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Storia di un albero scomparso e di un parco divenuto sfondo-cartolina
LUCIANA BERTINATO, INSEGNANTE NOTA AI LETTORI DI QUESTE PAGINE, È TORNATA AL PARCO ZANELLA DI SOAVE A SALUTARE IL “PINO DI ALEPPO”, CHE I BAMBINI AVEVANO TRAPIANTATO CON LA CAROVANA DEI PACIFICI, NEL SETTEMBRE 2020, PER RICORDARE I PICCOLI SIRIANI E TUTTI I LORO COETANEI CHE NEL MONDO VIVONO IN ZONE DI GUERRA. LE PAROLE CON LE QUALI EMANUELA BUSSOLATI, SCRITTRICE, SPIEGÒ A BAMBINI E BAMBINE LA STORIA E L’IMPORTANZA BOTANICA, NONCHÉ SIMBOLICA, DI QUELLA PIANTA SPECIALE SONO UN MANIFESTO POTENTISSIMO. EPPURE OGGI DI QUEL PINO NON C’È ALCUNA TRACCIA… Qualche settimana fa sono tornata al parco Zanella di Soave (borgo a venti chilometri da Verona) a salutare il “Pino di Aleppo”, la pianta che i bambini avevano messo a dimora con la Carovana dei Pacifici, nel settembre 2020, per ricordare i piccoli siriani e tutti i loro coetanei che nel mondo vivono in zone di guerra. Ne rammentavo la crescita rigogliosa (due metri!) avvenuta in un ambiente di armonia, biodiversità e bellezza. Ho cercato… inutilmente. Nessuna traccia dell’albero! Il volto del parco mi è parso cambiato: tutt’intorno un silenzio muto, gli spazi verdi curati alla perfezione, scomparso ogni segno di gioiosa selvatichezza, assenti le voci e i giochi dei bambini. Soprattutto in estate, il cuore verde del borgo era animato da molteplici iniziative: presentazioni di libri e spettacoli teatrali, serate di cinema e laboratori di didattica ambientale, festival della Scienza, incontri di musica, arte, poesia e visite guidate al giardino botanico curato dall’associazione Veronautoctona. I prati, oggi falciati in modo impeccabile, ospitavano gli anni scorsi alcune bellissime specie di Tulipani (di Clusius e Tulipa Raddii), divenuti spontanei, e Orchidee (Ophrys sphegodes e Anacamptis pyramidalis) che, minacciate sulle colline veronesi, qui avevano trovato un sito di conservazione adatto, grazie all’applicazione di un attento regime di sfalcio che permetteva di esaltare la biodiversità. Qualcuno, evidentemente, ha inteso tutto ciò come disordine, in realtà vi era una progettazione volta a favorire la diversità di specie floristiche, insetti e microfauna. “Ora il parco è uno spazio bello, ma reso sfondo-cartolina, vuoto di esperienze collettive – mi dicono i volontari – È aperto ai turisti, ma è privo d’incontri, gesti e attività condivise che da sempre hanno favorito, tra i cittadini e in molte associazioni, un senso di appartenenza alla comunità. Serate infinite di chiacchiere, cene e aperitivi insieme, occasioni per trovarsi tra amici, cucinare e condividere tutti i progetti, i pensieri, arrabbiarsi ma poi ridere…”. Dopo oltre trent’anni d’impegno, cura quotidiana e coinvolgimento della cittadinanza, dunque, il circolo Legambiente Fuori Nota APS è stato allontanato dal luogo. “Non per volontà nostra – scrivono con amarezza i soci – ma per decisione dell’Amministrazione comunale di non rinnovare la convenzione che ci permetteva di prenderci cura del parco come spazio naturale e collettivo. Perché un parco pubblico non è un prato da affittare, ma un bene comune da coltivare insieme, nella tutela della biodiversità importante per la nostra sopravvivenza”. È accaduto così che, durante i lavori di ripristino degli spazi, siano state rimosse alcune piante, tra le quali il Pino d’Aleppo di cui i volontari si erano presi cura accompagnandone la crescita. “Dove sarà finito?”, chiedono i bambini e i giovani che, bambini quando fu piantato, ora hanno maggiore consapevolezza sul significato di quell’albero. La loro domanda, rivolta al sindaco, Matteo Pressi (candidato dalla civica “Cambiamo Soave”, iscritto alla Lega), con una lettera sottoscritta da un gruppo di cittadini, ha ricevuto una risposta, tanto rapida quanto vaga: “Agli atti non risulta nulla, motivo per il quale solo ora vengo a conoscenza