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Islamofobia, CPR e repressione politica: la vicenda di Mohamed Shahin come emblema del razzismo sistemico in Italia@1
Oggi ospitiamo due compagni dell’Assemblea di No CPR di Torino per fare un’analisi del razzismo sistemico a partire dall’arresto di Mohamed Shahin. Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn al-Khattab di Torino, è stato arrestato martedì scorso con l’accusa di essere una minaccia alla sicurezza dello stato. Shahin ha ricevuto la stessa mattina dell’arresto un decreto di annullamento del permesso di soggiorno di lunga durata ed è stato deportato al CPR di Caltanissetta, non prima di aver ricevuto anche un decreto di espulsione. Da subito ci siamo mobilitat3 per esigere la sua immediata liberazione: Mohamed Shahin  non ha compiuto nessun reato, quello che gli viene contestato è la partecipazione attiva alle manifestazioni che da due anni si oppongono al genocidio a Gaza. Ciò che gli viene imputato è quindi un reato ideologico, che non può esser in nessun modo la giustificazione del sua reclusione in CPR e di una eventuale espulsione. Mohamed Shahin è infatti un dissidente politico del regime di Al SiSi, quindi la sua espulsione in Egitto equivarrebbe a una sentenza di morte. La vicenda di Mohamed Shahin non è soltanto un suprema ingiustizia, ma è la riprova del fatto che il razzismo sistemico ha come obiettivo quello di renderci continuamente ricattabili e dunque più esposti alla repressione politica; questa repressione si espleta attraverso gli ingranaggi del sistema dei CPR e dei decreti di espulsione. In tutto ciò anche l’islamofobia di stato ha giocato un ruolo importante, poiché gli imam sono fra le persone più a rischio espulsione o rigetto dei documenti in quanto vengono spesso considerati a priori una minaccia alla sicurezza dello stato.  In un momento storico in cui la solidarietà alla causa palestinese è riuscita a costruire alleanze trasversali fra lavorator3, student3, comunità islamiche e seconde generazioni, come sempre lo Stato si trova disarmato e non può che reagire con una dura repressione. Starà a noi, non solo impedire l’espulsione di Mohamed, ma anche ricomporre quel movimento delle piazze per la Palestina che negli ultimi due mesi ha fatto tremare i dominanti. Se la deportazione rimane un rischio concreto che minaccia Mohamed Shahin e altre persone che hanno tentato di esprimere il proprio dissenso verso il genocidio del popolo palestinese o che provano quotidianamente ad opporsi allo sfruttamento, al razzismo e all’islamofobia dilaganti in questo paese, anche il Cpr viene utilizzato dallo Stato come strumento di minaccia, monito e ricatto per la manodopera sfruttata e sfruttabile. Nella seconda parte della trasmissione viene quindi approfondito il ruolo del CPR e delle deportazioni, con un focus sull’aumento considerevole delle deportazioni verso l’Egitto: ne parliamo in diretta con una compagna dell’Assemblea contro CPR e frontiere del Friuli-Venezia Giulia.  Per altri approfondimenti sulle deportazioni verso l’Egitto è possibile scaricare QUI l’opuscolo: > Egitto paese sicuro? Una storia paradigmatica di reclusione e deportazione dal > CPR di Gradisca d’Isonzo [OPUSCOLO]
Islamofobia, CPR e repressione politica: la vicenda di Mohamed Shahin come emblema del razzismo sistemico in Italia@0
Oggi ospitiamo due compagni dell’Assemblea di No CPR di Torino per fare un’analisi del razzismo sistemico a partire dall’arresto di Mohamed Shahin. Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn al-Khattab di Torino, è stato arrestato martedì scorso con l’accusa di essere una minaccia alla sicurezza dello stato. Shahin ha ricevuto la stessa mattina dell’arresto un decreto di annullamento del permesso di soggiorno di lunga durata ed è stato deportato al CPR di Caltanissetta, non prima di aver ricevuto anche un decreto di espulsione. Da subito ci siamo mobilitat3 per esigere la sua immediata liberazione: Mohamed Shahin  non ha compiuto nessun reato, quello che gli viene contestato è la partecipazione attiva alle manifestazioni che da due anni si oppongono al genocidio a Gaza. Ciò che gli viene imputato è quindi un reato ideologico, che non può esser in nessun modo la giustificazione del sua reclusione in CPR e di una eventuale espulsione. Mohamed Shahin è infatti un dissidente politico del regime di Al SiSi, quindi la sua espulsione in Egitto equivarrebbe a una sentenza di morte. La vicenda di Mohamed Shahin non è soltanto un suprema ingiustizia, ma è la riprova del fatto che il razzismo sistemico ha come obiettivo quello di renderci continuamente ricattabili e dunque più esposti alla repressione politica; questa repressione si espleta attraverso gli ingranaggi del sistema dei CPR e dei decreti di espulsione. In tutto ciò anche l’islamofobia di stato ha giocato un ruolo importante, poiché gli imam sono fra le persone più a rischio espulsione o rigetto dei documenti in quanto vengono spesso considerati a priori una minaccia alla sicurezza dello stato.  