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Il destino della merce
(disegno di otarebill) Andrea Bottalico, La logistica in Italia. Merci, lavoro e conflitto, Carrocci, Roma, 2025, pagg.119, euro 14. Questo volume di Andrea Bottalico, ricercatore esperto del settore, propone una ricognizione esaustiva e politicamente stimolante sul tema “logistica”. Infatti, seguendo un metodo ormai consolidato della ricerca sociologica e storiografica (soprattutto di matrice operaista), l’autore intreccia in ogni capitolo la dimensione organizzativa del fenomeno e quella relativa al rapporto sociale sottostante: alle sue figure, alle sue contraddizioni, ai suoi conflitti. La conoscenza vera di un comparto del capitalismo industriale, si può praticare oggi solo in questo modo: indagando contemporaneamente la struttura e le movenze del soggetto sociale che la abita. L’analisi della “produzione di classe operaia” – cioè l’analisi dei soggetti reali che vivono il rapporto di capitale – diventa così inscindibile dallo studio dell’assetto organizzativo del settore. E il conflitto è la risultante della continua modificazione che tale rapporto subisce. Bottalico propone innanzitutto  una perimetrazione – non scontata né semplicissima – dell’oggetto della sua ricerca: “Oggi è possibile acquistare un qualsiasi prodotto on line che arriva a casa domani grazie a una cosa che non è affatto gratis. Questa cosa è il lavoro di uomini e donne quotidianamente impiegati e sfruttati nella catena logistica del trasporto merci. Senza i lavoratori e le lavoratrici, il flusso di beni e servizi da cui siamo dipendenti si fermerebbe. La logistica si presenta come un universo costituito da molteplici galassie. È una dimensione complessa da delimitare, così come lo sono le attività di trasporto, approvvigionamento, distribuzione a cui viene generalmente associata. Nel tempo la logistica si è trasformata in un termine chiave come una parola d’ordine, e non è un caso che il suono di questa parola, di origine greca, richiami qualcosa di militare. […] Oggi parlare di logistica significa ragionare sull’organizzazione di filiere che si sviluppano su una scala molto ampia, soprattutto in seguito ai cambiamenti tecnologici avvenuti nel corso degli ultimi decenni (flotte aeree moderne, containerizzazione, espansione del trasporto marittimo e su gomma, digitalizzazione). Mutamenti che hanno inciso sull’organizzazione della produzione facendo emergere colossi come Amazon, Walmart, Ups, FedEx, Dhl, Tnt, Gls, Msc”. (pag. 9) Partendo dalla definizione, difficile e non univoca, della categoria, si capisce quanto le  trasformazioni organizzative – in direzione della piena integrazione di diverse fasi un tempo separate, che oggi si presentano come “flusso” integrato e costante che avvolge il pianeta e la produzione – abbiano sostanziato la fase storica della globalizzazione. Quella stagione cruciale sarebbe semplicemente incomprensibile senza la conoscenza delle innovazioni tecnologiche e delle ricadute sociali, infrastrutturali e urbanistiche, che la logistica ha prodotto negli ultimi cinquant’anni. La tesi dell’autore è che la logistica italiana si pone come “anomalia”, rispetto ad analoghi processi europei. È un settore “usa e getta”, ad alta intensità di mano d’opera dequalificata e sottopagata, con un altissimo tasso di esternalizzazione delle attività di magazzinaggio e trasporto – ormai affidate quasi esclusivamente a soggetti esterni al rapporto tra produttore e clienti. Questa tendenza nazionale ha prodotto enormi sacche di illegalità, la costituzione di una autentica jungla di cooperative spurie delegate a coprire questo ambito essenziale del processo di produzione/circolazione delle merci. Tale è stata la pressione al ribasso sulla forza lavoro, che i bassi salari e la precarietà sono diventate la condizione sine qua non per la sopravvivenza di molte di queste imprese le quali, se poste nella condizione di legalizzare il loro profilo, vedrebbero il sostanziale azzeramento  del margine di profitto. “L’ipotesi che guida questo volume è che alcuni processi come l’esternalizzazione delle funzioni logistiche, la repressione dei diritti sindacali, la violenza sul posto di lavoro, l’illegalità strutturale e lo sfruttamento sistematico, l’assenza di tutele e il caporalato sono state le precondizioni per lo sviluppo della catena logistica del trasporto merci in Italia come settore dinamico e in continua crescita. Questi fenomeni non sono stati un effetto, ma una causa della traiettoria di sviluppo del modello logistico italiano. Si è trattato dunque di un modello emerso nel corso degli ultimi decenni. Un modello composto da elementi sempre più caratterizzanti il mondo del lavoro del nostro tempo, al quale le forme autonome del conflitto si sono opposte ereditando dal passato partiche ed esperienze di lotta”. (pag. 11) Bottalico individua, in tema di “movimentazione delle merci” tre precise fasi storiche della vicenda italiana, che caratterizzano rispettivamente: la ricostruzione post-bellica, il boom economico e la configurazione d’impresa nel mondo globalizzato. Sono le tre dimensioni fondate sullo sviluppo della rete ferroviaria, del trasporto marittimo tradizionale e infine della intermodalità integrata e verticale che caratterizza i flussi attuali. A queste tre fasi corrispondono tre dinamiche di protagonismo operaio: la storica figura sindacalizzata dei ferrovieri, ridimensionata dalla perdita di centralità dei binari rispetto al trasporto su gomma negli anni del boom; quella dei lavoratori portuali, che hanno subito i colpi della privatizzazione delle banchine negli anni 80/90; e infine il soggetto operaio della logistica moderna, che richiede una narrazione “in diretta” della sua composizione e dei suoi movimenti. Tre figure sociali profondamente diverse, che hanno conosciuto progressi e sconfitte, interagendo in modo conflittuale con la forma impresa che caratterizzava le diverse fasi storiche.  