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Justice Fleet Alliance: le ONG del Mediterraneo interrompono i contatti con Tripoli
Il 5 novembre 2025 a Bruxelles la Justice Fleet Alliance ha tenuto la sua prima conferenza stampa congiunta, trasmessa in diretta streaming. Le organizzazioni coinvolte hanno annunciato una decisione storica: sospendere ogni comunicazione operativa con il JRCC (Joint Rescue Coordination Centre) libico. Dopo anni di violazioni dei diritti umani da parte delle autorità libiche, le organizzazioni non governative di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale hanno creato una “coalizione per la giustizia”, con il supporto del Centro europeo per i diritti costituzionali e umani e di Refugees in Libya. «Dieci anni dopo l’estate della migrazione, stiamo fondando la Justice Fleet. I nostri obiettivi? Lottare insieme contro i crimini di Stato. Vogliamo creare pressione pubblica e legale per realizzare un cambiamento politico 1» Durante la conferenza, i partner coinvolti sono intervenuti in merito ai fondamenti legali e morali della decisione e alle richieste rivolte ai policy makers europei: SEA-WATCH: COS’È LA JUSTICE FLEET E QUAL’È IL SUO BACKGROUND L’Unione Europea, nel tentativo di bloccare le traversate nel Mediterraneo, si rende complice di crimini contro l’umanità e ostacola la società civile impegnata nei soccorsi, criminalizzandola e diffamandola. In risposta a queste violazioni sistematiche, tredici organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e del diritto marittimo internazionale si sono unite per dare vita alla Justice Fleet, la più grande alleanza civile di organizzazioni di ricerca e soccorso in mare. «È una risposta alla coercizione degli Stati europei a comunicare con le milizie libiche, autori di quotidiane violenze in mare e in opposizione al rinnovo tacito del Memorandum d’Intesa Italia-Libia. 2» Alliance Members (Germania, Francia, Italia e Spagna) CompassCollective – Louise Michel – Mediterranea Saving Humans – Mission Lifeline – Pilotes Volontaires – RESQSHIP – r42-Sail And Rescue – Salvamento Marítimo Humanitario – Sea-Eye – SEA PUNKS – Sea-Watch – SOS Humanity – Tutti gli Occhi sul Mediterraneo La campagna della Justice Fleet Alliance nasce dopo che la nave civile Mediterranea, di Mediterranea Saving Humans, il 4 novembre 2025 ha sbarcato a Porto Empedocle 92 persone soccorse, rifiutando il porto assegnato di Livorno, distante oltre 1.200 km e quattro giorni di navigazione. Notizie/In mare «ABBIAMO AGITO PER SALVARE VITE»: SBARCATE LE 92 PERSONE SOCCORSE DA MEDITERRANEA Lo Stato minaccia nuove sanzioni per aver scelto Porto Empedocle Redazione 5 Novembre 2025 L’equipaggio ha disobbedito agli ordini illegittimi del Governo italiano, agendo in “stato di necessità” (art. 54 c.p.), nel pieno rispetto del diritto marittimo nazionale e internazionale, a tutela dei diritti fondamentali della vita e della dignità delle persone soccorse, giudicate dal medico di bordo non idonee a ulteriori giorni di navigazione. Per questa decisione la nave è stata bloccata e il comandante ha ricevuto una contestazione per presunta violazione del Decreto Piantedosi per “non aver raggiunto senza ritardo il porto di sbarco assegnato”. L’episodio evidenzia la volontà del Governo di ostacolare il soccorso civile, inumana ossessione che guida l’imposizione di norme che mettono a rischio la vita delle persone. «Lo spirito con cui la nave ha agito è lo spirito che anima la Justice Fleet e per questo esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Mediterranea 3» L’obiettivo della Justice Fleet è quello di unire azioni legali, politiche e comunicative per rafforzare le reti di solidarietà nei confronti delle persone in movimento, soprattutto quelle bloccate in Libia. L’alleanza si prefigge di sostenere i soccorsi, contrastare respingimenti illegali, repressione e criminalizzazione delle ONG, opponendosi alle politiche di morte europee che, in nome della sicurezza delle frontiere, impediscono i salvataggi ledendo i diritti umani. COMPASS COLLECTIVE: SULL’ILLEGITTIMITÀ DEL CENTRO DI COORDINAMENTO DEI SOCCORSI IN LIBIA Dall’istituzione di una zona SAR libica nel 2018 e la successiva creazione di un centro di coordinamento dei soccorsi associato a Tripoli, viene esercitata una pressione crescente sulle ONG affinché comunichino con le autorità libiche. Tuttavia, la cosiddetta Guardia Costiera Libica è in realtà una rete di milizie armate che, invece di soccorrere, rapisce le persone durante l’attraversata, perpetrando violenze sistematiche. Non disponendo di un governo centrale, questa rete è stata addestrata e finanziata dall’UE nell’ambito delle politiche di “controllo della migrazione”. Il JRCC di Tripoli non rispetta gli standard stabiliti dall’Organizzazione marittima internazionale previsti nelle convenzioni SOLAS e SAR: non è operativo 24 ore su 24, manca di capacità linguistiche e infrastrutture tecniche adeguate. Le azioni violente che mettono in atto in mare non possono ovviamente essere considerate salvataggi, ma costituiscono la prima linea di un sistema di crimini istituzionalizzato. Anche le Corti europee – da quelle italiane a quella dei diritti dell’uomo – hanno confermato che i respingimenti verso la Libia violano il diritto internazionale. Nel marzo 2024, dopo un salvataggio coordinato dalla Humanity 1 e il fermo imposto alla nave, il Tribunale di Crotone ha revocato il provvedimento, stabilendo 4 che la “guardia costiera libica” e il JRCC non sono autorità legittimate al soccorso. La Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la decisione nel giugno successivo, ribadendo che la Libia non è un porto sicuro e che le ONG agiscono nel rispetto del diritto internazionale. L’8 luglio 2025, in riferimento al caso Ocean Viking 5, la Corte costituzionale italiana ha precisato che i comandanti devono seguire solo istruzioni legittime e conformi alle norme di soccorso in mare: ordini che mettono in pericolo vite umane non sono vincolanti e la loro disobbedienza non è punibile. Ne deriva che le istruzioni della “guardia costiera libica” non sono mai legittime: «Seguire le loro istruzioni illegali è contro il diritto internazionale. […] Quindi la decisione della Justice Fleet di sospendere tutte le comunicazioni operative con le autorità marittime libiche non è solo moralmente giusta, ma è giuridicamente necessaria 6». In linea con le decisioni giudiziarie, la Justice Fleet Alliance rifiuta quindi ogni collaborazione con la Libia, considerata un “attore illegittimo in mare”, garantendo che il dovere di soccorso non si trasformi in complicità con crimini politici. La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare impone a ogni comandante di soccorrere chi è in pericolo e di garantirne lo sbarco in un luogo sicuro, indipendentemente da nazionalità o status. La Libia, priva di un sistema d’asilo e responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, non può essere considerata un luogo che soddisfa gli standard. Ne consegue che portare i naufraghi in Libia è illegale e, di fatto, nel momento in cui le autorità italiane ed europee ordinano alle ONG di coordinarsi con le unità libiche, chiedono loro di commettere un illecito. Obbedire significherebbe rendersi complici di un sistema criminale, e il rifiuto non è una sfida ma un atto di rispetto del diritto internazionale. «La Justice Fleet oggi sta tracciando un’importante linea giuridica e morale secondo cui la vita umana viene prima degli ordini. 7» CENTRO EUROPEO PER I DIRITTI COSTITUZIONALI E UMANI: SUI CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ NEL MAR MEDITERRANEO E SULLA TERRAFERMA DA PARTE DI ATTORI LIBICI La Libia non può essere considerata un “place of safety”: rapporti internazionali documentano torture, abusi, schiavitù, stupri e lavoro forzato all’interno di campi dove le persone in movimento vengono imprigionate 8. Le autorità marittime libiche e le milizie affiliate, incluse la cosiddetta Guardia costiera, il JRCC di Tripoli e gruppi come la brigata TBZ 9, hanno abitualmente fatto ricorso alle armi e a manovre calcolate per mettere in pericolo le persone in mare. Per ragioni politiche, le persone intercettate vengono riportate con la forza in Libia e rinchiuse in prigioni gestite da agenzie statali, milizie e attori privati, dando vita a un sistema detentivo divenuto altamente redditizio. Dal 2011 questo sistema è parte dell’economia del conflitto libico, ulteriormente rafforzata nel 2016 dalle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere, che hanno rimodellato quest’industria della detenzione contribuendo alla creazione di una struttura transnazionale di contenimento che si traduce in crimini contro l’umanità. «È importante notare che ciò che sta accadendo nel Mediterraneo non è una crisi umanitaria o un fallimento della governance, ma un sistema deliberato di violenza organizzata 10» Il 27 marzo 2023, la missione di inchiesta delle Nazioni Unite (NU) sulla Libia ha dichiarato:  «L’UE e i suoi Stati membri sostengono la cosiddetta guardia costiera libica […]; in questo modo, contribuiscono al sequestro illegale di rifugiati in mare e alla detenzione illegittima 11.» Nella stessa indagine, le NU classificano le intercettazioni e i respingimenti in mare come equivalenti alla reclusione o ad altre gravi privazioni della libertà personale, violando alcuni tra i primi articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) 12. Gli attori della politica congiunta di “prevenzione della migrazione”, sono pienamente consapevoli che tali azioni prevedibilmente si concretizzano in atti violenti, eppure l’importanza ricade sull’agenda coordinata di contenimento. Nel loro obiettivo tacito nascondono e sminuiscono il quadro, ma gli orrori incasellati come “abusi isolati” sono evidentemente parte di un attacco diffuso e sistematico contro migranti e rifugiati che tentano di lasciare la Libia. RIFUGIATI IN LIBIA – SULLE ESPERIENZE DI VIOLENZA DELLE MILIZIE LIBICHE «Mentre continuiamo a sensibilizzare sulla condizione di chi attraversa il mediterraneo, la situazione in Libia peggiora di giorno in giorno. 