Il ‘caso’ di Mohamed Shahin: dal suo rilascio dipende la tutela di tanti diritti

Pressenza - Tuesday, December 2, 2025

L’appello già firmato da 390 docenti e ricercatori delle università italiane e l’intervento di Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa e Pax Christi Italia fanno esplicito riferimento all’Articolo 21 della Costituzione italiana e a principi e norme del diritto umanitario internazionale. E, anche ricordando che l’Egitto è la nazione dove è stato ucciso Giulio Regeni, chiedono la liberazione dell’egiziano residente a Torino che, a seguito di un decreto di espulsione ingiunto dal ministro degli interni, il 24 novembre scorso è stato arrestato mentre accompagnava a scuola i propri figli ed è recluso nel CPR di Caltanisetta per venire rimpatriato.

Tali iniziative e il sostegno delle comunità religiose di ogni culto e confessione, in particolare il discorso pronunciato dal vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, rafforzano l’impegno del gruppo promotore delle manifestazioni pacifiche e della petizione a cui tutti possono aderire apponendo la propria firma.

 

LA PETIZIONE DEL COMITATO FREE SHANIN

Guida spirituale e figura fondamentale della convivenza interreligiosa a Torino, l’imam Mohamed Shahin rischia di essere espulso in Egitto – un Paese noto per torture, sparizioni forzate e repressione politica.

Il suo “reato”? Aver difeso Gaza, aver parlato di giustizia, aver partecipato alla vita civile del nostro Paese in modo pacifico e trasparente.

Chiediamo che il decreto di espulsione venga immediatamente sospeso e che sia garantito a Mohamed Shahin il diritto alla libertà espressione, alla protezione internazionale e alla tutela dei diritti fondamentali.

Ricordiamo i casi di Giulio Regeni, Patrick Zaki, Abu Omar: l’Egitto non è un Paese sicuro e consegnare un uomo innocente a quel regime significa metterlo nelle mani di chi pratica sistematicamente la tortura.

Se permettiamo che un uomo venga sacrificato perché ha difeso Gaza, domani potrà accadere a chiunque di noi.

Chiediamo al governo italiano di fermare questa ingiustizia.
Chiediamo alle istituzioni, alla società civile e alle comunità religiose di mobilitarsi.
Chiediamo che l’Italia resti un Paese che rispetta i diritti umani, non uno che li calpesta.

seguono – al momento –  circa 16 MILA nominativi

petizione online: Fermiamo l’espulsione di un uomo innocente: no alla consegna di Shahin al regime egiziano

 

L’APPELLO DI DOCENTI E RICERCATORI DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE

Noi docenti, ricercatori e ricercatrici delle università italiane esprimiamo profonda preoccupazione per la situazione di Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn al-Khattab di Torino, attualmente trattenuto nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Caltanissetta a seguito di un decreto di espulsione emesso dal Ministero dell’Interno.

La revoca del suo permesso di soggiorno di lungo periodo, e il conseguente rischio di rimpatrio forzato in Egitto, sollevano interrogativi gravi sul rispetto dei diritti fondamentali della persona. È noto che il sig. Shahin, prima del suo arrivo in Italia oltre vent’anni fa, era considerato oppositore politico del regime egiziano. La prospettiva di un suo ritorno forzato in Egitto lo esporrebbe concretamente a rischi di persecuzione, detenzione arbitraria e trattamenti inumani.

Le motivazioni alla base della revoca del permesso appaiono collegate alle sue dichiarazioni pubbliche sulla situazione a Gaza e alle sue posizioni critiche rispetto all’operato del governo israeliano. Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un precedente estremamente preoccupante: l’uso di strumenti amministrativi per colpire l’esercizio della libertà di opinione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione e da convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce.

Casi analoghi, registrati negli ultimi anni, confermano una tendenza a sanzionare cittadini stranieri per opinioni politiche o per manifestazioni di solidarietà nei confronti del popolo palestinese. L’impiego dei CPR in questo quadro rischia di trasformarsi in una forma di repressione indiretta del dissenso e di limitazione arbitraria dello spazio democratico.

È importante ricordare che Mohamed Shahin è da lungo tempo impegnato in pratiche di dialogo interreligioso e cooperazione sociale. Numerose comunità religiose, associazioni civiche e gruppi interconfessionali hanno pubblicamente attestato il suo contributo alla costruzione di relazioni pacifiche tra diverse componenti della città di Torino, evidenziando la natura collaborativa e aperta della sua attività. In particolare, la Rete del dialogo cristiano islamico di Torino, in un comunicato indirizzato al Presidente delle Repubblica e al Ministro dell’Interno, ha evidenziato il ruolo centrale di Mohamed Shahin nel dialogo interreligioso e nella vita associata del quartiere San Salvario.

Alla luce di tutto ciò, riteniamo indispensabile un intervento immediato per garantire il pieno rispetto dei principi costituzionali, della Convenzione di Ginevra e degli obblighi internazionali dell’Italia in materia di diritti umani e protezione contro il refoulement.

Chiediamo pertanto:

  • la liberazione immediata di Mohamed Shahin e la sospensione dell’esecuzione del decreto di espulsione;
  • la revisione del provvedimento di revoca del permesso di soggiorno di Mohamed Shahin, garantendo un esame imparziale e conforme agli standard giuridici nazionali e internazionali;
  • la tutela del diritto alla libertà di espressione in ambito accademico, culturale e religioso, indipendentemente dalla provenienza o dalla fede delle persone coinvolte;
  • la chiusura dei CPR, luoghi di lesione dei diritti umani.