della vostra attività, peraltro meritoria. Credo che l’albero sia stato rimosso e non ne conosco – al momento – la sorte”. Peccato che l’iniziativa della piantumazione sia stata documentata nel giornale comunale (“Pacifici al parco Zanella” – Soave informa, dicembre 2020) e realizzata con il patrocinio del Comune. Quel giorno tantissimi bambini giocarono a costruire le loro sagome pacifiche e ad assegnare un nome agli alberi: a quelli che stavano crescendo, per vivere insieme alle prossime generazioni, e a quelli che hanno fatto compagnia ai loro nonni e bisnonni. Proprio una nonna, Emanuela Bussolati, spiegò ai piccoli la storia e l’importanza botanica, nonché simbolica, di quella pianta speciale: “Quando ci si presenta a qualcuno, e si dice il proprio nome, ci si conosce a poco a poco ed è più facile essere pacifici gli uni con gli altri. Allora perché il nome “Pino di Aleppo” è cosi importante? Perché identifica un pino che cresce soprattutto vicino ad Aleppo, una città siriana, molto grande. Pensate… quando un tempo c’erano le vecchie carovane che portavano in Europa la seta, i vestiti o i tappeti, Aleppo era una città magica, da mille e una notte! Purtroppo, qualche anno fa in quella città è arrivata la guerra che, quando arriva, distrugge e non guarda in faccia nessuno, non conosce il nome di nessuno. È ancora peggio di una bufera perché è fatta da persone che uccidono altre persone. Non è facile essere pacifici perché la guerra, prima di tutto, è un atteggiamento che c’è dentro di noi… Ma possiamo coltivare la pace! È più vantaggioso! Invece Aleppo è stata completamente distrutta. Le foreste dei suoi pini, che un tempo erano ambiti perché sono alberi profumati, hanno un bel legno, e addirittura sono entrati nella mitologia, sono andate quasi del tutto perdute. Oramai i pini di Aleppo sono più diffusi in Europa, trapiantati nei giardini, che non in Siria dove sono stati tagliati in tutte le epoche per costruire navi da guerra e, oggi, sono stati bombardati. Questo piccolo pino dovrà affrontare le bufere, la pioggia, il caldo troppo forte, perciò va curato. Quando verrete nel parco guardatelo: osservate se è in buona salute, e poi toccatelo e lui sentirà che gli volete bene, che qui può crescere bene. Le piante sentono quello che noi sentiamo perché sono Natura come noi, che come loro siamo fatti di liquidi e di cellule solide. L’impasto di tutto il mondo è lo stesso. Quindi prendetevi cura del vostro amico albero. Questa è la cosa che sta alla base della volontà di essere Pacifici e anche delle leggi della Natura. È la Natura che ci permette di vivere bene tutti quanti su questa Terra, l’unica che abbiamo”.  Parole in sintonia con quelle pronunciate da Federico, alunno della Scuola Primaria: “Noi non possiamo parlare con le piante perché non conosciamo la loro lingua, il ‘piantese’, però possiamo entrare in contatto con tutte usando l’energia, il silenzio e l’ascolto”. Quelle di Giulia in visita al parco: “Qui gli alberi hanno più di cento anni e ci danno la pace. L’aria è fresca, le cicale cantano forte, la terra è morbida e i rami si muovono leggeri”. E di Luca che aveva colto l’utilizzo dello spazio come laboratorio creativo: “Abbiamo giocato con la natura senza aver bisogno di giochi”. Si dirà: “Era soltanto un piccolo pino!”. Eppure, ci sono gesti che custodiscono un grande valore simbolico e pedagogico, perché parlano di attenzione, cura e speranza, valori oggi fondamentali in qualsiasi ambito. Gesti piccolissimi, collettivi, quelli che noi volontari continueremo a fare in Natura con le bambine e i bambini: piantare semi che germoglieranno anche dove ora c’è il buio. -------------------------------------------------------------------------------- Luciana Bertinato, insegnante e socia di Legambiente -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Storia di un albero scomparso e di un parco divenuto sfondo-cartolina proviene da Comune-info.