13» Dal 2016 le milizie libiche attaccano in mare persone in fuga dal paese e soccorritori civili.  Un rapporto di Sea Watch documenta oltre 60 episodi negli ultimi dieci anni, tra sparatorie, speronamenti, blocchi, aggressioni, minacce e intimidazioni. Anche in condizioni meteorologiche avverse, le milizie libiche hanno inseguito le imbarcazioni con l’unico obiettivo di riportale in Libia. La Justice Fleet Alliance ha stilato un elenco dei casi 14 avvenuti negli ultimi anni; di seguito un estratto: Le spiegazioni degli episodi citati: Incidenti violenti in mare da parte delle milizie libiche | Justice Fleet 2025: Inseguimento di una barca mentre le persone erano cadute in acqua; una persona annegata 2025: Una motovedetta donata dall’UE spara in direzione della Sea-Watch 5 2025: Attacco armato di 20 minuti contro l’Ocean Viking 2024: Intercettate donne e bambini sotto la minaccia delle armi 2024: Minaccia alla Mare Jonio durante un’operazione di soccorso 2024: Manovre pericolose intorno all’Humanity1 2023: Molestato un gommone da una motovedetta libica 2022: Minaccia agli aerei civili con missili SAM (missili terra-aria) 2022: Sparatoria contro persone in acqua 2021: Tentativo di speronare un’imbarcazione in fuga 2020: Uccisione di tre persone allo sbarco 2018: Interferenza con un’operazione di soccorso, causando la scomparsa di cinque persone 2017: Sparatoria contro una nave della Guardia Costiera italiana 2016: Interferenza con un’operazione di soccorso, causando una serie di decessi SOS HUMANITY: SULLA COOPERAZIONE UE-LIBIA Dalla fine dell’operazione Mare Nostrum, l’UE ha indirizzato fondi per impedire alle persone di raggiungere l’Europa, sviluppando un complesso sistema di mezzi e strumenti per impedire l’esercizio del diritto di asilo e stringendo accordi con la Libia sulla “gestione delle frontiere nel Mediterraneo centrale”. Uno dei principali canali di finanziamento è stato il Fondo d’Emergenza per l’Africa (EUTF for Africa), lanciato nel 2015. Questi fondi, che avrebbero dovuto affrontare le cause profonde degli sfollamenti, sono stati invece dirottati (per 57,2 milioni di euro) verso il controllo della migrazione e la gestione militarizzata delle frontiere. Nell’ambito della strategia di prevenzione della migrazione definita propagandisticamente “illegale” l’UE ha fornito imbarcazioni, attrezzature e risorse finanziarie, nonché addestramento ed equipaggiamento delle milizie svolgendo un ruolo chiave nella creazione del centro di coordinamento del “salvataggio libico”. Da allora, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per le Migrazioni, più di 145.000 persone sono state intercettate e riportate in Libia. Nel 2024, la Corte dei conti europea ha rilevato che i progetti UTF risultano frammentati, inefficaci e privi di adeguate tutele per i diritti umani. Nel 2021 la strategia europea è confluita nel nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI) – Europa globale, valido fino al 2027, che per la gestione delle frontiere libiche ha stanziato 12 milioni di euro per un’accademia di frontiera, 8 per la modernizzazione del centro libico di coordinamento dei “soccorsi” e 5 per la formazione delle forze di sicurezza. Entro il 2027 l’UE avrà speso almeno 84 milioni di euro in misure di deterrenza in Libia. Documenti del Consiglio Europeo mostrano che il NDICI mira a potenziare le intercettazioni e collegare i centri di coordinamento, rafforzando il sistema che intrappola le persone in Libia. «Formando, equipaggiando e finanziando gli attori marittimi in Libia che commettono sistematicamente violazioni dei diritti umani, l’Unione Europea è direttamente complice di questi abusi. Ogni euro speso per una gestione violenta delle frontiere rappresenta un’Europa che avrebbe potuto salvare vite umane. È tempo che l’UE smetta di esternalizzare le proprie responsabilità legali e morali e inizi a sostenerle. 15» Il 2 novembre 2025 il Memorandum Italia-Libia, firmato nel 2017, è stato rinnovato tra le proteste delle organizzazioni per i diritti umani, della Search and Rescue Organization e dei gruppi auto-organizzati di rifugiati. Notizie/In mare LA PAROLA A REFUGEES IN LIBYA: «STOP MEMORANDUM!» "Stage of Survivors" ha concluso a Roma una settimana di mobilitazione 20 Ottobre 2025 A metà ottobre 2025 la Camera, con una mozione della maggioranza, lo ha tacitamente prorogato 16 fino al 2 febbraio 2026, richiamando la retorica del “contrasto ai trafficanti” e della “prevenzione delle partenze”, nonostante il patto implichi di fatto una collaborazione con i criminali, poiché prevede il finanziamento dei centri di detenzione e il sostegno alle milizie. La natura di questa cooperazione risulta più evidente alla luce dell’accusa rivolta all’Italia dalla Procura della Corte Penale Internazionale (CPI) per il mancato trasferimento a L’Aja di Osama Almasri, ex capo della polizia giudiziaria di Tripoli sospettato di crimini contro l’umanità. Proseguendo su questa linea, consapevoli delle conseguenze lesive dei diritti umani, UE e Stati membri alimentano un ciclo di violenza e sfruttamento. Questo è stato denunciato già nel novembre 2022 dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (ECCHR), che ha presentato un esposto 17 alla Corte penale internazionale contro funzionari di UE, Italia, Malta e Libia per il loro ruolo nelle intercettazioni sistematiche delle persone in movimento. «Porre fine alla nostra comunicazione di salvataggio con l’JRCC libico che coordina questi gruppi è una necessità e una linea chiara contro la complicità europea con i crimini che si stanno verificando in Libia. 18» NON CI SI ARRENDE DAVANTI ALLE POLITICHE INGIUSTE: «LORO INFRANGONO LA LEGGE. NOI VINCIAMO IN TRIBUNALE.» Oggi, Italia, Germania, Malta, Frontex e l’UE stanno violando il diritto di asilo, attaccando i diritti umani e il diritto internazionale. Il Mar Mediterraneo è diventato un luogo di illegalità, non perché manchino le leggi, ma perché gli Stati europei scelgono deliberatamente di non rispettarle. Le organizzazioni civili di soccorso, insieme a partner internazionali e sulla base di rapporti delle Nazioni Unite, stanno portando questi crimini davanti alla giustizia – dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ai tribunali italiani – dove emerge un giudizio coerente: le attuali politiche europee sono illegali. In dieci anni di violazioni, numerosi procedimenti hanno evidenziato l’illiceità delle pratiche dell’Unione nel Mediterraneo, confermando al contrario la legittimità delle operazioni di salvataggio delle ONG. 2009Il tribunale di Agrigento assolve l’equipaggio della nave Cap Anamur riconoscendo la scriminante dell’adempimento al dovere di soccorrere.2017La nave Iuventa viene sequestrata per presunto favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (articolo 12, TUI); dopo sette anni di processo il tribunale dichiara l’insussistenza del fatto.2018La nave Open Arms è sequestrata con l’accusa di associazione a delinquere e favoreggiamento. Il provvedimento viene annullato vista la sussistenza dello stato di necessità.2019La capitana della nave See Watch 3, Carola Rakete, è accusata ex. articolo 12, TUI. Caso concluso con il riconoscimento della giustificazione per adempimento al dovere derivante dagli obblighi internazionali.2019La nave Vos Thalassa sbarca 66 naufraghi che si erano opposti al respingimento in Libia. Nel 2021, la Corte Suprema Italiana riconosce il loro diritto di resistere ai respingimenti illegali, per legittima difesa.2021Alla nave Vos Triton viene imposto di riportare in Libia 170 persone soccorse. Il Tribunale di Roma 19 giudica l’Italia responsabile di sequestro e ordina il rilascio di un visto umanitario alla vittima che ha avviato il procedimento. Questi casi mostrano che chi contesta le politiche euro-libiche diventa bersaglio della repressione, mentre le decisioni giudiziarie evidenziano l’illegalità delle azioni della guardia costiera libica e degli Stati europei. Le sentenze confermano che un’imbarcazione non idonea è già in distress e, per il diritto del mare, chi è in distress, prima di essere un migrante, è un naufrago che deve essere soccorso; lo stato di necessità è inoltre aggravato dalla condizione di fuga dalle torture libiche. «Gli Stati hanno trasformato il mare in un’arma contro gli esseri umani. Ma quando la nostra lotta collettiva per la libertà viene criminalizzata, la resistenza diventa un dovere. La Justice Fleet si schiera esattamente dove dobbiamo schierarci: contro un sistema che punisce la solidarietà e sancisce il razzismo». Carola Rakete – Ex deputata del Parlamento europeo Le organizzazioni civili portano sempre più spesso queste battaglie davanti ai giudici, riaffermando la supremazia del diritto sulle logiche politiche. Nonostante ciò, la maggior parte dei respingimenti e delle violenze rimane nell’ombra, impunita e scoperta da tutele giuridiche, rendendo estremamente importante e necessaria l’azione della Justice Fleet. Il controllo statale sui flussi migratori deve cedere di fronte all’obbligo di soccorrere in sicurezza fino a un “porto sicuro”, per questo l’Alleanza assume una posizione chiara: stop alla collaborazione con i criminali. «Chiediamo la fine immediata di ogni cooperazione tra l’UE e gli attori libici violenti, la fine immediata del sostegno ai crimini contro l’umanità in mare e sulla terraferma. 