La composizione della forza lavoro del settore logistico – parliamo di professionalità, potere sulla prestazione, coscienza del proprio ruolo sociale – è ovviamente li prodotto delle enormi trasformazioni che il settore ha subito nei decenni. La containerizzazione e le tecnologie digitali azzerano la manipolazione dei carichi, con una progressiva estromissione della forza lavoro dai settori “centrali” della filiera – pensiamo ai porti iper-tecnologizzati in cui l’intervento umano si sposta “a latere” di ogni operazione – e un incremento esponenziale negli anelli terminali del ciclo, retroporti, hub e magazzini sui territori. “La diffusione del container favorisce l’emergere della logistica integrata. La storia della logistica in Italia, da questa prospettiva, coincide con la storia della intermodalità, una novità dirompente che consiste nella possibilità di usare in maniera integrata due o più modi di trasporto per consegnare la merce. In generale per intermodalità si intende una rete coordinata di vettori ed utenti che operano in concerto allo scopo di trasferire la merce attraverso modi e combinazioni di trasporto diverse e contigue. […] È dal trasporto intermodale che deriva il modello Door to Door, consistente in un singolo carico controllato da un singolo vettore e coperto da un singolo documento, laddove il cliente (o committente) tratta con il vettore esclusivamente il trasporto dall’origine alla destinazione. In questi anni avviene dunque una integrazione che finisce per investire la stessa concezione del trasporto, non considerato più come una somma di attività separate e autonome di singoli vettori interessati, ma come un’unica prestazione da origine a destino, in una visione globale del processo di trasferimento di una merce”. (pag. 10) L’autore nella sua ricerca ha giustamente focalizzato la sua attenzione sui fenomeni di esternalizzazione delle funzioni logistiche – il viaggio della merce dall’uscita dei luoghi di produzione verso la sua destinazione. Resta da indagare un altro grande filone di ricerca – comunemente inserito nella definizione di “logistica” – che è quello dei cosiddetti “appalti interni”: il processo che negli ultimi venti anni ha portato moltissime aziende industriali a isolare reparti e fasi del ciclo per affidarli in appalto a imprese (spesso cooperative, spesso in totale subordinazione organizzativa rispetto al committente) operanti all’interno dei perimetri aziendali. Una sorta di “delocalizzazione interna” che ha favorito uno spezzettamento delle condizioni contrattuali e un indebolimento complessivo dell’unità di classe, anche dentro i luoghi “centrali” del processo produttivo.  Sono molti gli spunti di analisi interessanti che questo libro propone, anche per i non addetti ai lavori. Soprattutto quelli relativi alla lettura della logistica italiana come “metafora” dello sviluppo distorto del capitalismo italiano nell’ultimo trentennio. Ciò che è accaduto in questo comparto produttivo – frammentazione organizzativa, deflazione salariale, precarietà, sfruttamento – è solo il riflesso, magari in forme esasperate, di ciò che ha riguardato tutto lo spettro del lavoro sociale. Così come l’acquiescenza del legislatore, che non ha governato la crescita malata e anomala del settore logistico, ma ne ha solo accompagnato l’espansione: con ricadute fondamentali anche nel ridisegno delle aree portuali, degli interporti, delle zone industriali, delle politiche urbanistiche e territoriali affidate come sempre alla commistione di interessi tra privati e ceto politico compiacente o succube. Solo gli scioperi hanno scoperchiato il pentolone del malaffare e indicato – anche ai ricercatori – la strada dell’analisi impietosa e della denuncia pubblica di queste degenerazioni. I facchini – organizzati dai sindacati di base, poveri, precari e sottopagati – sono stati capaci di scoperchiare un pentolone maleodorante che molti fingevano di non vedere. Non basterà il Decreto Sicurezza per ricondurre i lavoratori al silenzio e azzerare le conquiste di questi anni, strappate dalle lotte e pagate a caro prezzo, con morti nei picchetti, inchieste, arresti e licenziamenti. (giovanni iozzoli)  
“L’intelligenza artificiale è un impero: il potere in mano a pochi che sfruttano le risorse della comunità”: la scenario devastante descritto da Karen Hao
L’esperta di tecnologia ha pubblicato un libro - Empire of AI | Inside the reckless race for total domination - che descrive un nuovo imperialismo in cui poche aziende tech si arricchiscono sfruttando dati comuni e risorse naturali “L’intelligenza artificiale è come un impero dove il potere è accentrato nelle mani di pochi che si arricchiscono sfruttando le risorse delle comunità più vulnerabili. Il rischio più grande di permettere a questi imperi di IA di continuare ad operare è una completa perdita di potere di autodeterminazione del nostro futuro. In quel mondo la democrazia non può sopravvivere”. Karen Hao è un’esperta di tecnologia (ex direttrice della rivista MIT Tech Review e corrispondente tech da Hong Kong per il Wall Street Journal) ed è arrivata a questa conclusione dopo essere stata embedded per tre giorni dentro OpenAI e aver condotto 300 interviste a personaggi che gravitano attorno al suo fondatore Sam Altman, oltre ad ex dirigenti ed impiegati di Meta, Microsoft, Google, DeepMind e Anthropic. Gli imperatori. * UNA NUOVA ERA COLONIALE * INTELLIGENZA INSOSTENIBILE * CERVELLI AI-DIPENDENTI * LA SOLUZIONE? Leggi l'articolo
La seconda edizione di Eirenefest in Valdarno presenta il suo programma
Dal 9 al 17 giugno si svolgerà in Valdarno la seconda edizione di Eirenefest, festival del libro per la Pace e la Nonviolenza. Quest’anno ben 16 sedi ospiteranno il festival in una rete di eventi sparsi su tutto il territorio nazionale e durante tutto l’anno. In Valdarno il festival toccherà San Giovanni Valdarno, Terranuova Bracciolini e Pergine Valdarno con una serie di presentazioni ed esposizioni di libri, laboratori e iniziative solidali. Il festival conta con un Comitato Promotore formato da professionisti del settore e con il patrocinio dei Comuni di Terranuova e San Giovanni. Tutte le attività sono gratuite e sostenute dal lavoro volontario. Eirenefest ha il contributo dell’8 per Mille della Chiesa Valdese. Il programma completo è consultabile su: > Valdarno 2025: il programma definitivo Redazione Toscana