Verona, Lanterne Rosse a 80 anni dal lancio della bomba atomica su HIROSHIMA e NAGASAKI
VERONA, 6 -9 AGOSTO 2025 Verona ha ricordato l’80esimo anniversario del bombardamento atomico americano statunitense delle due città giapponesi di Hiroschima e Nagasaki con il consueto deposito di lanterne rosse nell’Adige, tradizione arrivata con una sopravvissuta di Hiroschima, nel lontano 2005, che, «incontrando alunni/e della provincia veronese, portò il prototipo del lumino che, tuttora, viene depositato ogni anno sui sette fiumi della città di Hiroschima,  per ricordare una persona cara, morta a causa della bomba atomica». Nella organizzazione dell’evento del 9 agosto c.a., promosso dal Comitato Veronese per le iniziative di Pace, con il patrocinio del Comune di Verona, sono stati attuati due percorsi innovativi: –  Laboratorio di costruzione Lanterne di Pace per bambini/e, dai 6 anni in su; Tra le lanterne depositate in acqua, assemblate da un congruo numero di volontarie /i di Associazioni veronesi, anche le lanterne prodotte dalle/i bambine/i nel laboratorio gratuito svoltosi alla Casa di Quartiere Baleno, laboratorio riproposto, dopo lungo tempo, per avvicinare le/i piccoli/e, al pensiero della necessità di attivarsi concretamente per la pace. – Suggestiva coreografia nella vasca dell’Arsenale per invocare la pace; A pochi passi da Ponte Castelvecchio, nei giardini della vasca adiacente l’Arsenale Asburgico, un centinaio di persone hanno posato in una coreografia ripresa dall’alto, per formare, coesi in un unico appello, la parola PACE, obiettivo comune dei/delle partecipanti, assieme a quello del disarmo, in particolare  nucleare. A tal proposito, Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento, nel presentare l’iniziativa, ha affermato che «la bomba atomica non è un’arma pensata per un obiettivo militare, ma è un’arma per distruggere le città, progettata e costruita per colpire abitazioni, fabbriche, ospedali. L’obiettivo è la vita civile e contro questo pericolo la gente deve muoversi e deve ribellarsi. Si deve dire “no” e avere la proposta alternativa che è quella del disarmo, la messa al bando delle armi nucleari che, in questo momento storico, stanno tornando ad essere una minaccia sempre più imponente». Il relatore ufficiale della serata è stato Francesco Vignarca della Rete Italiana Pace e Disarmo il quale, affermando che l’arma nucleare è il massimo del militarismo, ha ripercorso le date del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), sottolineando che nel 2017 l’accodo internazionale è stato affiancato da un nuovo Trattato, il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) che mira a vietare completamente lo sviluppo, il possesso e l’uso di armi nucleari. Trattato entrato in vigore nel 2021, dopo essere stato ratificato da 50 stati: «Anche le città, cioè gli obiettivi delle armi nucleari, sempre più dovrebbero mettersi in pista per l’adesione all’appello internazionale delle città promosso da ICAN ( Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari), una coalizione globale della società civile che lotta per promuovere l’adesione e la piena implementazione del Trattato per la proibizione delle armi nucleari». In rappresentanza del Sindaco del Comune di Verona, l’Assessore all’Innovazione e alla Transizione digitale Jacopo Buffolo, con delega, fra le altre, alla Memoria Storica e Diritti Umani, ha evidenziato «che il pericolo atomico ha contraddistinto il secolo scorso con la guerra fredda e va ricordato sempre, sia in memoria di tutte le vittime che ci sono state, ma soprattutto per il rischio che vediamo ancora oggi con i tanti conflitti in atto, che vedono coinvolte potenze dotate di armi nucleari». Fa presente poi, che l’amministrazione ha, per a prima volta, patrocinato l’importante iniziativa a «testimoniare la volontà di una città che crede fortemente nei valori della pace, della non violenza,  nell’impegno che tutte e tutti dobbiamo prenderci per costruire una società più giusta, che possa ripudiare completamente la guerra come dice la nostra Costituzione». Alla chiusura dell’iniziativa, il momento significativo della deposizione in Adige delle lanterne rosse, con il lumino acceso, «per far partire il fiume di pace». Qui alcuni scatti dell’iniziativa. Miria Pericolosi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Protesta a Verona: “Rompiamo il silenzio contro il genocidio a Gaza”
Domenica 27 luglio 2025 dalle 22,45 alle 23,00 molte persone, appartenenti ad associazioni, partiti, cittadine/i hanno aderito all’invito di “Verona per la Palestina” e, “pentole alla mano” hanno disertato il silenzio “assordante” contro il genocidio e la criminale catastrofe in Palestina. Il frastuono è arrivato in Arena dove si stava rappresentando l’Aida e dove è accaduto un fatto eccezionale. All’improvviso, tra il primo e il secondo atto,nello spazio dei sottotitoli che appaiono sull’ apposito schermo, è apparsa la bandiera palestinese e la scritta STOP GENOCIDE. Il pubblico ha iniziato ad applaudire, l’orchestra e il coro hanno cominciato a battere i piedi in segno di condivisione. La foto di quanto stava accadendo nell’anfiteatro è arrivata a qualche cellulare in P.zza Bra’, rafforzando così il frastuono di pentole, coperchi, fischietti e strumenti musicali quali i piatti e i tamburelli. L’autore del fatto è un giovane pianista, Francesco Orecchio, addetto ai sottotitoli, al suo ultimo giorno di lavoro in Arena, in partenza per l’Olanda dove lavorerà per il Teatro dell’Opera della