20» RIBELLIONE È RIVOLUZIONE CONTRO LE INGIUSTIZIE: «CONTINUEREMO I SOCCORSI MA CI SCHIERIAMO CONTRO LA COMPLICITÀ» In risposta alle violenze dei libici nel Mediterraneo e alla complicità degli Stati europei, le organizzazioni di ricerca e salvataggio hanno intrapreso quindi un passo storico: «Non riconosceremo mai gli attori libici come autorità competenti di ricerca e salvataggio e non obbediremo alla coercizione dello Stato italiano 21» La sospensione delle comunicazioni operative con il JRCC, imposta dalla Legge 15/23 (“Decreto Piantedosi”), può comportare multe, detenzioni e la confisca dei mezzi delle ONG, evidenziando ancora una volta la distanza tra le leggi italiane, frutto di un decennio di politiche schierate, e il diritto internazionale. Le organizzazioni della Justice Fleet Alliance scelgono la via della disobbedienza giusta opponendosi al riconoscimento delle pattuglie libiche e ai probabili futuri ordini di collaborazione che ne deriverebbero. Sono pronte a sostenere le conseguenze delle loro decisioni morali e legali; in un Mediterraneo trasformato in confine armato, non comunicare con chi rapisce, tortura e uccide non è un atto di sfida ma di umanità: disobbedire significa oggi riaffermare il diritto del mare. «Rischieremo la detenzione o addirittura la confisca delle nostre navi e dei nostri aerei in Italia, cosa che combatteremo davanti a tutti i tribunali 22» A fianco della Justice Fleet Alliance, si schierano altre realtà che contrastano i crimini commessi in mare e nei lager libici. JLProject 23, nato nel 2019 e impegnato da anni in indagini forensi pro bono per intentare azioni legali contro gli Stati responsabili dei respingimenti illegali in Libia, ha dichiarato il suo sostegno all’Alleanza: «Noi stiamo indagando molto sui crimini della cosiddetta guardia costiera libica e siamo molto soddisfatte della decisione di non comunicare con quei criminali.» Sara Fratini – JL Project La Justice Fleet Alliance si inserisce quindi in una più ampia cornice di resistenza civile che, unendo giurisprudenza e attivismo, difende la centralità della persona e i principi del diritto internazionale. In un contesto in cui la legalità è piegata alle politiche di controllo, riaffermare che il soccorso non è un reato ma un dovere rappresenta un vero atto di giustizia: in mare come a terra, il diritto non si negozia, la migrazione non va criminalizzata e chi salva vite non può essere condannato. > «Quando gli ordini rendono i soccorritori potenzialmente complici di crimini > contro l’umanità, il rifiuto è l’unica risposta legittima. 24» 1. Dichiarazione rilasciata il 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance, tenutasi a Bruxelles. Dichiarazioni rilasciate in lingua inglese e tradotte dall’autrice ↩︎ 2. Ibidem ↩︎ 3. Le Ong del soccorso in mare si uniscono nella Justice Fleet e interrompono le comunicazioni con Tripoli, Sea Watch (5 novembre 2025) ↩︎ 4. Court confirms: Detention Unlawful, SOS Humanity (12 giugno 2025) ↩︎ 5. LaOcean Viking è stata la prima nave umanitaria a ricevere un fermo amministrativo in base al Decreto Piantedosi, accusata di aver ignorato l’ordine libico di «lasciare il soccorso». L’equipaggio ha completato l’operazione, ritenendo l’ordine imposto ex lege al comandante illegittimo e contrario agli obblighi italiani sui diritti fondamentali. La giudice di Brindisi, annullando il fermo, ha dichiarato: « Imporre il fermo a una nave umanitaria va a compromettere il diritto di essere soccorsi ». Ha inoltre rimesso gli atti alla Corte costituzionale, rilevando una presunta violazione dell’art. 25, comma 2, a causa dei «presupposti inadeguati per l’applicazione del fermo», non riconoscendo la «delega in bianco» all’autorità libica ↩︎ 6. Dichiarazione rilasciata il 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance, tenutasi a Bruxelles ↩︎ 7. Ibidem ↩︎ 8. «Migrants and refugees suffer unimaginable horrors during their transit through and stay in Libya» – Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights (OHCHR) / United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL). Report on the human-rights situation of migrants and refugees in Libya (20 dicembre 2018) ↩︎ 9. La Brigata Tariq Ben Zeyad (TBZ) è un’organizzazione delle forze armate libiche, guidata da Saddam Haftar, figlio del comandante dell’Esercito nazionale libico (LNA) Khalifa Haftar. Attiva dal 2016, comprendente ex soldati gheddafisti, è accusata di gravi violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni, torture, sequestri, stupri e sfollamenti forzati. Amnesty International documenta un “catalogo degli orrori” commessi dal 2016, tra cui l’espulsione collettiva di migliaia di rifugiati e migranti da Sabha e dal sud della Libia. ↩︎ 10. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 11. HRC – Press Conference: Fact-Finding Mission on Libya | UN Web TV; Report of the Independent Fact-Finding Mission on Libya – Human Rights Council (marzo 2023) ↩︎ 12. CEDU – Art.1: Obbligo di rispettare i diritti dell’uomo; Art.2: Diritto alla vita; Art.3: Proibizione della tortura; Art.4: Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato; Art. 5: Diritto alla libertà e alla sicurezza ↩︎ 13. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 14. Sul sito justice-fleet.org la lista delle violenze della cosiddetta guardia costiera libica documentate dalla società civile negli ultimi 10 anni e in continuo aggiornamento: 60 Libyan attacks at sea as EU rolls out red carpet for militias, new data shows • Sea-Watch e.V. ↩︎ 15. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 16. Grazie a una clausola all’articolo 8 che prevede il rinnovo automatico triennale salvo richiesta scritta di revoca con preavviso di tre mesi di una delle parti ↩︎ 17. Qui il testo dell’esposto ↩︎ 18. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 19. Caso Vos Triton: Italia ritenuta responsabile per il respingimento delegato verso la Libia. A. arriva in sicurezza a Roma, Asgi (marzo 2025) ↩︎ 20. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎ 21. Ibidem ↩︎ 22. Ibidem ↩︎ 23. Qui il sito di JLProject ↩︎ 24. Bruxelles, dichiarazione del 5 novembre 2025 durante la prima conferenza stampa congiunta della Justice Fleet Alliance ↩︎
Nel Mediterraneo si continua a morire mentre chi salva vite è criminalizzato
Nel Mediterraneo si continua a morire, mentre chi salva vite continua a essere criminalizzato. È uno stesso tragico e odioso copione che ormai si ripete da tempo. Da una parte sempre più persone muoiono nell’indifferenza e nel silenzio istituzionale, dall’altra il governo italiano, nonostante le sentenze dei tribunali, non mostra segni di ravvedimento e prosegue nella sua opera di attacco alle organizzazioni di soccorso: l’ultima è Mediterranea Saving Humans, colpita da un nuovo blocco amministrativo dopo l’ultimo salvataggio e approdo a Porto Empedocle. Notizie/In mare «ABBIAMO AGITO PER SALVARE VITE»: SBARCATE LE 92 PERSONE SOCCORSE DA MEDITERRANEA Lo Stato minaccia nuove sanzioni per aver scelto Porto Empedocle Redazione 5 Novembre 2025 L’associazione, che rivendica giustamente di aver salvato la vita a 92 persone, ha replicato alle accuse del ministro dell’Interno Piantedosi, che sui social ha diffuso false informazioni sull’operato della nave.  «Siamo indignati dalle menzogne del ministro: da parte nostra c’è sempre stata la massima collaborazione con la Sanità marittima», ha dichiarato MSH. A bordo, ha raccontato il medico Gabriele Risica, «abbiamo accolto la medica dell’USMAF, le abbiamo messo a disposizione l’ospedale di bordo e visitato insieme le persone soccorse». Anche la capomissione Sheila Melosu ha denunciato «la vergogna di un ministro che parla di sicurezza delle persone mentre è indagato per aver protetto un torturatore di migranti, e che voleva far viaggiare fino a Livorno persone malate e bisognose di cure immediate». Un episodio che si inserisce nella costante strategia di criminalizzazione delle ONG, con la nave Mediterranea che subisce un altro fermo illegittimo nel porto siciliano per violazione del Decreto Piantedosi, mentre le autorità italiane continuano a ostacolare chi salva vite in mare e a finanziare chi le intercetta e le imprigiona. Il 2 novembre, infatti, si è rinnovato automaticamente il Memorandum tra Italia e Libia, che resterà in vigore fino al 2026, assicurando nuovi fondi e mezzi alla guardia costiera libica, la stessa che cattura e riporta nei lager migliaia di persone e che attacca le navi della flotta civile. Approfondimenti/In mare MEMORANDUM ITALIA-LIBIA, UN PATTO DI VIOLAZIONI E ABUSI Il 2 novembre l’accordo sarà rinnovato. Refugees in Libya: manifestiamo a Roma il 18 ottobre Carlotta Zaccarelli 29 Settembre 2025 Nel frattempo, solo negli ultimi 30 giorni, cinque naufragi hanno aggiornato il conto delle vittime e dei dispersi lungo le rotte del Mediterraneo. Il 18 ottobre, Sea-Watch ha denunciato un naufragio ignorato dalle autorità: un morto accertato e 22 persone disperse, mentre le navi umanitarie venivano tenute lontane dall’area dei soccorsi. “Abbiamo chiesto aiuto per ore, nessuno è intervenuto”, ha riferito l’Ong, accusando Roma e La Valletta di omissione di soccorso. Il 22 ottobre, al largo di Salakta, in Tunisia, almeno 40 persone migranti, tra cui diversi neonati, sono morte dopo che la loro imbarcazione si è capovolta. Solo 30 persone sono state salvate. Le vittime provenivano da Paesi dell’Africa subsahariana e cercavano di raggiungere l’Italia da una delle rotte più brevi e più letali del Mediterraneo. Diverse inchieste hanno evidenziato come la Tunisia sia un Paese non sicuro nel garantire i diritti fondamentali e come le persone nere siano sottoposte a violenze e tratta gestite dalle stesse autorità. Rapporti e dossier/In mare STATE TRAFFICKING SVELA LA TRATTA DI MIGRANTI TRA TUNISIA E LIBIA Un rapporto con 30 testimonianze da un confine esterno della UE Redazione 1 Marzo 2025 Il 24 ottobre, 14 persone migranti sono annegate nel mar Egeo, al largo di Bodrum, in Turchia. Solo due si sono salvate, tra cui un giovane afgano che ha nuotato per sei ore fino a riva. Tre giorni dopo, il 27 ottobre, quattro migranti sono morti al largo della Grecia, dopo l’affondamento di un gommone. E il 28 ottobre un altro barcone è affondato davanti a Surman, in Libia: 18 morti e oltre 60 sopravvissuti, secondo la Croce Rossa libica e l’OIM. Le vittime erano in gran parte uomini sudanesi, bengalesi e pakistani in fuga da guerre e povertà. Cinque naufragi in dieci giorni: più di 70 morti accertati, decine di dispersi e un mare che continua a inghiottire vite nell’indifferenza politica. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), al 25 ottobre 2025 sono 472 le persone morte e 479 quelle disperse sulla rotta del Mediterraneo centrale dall’inizio dell’anno. A questo bollettino di guerra vanno aggiunti gli ultimi naufragi: nel 2025 si può stimare che circa 550 persone abbiano perso la vita, senza contare i naufragi cosiddetti “fantasma” che non finiscono nei conteggi ufficiali. Nello stesso periodo, 22.509 persone migranti – tra cui 832 minori – sono state intercettate e riportate in Libia, dove finiscono spesso in centri di detenzione, subendo torture, violenze sessuali, estorsioni, privazione di cibo e cure. Nemmeno l’arresto del generale libico Al Masri cambia la sostanza: la Libia rimane un Paese diviso e controllato da milizie e trafficanti che si arricchiscono sulla pelle dei migranti. Nonostante la situazione sia nota e denunciata da anni, resta un alleato politico e operativo dell’Europa, che continua a esternalizzare il controllo delle proprie frontiere. Come ha rivelato un’inchiesta di Irpimedia, la Commissione europea e Frontex hanno ospitato a metà ottobre una delegazione tecnica libica, con esponenti provenienti sia dall’est sia dall’ovest del Paese: per la prima volta anche funzionari della Cirenaica, sotto il controllo del generale Khalifa Haftar, sono stati invitati presso la sede di Frontex a Varsavia e a Bruxelles. Il Mediterraneo centrale continua a essere la rotta migratoria più mortale del mondo. Ma ogni nuovo naufragio rimane a sé stante, invisibilizzato e velocemente archiviato come un fatto di cronaca. I media fanno sempre più fatica ad andare oltre la notizia flash e a costruire una narrazione diversa, e così queste stragi scompaiono in fretta. Dove sono le storie che danno dignità ai numeri, ai volti, alle famiglie, ai sogni interrotti, al dolore? Cosa serve perché si trovi finalmente una risposta a quella domanda che da anni viene ripetuta e mai ascoltata: quante morti ancora serviranno prima che l’Europa apra vie legali e sicure di accesso, affinché si affronti il tema politico e sociale della libertà di movimento? Finché la risposta sarà il rinnovo di accordi come quello con la Libia e il blocco delle navi umanitarie, il Mediterraneo continuerà a essere una tomba. E l’Italia, insieme all’Unione Europea, continuerà a chiamare “cooperazione” ciò che è in realtà complicità nelle stragi. Fonti: InfoMigrants, OIM, UNHCR, ANSA, Reuters, Sea-Watch, Mediterranea Saving Humans, Mosaique FM. Interviste/In mare «RIPRISTINARE LA LIBERTÀ DI MOVIMENTO È L’UNICA RISPOSTA POLITICA ALLE MIGRAZIONI» Intervista a Gabriele Del Grande, giornalista e documentarista Laura Pauletto 3 Novembre 2025
Caso Almasri: Lam Magok chiede alla Corte Costituzionale di fare luce sull’operato dei ministri
Nuovo sviluppo nel cosiddetto caso Almasri: Biel Rouei Lam Magok, sopravvissuto alle torture del militare libico 1, il 17 ottobre scorso ha chiesto alla Corte Costituzionale di intervenire dopo che la Camera dei Deputati ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Nordio, Piantedosi e del sottosegretario Mantovano. La decisione della Camera era arrivata lo scorso 9 ottobre, suscitando forti polemiche. Notizie CASO ALMASRI: LAM MAGOK DENUNCIA IL GOVERNO ITALIANO PER “FAVOREGGIAMENTO” «Il Governo mi ha reso vittima una seconda volta» Redazione 4 Febbraio 2025 Gli avvocati Francesco Romeo e Antonello Ciervo, difensori di Lam Magok, hanno depositato un’istanza presso il Tribunale dei Ministri per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, chiedendo che sia la Corte Costituzionale a stabilire la legittimità del voto parlamentare. «Con questa istanza chiediamo al Tribunale dei Ministri di rivolgersi alla Corte Costituzionale per stabilire che la Camera non aveva il potere di negare l’autorizzazione a procedere, perché ha agito in assenza dei presupposti previsti dalla legge costituzionale n. 1 del 1989», spiega l’avvocato Romeo, dello staff legale di Baobab Experience. La legge prevede che il Parlamento possa bloccare un processo contro un ministro solo se questi agisce a tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per perseguire un interesse pubblico preminente nell’esercizio delle sue funzioni. Secondo la difesa di Lam Magok, nel caso dei ministri coinvolti nessuno di questi presupposti sussisteva. Nella relazione di maggioranza della Camera «non si individua quale sarebbe l’interesse dello Stato costituzionalmente rilevante – denuncia Romeo – Si fa solo riferimento a un generico timore di ritorsioni ai danni di cittadini italiani in Libia, a possibili rischi per le forniture di gas e alla preoccupazione rispetto a boicottaggi nella cooperazione contro l’immigrazione clandestina». Non solo mancherebbero prove concrete dei rischi, ma secondo Romeo non è stata valutata alcuna alternativa lecita e proporzionata rispetto all’espulsione lampo di Almasri con volo di Stato. «Nordio, Piantedosi e Mantovano hanno agito nell’ambito esclusivo delle proprie competenze, senza alcuna deliberazione del Consiglio dei Ministri, come invece richiede la legge per giustificare un interesse pubblico preminente», sottolinea l’avvocato. Il legale evidenzia anche come la relazione della maggioranza non abbia considerato gli obblighi internazionali dell’Italia verso la Corte Penale Internazionale. «L’esecuzione di un obbligo internazionale in materia di cooperazione giudiziaria con la CPI è stata completamente sacrificata sull’altare dell’interesse pubblico a preservare rapporti economici e diplomatici con la Libia, con Almasri e la sua milizia armata: una scelta arbitraria e illecita», denuncia il legale. Lam Magok, riconosciuto persona danneggiata dalle condotte dei ministri e del sottosegretario, commenta: «Per paura di danni ai gasdotti italiani e per timore di incrinare i rapporti tra Italia e Libia, i ministri hanno liberato e riportato a Tripoli un uomo ricercato dalla CPI per crimini di guerra e contro l’umanità, l’uomo che ha torturato me e tante altre persone». «Ma l’interesse di un Paese non può in nessun modo coincidere con il sacrificio di migliaia di esseri umani», conclude Magok. L’iniziativa segna un nuovo passo nella battaglia legale per ottenere verità e giustizia, sottolineando i limiti dell’atto politico e il rispetto dei principi dello Stato di diritto. 1. Caso Almasri: depositata al Tribunale dei Ministri la memoria che accusa l’Italia di aver protetto un criminale ↩︎
La parola a Refugees in Libya: «Stop Memorandum!»
FRANCESCO LORINI 1 Il 2 febbraio 2017 veniva firmato a Roma il Memorandum of Understanding (MoU) fra il governo libico del generale Fayez Mustafa Serraj e il governo italiano a guida PD del presidente Gentiloni. A tale firma si era arrivati grazie al lavoro del ministro dell’Interno italiano Marco Minniti, con l’obiettivo di avviare la “cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere”. Approfondimenti MEMORANDUM ITALIA-LIBIA, UN PATTO DI VIOLAZIONI E ABUSI Il 2 novembre l’accordo sarà rinnovato. Refugees in Libya: manifestiamo a Roma il 18 ottobre Carlotta Zaccarelli 29 Settembre 2025 Uno dei principali intenti era quello dell’“adeguamento e finanziamento dei centri di accoglienza già attivi nel rispetto delle norme pertinenti, usufruendo di finanziamenti disponibili da parte italiana e di finanziamenti dell’Unione Europea. La parte italiana contribuisce, attraverso la fornitura di medicinali e attrezzature mediche per i centri sanitari di accoglienza, a soddisfare le esigenze di assistenza sanitaria dei migranti illegali, per il trattamento delle malattie trasmissibili e croniche gravi” 2. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: con il sostegno finanziario dell’Italia, dell’Unione Europea e il coordinamento di Frontex, il MoU ha formato, finanziato ed equipaggiato le milizie libiche, che hanno sistematicamente rapito, detenuto arbitrariamente, torturato, ridotto in schiavitù, ucciso e violentato persone migranti e rifugiate in quei “centri di accoglienza” che, fuori da ogni controllo, si sono rivelati essere «la porta dell’inferno» (secondo la definizione data da chi è riuscito fortunosamente a uscirne). I finanziamenti italiani e comunitari hanno sostenuto l’acquisto di armi, attrezzature e motovedette della sedicente Guardia costiera libica, che solo pochi giorni fa – come riportato da queste pagine – ha aperto il fuoco su un’imbarcazione di migranti in zona SAR maltese, ferendone gli occupanti, uno dei quali è ora in fin di vita per un proiettile che lo ha colpito alla testa. Notizie LE FORZE LIBICHE SPARANO SULLE PERSONE MIGRANTI IN FUGA NEL MEDITERRANEO CENTRALE La denuncia di Alarm Phone e Mediterranea, ma le autorità italiane ed europee restano a guardare Redazione 16 Ottobre 2025 L’accordo tra Italia e Libia ha durata triennale e si rinnova tacitamente ogni tre anni, a meno di disdetta entro tre mesi dalla scadenza. Da allora è stato rinnovato da tutti i governi italiani che si sono succeduti, indipendentemente dal loro colore politico. È per questo che sabato 18 ottobre 2025, i militanti di Refugees in Libya, un gruppo di persone che sono riuscite a mettersi in salvo dai lager libici e dagli aguzzini che li hanno torturati per mesi, hanno dato voce a una richiesta forte e chiara: il memorandum va fermato. PH: Clara Marnette Sul palco, donne, uomini e bambini provenienti dal Sudan, dall’Eritrea e da altri paesi africani avevano in comune il trauma subito nelle carceri libiche: nessuno di loro ha dimenticato chi ancora oggi lotta per la sopravvivenza in condizioni disumane sull’altra sponda del Mediterraneo. Con il titolo Stage of Survivors hanno messo in scena la rappresentazione del processo ai responsabili delle loro sofferenze e di tutte le persone transitate o ancora detenute nei campi libici: ministri e sottosegretari, per ognuno dei quali viene formalizzato il capo d’imputazione. Dal palco hanno così ripercorso, in qualità di testimoni, le violenze viste e subite durante la detenzione in Libia. Un’azione che guarda e non dimentica chi ha avuto meno fortuna di loro e si trova ancora rinchiuso in un carcere al di là del Mediterraneo, ma al tempo stesso è rappresentazione del coraggio di denunciare gli abusi subiti a voce alta – anche se a volte rotta dal pianto – per quelle ferite dell’anima che spesso sono molto più difficili da cicatrizzare di quelle sui corpi. Un’azione che è volontà di denunciare un sistema ben descritto da Mamadou, il quale paragona il MoU a un grande banchetto in cui i rifugiati sono il piatto di portata: «Perché – ha spiegato – in Libia le persone vengono vendute come il pane». La manifestazione si è chiusa con vari interventi dal palco delle realtà che, a vario titolo, supportano Refugees in Libya, fra le quali il JLProject, un collettivo che realizza indagini forensi per aiutare persone raccolte in mare e respinte in Libia, al fine di richiedere all’autorità giudiziaria il riconoscimento del respingimento illegale e la condanna dell’Italia al rilascio di visti d’ingresso per motivi umanitari alle vittime. La settimana di mobilitazione, anche se non riuscirà nell’intento di far cessare l’accordo, è stata per gli organizzatori un momento significativo di presa di parola collettiva. Lo Stage of Survivors ha condannato quattro ministri italiani per crimini contro l’umanità a causa del loro sostegno agli attori criminali in Libia e in mare. Nessuno, un giorno, potrà dirsi innocente o affermare di non sapere ciò che avveniva in mare e sull’altra sponda del Mediterraneo. PH: Clara Marnette 1. Attivista della scuola di italiano Libera La Parola di Trento ↩︎ 2. Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana ↩︎