Futuro presente: Amazon e il suo dominio globale
(archivio disegni napolimonitor) Oggi, giovedì 29 maggio, alle ore 17:30, presso Zero81 – Laboratorio di mutuo soccorso (largo Banchi Nuovi, 10), sarà presentato il nuovo volume del collettivo Into the Black Box, intitolato Futuro presente. Il dominio globale del mondo secondo Amazon. Il dibattito vedrà la partecipazione di Niccolò Cuppini e Maurilio Pirone. *     *     * Il caso Amazon ha generato un vasto dibattito a livello internazionale. Anche in Italia, in questi anni, non sono mancate pubblicazioni, traduzioni e analisi critiche. Altre ricerche promettenti sono tuttora in corso, e contribuiranno a delineare un quadro complesso. Tra le numerose pubblicazioni che hanno affrontato l’argomento, tre volumi meritano di essere menzionati. Il costo della spedizione gratuita. Amazon nell’economia globale, curato da Jake Alimahomed-Wilson ed Ellen Reese, è un testo fondamentale per comprendere le molteplici caratteristiche di questa multinazionale. Il Magazzino di Alessandro Delfanti offre invece un’indagine puntuale sulla vita all’interno dell’hub logistico Amazon di Piacenza. Infine, Conflitto di classe e sindacato in Amazon, curato da Marco Veruggio, è un volume agile che raccoglie i contributi di alcuni collaboratori di Amazonians United (questo volume lo abbiamo presentato di fronte ai lavoratori della logistica distributiva napoletana in stato d’agitazione da oltre un anno). A questa ricca letteratura si aggiunge ora Futuro presente. Il dominio globale del mondo secondo Amazon (Red Star Press, 194 pagine, 20 euro), curato dal gruppo di ricerca Into The Black Box. Questo collettivo, nato dalle esperienze di lotta nell’area metropolitana di Bologna, si è distinto negli ultimi anni per la capacità di elaborare riflessioni teoriche di ampio respiro sulle trasformazioni del capitalismo contemporaneo. Trovare un minimo comune denominatore tra questi testi non è facile, ma in ognuno si percepisce lo sforzo, declinato in modi diversi, di comprendere una fase storica definita dalla personalizzazione di massa, un fenomeno scaturito dalla coniugazione tra mondo logistico e digitalizzazione. L’ultimo lavoro di Into the Black Box nasce da un’inchiesta territoriale sulla logistica, che ha presto dovuto confrontarsi con dinamiche che andavano oltre il territorio d’indagine. E il nesso tra il locale e il globale, in questo contesto, non poteva che essere il colosso multiforme di Jeff Bezos. Come sottolinea Sandro Mezzadra nella prefazione, l’intento non è ridurre il capitalismo a una semplificazione su Amazon (dato che sul mercato globale operano anche altri attori simili come Mercadolibre e Alibaba). Si tratta piuttosto di analizzare un modello di integrazione di diversi piani di azione economica che, nel loro insieme, manifestano “un potere infrastrutturale che mira a egemonizzare le relazioni socio-economiche”. Amazon non si limita a invertire il rapporto tra circolazione e produzione, ma esemplifica e condiziona le operazioni del capitale, colonizzando e privatizzando il futuro. Da qui il titolo del volume. Il collettivo dimostra come Amazon sia molto più che semplice logistica, evidenziando che l’irrompere del digitale ha ibridato la materialità stessa delle infrastrutture. In quest’ottica, Amazon si configura come “capitale costituente”, capace di agire come un ecosistema espanso e gerarchico che si allarga in altri settori, influenzando la sfera sociale e politica. Il volume analizza e mette in relazione molteplici dimensioni. Amazon funge da punto di accesso per indagare l’intreccio tra salto tecnologico, relazioni socio-economiche e questioni politiche. La sfida è comprendere a fondo il paradigma Amazon: un’azienda partita come startup e cresciuta fino a valere miliardi di dollari, che si struttura come un impero commerciale con una proiezione globale. Un gigante che si caratterizza per la sua aspirazione a dettare standard e regole del mercato, monopolizzando ambiti cruciali attraverso specifiche politiche di sviluppo, un assemblaggio spregiudicato di giochi finanziari, uso di nuove tecnologie, modalità originali di organizzazione della forza lavoro e una spiccata capacità di influenzare il potere politico dello stato. Secondo questa interpretazione, Amazon agisce come soggetto politico in un doppio senso: sia come un’infrastruttura dotata di un potere di indirizzo dei flussi di merci, informazioni, saperi e capitali, sia come un vero e proprio attore politico che si sovrappone alle prerogative che in precedenza appartenevano alla sfera pubblica. Unendo razionalità logistica, innovazione tecnologica e servizi digitali, Amazon gioca un ruolo determinante nell’espansione del capitalismo contemporaneo, arrivando a indirizzarne lo sviluppo e incidendo tanto sulla dimensione territoriale della metropoli planetaria quanto sull’immaginario collettivo, fondato sulla fusione tra tecnologia e lavoro umano. Di fronte a questo scenario, una prima risposta che emerge dal volume sembra essere la critica all’ineluttabilità di queste dinamiche. L’analisi di Amazon non si limita a descrivere un impoverimento dell’esperienza umana, ma suggerisce altre possibilità di azione dall’esito non prevedibile. Si intravede quindi un’ambivalenza, secondo gli autori del volume. Il ruolo sempre più “infrastrutturale” di colossi come Amazon nella riproduzione sociale e nella gestione della macchina statale ci pone dinanzi a nuove sfide, che possono essere affrontate con gli strumenti che questi stessi processi mettono in circolazione. L’enorme quantità di dati accumulati, elaborati e utilizzati dalle Big Tech, conferisce loro un potere che si dirama in tutte le nostre interazioni sociali e che non si limita a fotografare l’esistente, ma delinea il campo di possibilità del nostro agire. Questo punto merita attenzione. Se è vero che siamo davanti a una “amazonizzazione della società”, se il dominio globale del mondo secondo Amazon è dettato dalla capacità di sintetizzare diverse operazioni del capitale, di costruire