In un momento storico in cui la solidarietà alla causa palestinese è riuscita a costruire alleanze trasversali fra lavorator3, student3, comunità islamiche e seconde generazioni, come sempre lo Stato si trova disarmato e non può che reagire con una dura repressione. Starà a noi, non solo impedire l’espulsione di Mohamed, ma anche ricomporre quel movimento delle piazze per la Palestina che negli ultimi due mesi ha fatto tremare i dominanti. Se la deportazione rimane un rischio concreto che minaccia Mohamed Shahin e altre persone che hanno tentato di esprimere il proprio dissenso verso il genocidio del popolo palestinese o che provano quotidianamente ad opporsi allo sfruttamento, al razzismo e all’islamofobia dilaganti in questo paese, anche il Cpr viene utilizzato dallo Stato come strumento di minaccia, monito e ricatto per la manodopera sfruttata e sfruttabile. Nella seconda parte della trasmissione viene quindi approfondito il ruolo del CPR e delle deportazioni, con un focus sull’aumento considerevole delle deportazioni verso l’Egitto: ne parliamo in diretta con una compagna dell’Assemblea contro CPR e frontiere del Friuli-Venezia Giulia.  Per altri approfondimenti sulle deportazioni verso l’Egitto è possibile scaricare QUI l’opuscolo: > Egitto paese sicuro? Una storia paradigmatica di reclusione e deportazione dal > CPR di Gradisca d’Isonzo [OPUSCOLO]
Amnesty International Italia e altre 12 associazioni chiedono il rilascio di Shahin
L’iniziativa coinvolge la sezione locale della struttura internazionale insieme alle italiane ARCI e A Buon Diritto e alle europee ELSC ed LDSF, all’italo-egiziana EgyptWide e alle egiziane CIHRS, ECFR, EFHR, EHRF e RPE con il Centro contro la violenza El Nadeem e la tortura e la Sinai Foundation for Human Rights. Alla data della diffusione del proprio appello, martedì 2 dicembre scorso, non era ancora arrivara risposta alla lettera che avevano inviato alla presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero dell’Interno italiano per perorare la sospensione del procedimento di espulsione e, a spiegazione della motivazione, fornendo la documentazione e reportistica sullo stato dei diritti umani in Egitto. APPELLO Tredici organizzazioni della società civile chiedono al governo e al ministero dell’Interno italiani di fermare l’espulsione verso l’Egitto di Mohamed Mahmoud Ebrahim Shahin, in conformità ai propri obblighi in materia di protezione dei diritti umani, incluso il principio di non-refoulement. Mohamed Mahmoud Ebrahim Shahin, cittadino egiziano residente a Torino, in Italia, da circa vent’anni, è stato sottoposto a un procedimento giudiziario ingiusto, fortemente viziato da evidenti irregolarità procedurali, a partire dal giorno 24 novembre 2025. Su iniziativa del ministero dell’Interno, al sig. Shahin è stato revocato il permesso di soggiorno europeo di lunga durata ai sensi dell’art.13, comma 1 del Testo unico sull’immigrazione (decreto n. 286/1998) che, insieme alle successive modifiche, introduce la possibilità di espellere i cittadini stranieri qualora presentino un profilo di pericolosità sociale o costituiscano una minaccia per la sicurezza nazionale. Le accuse rivolte al sig. Shahin, che sono alla base del decreto di espulsione, includono “l’appartenenza a un’ideologia estremista” e l’aver partecipato a un blocco stradale durante una manifestazione contro il genocidio del popolo palestinese a maggio 2025. Nel decreto, il ministero dell’Interno fa anche riferimento a una presunta dichiarazione in cui Mohamed Shahin avrebbe commentato gli attacchi del 7 ottobre 2023 nel corso di un’altra manifestazione in solidarietà con la Palestina, a Torino, nell’ottobre 2025. Dopo essere stato trattenuto presso una stazione di polizia, Mohamed Shahin è stato trasferito presso il Centro di permanenza per i rimpatri (CPR) di Caltanissetta, lontano dai suoi familiari, dalla sua comunità e dai legali che lavorano alla sua difesa. La richiesta di protezione internazionale che ha presentato a seguito della revoca del permesso di soggiorno è stata rigettata a seguito di un procedimento di esame fortemente accelerato, sul quale ha certamente pesato la classificazione dell’Egitto come “paese di origine sicuro” e che non ha attribuito la giusta importanza ai rischi in cui Mohamed Shahin incorrerebbe qualora fosse espulso in Egitto, un paese dove la tortura è endemica e le autorità sottopongono le persone ad arresti e detenzioni arbitrarie, spesso nell’ambito di processi iniqui, sulla base delle sole opinioni. «Le autorità italiane devono riconoscere pienamente i gravi rischi cui Mohamed Shahin andrebbe incontro