Le forze libiche sparano sulle persone migranti in fuga nel Mediterraneo centrale
Nel primo pomeriggio del 12 ottobre 2025, il telefono SOS di Alarm Phone riceve una chiamata dal Mediterraneo centrale: un gruppo di circa 150 persone è in fuga dalla Libia su un peschereccio, alcuni gridano che stanno sparando su di loro 1 . «Ci stanno colpendo con proiettili veri», ripetono agli operatori, «sono una milizia libica!». Alle 13:30, il segnale GPS colloca l’imbarcazione in acque internazionali, nella zona di ricerca e soccorso (SAR) di Malta. Nonostante le segnalazioni inviate immediatamente alle autorità italiane e maltesi, nessuno interviene. Per più di dodici ore, nessuna nave della Guardia costiera, nessun elicottero, nessun mezzo ufficiale si avvicina al peschereccio sotto attacco. Secondo il resoconto pubblicato da Alarm Phone, le milizie libiche non si limitano a sparare. Rimangono accanto alla barca per ore, la speronano più volte, rischiando di capovolgerla. «Ci stanno uccidendo, per favore aiutateci», gridano le persone al telefono. Nel tardo pomeriggio, un nuovo messaggio: «Una persona è morta, tre sono ferite». Le autorità continuano a tacere. Solo la mattina del 13 ottobre si scopre che il gruppo è stato infine soccorso dalla Guardia costiera italiana e poi sbarcato a Pozzallo. Ma il bilancio è pesante: una persona è in coma, con un proiettile conficcato nel cranio, e almeno altre due sono gravemente ferite. «Siamo sconvolti da un altro crimine di frontiera nel Mediterraneo centrale», denuncia Alarm Phone. «Le milizie libiche, finanziate e legittimate dall’Unione europea, agiscono con aggressività e impunità in mare, mentre le autorità italiane e maltesi violano sistematicamente le leggi del mare». Poche ore dopo lo sbarco, arriva anche la denuncia di Mediterranea Saving Humans. L’organizzazione, presente al porto di Pozzallo, parla di un intervento tardivo e di una catena di responsabilità precisa. «Una persona, con una pallottola nel cranio, è in coma e sta lottando tra la vita e la morte», scrive Mediterranea in un comunicato. «Altre due risultano gravemente ferite, al volto e a una mano, vittime dei colpi sparati da una motovedetta libica». Il gruppo di 140 persone è arrivato in Sicilia dopo 24 ore di attesa, «inascoltati per un giorno intero», dice l’organizzazione. «Insieme ad Alarm Phone avevamo avvisato le autorità italiane fin dal pomeriggio di ieri (12 ottobre ndr.), ma solo oggi (13 ottobre ndr.), con ventiquattr’ore di ritardo dalla tragica sparatoria, sono partiti i soccorsi». «La persona ora in fin di vita poteva essere raggiunta subito da un elicottero maltese o italiano», aggiungono. «Se dovesse finire diversamente, di fronte alla scelta di omettere un necessario soccorso urgente, sappiamo di chi sono le responsabilità». Per Mediterranea, si tratta di un altro episodio in una guerra dichiarata contro i migranti: «Erano in 140 a bordo di un motopeschereccio e cercavano di sfuggire alla guerra contro i migranti in corso in Libia, finanziata dal governo italiano, da quello maltese e dalle istituzioni dell’Unione Europea». L’episodio rientra in un modello ormai consolidato. Le milizie e le forze libiche, sostenute economicamente e politicamente dall’Unione europea, agiscono come una vera e propria polizia di frontiera delegata. I loro compiti: intercettare le persone migranti prima che raggiungano le coste europee e togliere di mezzo i testimoni scomodi come le Ong del mare. «Con il sostegno dell’Ue e dei suoi Stati membri», scrive Alarm Phone, «le milizie libiche si sono trasformate in una brutale forza di frontiera che opera con impunità». Mediterranea punta il dito contro la cooperazione istituzionale: «Il diritto internazionale è carta straccia per i governi che permettono e coprono tutto questo», si legge nel comunicato. «Alla vigilia del rinnovo del famigerato Memorandum Italia-Libia, chiediamo al Parlamento italiano di istruire finalmente un dibattito serio sulla necessità di non rinnovare un patto scellerato con degli assassini». IL MEMORANDUM CHE NON SI FERMA Il centrosinistra in Parlamento ha chiesto di fermare gli accordi con Tripoli, ma il Memorandum Italia-Libia, anche quest’anno, verrà rinnovato. Nonostante le continue denunce di attacchi e violenze da parte della Guardia costiera libica, grazie alle motovedette e all’addestramento fornito dall’Italia, il patto firmato nel 2017, quando al Viminale c’era Marco Minniti, continuerà a valere dal 2 novembre. Il termine ultimo per fermare il rinnovo automatico sarebbe stato proprio quel giorno, ma ieri – 15 ottobre – la Camera ha respinto le due mozioni delle opposizioni che chiedevano lo stop alla cooperazione con Tripoli. La mozione a prima firma Elly Schlein del PD, sottoscritta anche da Avs, Iv e Più Europa, proponeva di «non procedere a nuovi rinnovi automatici del Memorandum con la Libia, sospendendo immediatamente ogni forma di cooperazione tecnica, materiale e operativa che comporti il ritorno forzato di persone verso il territorio libico». Un testo simile, presentato dal Movimento 5 Stelle, chiedeva «l’interruzione del rinnovo automatico al fine di procedere alla sua revisione». Entrambe sono state bocciate. È invece passata, con 153 voti favorevoli, 112 contrari e 9 astensioni, la mozione della maggioranza che impegna il governo a «proseguire la strategia di contrasto ai trafficanti e di prevenzione delle partenze dalla Libia, fondata sul Memorandum del 2017». Mentre si conferma la linea della continuità, nel Mediterraneo centrale continuano gli spari e i respingimenti: non si tratta solo di effetti collaterali, ma di un vero e proprio sostegno del Parlamento. E’ qui che siedono i mandanti di queste violenze. 1. La cronologia degli avvenimenti è disponibile in questa ricostruzione di Alarm Phone del 13 ottobre: Stop the shootings at sea! ↩︎
Italia-Libia, Human Rights Watch chiede la fine del patto sui controlli alle frontiere
Tra meno di un mese, il memorandum d’intesa tra Italia e Libia 1 sulla cooperazione in materia di migrazione 2 si rinnoverà automaticamente. Otto anni dopo la sua firma nel 2017, il bilancio di questo accordo è drammatico: decine di migliaia di persone intercettate in mare, riportate in Libia e consegnate a detenzioni arbitrarie, torture, violenze sessuali e abusi quotidiani. Eppure l’Italia e l’Unione Europea sembrano pronte a continuare su questa strada, ignorando le evidenze. Human Rights Watch (HRW) non usa mezzi termini: l’accordo è ““Il Memorandum di intesa Italia-Libia si è rivelato un quadro di riferimento per la violenza e la sofferenza, e dovrebbe essere revocato, non rinnovato””. La cosiddetta “Guardia Costiera libica“, sostenuta dall’Italia con mezzi tecnici e finanziari, opera in un contesto di conflitto e frammentazione politica, dove milizie e forze statali si intrecciano con reti di traffico e contrabbando. Chi viene intercettato in mare non trova sicurezza: trova detenzione, fame, violenze fisiche e sessuali, lavori forzati e negazione dei diritti fondamentali. Negli ultimi mesi, le motovedette donate dall’Italia 3 hanno addirittura aperto il fuoco contro navi di ricerca e soccorso come Ocean Viking e Sea-Watch, confermando che la complicità italiana non riguarda solo i respingimenti, ma anche la messa in pericolo dei naufraghi e delle organizzazioni. Eppure, l’Europa sostiene queste stesse forze, con la sorveglianza di Frontex e investimenti milionari per il contenimento dei flussi migratori. Uno degli episodi più gravi e preoccupanti è avvenuto nel primo pomeriggio del 12 ottobre 2025 quando Alarm Phone (AP) 4 ha ricevuto una chiamata da un gruppo di circa 100-150 persone che stavano cercando di fuggire dalla Libia su un peschereccio. «Ci hanno ripetutamente detto che erano stati colpiti da colpi di arma da fuoco sparati da un’imbarcazione non identificata», denuncia AP. «Hanno identificato i responsabili come una milizia libica. La loro posizione GPS alle 13:30 CEST li collocava in acque internazionali, nella zona di ricerca e soccorso maltese (N34 50, E015 54)». «Sebbene non sia possibile verificare chi abbia attaccato il gruppo di persone in fuga,» – continua Alarm Phone – «questo comportamento indica che potrebbe trattarsi della milizia libica, come identificato dalle persone a bordo». «Le organizzazioni della società civile, tra cui Refugees in Libya, un gruppo di sopravvissuti alla violenza contro le persone migranti in Libia,» scrive HRW, «si stanno mobilitando contro l’accordo Italia-Libia e chiedono all’UE di sospendere ogni cooperazione in materia di migrazione con la Libia». È una richiesta che mette al centro la vita e la dignità delle persone, non le logiche securitarie che hanno trasformato il Mediterraneo centrale in un cimitero a cielo aperto. Per denunciare questa politica di esternalizzazione e brutalizzazione delle frontiere europee, Refugees in Libya ha lanciato un appello a una mobilitazione comune a Roma il 18 ottobre alle 14:00 in Piazza Santi Apostoli. Approfondimenti/In mare MEMORANDUM ITALIA-LIBIA, UN PATTO DI VIOLAZIONI E ABUSI Il 2 novembre l’accordo sarà rinnovato. Refugees in Libya: manifestiamo a Roma il 18 ottobre Carlotta Zaccarelli 29 Settembre 2025 “Il continuo sostegno alle forze illegali e irresponsabili in Libia è indifendibile”, afferma Judith Sunderland, direttrice associata per l’Europa e l’Asia centrale di Human Rights Watch. “L’UE e tutti i suoi Stati membri, compresa l’Italia, dovrebbero smettere di finanziare e legittimare la violenza contro i migranti e riorientare radicalmente le loro politiche mediterranee per dare priorità al soccorso in mare e a percorsi migratori sicuri e legali”. 1. A questo link il Memorandum ↩︎ 2. Cos’è e cosa prevede il Memorandum Italia-Libia, Lenius ↩︎ 3. Already Complicit in Libya Migrant Abuse, EU Doubles Down on Support, HRW (febbraio 2023) ↩︎ 4. Alarm Phone (formalmente Watch The Med – Alarm Phone) è una rete di attivisti e volontari creata nel 2014, che gestisce una linea telefonica di emergenza per le persone migranti in difficoltà durante le traversate nel Mar Mediterraneo (e in parte anche lungo le rotte atlantiche e balcaniche) ↩︎