capitale Olandese. Orecchio, intervistato, ha affermato che l’azione è stata una sua decisione personale per aderire alla giornata di protesta contro il silenzio sul genocidio di Gazza e che sarebbe “felice se anche la Fondazione Arena aderisse al messaggio e lo inserisse stabilmente”. All’iniziativa di “rompere il silenzio” ha aderito anche il Comune di Verona di cui, ricordo, il Sindaco è Presidente della Fondazione, che ha fatto suonare il Rengo, una delle due principali campane della Torre dei Lamberti, in P.zza delle Erbe. Il Rengo veniva suonato, in passato, per convocare il Consiglio Comunale e per chiamare i cittadini alle armi in caso di emergenza. Hanno suonato in città, anche le campane di alcune chiese, compresa quella della Chiesa di S.Nicolo’ adiacente all’Arena L’Osservatorio ha aderito al flash mob e alla lettera, sottoscritta da associazioni e partiti in cui  si chiede alla Fondazione, fra l’altro, di “esprimere chiaramente la propria posizione in merito, così da contribuire a sgretolare il muro di silenzio dei governi e della comunità internazionale”. “COME PUÒ L’UMANITÀ ASCOLTARE MUSICA COSÌ BELLA, MENTRE UNA PARTE GRIDA DISPERATA E FERITA A MORTE?”  Miria Pericolosi – Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Verona
“Tumulto Pride”: il 13 settembre l’appuntamento è a Verona
Si svolgerà sabato 13 settembre il Pride di Verona. Contrariamente a quanto sembrava in un primo momento, la manifestazione è confermata e avrà una denominazione e un’identità ben precise, frutto della collaborazione di diverse associazioni cittadine. Tumulto Pride 2025 sarà il nome del Pride che si svolgerà a Verona il 13 settembre prossimo, organizzato dalla nuova Rete Rainbow Verona. Contrariamente a quanto annunciato alcune settimane fa su Instagram da Arcigay, il Pride a Verona si farà e, per la prima volta, avrà un nome e un’identità comuni. Il nome dell’associazione organizzatrice, Rete Rainbow Verona, così come il titolo della manifestazione, nascono da un lungo percorso di confronto e collaborazione tra associazioni, collettivi e realtà cittadine. In questi mesi hanno lavorato insieme a un progetto condiviso che va oltre il Pride, desiderando unirsi e rafforzare il legame con le diverse battaglie comuni. Il Pride veronese di quest’anno si caratterizza per una prospettiva profondamente intersezionale. Al centro restano le istanze della comunità LGBTQIA+, che riconosce tuttavia l’urgenza di intrecciare i propri percorsi con quelli di chi combatte altre forme di oppressione e condivide lotte comuni. Tra queste emergono la solidarietà con il popolo palestinese, il rifiuto del militarismo, la difesa dei diritti sul lavoro e l’autodeterminazione sul fine vita, il diritto alla casa, l’antirazzismo, l’antiabilismo, la lotta antifascista e la centralità del transfemminismo come pratica politica e sociale. La data in cui è stato ufficialmente istituito il Pride cittadino coincide con una delle pagine più oscure della recente storia di Verona: il 14 luglio 1995. In quel giorno, l’allora Consiglio Comunale approvò la mozione 366 del 1995, che definiva l’omosessualità come contro natura e affermava che il suo mancato riconoscimento costituiva un pericolo anche per l’educazione dei giovani. Questa mozione fu fortemente promossa dall’amministrazione comunale guidata dalla sindaca Michela Sironi, in risposta a una richiesta del Parlamento Europeo rivolta a tutti i governi, enti e amministrazioni locali della Comunità Europea, di abolire leggi discriminatorie nei confronti delle persone omosessuali. Non a caso la mozione 366 del 1995, approvata dalla maggioranza di allora, è conosciuta come la ‘mozione contro l’omofobia’, e non potrebbe essere altrimenti. Una mozione che ha pesato culturalmente come un macigno sull’intera città per quasi trent’anni. Numerose sono state le battaglie delle associazioni LGBTQ+ locali e non solo, impegnate a combattere una forma di discriminazione anacronistica. Solo nel 2018, una parte della minoranza di sinistra tentò di portare in Consiglio Comunale la richiesta di cancellare quella vergognosa e umiliante mozione, ma rimase inascoltata. La maggioranza guidata da Sboarina ignorò la proposta avanzata dai consiglieri Bertucco (Sinistra Italiana) e Benini (PD), relegandola sistematicamente all’ultimo punto dell’ordine del giorno, mai discusso né in quella legislatura né nelle precedenti. La mozione omofoba, presente da quasi 30 anni, è finalmente decaduta nel novembre 2022 con l’arrivo della nuova amministrazione Tommasi, insediatasi pochi mesi prima. Questa revoca rappresenta un segnale simbolico e culturale di grande rilevanza, pari all’importanza della sua approvazione. Una revoca frutto di tutte le lotte, battaglie, contestazioni e manifestazioni organizzate dalle associazioni impegnate sul tema, a testimonianza dell’importanza di opporsi a leggi ingiuste, un atto giusto e necessario. Questo sottolinea l’importanza di celebrare il Pride a Verona, così come in ogni angolo del mondo. Ancora oggi, e già nel 1995, molte persone subiscono ingiuste discriminazioni non solo per il loro orientamento sessuale, ma anche per la provenienza geografica, il colore della pelle e altre ragioni ingiustificate. Da qui nasce l’idea di un Pride intersezionale, che unisca i movimenti veronesi impegnati su queste tematiche. L’appuntamento con il Tumulto Pride a Verona è, dunque, per sabato 13 settembre 2025. Heraldo
Fiera delle Armi trasferita da Verona a Parma in cerca di “clima di serenità”, la lotta paga!
