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Honduras: movimenti popolari respingono l’ingerenza statunitense nelle elezioni
Basta violazioni della sovranità nazionale! Ulteriori prove della frode Il 4 dicembre scorso organizzazioni indigene e contadine si sono mobilitate dai loro territori verso la capitale per denunciare e respingere l’ingerenza degli Stati Uniti nel processo elettorale appena svoltosi in Honduras, mettendo in guardia dal ritorno al potere di settori politici ed economici violenti e criminali. “Il processo elettorale nel nostro Paese dimostra la reale capacità degli Stati Uniti di influenzare la nostra fragile democrazia (…) Che la propaganda del presidente Trump abbia favorito il Partito nazionale, nonostante i suoi comprovati legami con il narcotraffico, è stato un atto palesemente d’ingerenza e violatorio della libera volontà dei popoli”, si legge nel comunicato delle organizzazioni che si sono radunate davanti al centro operativo del Consiglio nazionale elettorale (Cne). Seminare paura Pochi giorni prima del voto, il presidente statunitense ha rotto il silenzio elettorale con un messaggio pubblicato sul suo account Truth Social, in cui annunciava il suo sostegno incondizionato al candidato del Partito nazionale, Nasry Asfura, definendo “quasi comunista” e “poco affidabile” il candidato del Partito liberale, Salvador Nasralla, e “comunista” e “ammiratrice di Fidel Castro” la sua avversaria del partito di governo Libertà e Rifondazione (Libre), Rixi Moncada. Poco dopo, il presidente argentino di estrema destra Javier Milei si è unito all’appello di Trump. Il giorno seguente, lo stesso Trump ha gettato benzina sul fuoco annunciando che avrebbe graziato l’ex presidente honduregno Juan Orlando Hernández, condannato a 45 anni di carcere per reati legati al traffico di droga. In caso di sconfitta di Asfura, gli Stati Uniti non avrebbero più investito nel Paese, tanto meno – ha scritto – se avesse vinto Moncada. Il giorno dopo le elezioni, il leader statunitense ha pubblicato nuovamente minacce contro coloro che starebbero organizzando una frode per impedire la vittoria del candidato nazionalista. Mai, nella storia elettorale dell’Honduras, si era vista un’ingerenza straniera così grossolana e sfacciata come quella attuale, con il silenzio complice delle missioni di osservazione internazionale. Con l’88% dei voti trasmessi, Asfura è in testa alle elezioni presidenziali honduregne, con un margine di 20 mila voti su Nasralla. “Non ci piegheranno” Mentre i candidati del bipartitismo e della destra tradizionale si scambiano accuse e si proclamano vincitori, Rixi Moncada e Libre denunciano brogli attraverso la manipolazione del sistema di trasmissione dei risultati preliminari (Trep), l’ingerenza straniera e l’alterazione dei verbali. “La manovra è grossolana: un intervento straniero sfacciato, minaccioso, ingiusto e infame per distorcere la volontà popolare e frenare Rixi”, attacca dal suo account X  l’ex presidente Manuel Zelaya. “Signor Donald Trump, lei non ci intimidisce, abbiamo resistito a colpi di Stato, frodi monumentali, omicidi politici e persecuzioni. Se siamo sopravvissuti alla narcodittatura, crede che un suo tweet ci piegherà?”, ha aggiunto. Per l’analista politico Óscar Chacón, intervistato dal Diario Uchile, l’atteggiamento del presidente statunitense rivela una forte contraddizione. “C’è tutta una narrativa che cerca di creare l’immagine di (Nicolás) Maduro come un capo di Stato a capo di un’organizzazione narcoterroristica, senza che fino ad oggi siano state presentate prove convincenti al riguardo. Allo stesso tempo, negli Stati Uniti viene liberata una persona su cui esiste una quantità monumentale di prove che dimostrano che ha introdotto enormi quantità di cocaina negli Stati Uniti”. Venti di frode Le organizzazioni indigene e contadine hanno puntato il dito contro “l’ipocrita lotta internazionale contro il narcotraffico” e hanno denunciato la “liberazione del narco-dittatore Juan Orlando Hernández” che, insieme al suo partito, “ha trasformato l’Honduras in uno Stato narco, strumentalizzando le istituzioni per affari criminali e la proliferazione di gravi violazioni dei diritti umani”. Il comunicato del movimento popolare honduregno indica anche i due partiti tradizionali che si contendono il potere come “responsabili storici della povertà e dell’ingiustizia che affliggono l’Honduras”. In questo senso, hanno chiesto il rispetto della volontà sovrana del popolo honduregno, la garanzia di uno scrutinio rigoroso e l’attribuzione delle responsabilità alla consigliera del Cne, Cossette López, e a tutte le persone responsabili delle cospirazioni contro il processo elettorale. Nelle settimane precedenti alle elezioni, il consigliere del Cne, Marlon Ochoa, aveva denunciato l’esistenza di un piano orchestrato dall’opposizione per destabilizzare il processo elettorale. Diverse registrazioni audio coinvolgevano López, il capogruppo del Partito nazionale, Tomás Zambrano, e un membro delle Forze armate. Ieri (4/12), lo stesso Ochoa ha tenuto una conferenza stampa per denunciare quello che considera un colpo di Stato elettorale (qui il comunicato ufficiale). Su 15.297 verbali trasmessi, 13.246 (86,6%) presentano errori e incongruenze tra la registrazione biometrica e il contenuto del verbale trasmesso