Dentro e fuori i confini: la campagna contro i rimpatri mascherati e il memorandum Italia-Libia
Un ritorno non è mai davvero “volontario” se la scelta nasce dietro le sbarre di una prigione dopo minacce, violenze o torture, in un Paese dove non esiste tutela dei diritti e ogni giorno si rischia la vita. È con questa consapevolezza che decine di associazioni hanno dato vita nel marzo scorso alla campagna Voluntary Humanitarian Refusal e che lunedì 27 settembre è stata presentata presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati Camera dei Deputati da ActionAid, A Buon Diritto, ASGI, Differenza Donna, Le Carbet, Lucha y Siesta e Spazi Circolari.  In pochi mesi, la campagna ha raccolto 64 adesioni collettive e oltre 300 individuali, trasformandosi in un osservatorio e in una denuncia pubblica contro i cosiddetti programmi di “rimpatrio volontario” dalla Libia e dalla Tunisia. «Molto spesso – ha spiegato Adelaide Massimi di ASGI – i programmi di rimpatrio volontario assistito vengono realizzati in condizioni che non permettono una scelta realmente libera. Non si può parlare di volontarietà quando la decisione avviene in un centro di detenzione, senza alternative e sotto la minaccia di violenze. Il ritorno dovrebbe essere una possibilità tra altre vie di protezione, non l’unica opzione dopo mesi o anni di privazioni. Eppure questo è ciò che accade: una scelta fatta in condizioni di estrema vulnerabilità viene presentata come libera, quando in realtà non lo è affatto». La campagna non si limita a denunciare. Ha individuato tre priorità: interrompere i finanziamenti italiani ai rimpatri dai Paesi di transito, fermare gli accordi di esternalizzazione delle frontiere – a cominciare dal memorandum Italia-Libia, in scadenza a febbraio 2026 – e pretendere trasparenza nell’uso dei fondi pubblici. Dietro la parola “volontario” ci sono cifre che raccontano altro. Roberto Sensi di ActionAid ha ricostruito i contorni di un sistema consolidato: «Dal 2019 ad oggi il Fondo Africa, poi ribattezzato Fondo Migrazione, ha finanziato con 468 milioni di euro programmi di esternalizzazione. Sono risorse ingenti, che dovrebbero andare a protezione, a inclusione, a garantire percorsi di accoglienza degni. Invece vengono utilizzate per il controllo delle frontiere, per rafforzare governi o milizie nei Paesi di transito. Non solo: questi strumenti mancano di trasparenza, non hanno un reale scrutinio parlamentare e vengono gestiti in maniera opaca. È come se il Parlamento fosse tenuto all’oscuro, mentre milioni scorrono verso progetti che incidono sulla vita di migliaia di persone». Sensi ha sottolineato che «quando parliamo di questi fondi, non dobbiamo pensare a un dettaglio tecnico. Parliamo di scelte politiche che toccano la vita quotidiana di chi fugge da guerre, persecuzioni o povertà estrema. Se un Paese democratico decide di investire quasi mezzo miliardo non per salvare vite ma per allontanarle, allora dobbiamo avere il coraggio di dirlo chiaramente. Questi non sono rimpatri volontari, sono espulsioni mascherate da umanitarie». Dal lato giuridico, ASGI ha chiarito che «i rimpatri cosiddetti volontari dalla Libia e dalla Tunisia sono in realtà espulsioni coatte. È importante ribadirlo: la nozione di volontarietà non può esistere in un contesto di detenzione arbitraria, violenza diffusa, assenza totale di protezione. La scelta del ritorno non è libera, ma obbligata. Ed è l’Italia, finanziando e sostenendo queste pratiche, a rendersi corresponsabile delle violazioni». Le esperte legali hanno spiegato che questi programmi violano principi internazionali fondamentali: «Il consenso deve essere informato, libero, consapevole. Non lo è quando viene estorto con la minaccia di torture o con l’assenza di alternative reali. La persona non sceglie di tornare, sceglie di sopravvivere. Ma sopravvivere non può essere scambiato per una decisione autonoma. Qui la legge è calpestata due volte: una prima volta nei centri di detenzione, una seconda volta quando l’Italia legittima quelle pratiche chiamandole cooperazione». La forza della conferenza stampa è arrivata soprattutto dalla testimonianza diretta. Salahdine Juma, attivista del collettivo Refugees in Libya, ha raccontato la sua esperienza: «Dopo mesi nei centri di detenzione, le persone non hanno alcuna possibilità di decidere. Le opzioni sono solo due: accettare di tornare indietro o continuare a soffrire. Ho visto uomini e donne costretti a firmare moduli che non capivano, sotto la minaccia delle guardie. Ho visto famiglie divise, amici scomparsi. Questo non è un ritorno volontario, è un ritorno forzato». Poi ha aggiunto: «Quando sei in prigione, non hai il tempo di riflettere, non hai la possibilità di informarti, non hai nemmeno la forza fisica e psicologica per resistere. La firma diventa una resa: non al tuo destino, ma al sistema che ti schiaccia. E questo sistema ha una responsabilità precisa, perché è sostenuto da governi che parlano di cooperazione ma che in realtà finanziano la detenzione. Io ho visto con i miei occhi torture, persone vendute a gruppi armati, giovani donne costrette a subire violenze. Non si può pensare di costruire politiche migratorie sulla pelle di queste vite». Il suo appello conclusivo alle istituzioni ha toccato il famigerato accordo tra Italia e Libia: «Tra pochi mesi il governo dovrà decidere se rinnovare il Memorandum con la Libia. Io vi chiedo di dire no. È un accordo che ha rafforzato trafficanti e milizie, che ha reso le carceri libiche ancora più piene, che ha trasformato i corpi delle persone migranti in merce di scambio. Ho vissuto sulla mia pelle torture e violenze. La vita umana non è negoziabile. Ogni volta che un Paese europeo rinnova un patto con la Libia, rinnova la condanna di migliaia di persone a nuove sofferenze. Non possiamo più permetterlo». Il Memorandum Italia-Libia, firmato nel 2017 e già rinnovato una volta, ha istituzionalizzato i respingimenti in mare e legittimato l’intervento della Guardia costiera libica, composta in larga parte da milizie. «È un patto che viola il diritto internazionale – hanno ricordato le associazioni -. Non esiste una versione umanitaria di un respingimento. Non possiamo continuare a chiamare cooperazione quello che, nella realtà, è complicità in violazioni sistematiche». La parlamentare Rachele Scarpa del Partito Democratico ha ringraziato le associazioni «per aver fatto luce su un sistema che si nasconde dietro l’etichetta dell’umanitario». Ha poi detto: «Oggi vediamo con chiarezza come l’esternalizzazione delle frontiere e la criminalizzazione del soccorso in mare abbiano prodotto violazioni, morti e sofferenze. Non esiste una versione buona di un respingimento. Serve cambiare rotta, costruire vie legali e politiche di protezione. Perché la storia recente ci dice che chiudere i porti non ha mai fermato le partenze, ha solo moltiplicato le tragedie». Scarpa ha insistito anche sul tema della trasparenza: «Il Parlamento non può restare spettatore. Non possiamo accettare che milioni di euro vengano spesi senza alcun controllo democratico. Le politiche migratorie devono essere discusse, valutate e condivise. Altrimenti rischiamo di ritrovarci in un paradosso: difendere la democrazia in casa nostra violandola nei rapporti internazionali. La vera sicurezza nasce da diritti rispettati, non da accordi opachi firmati con regimi o milizie». «Se l’Italia continuerà a finanziare questi programmi – ha ribadito Roberto Sensi – sarà complice delle violazioni. Ma esiste un’alternativa: investire in accoglienza, inclusione, corridoi umanitari, vie legali di ingresso. Questa è la vera protezione, questa è la via che può restituire dignità e sicurezza alle persone». La campagna Voluntary Humanitarian Refusal non si fermerà qui: «Vogliamo allargare ancora di più la mobilitazione. Perché smontare la retorica del ritorno volontario è fondamentale: dietro una falsa etichetta umanitaria si nascondono violenza e respingimenti. Più voci si uniranno, più sarà difficile ignorarci». Il tempo stringe e solo un vero dibattito pubblico e una forte mobilitazione della società civile potrebbero, entro novembre, cambiare le sorti di un rinnovo dell’accordo con Tripoli che appare scontato. Una mobilitazione è stata fissata per sabato 18 ottobre a Roma alle ore 14 a Piazza Santi Apostoli. «Se non si agirà entro il 2 novembre – si legge nell’appello promosso da Refugees in Libya – questo accordo criminale e sanguinoso sarà automaticamente prorogato per altri tre anni, e gli abusi continueranno. L’esternalizzazione e la brutalizzazione del regime di frontiera dell’UE devono cessare. Per questo chiamiamo a una mobilitazione comune in ottobre a Roma». L’appello è sostenuto da una coalizione internazionale che include Refugees in Tunisia, Refugees in Niger, Abolish Frontex, Amnesty International Italia, ASGI, EMERGENCY, Borderline-Europe e molte altre realtà impegnate nella difesa dei diritti.