immaginari e di esercitare un potere governamentale, e se in definitiva questo paradigma ingabbia e al contempo sprigiona energie vitali, è importante riconoscere che la diffusione di queste dinamiche non è omogenea. Nelle società avanzate persiste un divario significativo tra tecnologia potenziale e quella effettivamente applicata, sia nel progresso tecnologico in sé che nelle sue applicazioni ai processi produttivi e distributivi. Accanto a risorse inutilizzate come valore non impiegato nella produzione, forza lavoro disoccupata, risorse naturali non sfruttate e capacità produttiva latente, esiste anche una plustecnica potenziale: uno scarto ben superiore al semplice ritardo applicativo, tra ciò che la tecnologia potrebbe fare e ciò che fa realmente. Questo suggerisce sia una certa fragilità del potere infrastrutturale che una non linearità dello sviluppo che il paradigma Amazon potrebbe indirizzare. Se questa premessa è corretta, si può ipotizzare l’intima irrazionalità del capitalismo di cui Amazon è una diretta espressione. Il suo potere infrastrutturale potrebbe essere più debole di quanto non sembri, e di pari passo, il dominio delle Big Tech su economia, politica, società e immaginari rischia di essere sovrastimato. Sebbene Amazon stia costruendo una realtà malleabile e riprogrammabile a suo piacimento, questa stessa realtà è sovvertibile in una pluralità di modi tutti da sperimentare o, meglio, che si stanno già sperimentando. Il lavoro di ricerca collettivo di Into the Black Box getta una luce sulle dinamiche di espansione e colonizzazione di un colosso che è molto più di un e-commerce, indagandone ramificazioni e forme del potere e stimolando una riflessione sulle pratiche di conflitto da escogitare per il futuro. (andrea bottalico)
“PIAZZA DELLA LOGGIA: UNA STORIA MILITANTE”. IL LIBRO DI RADIO ONDA D’URTO
“Piazza della Loggia: una storia militante” è il libro che raccoglie gli atti del convegno organizzato da Radio Onda d’Urto l’11 maggio 2024, a Brescia, in occasione del cinquantesimo anniversario della strage fascista, di stato e della NATO di piazza della Loggia. Il volume, pubblicato da DeriveApprodi, è stato curato dalla redazione di Radio Onda d’Urto e contiene i contributi di Gianfranco Bettin, Maurizio Dianese, Caterina Prever, Elia Rosati, Elio Catania, Paolo Pelizzari, Umberto Gobbi e Marica Tolomelli, oltre ad alcuni estratti delle interviste inedite a testimoni diretti di quel 28 maggio 1974. “Piazza della Loggia: una storia militante” è frutto del lavoro e delle riflessioni collettive che Radio Onda d’Urto ha proposto a cinquant’anni da un evento che ha segnato in maniera profonda la storia della nostra città, della nostra emittente e di tutta Italia. Un contributo per omaggiare ancora una volta la memoria delle 8 compagne e compagni caduti quel giorno e per tenere viva la memoria, nella convinzione che per stabilire dove si vuole andare si debba sapere innanzitutto da dove si viene. In questa trasmissione, sulle frequenze di Radio Onda d’Urto, la presentazione. Ascolta o scarica. ____________________________ Potete avere il volume “Piazza della Loggia: una storia militante”, a fronte di una donazione di 12 euro a Radio Onda d’Urto, passando nei nostri studi (via Luzzago 2/b, Brescia). Il libro è disponibile anche in tutte le librerie e sul sito di DeriveApprodi. Per organizzare una presentazione del libro scrivere a redazione@radiondadurto.org o scrivere un messaggio su WhatsApp al 3351220759
Come Cristo in croce. Da un libro sulla contenzione uno spiraglio per la sua abolizione
(disegno di ginevra naviglio) Come Cristo in croce. Storie, dialoghi, testimonianze sulla contenzione, di Antonio Esposito, è un libro politico, di testimonianza e denuncia. L’autore ci mette in dialogo con chi la contenzione meccanica l’ha vissuta e con chi lavora quotidianamente per superarla, consentendoci di vedere oltre l’apparente stato di necessità che ancora legittimerebbe le violenze di cui racconta. In tradimento al lavoro e alle aspettative del gruppo Basaglia, la contenzione meccanica è tutt’oggi una prassi nelle strutture di assistenza psichiatrica. Per contenzione meccanica, scrive Mauro Palma, “si intende l’utilizzo di dispositivi applicabili al corpo e allo spazio circostante la persona, per limitare la libertà dei movimenti volontari; in particolare, i mezzi applicati al paziente allettato o seduto, i mezzi di contenzione di segmenti corporei e quelli che determinano una postura obbligata”. Dichiarata già con la sentenza Mastrogiovanni “un presidio restrittivo della libertà personale con una mera funzione cautelare” e non una prassi terapeutica, la contenzione continua tuttavia a essere utilizzata, perché considerata inevitabile per far fronte alle situazioni d’urgenza. L’urgenza: è l’abusata logica dell’emergenza che, anche in ambito psichiatrico, non solo consente di aggirare i limiti normativi e utilizzare una tecnica che tradisce i principi della legge 180, ma impedisce anche di destituire quel paradigma manicomialista che sopravvive, subdolo, alla sua formale abolizione. Che sia perché ancora condiviso dalla forma mentis del sistema medico di cura, o perché passivamente reiterato nell’abitudine di una prassi routinaria, il dispositivo si conserva nelle maglie di una narrazione che poggia sull’impossibilità di gestire altrimenti l’escalation dello stato d’alterazione mentale. Mostrandoci invece la possibilità concreta di prassi alternative, e condividendo con noi l’esperienza di medici che operano in reparti no-restraint, Esposito riesce a spezzare la linearità dello schema causa-effetto che giustifica il ricorso alla contenzione: se è possibile fare altrimenti, legare diventa una scelta di cui doversi assumere la responsabilità. Fuori dallo stato di necessità, gli abusi psichiatrici possono finalmente dichiararsi tali e i racconti di chi li ha subiti diventano denuncia immediata di un sistema che avrebbe dovuto mettersi nella condizione di non attuarli. Le storie che intessono le trame del libro restituiscono alle persone che le hanno vissute l’ascolto di cui il sistema sanitario le ha