La Fiera delle Armi non si terrà più a Verona, ma si trasferirà a Parma per cercare “un clima di maggiore serenità, condizione venuta a mancare nelle ultime due edizioni organizzate a Verona”. E noi, come rete delle Associazioni che hanno organizzato e aderito alla manifestazione “Contro la Fiera delle Armi”, rivendichiamo di essere gli artefici di questo clima poco sereno che si è creato attorno a questa fiera che si è tenuta a Verona negli ultimi anni. Lo rivendichiamo perché durante le ultime stagioni noi eravamo lì a protestare e manifestare e lo abbiamo fatto sfilando nelle vie intorno alla fiera di Verona. Eravamo in centinaia, eravamo con amic*, compagni e compagne provenienti da diverse città dei nord Italia, per gridare tutti e tutte insieme NO alla fiera della morte. Lo abbiamo fatto perché ben consapevoli che dietro gli slogan che richiamano ad eventi sportivi, si nascondevano (e nemmeno troppo) aziende costruttrici di armi da guerra, aziende produttrici di morte, quindi complici di tutte le guerre in corso che stanno devastando questa Terra, che stanno facendo migliaia di morti innocenti, aziende complici del genocidio in Palestina. C’è in corso una terza guerra mondiale a pezzi, e più passano i mesi e più aumentano le aree e i Paesi in guerra, aumentano i bombardamenti, aumenta il numero di morti, aumentano le distruzioni e i popoli annientati da quelle stesse armi esposte in questa maledetta fiera. Un business che si basa su questo: morte e distruzione a cui ci siamo opposti e ci opporremo sempre. Rivendichiamo il fatto di aver mostrato a tutta Italia foto con bambini e bambine mentre imbracciano fucili e pistole come fossero giocattoli (clicca qui), in barba ad un codice etico che perdeva già in partenza il proprio scopo. Foto aberranti e simbolo di una cultura legate alle armi, quindi alla violenza. Foto che sono arrivate fino al Parlamento dove è stata richiesta un’inchiesta parlamentare per capire meglio le nefandezze, il perché c’erano bambini con tanto di armi in mano. Abbiamo espresso con energia la nostra contrarietà a questa complicità abominevole, ad una Fiera delle armi nella nostra città, ma il fatto che questa fiera non si tenga più a Verona rappresenta il minimo sindacale della nostra lotta, una lotta che non chiede di spostarla altrove ma di abolirla completamente, non permettere che in nessun’altra città vengano esposte armi di nessun genere, per impedire che la cultura della guerra sovrasti la cultura della pace, che strumenti di morte, per uomini, donne e animali vengano esposte come fossero trofei, a Verona come a Parma, come in qualsiasi altro posto. Quindi, rivendichiamo l’aver creato un clima poco sereno a Verona intorno alla Fiera delle Armi, un clima che attorno a questa fiera non sarà mai sereno, ovunque e fin quando si farà. * Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle Università * Laboratorio Autogestito Paratod@s * Ultima Generazione * Rifondazione VR * Osservatorio Migranti Verona * Circolo Pink * Rete Verona per Palestina * Attach * Mediterranea Verona
EOS addio: non più a Verona l’odiosa fiera delle armi
La manifestazione, che tante polemiche aveva suscitato negli ultimi anni nella città scaligera, si trasferisce a Parma, anche grazie alle proteste di tante associazioni locali. Sulle pagine di Heraldo avevamo raccontato della fiera delle armi, una manifestazione che si è svolta a Verona per quattro anni, grazie a un contratto stipulato con la precedente amministrazione. Questo accordo consentiva a EOS (European Outdoor Show) di offrire agli espositori la possibilità di presentare i loro prodotti nei padiglioni della ZAI, coinvolgendo produttori e venditori di armi. Una fiera che, dietro una facciata che cerca di mettere in risalto armi definite “sportive” per nautica e caccia (come se uccidere animali potesse essere considerato uno sport), espone in realtà pistole, fucili, mitragliatrici e altre armi da guerra. Con espositori che vendono armi a Israele, quindi strumenti creati e commercializzati per uccidere. Tutto esposto apertamente, accessibile agli adulti e, purtroppo, a numerosi bambini che anche nell’ultima edizione hanno affollato gli stand. La fiera a Verona ha suscitato forti reazioni da parte di numerose associazioni, che su diversi fronti hanno espresso critiche decise nei confronti dell’evento, impegnandosi in alcuni casi a limitare i danni di una manifestazione permeata di violenza. In tale contesto è stato elaborato un