Memorandum Italia-Libia, un patto di violazioni e abusi
Da gennaio ad agosto 2025 sono stati registrati 42.693 arrivi via mare, secondo l’UNHCR 1. Negli stessi mesi, 1.126 persone sono morte o scomparse nel mar Mediterraneo (escludendo la sua parte occidentale): 814 sono le vittime della Rotta Centrale. Il punto di arrivo per maggior parte di queste persone è Lampedusa (che accoglie il 75% degli approdi). Il punto di partenza per l’88% di loro, la Libia. Il 2 novembre 2025 si dovrebbe rinnovare il Memorandum d’intesa 2 sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione irregolare, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica italiana 3. Si tratta del documento principale attraverso il quale Roma finanzia il sistema di abuso delle persone messo in atto dalle autorità, ufficiali o meno, di Tripoli. Il Memorandum è stato firmato il 2 febbraio 2017 dal presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni e dal primo ministro del Governo di Accordo Nazionale libico Fayez al-Serraj 4. L’Accordo è stato fortemente sostenuto dal ministro dell’Interno Marco Minniti. Entrambi gli esponenti italiani erano in quota Partito Democratico. Il Patto si rinnova ogni 3 anni: è stato rinnovato nel 2020 e poi, per tacito accordo, nel 2022. Prevede che l’Italia supporti la Libia nella gestione delle persone dirette in Europa attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, quella che obbliga l’approdo in territorio italiano. Tradotto: il Memorandum è il modo in cui Roma fornisce risorse economiche, strategiche e materiali affinché Tripoli blocchi sul suo suolo chi vorrebbe partire per l’Europa. “Fermateli in Libia”, dice in sostanza l’Italia. “Noi addestriamo la vostra Guardia costiera, le diamo imbarcazioni, motovedette, equipaggiamenti e forse armi. Vi diamo fondi per amministrare i centri di detenzione. Vi supportiamo nel controllo delle vostre frontiere terrestri (perché altre persone non entrino) e marittime (perché altre persone non partano). Supportiamo anche il vostro processo di pacificazione nazionale. Ma voi fermateli a casa vostra”. Un documento che nasce da un simile intento “espulsorio” porta inevitabilmente con sé molte zone d’ombra 5. Non si capisce, ad esempio, quanti soldi Roma abbia trasferito a Tripoli nel contesto del Memorandum. Nel 2023, un articolo di Repubblica parlava di circa 124 milioni di euro 6, ma si tratta di una cifra mai confermata. Non ci sono canali o fonti ufficiali che chiariscano un nodo fondamentale come quello del sostegno economico. Cosa potrebbe fare la Guardia costiera libica senza le motovedette comprate coi finanziamenti italiani? O come si reggerebbe l’intera struttura dei centri di detenzione? Altra questione aperta riguarda la cosiddetta Guardia costiera libica, un ammasso di uomini armati spesso provenienti dalle diverse milizie che controllano i porti. L’addestramento e il supporto materiale che l’Italia fornisce a quest’autorità ufficiosa (se non illegale) equivalgono a complicità nelle violazioni dei diritti umani commesse dai miliziani. Sistematico, in particolare, è il mancato rispetto del principio di non-refoulement, per cui una persona non può essere respinta o deportata in un Paese in cui la sua vita è a rischio. Notizie FONDI EUROPEI ALLA GUARDIA COSTIERA LIBICA 42 organizzazioni chiedono lo stop alla complicità dell’UE Redazione 24 Settembre 2025 A giugno 2025 la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto il ricorso del Governo italiano contro la nave di soccorso Humanity 1, ricorso relativo a una sentenza del Tribunale civile di Crotone che dichiarava il Centro di Coordinamento del Soccorso e la Guardia costiera libica soggetti illegittimi per le operazioni SAR perché responsabili di violazioni dei diritti umani. Giurisprudenza italiana/Notizie LA GUARDIA COSTIERA LIBICA NON È UN SOGGETTO LEGITTIMO PER LE OPERAZIONI SAR Lo conferma una sentenza italiana: respinta l'istanza del governo contro Humanity 1 16 Giugno 2025 La stessa Guardia costiera libica è d’altronde nota per sparare contro persone e navi delle ONG, inseguire imbarcazioni anche in acque internazionali (dove non ha giurisdizione) e riportare chi fugge nei centri di detenzione libici. Proprio i centri di trattenimento e la responsabilità diretta o indiretta di Roma nella loro sopravvivenza sono il più preoccupante effetto del Memorandum Italia-Libia. Questi centri sono luoghi di sistematica offesa alla dignità umana e di ripetute violazioni dei diritti fondamentali. Inchieste giornalistiche, report di organizzazioni come Refugees in Libya, Medici senza frontiere, Amnesty International, oltre a fotografie, video e testimonianze, li descrivono come veri campi di concentramento a cielo aperto: persone ammassate, affamate, assetate, in attesa di essere picchiate, torturate, violentate, uccise o dimenticate. Esistono le testimonianze di chi è sopravvissuto e racconta come questi centri siano mercati di corpi e di manodopera, dove persone libere diventano schiave. Eppure, l’Italia non ha mai opposto resistenze concrete al sistema di detenzione libico. Nel 2019, alla vigilia del primo rinnovo del Memorandum, Roma chiese la riunione della Commissione congiunta Italia-Libia per modificare l’intesa. L’obiettivo dichiarato era quello di contrastare le violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione. Tripoli accettò, ma la discussione non produsse alcuna conseguenza pratica: le carceri libiche rimasero cimiteri viventi. Allo stesso modo, la connivenza di Roma con la Guardia costiera libica è stata più volte segnalata ai tribunali nazionali e internazionali. L’Italia è stata condannata in riferimento al principio di non-refoulement, ma sdegno e sentenze non hanno cambiato nulla 7 . L’Unione Europea si muove infatti in linea con l’Italia: il Memorandum è uno strumento per concretizzare la politica migratoria europea, fondata sull’esternalizzazione delle frontiere. E non solo: Roma sembra legata ad alcuni dei peggiori criminali libici. A gennaio 2025 è stato arrestato in Italia Omar Almasri 8, capo della polizia libica ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità (anche contro le persone migranti). Due giorni dopo il fermo, è stato rilasciato e rimpatriato con un volo di Stato italiano. La motivazione ufficiale: un vizio procedurale e la pericolosità sociale di Almasri. Il risultato: un criminale ricercato per gravi violazioni dei diritti umani è tornato libero di perpetrare i suoi reati, con l’appoggio opaco ma evidente delle autorità italiane 9. A seguito dell’episodio, la premier Meloni è stata indagata per favoreggiamento e peculato, insieme al ministro dell’Interno Piantedosi, al ministro della Giustizia Nordio e al sottosegretario alla sicurezza Alfredo Mantovano. Le accuse contro Meloni sono cadute, mentre per gli altri tre il Tribunale dei Ministri ha chiesto il rinvio a giudizio. Il Parlamento si esprimerà a fine ottobre. Un’altra presenza controversa è quella di Abdel Ghani al-Kikli, conosciuto come Gheniwa. Dal 2021 è a capo dello Stability Support Apparatus, milizia attiva in mare e a terra. Numerose ong, come Refugees in Libya 10 e Amnesty International 11, lo accusano di torture, stupri ed esecuzioni extragiudiziali nei centri di detenzione. Il Centro europeo per i diritti umani e costituzionali ha presentato alla Corte penale internazionale un dossier che documenta oltre 500 episodi di violenza riconducibili a lui. Eppure, al-Kikli in Italia non viene mai fermato. A marzo 2025 è arrivato a Fiumicino con una delegazione ufficiale per fare visita al ministro libico Adel Jumaa Amer, ricoverato a Roma. È ripartito indisturbato, come già accaduto nel 2024, quando aveva partecipato alle finali del campionato di calcio libico ospitate a Roma su iniziativa del Governo Meloni. In quell’occasione, gli accordi con Tripoli avevano previsto 5 nuove imbarcazioni per la Guardia costiera libica e 8 miliardi di dollari per aumentare la produzione di gas destinato al mercato interno libico e all’esportazione verso l’Europa 12. Erano stati accompagnati da dichiarazioni di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia. Da questo punto di vista, Meloni è stata di parola: non ha mai ostacolato Tripoli. Con ogni probabilità, quindi, il 2 novembre 2025 si rinnoverà il Memorandum Italia-Libia. E altre persone moriranno in Libia e nel Mediterraneo centrale, con la complicità dell’Italia. «Se non si agirà entro il 2 novembre,» – si legge nell’appello promosso da Refugees in Libya – «questo accordo criminale e sanguinoso sarà automaticamente prorogato per altri tre anni, e gli abusi continueranno. L’esternalizzazione e la brutalizzazione del regime di frontiera dell’UE devono cessare. Per questo chiamiamo a una mobilitazione comune in ottobre a Roma». L’appello è sostenuto da una coalizione internazionale che include Refugees in Tunisia, Refugees in Niger, Abolish Frontex, Amnesty International Italia, ASGI, EMERGENCY, Borderline-Europe, e molte altre realtà impegnate nella difesa dei diritti. La data è il 18 ottobre a Roma ore 14:00 in P.zza Santi Apostoli. 1. Mediterraneo centrale, UNHCR: ad agosto arrivi stabili e nuovi incidenti, UNHCR (3 settembre 2025) ↩︎ 2. Memorandum d’intesa (MoU) con la Libia ↩︎ 3. Cos’è e cosa prevede il Memorandum Italia-Libia, Lenius ↩︎ 4. Memorandum di intesa tra Italia e Libia firmato a Roma il 2 Febbraio 2017 (1/2017), Osservatorio sulle fonti ↩︎ 5. Il Memorandum e le responsabilità italiane, Il Manifesto (marzo 2025) ↩︎ 6. Qui l’articolo ↩︎ 7. Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla politica di “pullback” tra Italia e Libia — S.S. e altri c. Italia, Asgi (giugno 2025). ↩︎ 8. Almasri, il portavoce di Refugees in Libya: “Un criminale, questa non è giustizia”, alanews (gennaio 2025) ↩︎ 9. Da Israele alla Libia, l’Italia Protegge Presunti Criminali di Guerra, HRW (gennaio 2025) ↩︎ 10. The killing of Abdul Ghani al-Kikli may be a turning point for Libya, Refugees in Libya (maggio 2025) ↩︎ 11. Libya: Government of National Unity must ensure militia leaders are held to account after outbreak of violence in Tripoli, Amnesty International (maggio 2025) ↩︎ 12. Meloni a Tripoli, patto sul gas e trattativa sui migranti, Ansa (gennaio 2023) ↩︎