se fosse rimpatriato in Egitto. Procedere con la sua espulsione metterebbe l’Italia in diretta violazione dei suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani. Il trattamento riservato dall’Italia a Mohamed Shahin è un altro esempio dell’arretramento globale dello Stato di diritto e dei diritti umani a cui stiamo assistendo. Nessuno Stato può credibilmente dichiarare che un altro paese sia “sicuro per tutte/i”, come fa l’Italia classificando l’Egitto come “paese di origine sicuro”, e nessuno Stato può semplicemente ignorare i propri obblighi fondamentali in materia di diritti umani» ha dichiarato Sayed Nasr, direttore esecutivo dell’associazione EgyptWide for Human Rights. Al momento della revoca del permesso di soggiorno, Mohamed Shahin era un individuo incensurato, attivamente coinvolto nella vita socio-culturale della sua città e della comunità islamica torinese. Nel suo ruolo di imam è stato spesso promotore di iniziative nell’ambito dei percorsi locali di dialogo interreligioso, e nel contesto delle manifestazioni a sostegno del popolo palestinese è ricordato dai movimenti locali per il ruolo di mediatore a garanzia dello svolgimento pacifico delle manifestazioni. L’inconsistenza dei fatti contestati a Shahin per giustificare il procedimento di espulsione emesso contro di lui ai sensi dell’art.13, comma 1 del Testo unico sull’immigrazione rappresenta un caso allarmante di strumentalizzazione del diritto in chiave repressiva e di repressione del dissenso pacifico per mezzo della normativa in materia di sicurezza nazionale. «Nella vicenda di Mohamed Shahin preoccupa l’utilizzo dello strumento del decreto d’espulsione e del trattenimento in CPR, una procedura amministrativa che non prevede le garanzie di difesa del procedimento penale. L’applicazione di tale misura altamente restrittiva si basa peraltro su un sospetto riguardante una condotta che non configura una fattispecie penalmente rilevante e su alcune dichiarazioni poi rettificate. Emerge che le persone straniere in Italia rischiano troppo facilmente di essere allontanate dal tessuto sociale in cui vivono, dove intessono relazioni e di cui sono parte integrante, e che non godono delle piene garanzie che lo Stato di diritto prevede per tutte e tutti. Riteniamo che sia un fatto gravissimo, lesivo dei diritti fondamentali», ha dichiarato Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto. «Se espulso in Egitto, stato di cui conosciamo bene la propensione alla tortura e alle sparizioni forzate, Mohamed Shahin rischierebbe la vita. Ciò a causa di un provvedimento iniquo e sproporzionato emesso dalle autorità italiane, frutto di politiche repressive in materia di sicurezza nazionale, provvedimento che chiediamo sia annullato», ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Nel corso degli anni passati, le organizzazioni firmatarie hanno documentato numerosi casi in cui cittadini egiziani di rientro dall’estero, tanto volontariamente quanto a seguito di procedure di rimpatrio iniziate da Stati terzi, sono stati sottoposti a gravi violazioni dei diritti umani, compresi arresti arbitrari, sparizioni forzate, maltrattamenti e torture, per la loro reale o percepita opposizione al governo. Tra le vittime di queste pratiche rientrano oppositori politici, studenti universitari, attivisti e comuni cittadini senza una storia di attività politica o movimentista alle spalle. Esiste inoltre una pratica consolidata, da parte delle autorità egiziane, di ritorsioni e intimidazioni nei confronti dei familiari degli oppositori politici, che comprende arresti e processi arbitrari, detenzioni prolungate oltre i termini di legge, maltrattamenti, torture, sparizioni forzate. Dal momento che le autorità egiziane hanno già sottoposto la famiglia Shahin a procedimenti giudiziari iniqui a causa della loro opposizione pacifica al governo, abbiamo motivo di credere che egli andrebbe incontro a gravi violazioni dei diritti umani se rimpatriato in Egitto, tra cui detenzione arbitraria o sparizione forzata, maltrattamenti, torture, procedimenti penali ingiusti. Il provvedimento del ministero dell’Interno italiano che attribuisce al sig. Shahin un profilo di pericolosità sociale avrebbe inoltre l’effetto di aggravare notevolmente tali rischi. Alcune delle organizzazioni firmatarie hanno esposto preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani in cui il sig. Shahin rischierebbe di essere sottoposto se venisse espulso in Egitto in una lettera alla presidenza del Consiglio dei ministri e al ministero dell’Interno italiano, chiedendo di sospendere il procedimento di espulsione e fornendo inoltre documentazione e reportistica sullo stato dei diritti umani in Egitto che illustra la serietà e la gravità di tali rischi, ma non abbiamo ad oggi ricevuto risposta. Chiediamo alle autorità italiane, in