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Il più grande nemico dell’Europa
Giorgia Meloni è stata intervistata da Enrico Mentana al TG LA7, nel contesto di un confronto a distanza con Elly Schlein, che era stata intervistata il giorno precedente. Meloni rifiuta il confronto diretto con la segretaria del Partito democratico, sostenendo che lei si confronterà soltanto quando le opposizioni avranno una leadership unitaria — una posizione ironica per la presidente del Consiglio espressa da una coalizione che alle scorse elezioni aveva come accordo di leadership tra Salvini e Meloni vedere chi arriva primo. Durante l’intervista Meloni si è schierata nettamente a favore degli investimenti per la Difesa — che vuole dire schierarsi dalla parte di tagli draconiani su ogni altro aspetto dello stato — dicendo che il riarmo è “un processo inevitabile,” che “chiaramente, ha un costo, un costo economico, e produce una libertà politica.” Parlando del sostegno all’Ucraina di fronte all’invasione russa, secondo Meloni “la pace non si costruisce con le buone intenzioni,” ma “con la deterrenza” — Mentana caritatevolmente non ha chiesto se la cosa si applica anche alla Striscia di Gaza, quando poco dopo invece Meloni sostiene la necessità del disarmo di Hamas. (TG LA7 / YouTube) Meloni ha minimizzato il rapporto sempre più teso con gli Stati Uniti, sostenendo che non parlerebbe di “un incrinarsi dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa.” La domanda arrivava in seguito alla pubblicazione del National Security Strategy da parte della Casa bianca. L’NSS è un documento che l’amministrazione statunitense stila periodicamente, e che elenca tutte le possibili preoccupazioni per la sicurezza nazionale che interessano Washington, e come la politica statunitense conta di affrontarle. Meloni sostiene di “condividere” alcuni dei giudizi espressi, e parla di un documento “assolutamente condivisibile,” che parla di temi che dagli Stati Uniti arrivano da sempre, “magari con toni più assertivi.” In realtà, nel capitolo sull’Europa dell’NSS, l’amministrazione Trump II parla della regione con, a dir poco, sdegno. Secondo i funzionari autori del documento, l’Europa rischia la “cancellazione della propria civiltà,” al punto da poter perdere il proprio stato di alleato affidabile. Il documento accusa i governi europei di “sovvertire i processi democratici,” compreso sulla volontà popolare di mettere fine alla guerra in Ucraina. Il documento sposa pienamente la teoria del complotto del piano Kalergi, scrivendo che “nel lungo termine, è più che plausibile che entro pochi decenni al massimo, alcuni membri della NATO diventeranno in maggioranza non europei,” e che quindi “è una questione aperta se considereranno il loro posto nel mondo, o la loro alleanza con gli Stati Uniti, allo stesso modo di coloro che hanno firmato la carta della NATO.” (Casa bianca) La pubblicazione del documento sembra aver preso in contropiede le autorità europee — la portavoce della Commissione europea Paula Pinho ha dichiarato di essere a conoscenza della “pubblicazione” del documento, ma che “non aveva avuto tempo di guardarlo,” ma precisando che la Commissione avrebbe “sicuramente” fatto sapere la propria posiziione. L’ex primo ministro svedese Carl Bildt — non esattamente un estremista di sinistra, è stato leader del Partito moderato — ha scritto che il documento mette l’amministrazione Trump “a destra dell’estrema destra europea.” Il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha commentato che “analizzerà nel dettaglio” il documento, ma ha commentato seccamente che la Germania “non ha bisogno di consigli esterni,” anche nel contesto degli alleati NATO. Al momento non risultano commenti dal collega italiano di Wadephul, il vicepremier Tajani, che in queste ore è impegnato come podcaster, annunciando il nuovo podcast della Farnesina e ospite della puntata d’esordio del podcast di Forza Italia, che si intitola Forza 4. (POLITICO / X / DW / Adnkronos / YouTube)
Natale a Gaza