Spari contro la Sea-Watch 5 con motovedette donate dall’Italia
Nella notte del 26 settembre, una motovedetta della cosiddetta guardia costiera libica ha aperto il fuoco contro la nave di soccorso Sea-Watch 5, impegnata in un’operazione di salvataggio di 66 persone nel Mediterraneo centrale. Nessuno tra i naufraghi e l’equipaggio è rimasto ferito, ma l’episodio è un altro chiaro segnale delle intimidazioni contro le Ong impegnate in attività SAR e dell’impunità che godono i miliziani libici.  Secondo quanto riferito dall’organizzazione, a sparare è stata la Corrubia Class 660, una motovedetta ceduta dall’Italia a Tripoli nel 2018. Tutto è iniziato quando la milizia libica ha ordinato via radio alla Sea-Watch 5 di interrompere l’operazione e virare verso nord. «Poiché ciò avrebbe comportato l’interruzione del salvataggio – ha spiegato l’equipaggio – non abbiamo ottemperato alla richiesta. La motovedetta si è quindi avvicinata e ha aperto il fuoco». La dinamica ricalca quanto avvenuto solo un mese fa, il 24 agosto, quando la nave Ocean Viking, di SOS Méditerranée, con a bordo 87 sopravvissuti appena soccorsi, è stata colpita da centinaia di proiettili sparati in acque internazionali contro l’imbarcazione per almeno 20 minuti ininterrotti. ARTICOLO «Nel Mediterraneo si stanno raggiungendo livelli di violenza inaudita contro la società civile», ha dichiarato la portavoce di Sea-Watch Giorgia Linardi. «È inaccettabile che il governo italiano e l’Unione europea lascino che milizie criminali sparino contro i civili utilizzando le ex motovedette della Guardia di Finanza italiana». > Gli attacchi libici sono una diretta conseguenza delle politiche europee > > Sea-Watch Linardi ha chiesto l’immediata sospensione del memorandum Italia-Libia e la revoca degli accordi che, di fatto, hanno affidato il controllo delle frontiere marittime a milizie accusate da tempo di violenze e abusi sistematici. Inoltre, l’equipaggio, quando ha avviato il salvataggio, ha notato due uomini con il passamontagna, che alla fine hanno rifiutato l’assistenza e si sono allontanati. La denuncia trova eco e sostanza nelle rivelazioni di Mediterranea Saving Humans, che il 16 settembre ha presentato un esposto alla Procura di Trapani sul tentato omicidio di dieci ragazzi gettati in mare da militari libici. Video e fotografie mostrano come dietro queste violenze ci siano uomini appartenenti alla 111ª Brigata, un’unità delle forze armate del governo di Tripoli, guidata dal viceministro alla Difesa Dbeibah 1. «Lo abbiamo sempre saputo che la cosiddetta “guardia costiera libica” altro non è che una copertura costruita in particolare dai servizi segreti italiani per bande di criminali come Almasri», ha denunciato Mediterranea. «Il Governo italiano sostiene e finanzia da anni una struttura criminale e offre anche copertura politica a queste centrali del traffico di petrolio, armi, droga e persone». Secondo l’organizzazione, i militari libici non solo gestiscono i lager dove migliaia di persone migranti vengono detenuti, ma sono direttamente coinvolti nel traffico di esseri umani. «Stavolta li abbiamo fotografati e filmati, siamo risaliti alle loro identità. Abbiamo inviato tutto alla Corte Penale Internazionale. Alla sbarra dovrebbero andare non solo i criminali dei lager e delle fosse comuni, ma anche chi li protegge e chi li finanzia». Gli episodi di questi ultimi mesi dimostrano come il silenzio e la complicità dell’Italia e dell’Unione europea stia sostenendo nel Mediterraneo il lavoro sporco dei libici, trasformando le motovedette donate da Roma in strumenti di intimidazione contro chi salva vite in mare ed è considerato testimone scomodo. 1. Leggi l’inchiesta completa ↩︎
Fondi europei alla Guardia costiera libica
Il 24 agosto la Guardia costiera libica ha aperto il fuoco sulla nave di soccorso Ocean Viking 1 in acque internazionali, mettendo in pericolo “31 membri dell’equipaggio e 87 persone sopravvissute appena soccorse” 2. Notizie/In mare OCEAN VIKING SOTTO ATTACCO DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA Spari per 20 minuti contro la nave di SOS Méditerranée con 87 naufraghi a bordo Redazione 27 Agosto 2025 Secondo le evidenze raccolte, l’imbarcazione che ha sparato sarebbe una di quelle trasferite a Tripoli nell’ambito del programma SIBMMIL (Support to Integrated Border and Migration Management in Libya) 3, finanziato dall’Italia con fondi dell’Unione europea 4. Da questo episodio 5 prende avvio la lettera aperta 6 inviata alla Commissione europea da 42 organizzazioni della società civile, tra cui SOS Humanity, Refugees in Libya, Amnesty International, Médecins Sans Frontières e ActionAid International. PH: Sos Méditerranée Nel testo le ONG denunciano come i finanziamenti europei abbiano “abilitato e legittimato abusi”, contribuendo a consolidare “una cultura dell’impunità per la violenza” esercitata dalle autorità libiche durante le intercettazioni in mare. Le firmatarie ricordano che l’Ufficio dell’Ombudsman europeo ha già riscontrato un caso di “maladministration” da parte della Commissione 7, colpevole di non aver reso pubbliche le valutazioni “do no harm” sui progetti finanziati in Libia. La lettera sottolinea che, nonostante le gravi accuse documentate, “non sono state adottate misure adeguate per garantire che l’UE non sostenga attori coinvolti in violazioni dei diritti umani”. Il messaggio centrale è netto: «La cooperazione con la cosiddetta Guardia costiera libica non può continuare. L’attacco all’Ocean Viking dimostra che questi fondi mettono a rischio non solo le persone rifugiate e migranti ma anche cittadini europei e operatori umanitari». Le richieste avanzate sono precise. Le organizzazioni chiedono alla Commissione di sospendere immediatamente la cooperazione con la Libia nel campo della ricerca e soccorso, e all’Italia di terminare il Memorandum d’Intesa 8 firmato nel 2017. Invocano inoltre l’istituzione di un programma europeo di search and rescue coordinato a livello statale, l’apertura di canali sicuri per chi cerca protezione, e la possibilità per le vittime di violazioni di accedere a giustizia e riparazione. «L’UE deve smettere di finanziare abusi e assumersi le proprie responsabilità nel Mediterraneo», si legge nella conclusione del documento. «Ogni giorno che passa senza un’azione concreta aumenta il rischio di nuove tragedie e compromette la credibilità stessa dell’Unione come garante dei diritti fondamentali». 1. Ocean Viking under heavy fire by Libyan Coast Guard in unprecedented attack against survivors and humanitarian workers ↩︎ 2. La Ocean Viking è oggi gravemente danneggiata: senza di lei non ci sono soccorsi, non ci sono testimoni. Da una prima stima i danni ammontano ad almeno 193.970€. Spari sulla Ocean Viking: SOS Mediterranee lancia un crowdfunding per riparare i danni alla nave ↩︎ 3. La motovedetta 2 utilizzata dalla Guardia Costiera libica durante l’attacco era stata donata dall’Italia nel 2023 nell’ambito del programma dell’Unione Europea “Support to Integrated Border and Migration Management in Libya (SIBMMIL)” (Sostegno alla gestione integrata delle frontiere e della migrazione in Libia) ↩︎ 4. Il programma SIBMMIL (Support to Integrated Border and Migration Management in Libya) è un progetto finanziato dall’Unione Europea che mira a rafforzare le capacità libiche nel controllo dei confini, nella gestione delle frontiere e nella gestione delle migrazioni, comprese le attività di ricerca e soccorso ↩︎ 5. Il documento di approfondimento elaborato da SOS MEDITERRANEE con la ricostruzione dei fatti e le richieste dell’associazione alle autorità ↩︎ 6. Qui la lettera ↩︎ 7. Decision on the European Commission’s refusal to give wider public access to documents concerning human rights monitoring of EU funded projects in Libya (case 2089/2023/ACB) ↩︎ 8. End the Italy-Libya Memorandum: A Campaign Against Deaths, Pushbacks and Abuse, European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR) (giugno 2025) ↩︎