conformità ai propri obblighi in materia di diritti umani, ivi compresi il diritto di ogni persona a non essere sottoposta a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, il diritto alla riservatezza familiare, e il principio di non-refoulement, di fermare l’espulsione di Mohamed Shahin verso l’Egitto, e di garantirgli il diritto a cercare protezione internazionale in Italia. ORGANIZZAZIONI FIRMATARIE: * Amnesty International Italia * ARCI * A Buon Diritto * European Legal Support Center (ELSC) * Law and Democracy Support Foundation (LDSF) * EgyptWide for Human Rights (EgyptWide) * Cairo Institute for Human Rights Studies (CIHRS) * Egyptian Commission for Rights and Freedoms (ECFR) * Egyptian Front for Human Rights (EFHR) * Egyptian Human Rights Forum (EHRF) * Refugees Platform in Egypt (RPE) * El Nadeem Center * Sinai Foundation AMNESTY ITERNATIONAL ITALIA, 2.11.2025 – Stop all’espulsione di Mohamed Shahin verso l’Egitto PRESSENZA, 2.11.2025 – Il ‘caso’ di Mohamed Shahin: dal suo rilascio dipende la tutela di tanti diritti  Amnesty International
Il ‘caso’ di Mohamed Shahin: dal suo rilascio dipende la tutela di tanti diritti
L’appello già firmato da 390 docenti e ricercatori delle università italiane e l’intervento di Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa e Pax Christi Italia fanno esplicito riferimento all’Articolo 21 della Costituzione italiana e a principi e norme del diritto umanitario internazionale. E, anche ricordando che l’Egitto è la nazione dove è stato ucciso Giulio Regeni, chiedono la liberazione dell’egiziano residente a Torino che, a seguito di un decreto di espulsione ingiunto dal ministro degli interni, il 24 novembre scorso è stato arrestato mentre accompagnava a scuola i propri figli ed è recluso nel CPR di Caltanisetta per venire rimpatriato. Tali iniziative e il sostegno delle comunità religiose di ogni culto e confessione, in particolare il discorso pronunciato dal vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, rafforzano l’impegno del gruppo promotore delle manifestazioni pacifiche e della petizione a cui tutti possono aderire apponendo la propria firma.   LA PETIZIONE DEL COMITATO FREE SHANIN Guida spirituale e figura fondamentale della convivenza interreligiosa a Torino, l’imam Mohamed Shahin rischia di essere espulso in Egitto – un Paese noto per torture, sparizioni forzate e repressione politica. Il suo “reato”? Aver difeso Gaza, aver parlato di giustizia, aver partecipato alla vita civile del nostro Paese in modo pacifico e trasparente. Chiediamo che il decreto di espulsione venga immediatamente sospeso e che sia garantito a Mohamed Shahin il diritto alla libertà espressione, alla protezione internazionale e alla tutela dei diritti fondamentali. Ricordiamo i casi di Giulio Regeni, Patrick Zaki, Abu Omar: l’Egitto non è un Paese sicuro e consegnare un uomo innocente a quel regime significa metterlo nelle mani di chi pratica sistematicamente la tortura. Se permettiamo che un uomo venga sacrificato perché ha difeso Gaza, domani potrà accadere a chiunque di noi. Chiediamo al governo italiano di fermare questa ingiustizia. Chiediamo alle istituzioni, alla società civile e alle comunità religiose di mobilitarsi. Chiediamo che l’Italia resti un Paese che rispetta i diritti umani, non uno che li calpesta. seguono – al momento –  circa 16 MILA nominativi petizione online: Fermiamo l’espulsione di un uomo innocente: no alla consegna di Shahin al regime egiziano   L’APPELLO DI DOCENTI E RICERCATORI DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE Noi docenti, ricercatori e ricercatrici delle università italiane esprimiamo profonda preoccupazione per la situazione di Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn al-Khattab di Torino, attualmente trattenuto nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Caltanissetta a seguito di un decreto di espulsione emesso dal Ministero dell’Interno. La revoca del suo permesso di soggiorno di lungo periodo, e il conseguente rischio di rimpatrio forzato in Egitto, sollevano interrogativi gravi sul rispetto dei diritti fondamentali della persona. È noto che il sig. Shahin, prima del suo arrivo in Italia oltre vent’anni fa, era considerato oppositore politico del regime egiziano. La prospettiva di un suo ritorno forzato in Egitto lo esporrebbe concretamente a rischi di persecuzione, detenzione arbitraria e trattamenti inumani. Le motivazioni alla base della revoca del permesso appaiono collegate alle sue dichiarazioni pubbliche sulla situazione a Gaza e alle sue posizioni critiche rispetto all’operato del governo israeliano. Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un precedente estremamente preoccupante: l’uso di strumenti amministrativi per colpire l’esercizio della libertà di opinione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione e da convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce. Casi analoghi, registrati negli ultimi anni, confermano una tendenza a sanzionare cittadini stranieri per opinioni politiche o per manifestazioni di solidarietà nei confronti del popolo palestinese. L’impiego dei CPR in questo quadro rischia di trasformarsi in una forma di repressione indiretta del dissenso e di limitazione arbitraria dello spazio democratico. È importante ricordare che Mohamed Shahin è da lungo tempo impegnato in pratiche di dialogo interreligioso e cooperazione sociale. Numerose comunità religiose, associazioni civiche e gruppi interconfessionali hanno pubblicamente attestato il suo contributo alla costruzione di relazioni pacifiche tra diverse componenti della città di Torino, evidenziando la natura collaborativa e aperta della sua attività. In particolare, la Rete del dialogo cristiano islamico di Torino, in un comunicato indirizzato al Presidente delle Repubblica e al Ministro dell’Interno, ha evidenziato il ruolo centrale di Mohamed Shahin nel dialogo interreligioso e nella vita associata del quartiere San Salvario. Alla luce di tutto ciò, riteniamo indispensabile un intervento immediato per garantire il pieno rispetto dei principi costituzionali, della Convenzione di Ginevra e degli obblighi internazionali dell’Italia in materia di diritti umani e protezione contro il refoulement. Chiediamo pertanto: * la liberazione immediata di Mohamed Shahin e la sospensione dell’esecuzione del decreto di espulsione; * la revisione del provvedimento di revoca del permesso di soggiorno di Mohamed Shahin, garantendo un esame imparziale e conforme agli standard giuridici nazionali e internazionali; * la tutela del diritto alla libertà di espressione in ambito accademico, culturale e religioso, indipendentemente dalla provenienza o dalla fede delle persone coinvolte; * la chiusura dei CPR, luoghi di lesione dei diritti umani. Come docenti e ricercatori riconosciamo la responsabilità civica dell’università nel difendere i valori democratici, promuovere il pluralismo e opporci a ogni forma di discriminazione o compressione illegittima delle libertà fondamentali. seguono – attualmente – 390 FIRME modulo per le adesioni all’APPELLO IL COMUNICATO DI OPAL E PAX CHRISTI Un cittadino egiziano residente a Torino da oltre vent’anni, alcuni giorni fa Mohamed Shahin è stato espulso con un decreto del ministro Piantedosi poiché, a suo dire, “ha un ruolo di rilevo in ambienti dell’Islam radicale incompatibile con i principi democratici dell’Italia”. Il provvedimento è stato possibile in base al Testo Unico sull’Immigrazione, il decreto legislativo 23.7.1998 n° 286/98, che prevede si possa espellere un cittadino extracomunitario, assegnando un’amplissima discrezionalità al giudice o al ministro dell’Interno – com’è accaduto in questo caso – nel valutare se il soggetto in questione “costituisce un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico”. L’Imam torinese avrebbe detto che l’attacco del 7 ottobre “è stato un atto di resistenza, avvenuto dopo anni di occupazione”. Anche sottolineando con la massima chiarezza che quell’azione terroristica non potrebbe in alcun modo configurarsi come un’azione di resistenza, ed esprimendo la massima presa di distanza da quelle parole, ci troviamo davanti alla condanna di un’opinione che, per quanto inaccettabile, è garantita dall’articolo 21 della nostra Costituzione. Ed è questo il punto: se le opinioni – alcune opinioni! – possono costituire di per sé un pericolo per la sicurezza dello Stato, ci troviamo di fronte a una destrutturazione e un indebolimento dello stato di diritto che mina direttamente le fondamenta costituzionali del Paese. Le autorità politiche e giudiziarie sono tenute al rispetto della Costituzione, non a usare in modo arbitrario la norma, facendo ricorso alla repressione, alla coercizione o alla censura. Vi è inoltre una concreta possibilità che Shahin, oppositore di Al-Sisi, sia consegnato nelle mani della polizia egiziana che numerosi rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch riportano usare la tortura in modo sistematico, anche in relazione a casi come l’omicidio di Giulio Regeni. Questo provvedimento rischia così di contravvenire allo stesso T.U. sull’immigrazione che vieta espressamente di comminare espulsioni a danno di perseguitati per le opinioni politiche nei paesi di provenienza. Invitiamo tutti i gruppi e le associazioni pacifiste e nonviolente ad esprimere la più ferma condanna attorno a questo grave abuso. Ci uniamo anche all’appello delle comunità religiose e delle associazioni laicali di Torino al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e al Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, per chiedere il rilascio di Mohamed Shahin affinché possa riprendere la sua permanenza in Italia e la sua opera di dialogo e solidarietà. 