private. Wissem, Francesca, Elena, Bruno, Alice, Elio, Mariarosaria: da pazienti scorporati, succubi di decisioni altrui, tornano soggetti di vissuti che, direttamente o indirettamente raccontatici, possono mettere in crisi quello sguardo stigmatizzante che si è fatto complice delle loro crocifissioni. La “banalità del male” della contenzione meccanica si reitera, infatti, inosservata, solo finché non si interrompe il processo di spersonalizzazione che reifica a oggetti i soggetti psichiatrizzati. Non appena cambia il focus della prospettiva, a emergere è l’asimmetria di potere che si cela dietro il paternalistico “è per il suo bene”; da camuffata, risulta a quel punto esplicita l’ingiustizia costitutiva della contenzione – una violenza subdola, ci dice Esposito, “agita a parte dalla sottrazione delle parole della relazione e dell’imposizione di un vocabolario di comando”. Il ribaltamento del punto di vista crea una frattura che è, insieme, rottura e spiraglio: restituita alle persone la propria centralità, non solo crolla l’impalcatura retorica che giustifica i nodi della custodia psichiatrica, ma apre alla possibilità di ripartire da fondamenta diverse per costruire una salute mentale di comunità. Marga Romagnoni, intervistata da Esposito, spiega: “Affinché i processi di deistituzionalizzazione siano pienamente realizzati, perché si smetta di legare le persone, è necessario il riconosciuto protagonismo delle persone con esperienza di sofferenza psichica, accompagnato, certamente, dal sostegno di tutti gli altri”. È solo tornando alle persone che si può smettere di ricondurre a false interpretazioni e categorie nosografiche l’esigenza di assistenza e di cura, unico modo per dare priorità alla flessibilità, ai tempi della relazione, non più subordinati alle esigenze di sicurezza e tranquillità interna delle istituzioni sanitarie. È tornando alle persone che si può costruire uno spazio terapeutico in cui, in sinergia tra diversi attori e saperi, è possibile prevenire e affrontare le crisi senza che raggiungano il picco dell’emergenzialità, rispettando la corporalità di chi vive la condizione psichiatrica e assumendosi la responsabilità di accogliere e riconoscere il suo dolore. Ponendo al centro la “rincontrattazione”, l’assistenza pubblica può concepirsi dinamica e in continua revisione: può farsi coraggiosa, fuori dagli schemi, anarchica, erogatrice di un servizio non-violento perché strutturato nella relazione, tanto con le persone alle quali si rivolge, quanto con i membri dell’equipe, con il privato e il pubblico sociali. Le esperienze del Csm di Gorizia, dell’Spdc di Ravenna e dell’Ausl della Romagna ci insegnano proprio questo nei loro tentativi di dare forma concreta all’immaginario proposto da Sergio Pirro già nel 1994: un servizio territoriale che sia armonicamente composito di strutture differenziate che si coordinano tra loro, dando vita a una salute mentale multiordinale e pluriqualitativa, reperibile, tempestiva e non selettiva. Accompagnandoci oltre lo specialismo disciplinare e le porte chiuse dei reparti psichiatrici, Esposito ci permette, quindi, non solo di vedere i limiti di un’assistenza sanitaria degradata in custodia costrittiva, ma di superarli all’interno del percorso da lui stesso tracciato, facendoci immergere nella prospettiva di una cura che si esprime nel contatto di un abbraccio comprensivo. È questo il profondo potenziale del suo lavoro: ripartendo dai “sommersi” e dai “salvati” e dalle loro voci dissonanti, ci consegna un orizzonte abolizionista che già attraverso le sue parole inizia a prendere realtà. (zoe ermini)
La malattia contro il potere. Giovanna Ferrara e l’innocenza dei dinosauri
(disegno di escif) Ogni vulnerabilità genera una dinamica di potere. Il malato è un oppresso in questo sistema. Ogni ricovero che mi è capitato è stato lo scontro con la distruzione totale. Il viaggio della malattia è terribile come quello dei migranti, come quelli dei poveri, perché smaschera cose della vita terribili. La prepotenza contro il debole come sistema. E le cure dovrebbero tenere conto della sapienza che soltanto il soggetto-corpo conosce intimamente. Invece il malato è un soggetto minorato escluso dalla gestione del suo stesso destino. Si può usare questa esperienza per diventare persone migliori e per comprendere che la malattia lavora contro il potere perché ti impone di conoscerlo. (Giovanna Ferrara) Se è difficile leggere un libro che sappia unire in una sola trama lucidità di analisi e bellezza di scrittura, L’innocenza dei dinosauri di Giovanna Ferrara (edito da Fuorilinea) è la dimostrazione che – a partire dal proprio dolore – è possibile tenere insieme queste due dimensioni in un equilibrio di scrittura affascinante, lieve e delicato.    L’innocenza dei dinosauri è un romanzo/diario che racconta di desideri e di dolore, di amore e politica, di amicizia e di malattia. Un libro che è lo specchio di un’assenza, perché Giovanna, “generosa, appassionata e danzante” giornalista de il Manifesto, studiosa di storia e cultura europea, è scomparsa a Padova nel 2023, qualche mese dopo un trapianto che sembrava averle ridato una prospettiva di futuro. Tutto il respiro che avevo era pianto Un’ esperienza autobiografica che nasce dalla diagnosi di una rara malattia polmonare (ancora più raro che colpisca una persona giovane) che compromette in modo grave la capacità respiratoria di Giovanna. Una malattia insidiosa che peggiora progressivamente, per di più durante la pandemia che stravolge i fragili equilibri della vita quotidiana. Così i ricoveri diventano un corpo a corpo con le logiche dell’emergenza e con le regole di un sistema ospedaliero in affanno, già svuotato da logiche aziendali e dai tagli alla spesa pubblica. La pandemia da Covid 19 (che G. definisce l’Evento), è solo lo scenario di fondo al racconto,  l’effetto (e non la causa) di una crisi che riusciamo a vedere davvero solo quando ci tocca in prima persona. Giovanna percorre uno a uno i gironi di questo inferno “malattia-cura-malattia”, ne conosce gli angoli più cupi, intuisce la luce che proviene dalle crepe, intravede le possibilità