
Marco Calabria, una traiettoria politica e di vita tra il ’77 e il manifesto
Comune-info - Tuesday, September 23, 2025Scaffale. «Gridare, fare, pensare mondi nuovi», una raccolta di articoli e interviste, per Eleuthera. Un omaggio al giornalista e critico scomparso improvvisamente lo scorso anno

Gridare, fare, pensare mondi nuovi è il titolo della raccolta di articoli e interviste di Marco Calabria, critico e giornalista di inchiesta sociale, scomparso all’improvviso l’anno scorso, dopo aver condotto la magnifica vita operosa del cronista globale che è stato viaggiatore a cavallo (in realtà amava la bicicletta) tra lo scorso e questo secolo.
Marco Calabria è stato caporedattore al “manifesto”, creatore del settimanale “Carta”, uno dei punti di riferimento dei movimenti altermondialisti, continuato nell’esperienza forte del portale Comune-info.net, ed è stato poeta e artefice di riviste e iniziative importanti, “Ombre lunghe”, “Lunaria”, “Sbilanciamoci!”, sviluppate lungo l’idea dei cantieri sociali nel primo decennio di questi difficili anni duemila.
Il punto di intersezione che ha individuato la sua posizione di vita si trova all’incrocio di due coordinate: la verticale biografica della generazione per la quale “il personale è politico”; e l’orizzontale, spaziale di movimento che è stata la superficie di esplorazione, di ricerca e di composizione di altri mondi in questo mondo. Questa superficie di lettura, di scrittura e di pratica sociale emerge dalle pagine della raccolta, curata per Eleuthera dai redattori di “Comune” Gianluca Carmosino e Riccardo Troisi, che ne hanno ripreso e sviluppato temi, immagini, idee e scritture, e prefata da Raùl Zibechi, con una selezione di articoli che dalla metà degli anni novanta arriva al 2023, attraversando i momenti topici dell’ultima storia politica delle resistenze, delle rivolte e delle rivendicazioni globali e locali contro il tempo del capitalismo. Sul portale se ne possono leggere altre prove, compreso l’inizio memorabile del suo lavoro.
I due eventi che in qualche modo hanno avviato la passione di Marco Calabria sono stati il ’77 sul piazzale della “Sapienza”- Università di Roma, che ha formato la gloriosa generazione dei diciottenni che hanno cacciato il segretario della CGIL Luciano Lama, e il lavoro al “Manifesto”, unica, vera fucina di giornalismo con la G maiuscola, non replicabile, e pressoché irreperibile tra le testate attuali, dedite per lo più alla sedentarietà monotona e sintetica dei social.
Il luogo bio-politico della generazione ’77 è il fuori-testo a partire dal quale si è dipanata l’intensa attività editoriale e di pensiero di Calabria. Dal ’77 provengono infatti gli influssi originali del suo lavoro: l’autonomia sociale, il femminismo anti-emancipatorio della differenza, il rifiuto del lavoro e della rappresentanza, lo sguardo essenziale sulla microfisica dei poteri, il sottoproletariato urbano rivoltoso e l’ironia dissacrante di un immaginario che, se pur in un breve spazio di tempo, ha realizzato i propri sogni, la rabbia salutare contro centralismi democratici e compromesso storico.
Questo fenomenale universo, che ha attraversato gli anni della sconfitta e del disincanto, ha costituito il giornalismo come esperienza critica, come “giornalismo filosofico”, diceva Michel Foucault, uno degli intervistati nel volume che Calabria curò per il “manifesto”, con la magnifica prefazione di Rossana Rossanda.
Quando una sera del 1982 il giovane redattore la incontra, Rossanda «dopo aver scambiato qualche frase su come quel che facevano potesse interessare i più giovani e quel che gli anni settanta avevano significato, chiese: “Sarebbe un gran peccato che questa nostra storia non interesserà più nessuno”…». (Le interviste, il manifesto e il mondo). In quel momento, si può immaginare che il lavoro di Marco Calabria assume il senso del giornalismo come passione politica, come sguardo di parte per la verità del mondo, contro le menzogne del potere.
Questa pratica critica era per sé movimento, esodo dalla società del lavoro e dai dispositivi di disciplina, l’andare continuo e sperimentare modi, forme di vita, ricerche e materiali per la fuoriuscita dal capitalismo.
