wVn9hW7m.mp4
In movimento. In resistenza.
Riceviamo notizie confortanti dall3 nostr3 compagn3 sulla Summertime: stanno bene e sono riuscit3 a sfuggire alle intercettazioni. Ogni miglio percorso è un atto di resistenza. Ogni giorno in mare è una crepa nell’assedio. Manteniamo una presenza nelle retrovie nel caso alcune imbarcazioni abbiano bisogno di assistenza, per essere pronti in caso di emergenza. Ogni imbarcazione e ogni persona è fondamentale alla riuscita di questa missione. Siamo una marea, nel mare e a terra. Continuiamo la nostra resistenza nelle piazze, ovunque siamo. https://www.acs-ong.it/wp-content/uploads/2025/10/1002_oV4Bw2MI.mp4