codice etico con l’obiettivo di stabilire regole precise, soprattutto a tutela dei minori, consentendo loro l’ingresso solo se accompagnati da un adulto e vietando il contatto diretto con le armi. Questa seconda regola, com’era prevedibile, non è mai stata rispettata nelle varie edizioni in cui il codice etico era in vigore. Infatti, sia nell’edizione del 2024 che in quella di quest’anno, sono state diffuse numerose e allarmanti immagini di bambine e bambini che impugnavano pistole e fucili veri, come se fossero giocattoli e non strumenti di morte. La Rete delle Associazioni contro la fiera Educazione Siberiana, aveva titolato un secondo gruppo di associazioni veronesi unite nella Rete contro la fiera delle armi, richiamando il libro di Lilin, in cui l’educazione non mira a una crescita morale, ma a una vita dominata dalla violenza. Si riferiscono così a quei genitori che non solo portano i figli a una fiera di armi, ma permettono loro di maneggiarle, simulando spari e azioni di guerra, trattandolo come un vero e proprio gioco in stile educazione siberiana. Questa rete di associazioni nelle ultime due edizioni ha organizzato due eventi che hanno coinvolto centinaia di persone provenienti da diverse città del Nord Italia, le quali hanno sfilato lungo il perimetro della fiera. Una rete che ha ideato e realizzato il flash mob all’interno dei padiglioni, davanti allo stand dell’azienda Baretta. Durante questa azione, attiviste e attivisti della rete indossavano maschere raffiguranti Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano e responsabile del genocidio in corso in Palestina, perpetrato anche attraverso le armi esposte in fiera. Il flash mob ha attirato molta attenzione sia all’interno della Fiera sia a livello mediatico, soprattutto perché in quei momenti sono state scattate foto che ritraevano numerosi minorenni con armi in mano. Queste immagini hanno fatto il giro dei media nazionali e sono arrivate fino al Parlamento, dove è stata richiesta l’apertura di un’inchiesta parlamentare per discutere del fatto che bambini abbiano potuto accedere a questo tipo di fiera, arrivando perfino a impugnare armi. Manifestazioni, flash mob, immagini di minorenni armati diffuse sui media nazionali e una richiesta di inchiesta parlamentare hanno generato attorno alla fiera delle armi un clima di forte tensione e disagio, come ammettono gli stessi organizzatori: I vari prodotti presenti alla fiera desiderano condividere l’evento con gli appassionati italiani e internazionali in un’atmosfera più serena, un clima che purtroppo è venuto meno nelle ultime due edizioni tenutesi a Verona. È proprio questo clima che si è creato a Verona, intorno alla Fiera delle Armi, che ha spinto EOS a prendere la decisione di trasferire la fiera da Verona a Parma. Una piccola vittoria per la rete di associazioni unite contro la Fiera delle armi, ma una vittoria parziale, perché, come sottolineano le associazioni, l’obiettivo reale è garantire che fiere dedicate alle armi non si tengano in nessuna parte del mondo. Il sogno è che ogni guerra cessi e che nel mondo non esistano più conflitti che portano solo morte e distruzione. Oggi sembra un’utopia, ma i sogni si realizzano attraverso la lotta e l’impegno, anche nelle azioni più piccole. Forse, impedire che una fiera di questo tipo si svolga nella propria città, allontanando la cultura delle armi dai bambini e dai giovani, può rappresentare il primo passo per abbandonare quell’educazione siberiana che glorifica armi e violenza. Heraldo
Verona, 1-3 maggio 2025: Fomento, tre giornate di critica radicale
Nelle tre giornate di questa seconda edizione di “Fomento – tre giornate di critica radicale” sono stati posti vari argomenti, vari interrogativi all’attenzione del numeroso  pubblico, fra cui studenti, studentesse e anche giovani insegnanti, tra cui: quale scuola? Quale classe (composizione sociale)? Quale casa?  Quale sovranità? Quale pace? Quale banlieue? Il primo argomento affrontato nella giornata inaugurale è stato: Quale scuola? Tra diseducazione e disciplinamento: «L’aziendalizzazione della scuola sta progressivamente soffocando la didattica, trasformandola in strumento di indottrinamento per educare alla subalternità. A partire dalla riforma Berlinguer, l’istruzione pubblica è stata gradualmente smantellata e piegata alle logiche del mercato del lavoro, andando a compromettere la formazione del pensiero critico collettivo per rispondere alle esigenze del sistema di produzione. O, quando necessario, per preparare alla guerra. A quale società sta dando forma la scuola neoliberista?». Tre sono stati i relatori. Ha iniziato, in collegamento video, il regista Federico Greco, presentando alcuni frammenti del suo ultimo film, in via di definizione, intitolato D’Istruzione pubblica, cioè dell’istruzione pubblica, ma anche sulla distruzione della scuola pubblica.  