Secondo un retroscena di Axios, l’amministrazione Trump si sta preparando ad annunciare l’inizio della seconda fase degli accordi di Sharm sulla Striscia di Gaza entro Natale. Nonostante le continue infrazioni della cessate il fuoco da parte delle IDF, che hanno ucciso più di 366 persone dallo scorso 11 ottobre, le autorità statunitensi considerano la fase uno dei piano effettivamente conclusa — Hamas ha consegnato tutti i prigionieri, e manca ancora solo il corpo di uno dei prigionieri israeliani morti durante l’aggressione di Gaza. È difficile prendere sul serio le ambizioni della Casa bianca: la seconda fase dell’accordo prevede un ulteriore ritiro israeliano dalla Striscia, mentre le IDF stanno facendo il contrario, stanno espandendo i territori che occupano. Ci sono diverse strutture che vanno formate, in quello che sono ormai poche settimane: il Consiglio di pace, che sarà guidato da Trump, insieme a un gruppo di circa 10 leader arabi e occidentali, un Consiglio esecutivo che dovrebbe includere, tra gli altri, Tony Blair, Jared Kushner e Steve Witkoff, e un governo tecnico palestinese, composto da un gruppo di 12-15 membri non affiliati ai partiti palestinesi. C’è anche da organizzare la Forza di stabilizzazione internazionale che dovrebbe occuparsi della sicurezza della Striscia, e ad ascoltare le ambizioni di Washington, sostituire sia la presenza delle IDF che delle forze di sicurezza di Hamas. Come sempre, sarà necessario vedere quale sarà la differenza tra la teoria e la realtà a terra a Gaza: l’accordo prevedeva già nella fase uno l’ingresso ingente di aiuti umanitari, ma in queste settimane le organizzazioni umanitarie e le ONG hanno più volte denunciato che le autorità israeliane continuano a limitarne drasticamente l’ingresso. (Axios / the New Arab) È di queste ore la notizia dell’uccisione di Yasser Abu Shabab, il miliziano salito alla ribalta nel 2024, alla guida di del gruppo prima noto come “Servizio antiterroristico” e poi come “Forze popolari,” attivo nelle aree di Gaza controllate da Israele — e che operava a tutti gli effetti come una gang criminale filoisraeliana. Abu Shabab cercava di presentarsi come alternativa ad Hamas, anche sui media internazionali: lo scorso luglio aveva firmato un editoriale sul Wall Street Journal dicendo che le sue Forze popolari — materialmente, un centinaio di persone — erano “pronte a costruire un nuovo futuro” a Gaza. Netanyahu ha ammesso lo scorso giugno che Israele sosteneva “clan armati” per combattere Hamas. Un memorandum interno delle Nazioni Unite, visto dal Washington Post, lo descriveva come “il principale e più influente attore dietro i saccheggi sistematici e massicci” degli aiuti umanitari, poi rivenduti a caro prezzo ai civili. (Al Jazeera / the Wall Street Journal / the Washington Post) Nelle scorse ore le IDF hanno condotto una nuova escalation degli attacchi, in rottura degli accordi di cessate il fuoco. Mentre scriviamo sono in corso attacchi pesanti a est di Khan Yunis. L’obiettivo degli attacchi è continuare le azioni di demolizione anche fuori dalla “linea gialla” che segna i territori ancora occupati dai militari israeliani. L’IAF ha condotto anche tre bombardamenti, sulla città di Gaza, a rafah e sul campo profughi al-Maghazi, nel centro della Striscia. (WAFA)  L’European Broadcasting Union ha confermato che Israele potrà partecipare all’Eurovision del 2026, archiviando le molte richieste di escludere lo stato per i documentati crimini di guerra condotti durante l’aggressione di Gaza. In risposta alla notizia, le emittenti di Spagna, Irlanda, Paesi bassi e Slovenia hanno annunciato che non prenderanno parte alla prossima edizione dell’Eurovision. Taco Zimmerman, direttore generale dell’emittente olandese AVROTROS ha commentato in modo secco: “La cultura unisce, ma non a tutti i costi.” Il presidente della spagnola RTVE, José Pablo López, ha spiegato in modo ancora più netto la situazione: “Quello che è successo all'Assemblea dell'EBU conferma che l'Eurovision non è un concorso musicale, ma un festival dominato da interessi geopolitici e frammentato.” Frammentato, perché a sua volta la Germania aveva minacciato che avrebbe boicottato il festival se si vietava la partecipazione di Israele. (EBU / POLITICO)
Il mondo reale e la Casa bianca