che si conquistano con una lotta personale. Possiamo scomporre il testo, lungo tre nuclei di fondo. La prima è il confronto con il sistema sanitario e i suoi attori (ospedali, medici, infermieri). La lotta contro la malattia produce un rovesciamento, diventa la lotta contro il sistema che dovrebbe prenderti in cura e non trattarti come un sintomo. L’incontro col sistema sanitario si sviluppa in due luoghi. Il primo è quello della soglia, riuscire a farsi prendere in carico, superare le burocrazie dell’attesa per ottenere una visita specialistica o per un ricovero di emergenza: “Nell’attesa del Pronto Soccorso […] si può morire per le loro lentezze, le loro mancanze, le storture di fronte alle quali il personale sanitario dovrebbe allearsi con il paziente e non accanirsi contro il paziente. Perversa è l’autorità, e allora vedi infermiere sfatte da turni inverosimili gridare all’anziano che si lamenta, medici indifferenti, l’abbandono”. Il secondo luogo di lotta comincia quando si è nel reparto. Qui la lotta contro la malattia – quando si è un “corpo senza storia” – è anche un sottostare alle misere vessazioni di chi dovrebbe prendersi cura di te. Piccoli episodi che segnano doppiamente chi è immobilizzato dalla malattia. Dopo un intervento per il drenaggio a un polmone, G. digiuna da un giorno, arriva in reparto alle tre di notte e chiede se può avere dell’acqua. L’infermiere le dice che non è possibile. Solo alle sei e trenta del mattino, un’amica che abita vicino l’Ospedale riesce a farle avere delle bottiglie d’acqua. “Chiesi all’infermiere […] cosa vi avrebbe messo a prendermi dell’acqua almeno alle macchinette che erano lì fuori con l’euro che potevo dargli. Mi disse che il servizio era sospeso. Ma disse qualcosa di più. Qualcosa che ha studiato Foucault, che quando stai male nasce una gerarchia. E tu dipendi dai capricci del più forte, dalle sue simpatie, dalle sue indisponibilità. Che il gioco del potere è mortifero perché degrada l’umanità a sopraffazione e prepotenza”.  Nel momento in cui si varca la soglia, la persona malata diventa un “corpo” senza diritti e dignità: “La regola degli altri ospedali è molto diversa. È fatta di attese senza lancette che scandiscono i controlli. Nella regola degli ospedali s’insinua, sempre, qualcosa di mostruoso. Il malato vive attese interminabili nei corridoi dei reparti. Scambia numeri e aspetta di essere chiamato. Non sa con quali tempi riuscirà a vedere un medico o a fare un controllo. Il tempo del malato non conta niente. Il malato non ha nient’altro da fare che vivere la sua malattia. E in più il malato è lì non sentendosi bene. Ho pianto spesso di rabbia nelle attese all’ospedale San Giovanni di Roma al suo Pronto Soccorso. Ho pianto per me e per tutti noi che aspettavamo sulle barelle un destino imprecisato. Dieci ore. Undici ore. Perdere coscienza di dove sono le tue scarpe. Il neon sempre sparato in faccia. Le porte scorrevoli che fanno entrare nuove barelle. Gli infermieri che fanno finta di non aver sentito che li chiamavi”. Attese a cui seguono altre attese, a brevi dialoghi con medici indaffarati e stanchi che poco tempo hanno da spendere nel dialogo con il paziente. Scrive G.: “Non voglio e non so intessere un discorso teorico sulla necessità che i metodi di cura convergano. Non credo nemmeno che un paziente si debba addentrare in queste analisi, perché rimane uno che non ha studiato medicina. Io ho la mia conoscenza esperienziale. E banalmente mi piacerebbe che, nel rapporto medico paziente, non ci fosse nient’altro che l’incontro di due uomini. Uno che parla dell’incarnazione di quello di cui l’altro ha fatto oggetto di ricerca e studio e pratica e approfondimento”. G. non  contesta, quindi, il “sapere medico” ma chiede di includere in quel sapere la capacità di parlare al malato rispettando le sue emozioni e il suo stato di vulnerabilità. Scrive così G. dell’incontro con un primario che al primo incontro e alla prima domanda, senza nemmeno ascoltare la risposta della paziente, guardando la Tac dice: “Vabbè, qui ci vuole un trapianto urgentissimo”. “Ci si può rivolgere a una donna spaventata, che ti ha cercato per chiederti […] come fare a evitare di morire in caso di pneumotorace; che sta da sola, pallida e confusa sulla sedia di fronte alla tua, alla quale non hai chiesto nemmeno il nome, dicendo “ma sì, facciamo un trapianto urgentissimo (sottointeso: stai per morire)?”. “Ero scioccata. Sedevo sugli scalini di fronte al platano rovinato a terra ed eravamo una sola immagine. Mi cominciò a uscire sangue dal naso. Non avevo fazzoletti. Mi pulivo con le mani. Non sentivo più niente. Promisi a me stessa che non volevo vedere nessun nuovo medico. Che non avrei sopportato nessuna barbarie, nessuna insensibilità ancora […]. Cominciò lì dentro una fase nuova per me. Qual era stato il mio ruolo nel disastro che lamentavo? Cosa raccontava tutto quell’orrore della gestione di me, delle mie condotte? Che responsabilità avevo?”. La lotta contro la malattia, dunque, costringe il malato a una duplice fatica. Si lotta per la propria vita e contro i meccanismi di mortificazione e oggettivazione che la cura ti impone. Una lotta che appare paradossale, che ti costringe a essere vicino a ciò che vorresti allontanare, a imparare a difendere ciò che sei e che viene prima della malattia. Così G. riesce, non senza fatica, a ottenere che in luogo di quanto inizialmente prescritto, le diano un farmaco analogo che non comporti fotosensibilità, perché ciò le consente, nonostante tutto, di andare al mare e di respirare il profumo dei limoni, “la parte di ricchezza che spetta ai poveri, diceva Montale, E ai malati postillo io”. Avessero almeno detto che noi, l’innocenza dei dinosauri, non l’avevamo mai avuta Il secondo nucleo del racconto è la riflessione “politica” che a partire dall’emergenza Covid si sviluppa nella critica al modello economico imposto dal neoliberismo. Comprendere il perché dell’emergenza, l’assenza di farmaci e dei vaccini, la sospensione della vite prigioniere del lockdown, la sospensione delle cure per le altre patologie, “capire che ruolo abbiamo nel disastro