Come docenti e ricercatori riconosciamo la responsabilità civica dell’università nel difendere i valori democratici, promuovere il pluralismo e opporci a ogni forma di discriminazione o compressione illegittima delle libertà fondamentali.

seguono – attualmente – 390 FIRME

modulo per le adesioni all’APPELLO

IL COMUNICATO DI OPAL E PAX CHRISTI

Un cittadino egiziano residente a Torino da oltre vent’anni, alcuni giorni fa Mohamed Shahin è stato espulso con un decreto del ministro Piantedosi poiché, a suo dire, “ha un ruolo di rilevo in ambienti dell’Islam radicale incompatibile con i principi democratici dell’Italia”.

Il provvedimento è stato possibile in base al Testo Unico sull’Immigrazione, il decreto legislativo 23.7.1998 n° 286/98, che prevede si possa espellere un cittadino extracomunitario, assegnando un’amplissima discrezionalità al giudice o al ministro dell’Interno – com’è accaduto in questo caso – nel valutare se il soggetto in questione “costituisce un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico”.

L’Imam torinese avrebbe detto che l’attacco del 7 ottobre “è stato un atto di resistenza, avvenuto dopo anni di occupazione”. Anche sottolineando con la massima chiarezza che quell’azione terroristica non potrebbe in alcun modo configurarsi come un’azione di resistenza, ed esprimendo la massima presa di distanza da quelle parole, ci troviamo davanti alla condanna di un’opinione che, per quanto inaccettabile, è garantita dall’articolo 21 della nostra Costituzione. Ed è questo il punto: se le opinioni – alcune opinioni! – possono costituire di per sé un pericolo per la sicurezza dello Stato, ci troviamo di fronte a una destrutturazione e un indebolimento dello stato di diritto che mina direttamente le fondamenta costituzionali del Paese.

Le autorità politiche e giudiziarie sono tenute al rispetto della Costituzione, non a usare in modo arbitrario la norma, facendo ricorso alla repressione, alla coercizione o alla censura.

Vi è inoltre una concreta possibilità che Shahin, oppositore di Al-Sisi, sia consegnato nelle mani della polizia egiziana che numerosi rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch riportano usare la tortura in modo sistematico, anche in relazione a casi come l’omicidio di Giulio Regeni. Questo provvedimento rischia così di contravvenire allo stesso T.U. sull’immigrazione che vieta espressamente di comminare espulsioni a danno di perseguitati per le opinioni politiche nei paesi di provenienza.

Invitiamo tutti i gruppi e le associazioni pacifiste e nonviolente ad esprimere la più ferma condanna attorno a questo grave abuso. Ci uniamo anche all’appello delle comunità religiose e delle associazioni laicali di Torino al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e al Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, per chiedere il rilascio di Mohamed Shahin affinché possa riprendere la sua permanenza in Italia e la sua opera di dialogo e solidarietà.

2 dicembre 2025, O.P.A.L. e Pax Christi

 

IL COMUNICATO DELLA FCEI

Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) chiede l’annullamento del provvedimento amministrativo che ha colpito l’imam della comunità islamica di Torino, Mohamed Shanin, attualmente in stato di fermo al Centro di permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta e in attesa di essere espulso in Egitto.

Questa richiesta è legata a due motivazioni.

Anzitutto, per quanto gravi possano essere le azioni contestate, la Corte di Cassazione ha ribadito che il diritto italiano vieta l’estradizione in un paese dove il soggetto rischia la pena di morte. L’imam è stato colpito da un provvedimento amministrativo che tuttavia rischia di aggirare i distinguo e le garanzie del processo penale. Riteniamo che la tutela della vita della persona debba essere preoccupazione prioritaria della Repubblica.

Con l’occasione ricordiamo che da quasi dieci anni le autorità egiziane si sono dimostrate opache e complici rispetto alla morte di Giulio Regeni, torturato e ucciso quasi dieci anni fa. La memoria di Regeni dovrebbe essere ragione sufficiente per evitare qualunque ipotesi di estradizione o espulsione in Egitto, almeno finché le condizioni non cambino.

In secondo luogo, pur giudicando le parole dell’imam Shanin riportate dalla stampa gravemente e profondamente sbagliate e mistificatorie della realtà, riteniamo che le opinioni sbagliate debbano essere contrastate con parole per noi giuste, non con la forza del privilegio di cittadinanza. Non possiamo accettare la discriminazione secondo cui una persona di cittadinanza italiana abbia maggior libertà di espressione rispetto a persone straniere residenti nel nostro paese, o che possa difendersi in un processo civile o penale con tutte le garanzie della legge mentre una persona straniera possa essere espulsa con un provvedimento amministrativo.

Le frasi riportate dalla stampa farebbero dubitare che le posizioni dell’imam siano quelle di un uomo del dialogo. Rimane la questione di vedere se noi, persone di fede cristiana, possiamo aspirare a essere definiti donne o uomini del dialogo, nel caso in cui l’imam venga abbandonato al suo destino in Egitto, senza che abbiamo detto o fatto qualcosa per impedirlo.

I toni e i modi in cui viene trattato questo caso rappresentano l’ennesima raffigurazione di un corto circuito, per il quale l’osteggiata “informalità” della fede musulmana è anche frutto della mancanza di una specifica intesa. Questo ci invita a sottolineare, ancora una volta, l’urgenza di una legge quadro sulla libertà religiosa, grande assente nell’agenda politica degli ultimi anni.

Nel rilevare queste contraddizioni, ci troviamo insieme alle molte voci che convergono nella mobilitazione contro le espulsioni “facili”.  Fra queste voci, quella del nostro partner ecumenico di lunga data, il vescovo Derio Olivero. Sarebbe bello poter dire “prima gli italiani”, o “prima i cristiani”, nel senso di essere noi i primi a dare il buon esempio per la tutela dei diritti.

Roma, 2 dicembre 2025 – Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

 

Redazione Torino