Le IDF hanno ucciso 7 persone, tra cui due bambini di 8 e 10 anni, in una serie di nuovi attacchi sulla città di Gaza e nel campo di al-Mawasi, in plateale infrazione del cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti. 5 degli uccisi sono nel campo di al-Mawasi, dove l’esercito israeliano ha colpito con un missile le tende degli sfollati. Secondo i conteggi delle autorità di Gaza, dall’inizio della tregua si sono contate 591 infrazioni da parte delle forze israeliane, che hanno ucciso 360 persone e causato 922 feriti. Gli attacchi delle scorse ore sono stati giustificati dalle autorità israeliane indicandoli come ritorsione in seguito a scontri tra soldati e miliziani a Rafah. 5 soldati israeliani sono rimasti feriti in combattimento. La situazione a Rafah è complessa: dall’inizio della tregua le IDF minacciano di uccidere i miliziani di Hamas che erano rimasti intrappolati nei tunnel sotterranei. Gli Stati Uniti e gli altri stati mediatori degli accordi di Sharm da settimane stanno chiedendo a Tel Aviv di lasciar uscire i miliziani incolumi, in quella che è vista come la minaccia più grave alla tenuta della tregua. Finora le IDF hanno ignorato le pressioni, anzi solo pochi giorni fa l’esercito israeliano aveva vantato di averne uccisi almeno 40 mentre cercavano di scappare. L’infrazione del cessate il fuoco di cui ieri Netanyahu accusava Hamas sembra essere un caso in cui i miliziani hanno risposto ai tentativi delle IDF di ucciderli. È ovviamente difficile ricostruire cosa sia successo ieri, ma secondo fonti del National proprio ieri gran parte dei combattenti che erano intrappolati sotto Rafah sarebbero riusciti a uscire dai tunnel sani e salvi. (Al Jazeera / X / the Times of Israel / Anadolu / the National) A proposito di infrazioni del cessate il fuoco: nelle scorse ore i carri armati delle IDF sono avanzati fino a raggiungere quasi Gaza centro, 700 metri oltre la “linea gialla” che non dovrebbero oltrepassare. Maha Hussaini, direttrice strategie all’Euro-Mediterranean Human Rights Monitor, denuncia che la “linea gialla,” che teoricamente era stata fissata negli accordi di Sharm, in realtà si sposta quotidianamente, erodendo sempre di più i territori liberati di Gaza, e costringendo centinaia di famiglie ad abbandonare le proprie case. Già due settimane fa il giornalista Abdul Qadir Sabah aveva documentato che le IDF stavano spostando i blocchi gialli che segnalano la “linea gialla” — funzionalmente allargando i territori sotto il proprio controllo. (X) Mentre le autorità israeliane spostano il confine dei territori occupati e lanciano missili contro tende di sfollati, da Washington Trump sostiene che l’accordo sta andando “molto bene,” e che “c’è la pace nel Medio Oriente, solo che le persone non se ne accorgono.” Il presidente statunitense si è di nuovo detto ottimista sull’avanzare del proprio accordo: la “fase due” degli accordi dovrebbe “iniziare molto presto. In realtà, un accordo su una gestione post-aggressione di Gaza ancora non esiste, e gran parte delle misure accordate per la prima fase non sono ancora state implementate — in particolare per l’ingresso di aiuti umanitari. La “fase due” degli accordi di Sharm è quella che prevede la formazione di un Consiglio di Pace, presieduto da Trump stesso, e il dispiego di una Forza di stabilizzazione internazionale per la sicurezza della Striscia. Gli Stati Uniti si sono spesi molto per ottenere che il piano fosse blindato da una risoluzione ONU, ma nelle due settimane successive al voto in Consiglio di Sicurezza non si è fatto nessun passo avanti. (Anadolu / the Times of Israel)
Nessuna giustizia per i morti senza nome
Un report di Maha Hussaini e Mohammed al-Hajjar racconta delle difficoltà spesso insuperabili nell’identificazione dei corpi esanimi restituiti alle famiglie palestinesi dalle autorità israeliane. Di 345 corpi che sono stati restituiti a Gaza, ne sono stati identificati solo 99 finora — molti altri sono stati sepolti in fosse comuni, senza che si riuscisse a dargli un nome. All’interno della Striscia di Gaza non ci sono strumenti per fare test del DNA e TAC, per cui per identificare i corpi si può solo passare per il riconoscimento da parte dei cari, e molti corpi sono martoriati al punto che ne è impossibile individuare l’identità — più di un testimone ha raccontato a Hussaini e al-Hajjari di aver riconosciuto un proprio familiare unicamente dai vestiti che aveva ancora addosso. Molti corpi hanno dita e altre parti del corpo mutilate; molti hanno lunghe incisioni suturate, come se i loro corpi fossero stati aperti. In diversi casi, i corpi riportano segni di essere stati legati a mani e piedi, e le famiglie sospettano che siano stati