Il regista ha iniziato dicendo che «la scuola deve essere un momento, protetto dalla costituzione, in cui   ci si lascia andare alle proprie predisposizioni intellettuali gratuitamente, nel senso di non stare a conoscere, apprendere, con un obiettivo, tanto meno l’obiettivo di una futura professione, ma conoscere ed apprendere per il solo fatto in sè. Cioè per una conoscenza gratuita».  Secondo il regista a partire dal 1997/99, con la riforma Bassanini-Berlinguer è stata accolta la richiesta della Tavola Rotonda Europea degli Industriali (ERT) per cui la scuola «doveva essere trasformata da scuola delle conoscenze a scuola delle competenze: l’aziendalizzazione della scuola, processo rafforzato da ulteriori riforme succedutesi nel tempo». La scuola è diventata, come ha affermato il filosofo argentino Miguel Benasayag, citato dal regista, «uno strumento neoliberista che vuole creare un nuovo essere umano: individualista, atomizzato, competitivo. Incapace di mettere in discussione lo status quo». Il secondo intervento è stato quello della Prof.ssa Marina Boscaino, insegnante, giornalista Portavoce nazionale del Comitato per il ritiro di ogni autonomia differenziata. La docente, da subito, ha ricordato quanto la scuola della Carta Costituzionale (art.3, 9, 33 e 34) configuri una scuola emancipante, laica, pluralista ed inclusiva e quanto questo sia cambiato a partire dalla costituzione nel 1983 dell’ERT  (tavola Rotonda Europea degli industriali) forum che riuniva e riunisce amministratori delegati e presidenti di importanti società multinazionali europee, coprendo un’ampia gamma di settori industriali e tecnologici. L’industria e il neoliberalismo, capendo «l’importanza strategica vitale della formazione e dell’educazione per la competitività europea» incominciarono a premere per avvicinare la scuola ai bisogni dell’impresa, «a un rinnovamento accelerato dei sistemi di insegnamento e dei loro programmi». Si coniuga cosi, ha continuato la professoressa, una normativa che intenzionalmente destruttura la scuola della Costituzione, marginalizza gli organi collegiali, standardizza, comprime libertà di insegnamento e di apprendimento, irreggimenta, sostituisce competenze al sapere emancipante, avvia precocemente al lavoro decontrattualizzato, precario, insicuro, prepara il campo all’affermazione dei propri miti: oggi la guerra. Ultimo relatore è stato il Prof. Giovanni Ceriani, che ha presentato le motivazioni per cui nel 2023 si è sentita l’urgenza di costituire l’Osservatorio veronese Scuola e Pnrr, «strumento capace di convogliare, raccogliere e definire tutte le varie parti di una vera e propria macro-Riforma della scuola, passata sottotraccia, in maniera assolutamente invisibile data la frammentarietà degli interventi. Questa frammentarietà e tecnicità non ha permesso di cogliere la dimensione d’insieme e quindi il nuovo modello di scuola, di fatto delineato da uno spregiudicato interventismo innovazionista». A fronte della spinta ideologica e materiale, data un’enorme erogazione di soldi – i soldi del Pnrr – , il professore ha affermato che sono state accettate tutte le progettualità stabilite “d’ufficio”: fossero dispositivi informatici, corsi di formazione, nuove sperimentazioni curriculari, nuove figure di docenza, nuove idee di docenza. Quasi un obbligo morale ad accettare tutto. Una grande monetizzazione dei diritti, o meglio una grande monetizzazione della sottrazione di democrazia e diritti. Questa macro riforma della Scuola del Pnrr è il terzo tempo di uno scivolamento continuo verso il «completo allineamento della scuola al mercato, alle aziende e ai valori e linguaggi lì egemoni. Processo di mercificazione e de-costituzionalizzazione della scuola stessa che, invece di essere promotrice di cittadinanza, si sta ritrovando sempre più orientata nel suo essere produttrice e addestratrice di capitale umano, di risorse umane. Insomma di forza lavoro da un lato e di clienti consumatori dall’altro». Miria Pericolosi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Verona