2 dicembre 2025, O.P.A.L. e Pax Christi   IL COMUNICATO DELLA FCEI Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) chiede l’annullamento del provvedimento amministrativo che ha colpito l’imam della comunità islamica di Torino, Mohamed Shanin, attualmente in stato di fermo al Centro di permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta e in attesa di essere espulso in Egitto. Questa richiesta è legata a due motivazioni. Anzitutto, per quanto gravi possano essere le azioni contestate, la Corte di Cassazione ha ribadito che il diritto italiano vieta l’estradizione in un paese dove il soggetto rischia la pena di morte. L’imam è stato colpito da un provvedimento amministrativo che tuttavia rischia di aggirare i distinguo e le garanzie del processo penale. Riteniamo che la tutela della vita della persona debba essere preoccupazione prioritaria della Repubblica. Con l’occasione ricordiamo che da quasi dieci anni le autorità egiziane si sono dimostrate opache e complici rispetto alla morte di Giulio Regeni, torturato e ucciso quasi dieci anni fa. La memoria di Regeni dovrebbe essere ragione sufficiente per evitare qualunque ipotesi di estradizione o espulsione in Egitto, almeno finché le condizioni non cambino. In secondo luogo, pur giudicando le parole dell’imam Shanin riportate dalla stampa gravemente e profondamente sbagliate e mistificatorie della realtà, riteniamo che le opinioni sbagliate debbano essere contrastate con parole per noi giuste, non con la forza del privilegio di cittadinanza. Non possiamo accettare la discriminazione secondo cui una persona di cittadinanza italiana abbia maggior libertà di espressione rispetto a persone straniere residenti nel nostro paese, o che possa difendersi in un processo civile o penale con tutte le garanzie della legge mentre una persona straniera possa essere espulsa con un provvedimento amministrativo. Le frasi riportate dalla stampa farebbero dubitare che le posizioni dell’imam siano quelle di un uomo del dialogo. Rimane la questione di vedere se noi, persone di fede cristiana, possiamo aspirare a essere definiti donne o uomini del dialogo, nel caso in cui l’imam venga abbandonato al suo destino in Egitto, senza che abbiamo detto o fatto qualcosa per impedirlo. I toni e i modi in cui viene trattato questo caso rappresentano l’ennesima raffigurazione di un corto circuito, per il quale l’osteggiata “informalità” della fede musulmana è anche frutto della mancanza di una specifica intesa. Questo ci invita a sottolineare, ancora una volta, l’urgenza di una legge quadro sulla libertà religiosa, grande assente nell’agenda politica degli ultimi anni. Nel rilevare queste contraddizioni, ci troviamo insieme alle molte voci che convergono nella mobilitazione contro le espulsioni “facili”.  Fra queste voci, quella del nostro partner ecumenico di lunga data, il vescovo Derio Olivero. Sarebbe bello poter dire “prima gli italiani”, o “prima i cristiani”, nel senso di essere noi i primi a dare il buon esempio per la tutela dei diritti. Roma, 2 dicembre 2025 – Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia   Redazione Torino
AGGIORNAMENTI PRISONERS FOR PALESTINE – PROCESSO PALESTINE ACTION – ISRAELIFICAZIONE E REPRESSIONE – CORSIGHT@1
Estratti dalla puntata del 1 dicembre 2025 di Bello Come Una Prigione Che Brucia PRISONERS FOR PALESTINE: AGGIORNAMENTI SCIOPERO DELLA FAME Sotto il peso della coltre di censura mediatica attivata nel Regno Unito, stiamo entrando nella quinta settimana dello sciopero della fame iniziato il 2 novembre 2025, Kamran Ahmed e Teuta “T” Hoxha hanno avuto bisogno di un ricovero ospedaliero. Osserviamo anche le azioni messe in campo in carcere da Lewie e Umer dei Brize Norton 5, il gruppo di Palestine Action che fece breccia in una base della RAF danneggiando due aerei Voyager complici del genocidio. In fine un comunicato di Abu Gib in solidarietà con i 30 migranti in sciopero della fame nei lager britannici contro la deportazione verso la Francia. ISREALIFICAZIONE E REPRESSIONE Partendo dall’osservazione del contesto italiano – tra il caso di Anan, Ali e Mansour, quello di Ahmad Salem e in fine di Mohamed Shahin – cerchiamo di delineare le diverse modalità operative dei processi di “israelificazione della repressione”, concentrandoci quindi sulle interferenze inerenti le udienze per il ricorso contro la proscrizione per terrorismo di Palestine Action in UK: Torniamo quindi a osservare uno dei principali vettori nei processi di israelificazione: l’importazione di sistemi di sorveglianza progettati all’interno di quel campo unico – in termini di deumanizzazione, marketing, produzione della minaccia permanente, oppressione, letalità, società dei varchi e via dicendo – rappresentato dal “Laboratorio Palestina”. Grazie a un’importante inchiesta di Fanpage, dalla quale emerge anche l’Arma dei Carabinieri come cliente, torniamo a parlare del colosso israeliano della sorveglianza biometrica Corsight:
AGGIORNAMENTI PRISONERS FOR PALESTINE – PROCESSO PALESTINE ACTION – ISRAELIFICAZIONE E REPRESSIONE – CORSIGHT@0
Estratti dalla puntata del 1 dicembre 2025 di Bello Come Una Prigione Che Brucia PRISONERS FOR PALESTINE: AGGIORNAMENTI SCIOPERO DELLA FAME Sotto il peso della coltre di censura mediatica attivata nel Regno Unito, stiamo entrando nella quinta settimana dello sciopero della fame iniziato il 2 novembre 2025, Kamran Ahmed e Teuta “T” Hoxha hanno avuto bisogno di un ricovero ospedaliero. Osserviamo anche le azioni messe in campo in carcere da Lewie e Umer dei Brize Norton 5, il gruppo di Palestine Action che fece breccia in una base della RAF danneggiando due aerei Voyager complici del genocidio. In fine un comunicato di Abu Gib in solidarietà con i 30 migranti in sciopero della fame nei lager britannici contro la deportazione verso la Francia. ISREALIFICAZIONE E REPRESSIONE Partendo dall’osservazione del contesto italiano – tra il caso di Anan, Ali e Mansour, quello di Ahmad Salem e in fine di Mohamed Shahin – cerchiamo di delineare le diverse modalità operative dei processi di “israelificazione della repressione”, concentrandoci quindi sulle interferenze inerenti le udienze per il ricorso contro la proscrizione per terrorismo di Palestine Action in UK: Torniamo quindi a osservare uno dei principali vettori nei processi di israelificazione: l’importazione di sistemi di sorveglianza progettati all’interno di quel campo unico – in termini di deumanizzazione, marketing, produzione della minaccia permanente, oppressione, letalità, società dei varchi e via dicendo – rappresentato dal “Laboratorio Palestina”. Grazie a un’importante inchiesta di Fanpage, dalla quale emerge anche l’Arma dei Carabinieri come cliente, torniamo a parlare del colosso israeliano della sorveglianza biometrica Corsight:
AGGIORNAMENTI PRISONERS FOR PALESTINE – PROCESSO PALESTINE ACTION – ISRAELIFICAZIONE E REPRESSIONE – CORSIGHT@2
Estratti dalla puntata del 1 dicembre 2025 di Bello Come Una Prigione Che Brucia PRISONERS FOR PALESTINE: AGGIORNAMENTI SCIOPERO DELLA FAME Sotto il peso della coltre di censura mediatica attivata nel Regno Unito, stiamo entrando nella quinta settimana dello sciopero della fame iniziato il 2 novembre 2025, Kamran Ahmed e Teuta “T” Hoxha hanno avuto bisogno di un ricovero ospedaliero. Osserviamo anche le azioni messe in campo in carcere da Lewie e Umer dei Brize Norton 5, il gruppo di Palestine Action che fece breccia in una base della RAF danneggiando due aerei Voyager complici del genocidio. In fine un comunicato di Abu Gib in solidarietà con i 30 migranti in sciopero della fame nei lager britannici contro la deportazione verso la Francia. ISREALIFICAZIONE E REPRESSIONE Partendo dall’osservazione del contesto italiano – tra il caso di Anan, Ali e Mansour, quello di Ahmad Salem e in fine di Mohamed Shahin – cerchiamo di delineare le diverse modalità operative dei processi di “israelificazione della repressione”, concentrandoci quindi sulle interferenze inerenti le udienze per il ricorso contro la proscrizione per terrorismo di Palestine Action in UK: Torniamo quindi a osservare uno dei principali vettori nei processi di israelificazione: l’importazione di sistemi di sorveglianza progettati all’interno di quel campo unico – in termini di deumanizzazione, marketing, produzione della minaccia permanente, oppressione, letalità, società dei varchi e via dicendo – rappresentato dal “Laboratorio Palestina”. Grazie a un’importante inchiesta di Fanpage, dalla quale emerge anche l’Arma dei Carabinieri come cliente, torniamo a parlare del colosso israeliano della sorveglianza biometrica Corsight:
L’espulsione di Mohamed Shahin è una minaccia alla libertà di espressione
La vicenda dell’espulsione dell’imam torinese Mohamed Shahin merita di essere conosciuta nei dettagli e di una mobilitazione che ne pretenda l’immediata scarcerazione dal Cpr di Caltanissetta dove è stato spedito da Torino (con un accanimento vergognoso) e la sospensione dell’espulsione decretata unilateralmente dal Ministero degli Interni. Contro Mohamed Shahin era […] L'articolo L’espulsione di Mohamed Shahin è una minaccia alla libertà di espressione su Contropiano.
Caso “La Stampa” | Il prezzo di stare dalla parte giusta – di Cristina Roncari
Sabato sera. Cena. La Tv gira per conto suo. Arrivano le parole: “Ignobile, vile, grave, irresponsabile, anni di piombo”. Guardo le immagini: ragazzi entrano nella sede del quotidiano La Stampa e come si direbbe oggi in linguaggio antagonista “ lo sanzionano”. Mi colpiscono volti scoperti. Santa ingenuità. Con un governo di estrema destra e [...]