uccisi dopo essere stati fatti prigionieri e che gli fosse stato impedito di muoversi. Dall’inizio del cessate il fuoco diversi media hanno riportato da fonti mediche che i corpi dei prigionieri palestinesi riportavano segni di torture. (Middle East Eye) Nelle scorse ore i funzionari di Hamas hanno consegnato alle autorità israeliane i resti di un corpo, che il gruppo palestinese riteneva potessero essere di uno dei prigionieri del 7 ottobre. Poche ore dopo, però, l’ufficio del Primo ministro ha dichiarato che quei resti non appartenevano a nessuno dei due prigionieri i cui corpi sono ancora dispersi. La consegna di questi corpi è diventata la scusa principale per cui le autorità di Tel Aviv non procedono con la trattativa per le prossime fasi della tregua — mancano ancora due corpi tra quelli che erano rimasti a Gaza durante l’aggressione delle IDF: quello di un poliziotto israeliano e di un operaio agricolo di origini thailandesi. Nessuno sa quindi chi fosse la persona morta e ritrovata sotto le macerie nelle scorse ore. (the New Arab / Haaretz) È difficile vedere un contesto politico per la tenuta della tregua, però. Durante il summit organizzato dal freepress conservatore Israel Hayom a New York, il presidente del World Jewish Congress, Ron Lauder, ha dichiarato che diverse personalità statunitensi — tra cui Zohran Mamdani e Tucker Carlson — vogliono “uccidere gli ebrei in tutto il mondo,” e stanno “glorificando la violenza contro gli ebrei.” All’evento era presente anche Hillary Clinton, che ha fatto eco ad altre voci del proprio partito, secondo cui la presunta radicalizzazione contro Israele tra i giovani è dovuta alla circolazione di video “completamente falsi” e di “pura propaganda” su TikTok. Clinton sostiene che quei contenuti avrebbero influenzato anche “giovani ebrei americani che non conoscono la Storia.” (World Jewish Congress / Israel Hayom)
Trump, tra guerre e pace
Il presidente statunitense è intervenuto su Truth Social per redarguire Netanyahu in seguito all’attacco delle IDF in Siria della settimana scorsa, in cui sono state uccise 13 persone: “È molto importante che Israele mantenga un dialogo forte e sincero con la Siria e che nulla interferisca con l'evoluzione della Siria verso uno Stato ricco.” In giornata, Trump ha parlato al telefono con Netanyahu, e lo ha invitato di nuovo alla Casa bianca. La Siria ha descritto l’attacco israeliano come un “crimine di guerra.” L’amministrazione Trump II, che è una alleata vicinissima di Tel Aviv, è sempre più frustrata dagli attacchi israeliani. Parlando in condizioni di anonimato con Axios, due funzionari statunitensi si sono lamentati: “Stiamo cercando di dire a Bibi che deve smetterla perché, se continua così, finirà per autodistruggersi.” Secondo una delle due fonti, “Bibi vede fantasmi ovunque.” Non è la prima volta che Axios riporta di grandi frustrazioni a Washington per la condotta del governo Netanyahu VI in Siria. Lo scorso giugno, dopo un attacco violento contro Damasco, un funzionario aveva sospirato: “Bibi si è comportato come un pazzo. Bomba tutto in continuazione. Potrebbe compromettere tutto ciò che Trump sta cercando di fare.” (the New Arab / Associated Press / Axios) Sono altrettanto tesi i rapporti con gli stati europei nel contesto della trattativa per mettere fine alla guerra in Ucraina. Non è un segreto che gli stati europei ritengano che l’accordo originale proposto da Trump favorisse troppo la Russia — fino a poche settimane fa la posizione di pace di Bruxelles e Washington era equivalente a dire che la Russia doveva perdere la guerra. Ora, la diplomazia europea è paralizzata, ancorata a scenari di guerra con la Russia e senza capacità di esercitare influenza con gli Stati Uniti. Parlando con il Financial Times, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone ha dichiarato che la NATO sta valutando di essere “più aggressiva” e condurre azioni di guerra ibrida, di cui le autorità atlantiste accusano da tempo Mosca. Secondo l’ammiraglio finora l’alleanza è stata solo “reattiva,” mentre ora deve decidere di essere “proattiva,” ripetendo l’ormai vecchia teoria che un attacco preventivo possa costituire un’azione difensiva. Mosca ha ovviamente reagito in modo duro alle parole di Dragone: la portavoce del ministero degli Esteri russo Marija Zacharova ha parlato di