che lamentiamo”, sono le domande indispensabili per poter fare della propria vicenda personale un tassello di un quadro molto più grande di una singola biografia. La pandemia ha svelato la fragilità di un sistema sanitario pubblico progressivamente svuotato al suo interno, di una possibilità di cura che separa chi ha risorse per entrare nel sistema privato e per chi invece è costretto a lunghe e infinite attese. La scorciatoia è stata quella di rendere ancora più complicato l’accesso al servizio sanitario pubblico con regole burocratiche e incomprensibili. Tutto senza mettere in discussione la logica liberista che ha fatto a pezzi lo Stato sociale. Persino durante la crisi più acuta, quando era chiaro che servivano nuovi fondi per la Sanità e per promuovere una ricerca pubblica separata dagli interessi delle imprese, Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, non esitò a ribadire le implacabili ragioni delle autorità monetarie. Scrive G.: “Nella furia dei bollettini ospedalieri, nell’impossibilità di contenere i contagi che si allargavano sulla cartina del mondo senza controllo […] la Lagarde fece sapere al mondo di non avere alcuna intenzione di rivedere i patti fondanti del debito e del credito. Che la pandemia, nonostante il suo numero osceno di morti, non avrebbe influito minimamente sul rigore degli accordi. Non ci sarebbe stato un altro whatever it takes. Le regole di questa economia affamante restavano inalterate, disse quella sera di morti che cadevano senza numero”. L’esperienza diretta con la malattia offre sostanza alla critica. L’analisi politica è profonda perché si fonda  sulla sofferenza personale e sulla conoscenza reale. Non è astrazione, è la riflessione che consente di dare una dimensione pubblica al proprio dolore e di darne una ragione più ampia che la semplice sventura personale. La democrazia vista dall’ospedale assume un aspetto tutt’altro che formale, richiede di comprendere che la condizione del malato è una condizione umana e politica. L’oro tra le macerie “Ora che ci penso, ora che provo a ricordare, ora che metto in fila le immagini di questi anni, ora che traccio una linea che mi separa dal prima e che voglio mi allontani dal dopo, ora che tutto quello che è successo è un materiale che riesco a maneggiare, che comprendo, che non mi fa paura, ora vedo l’oro che ho trovato in queste macerie”. Il terzo nucleo narrativo, il più bello e commovente è quello in cui Giovanna racconta dei legami di amicizia, storici o appena costruiti in corsia, come la sola vera risorsa per attraversare il dolore. La malattia ha un effetto inaspettato, rivela l’esistenza di una rete di solidarietà e di affetti che è in sé un modo di concepire la vita e la politica come un riconoscersi ed essere riconosciuti. Così l’amicizia, la philia, mette riparo alle solitudini e ai limiti della coppia, rende sopportabili le attese, i viaggi, i ricoveri. Ci sono le alleanze solidali che nascono tra pazienti nei reparti, quando intimità e dolore superano i limiti del pudore, quando nel letto accanto al tuo una parola incoraggia, sostiene, accudisce. Una sorellanza che nasce da un dato di fatto, “si è esposti alle stesse intemperie, che questa sia la condizione dell’uomo fuori o dentro una istituzione totale, sfugge a molti”. Nascono legami insoliti e incontri inaspettati. Come con Assunta, compagna di stanza così loquace da essere definita “signora-parola” che in una stanza di ospedale trova l’intimità e l’accoglienza per raccontare la storia della sua vita: “Lei viene dimessa. Chiede di restare. Dice che non si sente ancora bene. Ma io lo so che in quel cubicolo di tre metri ha potuto parlare di sé. Del marito che la trascura da vent’anni. Dell’amarezza del suo sogno svanito, cucire vestiti d’alta moda. Se lei mi ha regalato una finestra e dell’aria, se mi ha lavato il panico dalle ossa, io le ho restituito l’impressione di essere vista. Non è stato uno scambio ragionato. È accaduto come accadono i doni. Nessuno si aspettava niente, entrambe abbiamo avuto molto”.  In questo viaggio tra spirometrie e broncospie, scrive G., “ho conosciuto meglio il Paese snobbato dell’intellighenzia di sinistra. Quella che si lancia in grandi dissertazioni e analisi sulla perdita di soggettività, la sussunzione delle vite da parte del capitale, e la necessità di scansare le passioni tristi […] ma in fondo – ora lo sentivo come la sabbia che scorre tra le mani – il mondo non lo vuole cambiare”. Fuori e prima degli ospedali, quella rete di amicizie costruita in una vita di condivisioni, impegno politico e voglia di vivere la vita come corpo nudo al sole. Amicizie che G. definisce “alfabeti di profondità”, relazioni sotterranee e intime che nascono dalla philia, “traccia di oro di questo mondo faticoso”. Storie di amicizie che si riconoscono nella gioia e nel dolore delle cose quotidiane, nelle attenzioni pratiche, nei viaggi della speranza, nei legami con i sogni giovanili, in uno stare insieme attento e consapevole. Ha scritto Susan Sontag che la malattia è “il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e in quello dello star male. Preferiremmo tutti servirci solo del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese”. Il libro di Giovanna Ferrara ci insegna a riconoscere salute e malattia come parti di un’unica dimensione, certo segnata da un prima e da un dopo. Questo ci obbliga a trovare luce anche nel luogo più oscuro, a non rinunciare a ciò che siamo e, più importante ancora, a ciò che vogliamo essere nel mondo. La malattia che ci conduce fragili di fronte al potere della morte, al sapere dei medici, alla verità della cura e che ci rende ancora più forti nel nostro desiderio di cambiamento personale e collettivo. Come scrive Giovanna, “quanto amore e quanta felicità, proprio là dove nessuno pensa possano abitare. Quanta politica”. (dario stefano dell’aquila)
[2025-05-05] Gruppo di Lettura @ CSOA La Torre