FREE SHAHIN: Campagna per la liberazione di Mohamed Shahin
“L’arresto di Mohamed Shahin, la revoca del permesso di soggiorno e la decisione del giudice di confermare l’espatrio forzato verso l’Egitto nonostante la richiesta di asilo politico rappresentano una palese violazione dello spirito e della lettera della Costituzione Italiana. Da un lato rappresentano un atto di repressione politica per chi si è battuto contro il genocidio a Gaza e nello stesso tempo un atto di violazione delle più elementari regole umanitarie visto il rischio che Mohamed subisca i Egitto ogni sorta di violenza da parte del regime al potere. Non è tollerabile che un cittadino straniero che partecipa attivamente ai movimenti democratici che attraversano il paese venga trattato come un assassino mettendo addirittura a rischio la sua incolumità fisica. Per questo chiediamo un intervento urgente del governo per fermare questa azione delittuosa tipica di uno stato di polizia e non di uno stato democratico.” (Paolo Ferrero, segretario provinciale Prc-Se) Torino-InfoPal. Mohamed Shahin, leader di una moschea a Torino, in Italia, dissidente politico egiziano (che rischia la pena di morte in Egitto), prominente attivista pro-Palestina e contro il genocidio a città di Gaza, è stato arrestato due giorni fa dalla polizia italiana, su ordine del governo filo-sionista, razzista e islamofobo della prima ministra Meloni, per il suo sostegno alla Palestina. È accusato di aver dichiarato, durante manifestazioni, che l’Operazione Al-Aqsa Flood della Resistenza palestinese, il 7 ottobre 2023, è stata motivata da 80 anni di pulizia etnica e genocidio sionista contro i nativi palestinesi… Un’affermazione storicamente comprovata e condivisa, ma poiché Shahin è un immigrato e quindi legalmente vulnerabile, il governo ne ha ordinato l’arresto e la deportazione. La deportazione di Shahin in Egitto significa che verrà imprigionato, torturato e probabilmente ucciso. La società civile italiana sta sostenendo Shahin e chiede la sua liberazione. È un uomo buono, pacifico e antisionista, conosciuto e amato da musulmani, cristiani e dal resto della popolazione. Il governo Meloni, con i suoi sostenitori razzisti della Lega Nord al potere, sta alimentando divisioni, razzismo e conflitti. A cura di TorinoPerGaza. C’è un angolo di Torino, tra le strade vive di San Salvario, dove per più di vent’anni una figura gentile ha camminato con passo sicuro, salutando volti che nel tempo sono diventati famiglia. È lì, tra quelle vie multiculturali, che Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn Al Khattab, ha costruito la sua vita, il suo futuro e quello dei suoi due splendidi bambini. Torino non è semplicemente il luogo in cui vive: è la città che ha scelto, amata con la dedizione di chi la considera casa in ogni senso. Arrivato in Italia più di vent’anni fa, Mohamed ha intrecciato la sua storia con quella della comunità torinese con una naturalezza rara. Chi lo conosce lo descrive con parole che non hanno bisogno di essere elaborate: un uomo buono, un uomo di fede, un uomo di pace. La sua voce, calma e ferma, è diventata negli anni un punto di riferimento per centinaia di persone. In questi ultimi due anni, il suo impegno verso la causa palestinese è stato totale. Ha ascoltato, ha parlato, ha guidato, ha portato nelle piazze e nei cuori una richiesta semplice e potente: dignità, giustizia, umanità. E in questo percorso non è mai stato solo: attorno a lui, la comunità si è stretta come si fa attorno a un fratello, a un padre, a una guida. Per il quartiere di San Salvario, Mohamed non è soltanto un imam. È un pilastro, una presenza che consola, accompagna, media. Sa trovare le parole giuste per chi attraversa un momento difficile e sa ricordare, con il suo esempio, che il dialogo non è una teoria, ma un gesto quotidiano. La sua fede, però, non è mai stata confinata alle mura della moschea. Mohamed ha sempre creduto che il ruolo di un leader religioso sia anche quello di costruire ponti. Lo ha fatto attraverso il dialogo e l’integrazione, promuovendo attività culturali e sociali che hanno reso Torino un luogo un po’ più aperto, un po’ più unito. Lo ha fatto anche collaborando con le autorità locali e le forze dell’ordine, dimostrando che la sicurezza e la coesione sociale si costruiscono insieme, con fiducia e responsabilità condivisa. Un aspetto spesso ricordato da chi lo conosce è la sua collaborazione, lunga e sincera con i Valdesi, i Cattolici e anche con la sinagoga di San Salvario. In questi anni, Mohamed ha coinvolto i rabbini in momenti di confronto e dialogo, ha visitato più volte la sinagoga e ha invitato il rabbino nella moschea, trasformando la relazione fra le due comunità in un esempio concreto e luminoso di rispetto reciproco e convivenza. Un ponte, ancora una volta. Un ponte costruito non con le parole, ma con i gesti. Tra le sue iniziative più significative, molti ricordano poi quella del 2016, quando partecipò alla distribuzione della Costituzione italiana tradotta in arabo. Non era solo un gesto simbolico: era un invito a far entrare nelle case dei fedeli musulmani i valori fondamentali della Repubblica, perché integrazione significa conoscersi, riconoscersi, camminare nella stessa direzione pur portando storie diverse. Chi incontra Mohamed Shahin ne rimane colpito, quasi toccato. Forse per la sua serenità. Forse per quella luce negli occhi che hanno solo le persone che credono davvero negli altri. O forse perché, semplicemente, Mohamed rappresenta ciò che spesso dimentichiamo: che una comunità si costruisce con la cura, la presenza e l’ascolto. E oggi, mentre in molti alzano la voce per lui, c’è una certezza che attraversa Torino come un filo invisibile: un uomo così non si dimentica. Un uomo così appartiene alla sua comunità. Un uomo così è casa Un uomo così, deve tornare a casa, Ora!   InfoPal