“Bisogna muoversi di continuo” è stato il suo principio di vita, per sperimentare la nuova lingua dei movimenti sociali di fine secolo e inizi del terzo millennio. In questo cammino, che riconosciamo comune, ci sono Eduardo Galeano, Toni Negri, Franco “Bifo” Berardi, Gustavo Esteva, il subcomandante Marcos, il Chiapas e il sudamerica, cioè una delle parti potenti dell’intelletto collettivo che continua a fare storia del presente.
Di questa storia avrebbero fatto segno le traduzioni del testo di John Holloway, Cambiare il mondo senza prendere il potere, sintesi della pratica dei movimenti altermondialisti sull’esempio zapatista e di Disperdere il potere, del teorico e cronachista dei “sottoscala” del mondo, Ràul Zibechi. Nella prefazione scrive che Marco “era parte di quell’altro mondo che non solo sognava, ma di cui sentiva i battiti”, perché forse, come Walter Benjamin, era anche lui un poeta dell’inappariscente.
Questa compresenza biografico-politica proviene a sua volta dal pacifismo anarchico di Danilo Dolci che diede una definizione di “dominio” come agente infestante i territori psico-sociali più che i luoghi simbolici del potere. Della lezione di Dolci, Calabria assumeva l’orientamento: evitare di intendere il dominio come il grande Moloch, come lo stato-Leviatano; piuttosto avvertirlo nella dispersione dei rapporti di potere che investono diversi strati delle società e attraversano la soggettività.
Quella di Calabria era un’identità in transito, come egli stesso ha definito la vicenda biografica di Carolina Meloni Gonzales, filosofa politica femminista, in esilio dal golpe in Argentina, autrice di Transterrados. Questo è lo spazio politico in cui Calabria ha “fatto” movimento, cioè ha perseguito la pratica del comune che ha animato l’informazione indipendente tra Genova 2001 e l’invasione dell’Iraq (2003). Il settimanale “Carta” viene da là, dall’invenzione di località globali che hanno connesso moltitudini e territori.
In un testo del 2012, molto teorico e non astratto, Senza dominio, leggiamo che per sottrarsi alla servitù volontaria oltre all’immaginazione serve restare in silenzio anche per lunghi periodi per imparare ad ascoltare. Togliere parole. Vivere senza dominio non significa reprimere un istinto, ma anzi, aggiungiamo, portarlo all’estremo quando si avverte la cattura e farlo diventare intelligente quando si pensa di essere liberi.
Leggendo il libro si cammina domandando come ha insegnato lo zapatismo, ed è sulla superficie del mondo da viaggiare, soprattutto per contrastarne la turistizzazione, che si fa tappa sulla storia recente delle insorgenze che sono “dentro e contro”, ma per andare fuori e lontano, per disertare – ultima prova in vita del mondo in rovina.
Nella raccolta ci sono le testimonianze dirette di rivendicazioni e conflitti che sono lotte per la sopravvivenza, comunque animate dalla speranza che è fragile, discontinua e disarmata. La prima guerra di Bosnia, Taranto e la morte per ILVA, le operazioni sporche del Plan Colombia in Honduras, le lotte campesine, le prime rivolte popolari per l’acqua e le inchieste sugli spazi sociali a Roma sono i capitoli della raccolta che riepiloga l’epoca dei movimenti restituendo centralità alle periferie prima che la ferocia euroatlantica suscitasse le ibride alleanze dell’ex-sud del mondo.
C’è inoltre la testimonianza più efficace della guerra ai migranti, combattuta agli inizi degli anni ottanta con la Rete antirazzista e che bisogna confrontare con gli ultimi rapporti sull’accoglienza. Nell’Introduzione al Rapporto del 2020 (“Benvenuti ovunque”) leggiamo la differenza tra le migrazioni viste allora come problema di accoglienza e la guerra attuale alle e ai migranti, affondati, respinti e deportati, – bersagli del razzismo di stato e dell’ossessione identitaria, dispositivo di sicurezza applicato all’intera popolazione.
Calabria aveva un’attenzione speciale per i bambini, le scuole, le classi, quelle nei quartieri considerati “disagiati” e in cui invece c’è la maggiore ricchezza psico-sociale non catturata. Si può supporre cosa avrebbe scritto delle ridicole avvilenti “riforme” del ministero dell’Istruzione e Merito. Ma preferiamo prevedere come si faceva nel ’77 che “un risotto li sommergerà”. Perché comunque essere scelti per l’esilio sull’esempio della grande filosofa Maria Zambrano, apre molteplici divenire: essere nomadi, essere leggeri, essere particelle, essere impercettibili e fare l’amore come l’ape e l’orchidea.
Una versione ridotta è apparsa su il manifesto (che ringraziamo) del 23 settembre 2025.
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