“Let’s Care”: due eventi europei per ripensare la scuola nel segno dell’ascolto e del rispetto
Dal cuore della Lessinia al centro storico di Verona, la rete di istituzioni educative Polo Europeo della Conoscenza ha dato vita a due intense giornate di confronto e innovazione educativa nella cornice del progetto europeo “Let’s Care”. L’obiettivo? Costruire una scuola che ascolta, si confronta e si migliora, nel rispetto profondo dei diritti di ogni bambina e bambino. Il 3 maggio, presso l’Istituto Comprensivo di Bosco Chiesanuova, l’atmosfera è stata quella di un laboratorio europeo a cielo aperto. Docenti, dirigenti scolastici, genitori e studenti di diversi Paesi europei si sono ritrovati in un’esperienza formativa partecipata e gratuita, organizzata sotto forma di World Café: un metodo dinamico e inclusivo che ha permesso ai partecipanti di ruotare tra diversi tavoli di discussione, confrontandosi su temi caldi che riguardano la scuola italiana ed europea. Cinque i workshop tematici che hanno animato la giornata, trasformando ogni tavolo in un crocevia di esperienze, riflessioni e visioni sul futuro della scuola. In uno dei tavoli si è discusso delle sfide comuni ai sistemi scolastici europei, tra differenze strutturali e convergenze critiche, alla ricerca di soluzioni condivise a medio e lungo termine. Poco più in là, un altro gruppo – coordinato da Annabella Coiro – metteva a confronto esperienze e difficoltà nel dialogo tra scuola e famiglia, evidenziando le fratture generate da modelli educativi distanti e influenze mediatiche. Parallelamente, sotto la guida di Cecilia Bretegani della Rete Zero-Sei di Verona, si rifletteva sulle relazioni interne alla scuola: clima lavorativo, carichi burocratici, numero di alunni per classe, età media del corpo insegnante. Tutti fattori che incidono direttamente sul benessere delle insegnanti e, di riflesso, sulla qualità dell’insegnamento. Il quarto tavolo era dedicato alle strategie per gestire classi complesse, promuovere l’inclusione e creare ambienti di apprendimento più sicuri e accoglienti. Infine, non poteva mancare uno spazio rivolto ai futuri docenti, dove si è riflettuto su come rinnovare la formazione iniziale, la valutazione e la didattica per renderle più coerenti con le esigenze della scuola contemporanea. La giornata successiva ha visto spostarsi il baricentro del progetto nella monumentale cornice del Palazzo della Gran Guardia a Verona, dove si è tenuta la conferenza pubblica dal titolo “Una scuola che si confronta e si migliora per il diritto dei bambini al rispetto”. Con il patrocinio del Comune di Verona e alla presenza di relatori da Spagna, Bulgaria, Polonia, Lituania, Portogallo e Italia l’evento ha proposto tavole rotonde sui risultati dei forum internazionali svolti nei mesi precedenti e ha presentato strategie innovative per favorire ambienti scolastici fondati su ascolto, rispetto e relazioni significative. Dal miglioramento della comunicazione scuola-famiglia alla centralità del benessere emotivo di alunne e alunni, passando per la condivisione di buone pratiche europee, la conferenza ha voluto segnare un cambio di prospettiva nel modo di intendere la scuola: un’educazione più umana e partecipata, capace di generare positive ricadute sociali. L’evento ha anche segnato l’apertura ufficiale della settimana dell’EireneFest, il festival del libro per la pace e la nonviolenza, che coinvolgerà le scuole della città in una serie di incontri tra autrici, autori, studentesse e studenti. La giornata si è conclusa con un momento di grande intensità emotiva: il Concerto per un mondo solidale, ospitato dalla Casa Madre Opera Don Calabria. A esibirsi artisti, cantautrici, cantautori e musicisti uniti dal desiderio comune di sostenere i bambini della Siberia e del Senegal. Sul palco, gli ospiti speciali Sofia e Lorenzo Furlattini hanno emozionato il pubblico, mentre Enrico De Angelis ha condotto la serata dando voce, una dopo l’altra, a canzoni cariche di impegno e speranza. Queste due giornate hanno raccontato che un’altra scuola è possibile. Una scuola che ascolta, si interroga e cresce attraverso il confronto. Il Polo Europeo della Conoscenza ha saputo creare spazi autentici di dialogo tra professionisti dell’educazione e Paesi diversi, rafforzando l’idea che solo attraverso una rete solidale, consapevole e inclusiva si possa davvero tutelare il diritto delle bambine e dei bambini a essere rispettati, ascoltati e valorizzati in ogni aula d’Europa.   Redazione Italia