un “passo estremamente irresponsabile,” e ha mosso un’accusa precisa: “Ci sembra un tentativo specifico di minare gli impegni per superare la crisi in Ucraina.” (Reuters / Financial Times / Reuters) Nel frattempo, un retroscena di Reuters riporta della trattativa tra Caracas e Washington: in una telefonata del 21 novembre, Maduro si sarebbe offerto di lasciare il governo e il paese, in cambio della piena amnistia per sé, i propri familiari, e la revoca delle sanzioni su un centinaio di funzionari venezuelani. Maduro avrebbe indicato che l’attuale vicepresidente Delcy Rodriguez avrebbe potuto guidare un governo a interim dopo le sue dimissioni. Trump avrebbe rifiutato le condizioni di Maduro, dandogli però comunque una settimana di tempo per lasciare il paese — settimana che sarebbe scaduta quando Trump ha scritto quel messaggio di difficile interpretazione sulla “chiusura” dello spazio aereo del paese. A Washington, intanto, continua la controversia sul crimine di guerra compiuto dalla marina statunitense lo scorso 2 settembre, quando sono stati attaccati i naufraghi sopravvissuti di uno degli attacchi condotti dagli Stati Uniti contro le imbarcazioni che sostengono essere di narcotrafficanti. La Casa bianca lunedì è tornata a difendere la legalità dell’operazione, senza però giustificarla in materia — o negare che sia stato condotto il secondo attacco sui sopravvissuti. (Reuters / Associated Press)
In sospeso
In un’intervista con Al Jazeera Mubasher il funzionario di Hamas Husam Badran ha denunciato come le autorità israeliane siano l’unico ostacolo all’avanzamento degli accordi di Sharm el-Sheikh. Badran sottolinea come sia ormai evidente che la sospensione della trattativa fino al termine del recupero dei corpi esanimi dei prigionieri israeliani sia un pretesto: i gruppi militanti palestinesi hanno finora ritrovato 26 dei 28 corpi — ma le autorità israeliane in realtà ne stanno aspettando solo uno, perché l’ultimo è di un lavoratore straniero. Badran sottolinea che, mentre i gruppi palestinesi cercavano di portare a termine la difficilissima ricerca dei corpi, le autorità israeliane hanno infranto l’accordo “su ogni livello,” tenendo chiuso il valico di Rafah, continuando quotidianamente gli attacchi sulla Striscia, bloccando l’ingresso di aiuti umanitari e continuano le demolizioni, anche oltre la linea gialla concordata nel piano di Trump. Badran ha sottolineato che il continuo ritardare l’attuazione del piano alimenta “l’instabilità” di tutta la regione, e ha ricordato che l’accordo — almeno teoricamente — avrebbe importanti garanti internazionali. “Prima di parlare della fase 2, il mondo dovrebbe costringere Israele a rispettare la fase 1.” (Al Jazeera Mubasher) La repressione e le violenze continuano sia a Gaza che in Cisgiordania: nelle scorse ore nella Striscia sono state uccise altre due persone, mentre in Cisgiordania in due raid separati sono state arrestate 55 persone. Netanyahu, nel frattempo, ha altre urgenze: il Primo ministro ha chiesto al presidente di graziarlo dalle accuse di corruzione — è imputato per frode, abuso d’ufficio e tangenti in 3 casi diversi, per i quali non è stato ancora condannato. La presidenza ha sottolineato che la richiesta avrebbe “implicazioni significative” (sic), ma che il dossier era stato passato al ministero della Giustizia per pareri tecnici. Secondo Netanyahu la grazia è necessaria perché i suoi processi “dividono il paese” e rendono difficile governare. Non serve specificare che la conferma di una grazia ancora prima della condanna costituirebbe una minaccia non piccola allo stato di diritto. Lapid ha commentato la notizia duramente: “Non puoi concedergli la grazia senza che lui si dichiari colpevole, mostri rimorso, e si ritiri subito dalla vita politica.” (WAFA / Associated Press) Prevost si è unito alle voci in sostegno della soluzione dei Due Stati: parlando con la stampa in volo tra Ankara e Beirut il papa ha dichiarato che “sappiamo tutti che al momento Israele non accetta ancora questa soluzione, ma noi la consideriamo l'unica possibile.” Prevost ha aggiunto che il Vaticano resta “un amico di Israele,” ma vorrebbe essere “una voce di mediazione tra le due parti.” (the new Arab) Oggi si apre l’Assemblea degli Stati parte della Corte penale internazionale, e c’è grande incertezza su cosa fare per Karim Khan, il procuratore capo in congedo da maggio per un’indagine esterna sulla denuncia di presunta condotta sessuale impropria, che non è ancora arrivata a una conclusione. La Corte, sotto pesanti pressioni e minacce legate alle indagini sui crimini di guerra condotti dalle forze israeliane a Gaza, è funzionalmente bloccata. L’Assemblea ha deciso di procedere in modo senza precedenti, bypassando il meccanismo interno di controllo, e affidando l’inchiesta all’ufficio preposto delle Nazioni Unite. (Middle East Eye) 