GRUPPO DI LETTURA CSOA La Torre - Via Carlo Giuseppe Bertero 13, 00156 (lunedì, 5 maggio 18:30) Vogliamo creare una gang di lettorɜ prontɜ a discutere di quella letteratura che affronta temi a noi cari. Quali? Beh c’è qualche indizio nel post Come funziona? Leggeremo un libro al mese e ci incontreremo per discuterne. Primo incontro conoscitivo lunedì 5 maggio alle 18:30 nel centro sociale La Torre. Il libro da leggere per il mese successivo sarà disponibile in loco grazie alla collaborazione con la Libreria Racconti Ritrovati {la collaborazione è volta anche a sostenere una realtà indipendente di quartiere, ma non c’è alcun obbligo d’acquisto}. La partecipazione è GRATUITA. Per prenotarsi scriveteci un messaggio [la prenotazione non è obbligatoria, serve per organizzare al meglio posti e n. di copie del libro] CSA La Torre Via Bertero, 13 (Casal de’Pazzi)
Prompt di Fine Mondo - il nuovo romanzo di Agnese Trocchi
Disponibile da maggio 2025 il nuovo romanzo di Agnese Trocchi: Prompt di Fine Mondo. Come andarono veramente le cose nell’attentato multiplo del 2 marzo 2027 che vide la distruzione dei principali data center statunitensi? Una gestazione di sei anni, un romanzo di fantascienza ucronica, un viaggio attraverso le capitali d’Europa e del Sud America, vite che si intersecano ad alta quota, un archivio digitale in cui distinguere racconti artefatti da memorie vissute… fino a vedere oltre tutti gli strati. Cosa successe veramente nell’attentato multiplo del 2 marzo 2027 che vide la distruzione dei principali data center statunitensi? Scopritelo leggendo Prompt di Fine Mondo, ma fate attenzione perché è un romanzo ricorsivo! Una spirale mitopoietica! Leggi la sinossi e come ottenere il libro sul sito di C.I.R.C.E
S’Atobiu 2025: in Sardegna, la quarta edizione del Festival dell’editoria indipendente
Il 30 aprile, a Tertenia in Ogliastra, si apre la quarta edizione del festival dell’editoria indipendente, organizzato dall’ASCE Sardegna. Pubblichiamo il comunicato  stampa degli organizzatori. FESTIVAL S’ATOBIU IV EDIZIONE, TERTENIA-SELARGIUS, DAL 30/04 AL 4/05 È diventato ormai una certezza S’Atobiu (l’Incontro, in lingua sarda), il festival della piccola editoria indipendente nato nel novembre del 2022 dall’esigenza di costruire uno spazio di confronto e di riflessione su temi che spesso vengono lasciati al margine dalla grande informazione mainstream. Il festival, organizzato da ASCE (Associazione Sarda Contro l’Emarginazione) insieme al Movimento per la Decrescita Felice di Cagliari – Quartu Sant’Elena e alla comunità Il pane e le Rose, in questa quarta edizione si sdoppierà, come nel 2024, per toccare due realtà dell’isola, con un programma che avrà momenti in comune e altri creati ad hoc, e attraverseremo i saperi – ed i saper fare – delle donne, sminuiti, temuti e criminalizzati nel corso della storia. Da pratiche empiriche, tramandate oralmente da una generazione di donne all’altra, con la nascita delle università, tali conoscenze vengono istituzionalizzate escludendo, nel contempo, le donne da un accesso agli studi. Assistiamo in tal modo ad una presa di potere del sapere da  parte degli uomini. Nel medesimo contesto, molte donne ancora praticanti vengono bollate come eretiche e bruciate al rogo accusate di stregoneria. Dalla Dea Madre a S’Accabadora, tramite levatrici, mediche e tessitrici, S’Atobiu disegna un cerchio: nascita, vita, cura, resistenza, morte. Il cerchio delle Donne. Programma Tertenia PROGRAMMA TERTENIA, Ex asilo Via Nuoro 30 aprile – 1° maggio Mercoledì 30 aprile 10’00 – Presentazione del festival, esposizione lavori delle classi III e IV della Scuola primaria di Tertenia; 11’00 – Dea Madre e il cerchio della vita, Cristina Muntoni 12’00 – E poi scoprimmo l’acqua, Giacomo Mameli (racconta)”Hotel Nord America” 13’00 – Pranzo sociale* 15’00 – Dalla levatrice alla sala parto, Bruxas Ogliastinas 16’00 – Laboratorio “Tingere in blù lana e cotone Isatis tinctoria”, a cura di Tiziana Melis e Alessandro Nonnoi 17’00 – Le erbe officinali, con Rosaria Murru e Casa Elicriso 18’00 – Cilento Donne e tessiture, con Maria De Biase 19’00 – Cena sociale* 21’00 – Concerto di Launeddas, con Andrea Contu e Angelo Murgia Giovedì 1° maggio 10’00 – Su tessingiu de prama e de iscrarìa, con Luca Meloni e Giuseppina Putzu 11’00 – Mexinas de is feminas e resistentzia, con Francesco Sardo 12’00 – La costruzione della figura della strega, con Adelina Talamonti 13’00 – Pranzo sociale* 14’30 – Laboratorio Tessere relazioni, a cura di Associazione Retedonna aps 16’30 – L’eredità di Maria Lai, con Damiano Rossi, Stazione dell’arte di Ulassai 17’00 – Contos e crochet, con Enedina Sanna 19’00 – Cena sociale* 21’00 – Concerto Evento Fb Tertenia Per info S’Atobiu a Tertenia 3511793224 3491996514 Programma Selargius PROGRAMMA SELARGIUS, Centro ASCE SS 387 km 8’00 3 – 4 maggio Sabato 3 maggio 10’00 – Il sapere delle donne: da Donna Sanna Sulis ai laboratori con le detenute, con Rita Corda, Maria Grazia Caligaris e Federica Portoghese 11’00 – Cilento Donne e tessiture, con Maria De Biase 12’00 – Laboratorio “la tintura con le erbe”, a cura di Luisa Ledda, prima parte 13’00 – Pranzo sociale* 15’00 – Laboratorio “la tintura con le erbe”, a cura di Luisa Ledda, seconda parte 16’30 – Tratura della seta, con APS Sinergie/Ecomuseo di Zagarolo 18’00 – L’eredità delle donne di Casa Lussu, reading musicale con Claudia Crabuzza e Dilva Foddai, presenta Enedina Sanna 19’00 – Cena sociale* 21’00 – Claudia Crabuzza in concerto, con Dilva Foddai all’organetto Domenica 4 maggio 10’00 – Apertura Mercato Contadino Laboratorio Su strex’e fenu, i cestini di Sinnai, a cura di Alessandra Floris 11’00 – Mexinas de is feminas e resistentzia, con Francesco Sardo 12’00 – La costruzione della figura della strega, con Adelina Talamonti 13’00 – Pranzo sociale* 14’30 – Tombola contadina 15’30 – Tessitura delle Janas e Attitu, con Natalino Piras 17’00 – Laboratorio “Danza creativa Movimento Fuoco”, Nicoletta Carboni 18’30 – Monologo con la Morte, Is Mascareddas 19’00 – Cena sociale e saluti finali Evento Fb Selargius https://fb.me/e/65L2Km9Le per info Atobiu a Selargius 3513111741 3297642130 * I pranzi e le cene sono a offerta libera e consapevole. Porta con te le tue stoviglie NON usa e getta. Madre natura ti sarà grata. ASCE Sardegna – Selargius   Redazione Sardigna