L’escalation di minacce contro il Venezuela
In un post su Truth Social, Donald Trump ha scritto: “A tutte le compagnie aeree, ai piloti, agli spacciatori di droga e ai trafficanti di esseri umani: si prega di considerare LO SPAZIO AEREO SOPRA E INTORNO AL VENEZUELA COME CHIUSO NELLA SUA INTEREZZA.” Il presidente non ha fornito dettagli operativi, e la notizia ha colto di sorpresa anche i funzionari statunitensi — alcuni hanno confermato a Reuters che non erano a conoscenza di piani militari per far rispettare la misura. Il governo di Maduro ha condannato l’annuncio, parlando esplicitamente delle “ambizioni coloniali” di Washington, e descrivendo il post come un “atto ostile, unilaterale e immotivato, incompatibile con i principi del diritto internazionale.” L’annuncio di Trump arriva dopo mesi di crescenti pressioni: nelle scorse settimane Washington ha rafforzato pesantemente la presenza militare nel mare dei Caraibi, ha condotto numerosi bombardamenti contro imbarcazioni indicate – senza fornire nessuna prova — come di narcotrafficanti, e ha autorizzato operazioni della CIA contro il governo venezuelano. In precedenza Trump aveva minacciato che l’esercito statunitense avrebbe iniziato direttamente a condurre operazioni di terra contro questi sospetti trafficanti venezuelani. (Truth Social / Reuters) Mentre scriviamo Washington è silente sul vero significato della dichiarazione di Trump. Le autorità statunitensi avevano già emesso un comunicato NOTAM sullo spazio aereo venezuelano lo scorso 21 novembre. Si trattava di un avviso per i piloti civili che formalmente li aggiorna sulla situazione — relativa a un aeroporto o una specifica area di cielo. Normalmente i NOTAM sono rilasciati quando sono in corso show aerei, o ci sono piste di atterraggio chiuse, o ci sono problemi tecnici: luci della pista non funzionante, ostacoli sulla pista di atterraggio, ausili alla navigazione guasti, eccetera. In questo momento non è chiaro se Trump si stia riferendo a quel comunicato, se stava annunciando una no-fly zone senza avvisare i propri funzionari, o se non conosce la distinzione tra un NOTAM di sicurezza e una no-fly zone. (Flightradar 24) I bombardamenti contro le imbarcazioni sono già al centro di agitazioni politiche, in particolare dopo un retroscena del Washington Post, che rivelava che il 2 settembre il segretario della Difesa Hegseth aveva dato ordine verbale di uccidere tutti i membri dell’equipaggio di una nave “sospetta,” uccidendo anche due sopravvissuti con un secondo attacco, dopo che le imbarcazioni erano già state affondate. Ora le commissioni Forze armate di Senato e Camera hanno annunciato un rafforzamento dei propri controlli sul Pentagono. Hegseth si è difeso dalle accuse, dicendo che lo scopo stesso degli attacchi è di essere “letali.” Ma non rispondendo all’accusa specifica: le Convenzioni di Ginevra indicano specificamente che i combattenti che sono in condizioni di hors de combat — “fuori dal combattimento,” nel caso specifico perché la loro imbarcazione è stata affondata — devono essere trattati umanamente, e ne è vietata l’uccisione. (the Washington Post / Bloomberg / X / Comitato internazionale della Croce Rossa)
Indagare i torturatori israeliani
Il Comitato ONU contro la tortura, composto da 10 esperti indipendenti, chiede alle autorità israeliane di creare “una commissione d'inchiesta ad hoc indipendente, imparziale ed efficace incaricata di esaminare e indagare su tutte le accuse di tortura e maltrattamenti commessi durante l'attuale conflitto.” Gli esperti avvisano le autorità di Tel Aviv che la situazione si è “gravemente intensificata” dall’inizio dell’aggressione a Gaza. Lo stesso Comitato ammette implicitamente che difficilmente ci saranno azioni in merito, descrivendo la situazione come “una politica di fatto statale di tortura e maltrattamenti organizzati e diffusi.” Gli esperti indicano che le politiche volute dal governo Netanyahu VI rischiano di tradursi in “condizioni di vita crudeli, disumane o degradanti per la popolazione palestinese.” Parlando in audizione a Ginevra, il relatore Peter Vedel Kessing ha dichiarato di essere rimasto “profondamente sconvolto dalle descrizioni che abbiamo ricevuto.” Il rapporto elenca accuse di pestaggi gravi ripetuti, attacchi di cani, elettroshock, waterboarding, posizioni di stress prolungate e violenze sessuali. La risposta dell’ambasciatore israeliano all’ONU, Daniel Meron, è quella che potete aspettarvi. Le accuse avanzate dal Comitato sarebbero “disinformazione”: Meron ha dichiarato che Israele “è impegnato a rispettare i propri obblighi in linea con i nostri valori e principi morali, anche di fronte alle sfide poste da un'organizzazione terroristica.” (OHCHR / the New Arab) “In linea con i nostri valori e principi morali”: i soldati che erano stati fermati in seguito alla circolazione del video in cui uccidevano a sangue freddo 2 palestinesi che si erano arresi sono stati rilasciati. I militari hanno dichiarato di aver percepito un “pericolo reale per la loro vita” — entrambi i palestinesi erano disarmati, e avevano anche mostrato di non avere esplosivi addosso — e che hanno aperto il fuoco con l’obiettivo di “neutralizzare” i due uomini, e non con l’intento di uccidere. La loro versione è stata considerata credibile e coerente. Poche ore prima il portavoce ONU Jeremy Laurence aveva dichiarato che le uccisioni costituivano “un’ulteriore esecuzione sommaria.” (X / Reuters)  A Gaza, nel frattempo, si continua a morire: due bambini sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco dalle forze israeliane a Bani Suheila, un centro abitato a est di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza. Un terzo bambino, un neonato, è morto mentre era in attesa di essere portato fuori dalla Striscia di Gaza per ricevere le cure di cui avrebbe avuto bisogno per sopravvivere. Era stato ferito in un attacco — di pochi giorni fa, condotto durante il cessate il fuoco — in cui avevano perso la vita anche sua madre e sua sorella. (WAFA / Instagram. Il link contiene un video che può urtare la vostra sensibilità, di cui vi sconsigliamo la visione)
Il genocidio continua
Sta circolando online un video, da una telecamera a circuito chiuso, in cui si vede un gruppo di 3 soldati israeliani assassinare 2 palestinesi che si erano arresi e non costituivano nessuna minaccia — con le mani alzate e con il torso scoperto, e poi direttamente inginocchiati a terra. L’omicidio si è svolto nella città di Jenin, in Cisgiordania. Le autorità israeliane hanno ammesso le uccisioni, e la giustificazione per aver utilizzato forza letale sarebbe che i due uomini avrebbero contraddetto gli ordini dei 3 militari, cercando di rientrare nella struttura da cui erano stati fatti uscire. Il ministro della Sicurezza nazionale Ben-Gvir è intervenuto per difendere i militari assassini, dicendo che forniva loro “il pieno supporto,” perché “hanno agito esattamente come ci si aspettava da loro: i terroristi devono morire!” L’Autorità palestinese ha condannato le uccisioni, sottolineando come si tratti di un crimine di guerra, mentre Hamas ha parlato espressamente di una “campagna di sterminio sistematica” in corso contro i palestinesi della Cisgiordania. (X / Middle East Eye) La campagna di sterminio continua: lo denuncia anche Amnesty International, in un nuovo report, che documenta come nonostante il cessate il fuoco e la liberazione di tutti i prigionieri israeliani ancora in vita, le autorità israeliane non abbiano effettivamente sospeso la propria campagna genocida, continuano a imporre alle persone che vivono nella Striscia “condizioni di vita costruite per provocarne la distruzione fisica.” Oltre alle numerose infrazioni alla tregua — in cui sono state uccise più di 327 persone — Tel Aviv continua a violare gli ordini della Corte internazionale di giustizia, limitando quasi completamente l’accesso agli aiuti, ai servizi essenziali e bloccando l’ingresso di materiali con cui ripristinare le infrastrutture. Amnesty denuncia anche l’assenza di indagini e procedimenti contro i responsabili di atti di genocidio e segnala un allentamento della pressione internazionale. La segretaria generale di Amnesty, Agnès Callamard commenta seccamente: “Il cessate il fuoco non può diventare una cortina di fumo per nascondere il genocidio in corso da parte di Israele.” (Amnesty International) Nel contesto del cessate il fuoco, invece, la risposta internazionale è regredita alle azioni simboliche e vuote degli anni scorsi, quando i crimini di Israele erano difesi o largamente ignorati dalla politica occidentale. Giovedì Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno pubblicato una nota congiunta condannando la violenza contro i palestinesi da parte dei coloni israeliani. I governi del gruppo, l’E4, denuncia il numero sempre più alto di attacchi — solo nello scorso mese 264: “Questi attacchi vanno fermati.” “Seminano il terrore tra i civili, danneggiano gli sforzi di pace in corso e compromettono la sicurezza duratura dello stesso stato di Israele.” Il documento stesso fatica a negare che il problema sia politico, e non limitato alle azioni di alcuni coloni violenti: “Accogliamo con favore la chiara opposizione del presidente Trump all'annessione e ribadiamo la nostra opposizione a qualsiasi forma di annessione, sia essa parziale, totale o di fatto, e alle politiche di insediamento che violano il diritto internazionale.” (Governo britannico)
“Ciao Yuri,” “Ciao Steve”
Sono emersi nuovi dettagli su come Washington e Mosca hanno condotto la trattativa che ha portato alla proposta statunitense — o “statunitense”? — per mettere fine alla guerra in Ucraina. Bloomberg ha pubblicato la trascrizione di una telefonata tra Steve Witkoff, l’inviato presidenziale statunitense che più di ogni altro in questo momento sembra di avere la fiducia di Trump, e Yuri Ouchakov, il consigliere di Esteri più di lungo corso al Cremlino. La telefonata, datata 14 ottobre, di cui i giornalisti di Bloomberg hanno potuto ascoltare una registrazione, non contiene retroscena esplosivi — se non il fatto che fin dall’inizio Washington aveva messo in chiaro che sapeva che Mosca avrebbe chiesto come minimo il controllo del Doneck — ma mette in luce come Witkoff abbia costruito un rapporto quasi amicale con Ouchakov, arrivando a dirgli che “grande rispetto” per Putin. Il consigliere di Trump non si è limitato a coordinare il colloquio telefonico tra Trump e Putin, ma ha suggerito al Cremlino come condurre la trattativa con il presidente statunitense, senza concentrarsi sui singoli obiettivi della trattativa, ma portando avanti il negoziato in modo “speranzoso.” Questa conversazione sarebbe stata quella che avrebbe poi portato alla telefonata tra Trump e Putin che avrebbe deragliato la visita a Washington di Zelenskyj per ottenere i missili cruise Tomahawk. (Bloomberg / BBC News, 17/10/2025) Il retroscena di Bloomberg fa il paio con un nuovo retroscena di Reuters, secondo cui il piano di 28 punti della Casa bianca si sarebbe basato in modo significativo su un “non-paper” redatto dal Cremlino e condiviso dai funzionari russi con la Casa bianca. Il documento elencava le condizioni di Mosca per terminare il conflitto, comprese appunto le concessioni territoriali — che fino a questo momento Kyiv ha sempre respinto. Niente di tutto questo, ovviamente, è particolarmente strano nell’ottica di far procedere una trattativa — ai compromessi si arriva così — ma si tratta di un cambio di passo drastico rispetto alle posizioni dell’Unione europea e anche di Trump stesso quando ha usato parole più forti contro la Russia, che sostanzialmente prevedevano una sconfitta russa quando parlavano di come arrivare a un accordo per una tregua in Ucraina. (Reuters) Trump ora sostiene che il suo piano è stato ben “messo a punto” grazie al confronto con l’Ucraina. Ora Steve Witkoff farà visita a Putin a Mosca, e il segretario dell’Esercito Daniel Driscoll si incontrerà con la leadership ucraina. Parlando con i giornalisti sull’Air Force One, Trump ha minimizzato sulle concessioni territoriali che l’Ucraina dovrebbe fare, dicendo che, anche a lasciar continuare la guerra “le cose si stavano muovendo in una direzione sola,” e quei territori sarebbero stati occupati dalla Russia “in un paio di mesi.” Da parte ucraina c’è ovviamente meno entusiasmo, e il delegato di Kyiv inviato a Ginevra Oleksandr Bevz ha dichiarato che è ancora “prematuro” dire che si arriverà a un accordo. (Associated Press)