tramite il Trep. La differenza ammonta a oltre 982 mila voti. Inoltre, Ochoa ha spiegato che è stato rilevato che il Trep non leggeva né interpretava correttamente i numeri dei voti scritti a mano nei verbali e che trasferiva i voti da un candidato all’altro o da un partito all’altro. Ha anche denunciato che 16.615 verbali sono stati trattenuti all’interno del sistema per 40 ore, la pagina di divulgazione dei risultati è rimasta inattiva per diverse ore e ha subito continue interruzioni. “Una matematica fatta su misura per il bipartitismo con il sostegno pubblico di Washington”, ha affermato il consigliere. Per Ochoa si tratterebbe di una “operazione coordinata tra forze interne alla leadership del bipartitismo e un’ingerenza straniera alleata, che sta imponendo una decisione elettorale che spetta solo al popolo sovrano”. Appello all’unità Le organizzazioni sociali si sono mobilitate verso l’ambasciata degli Stati Uniti a Tegucigalpa, dove hanno lanciato un appello alle organizzazioni contadine, operaie, indigene, femministe e ambientaliste del Paese affinché consolidino la più ampia unità popolare, “per costruire un programma di lotta e difendere l’autodeterminazione dei nostri popoli e territori”. “Si tratta di una flagrante violazione della sovranità nazionale e di un tentativo di plasmare la percezione pubblica e la stabilità sociale in un momento critico per l’Honduras. È inaccettabile che i messaggi di altri Stati vengano utilizzati per esercitare pressioni, influenzare o condizionare l’esito politico dell’Honduras”, ha avvertito Wendy Cruz della Vía Campesina Honduras. “Denunciamo una frode e una manipolazione mediatica che si sta preparando da giorni da parte dei gruppi di potere nazionali e degli Stati Uniti, che stanno giocando un ruolo determinante nelle elezioni”, ha detto Bertha Zúniga, coordinatrice del Copinh. “Non possiamo rimanere in silenzio”, ha continuato, “invitiamo tutte le persone consapevoli a unirsi a questa protesta, perché stanno tornando al potere le strutture criminali che stanno dietro a questi candidati. Dobbiamo alzare la voce!”.   Fonte: LINyM (spagnolo) Giorgio Trucchi
Bresso, no aeroporto commerciale:non ci fermeremo nonostante il dietrofront di Enac Servizi Srl
“Non crediamo alle rassicurazioni date da Enac Servizi Srl e riteniamo le nostre preoccupazioni fondate e legittime. Ecco perché andremo avanti con la nostra protesta e abbiamo deciso di lanciare una raccolta firme in tutti i Comuni interessati dal traffico aereo intorno a Bresso. – dichiara il Comitato Difesa Parco Nord No Aeroporto Commerciale – Inoltre, entro gennaio inviteremo tutte le istituzioni, i Sindaci, Enac ed Enac Servizi Srl ad una assemblea pubblica sulla difesa del Parco Nord e del Protocollo del 2007”. Il Comitato Difesa Parco Nord – No Aeroporto Commerciale, alla luce delle audizioni di ieri in Regione Lombardia, ribadisce la sua completa contrarietà alla Regional Air Mobility e a qualsiasi violazione del Protocollo d’Intesa del 2007 relativo all’Aeroporto di Bresso “Franco Bordoni Bisleri”. Al fianco del Comitato, ieri mattina erano presenti all’audizione il Sindaco di Bresso Simone Cairo, il Vice Sindaco di Cusano Milanino Mario Zanco e di Cinisello Balsamo Giuseppe Berlino, il Presidente di Parco Nord Milano Marzio Marzorati, il promotore del Comitato Difesa del Parco Nord Arturo Calaminici, l’Assessore Elena Grandi del Comune di Milano e i rappresentanti di Città Metropolitana di Milano, che hanno espresso in maniera univoca le loro preoccupazioni sull’impatto che questa eventuale decisione avrebbe per l’inquinamento acustico, ambientale e per la sicurezza dei comuni limitrofi già densamente abitati. Gli auditi hanno, inoltre segnalato l’aumento dei voli dallo scalo milanese. “Sull’aeroporto di Bresso è, inoltre, attualmente in vigore il protocollo d’intesa firmato nel 2007 e sottoscritto da molti enti, tra cui la presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dei Trasporti, la Provincia di Milano e i Comuni coinvolti. – ha precisato il Sindaco di Bresso Simone Cairo – Tale protocollo esclude opere o interventi che potenzino ulteriormente la capacità di traffico aereo”. Il Protocollo di intesa è attualmente in vigore dal 31 luglio 2007 ed esclude tassativamente opere o interventi che configurino un potenziamento della capacità di traffico. Lo stesso Piano di Riassetto Aeroportuale, redatto dall’ENAC nel 2005, sottolineava come lo scopo fosse intervenire senza produrre impatti significativi sul territorio circostante ed escludendo qualsiasi modifica dell’utilizzo dell’infrastruttura o incremento di traffico e quindi anche di inquinamento acustico o atmosferico. A sottoscrivere quel documento furono: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dei Trasporti, Provincia di Milano, Agenzia del Demanio, Ente Nazionale Aviazione Civile (ENAC), Comuni di Bresso, Cinisello Balsamo e Milano, Consorzio Parco Nord Milano. “Il Parco Nord risponde ai bisogni dei cittadini e alle esigenze di biodiversità. – ha aggiunto Marzio Marzorati, Presidente del Parco Nord Milano – L’anno scorso è stato frequentato da 3 milioni di visitatori. La natura ha assunto un ruolo pubblico. Se Bresso dovesse diventare uno scalo commerciale ci sarebbero conseguenze sulla fruizione del parco e anche sull’ambito residenziale”. “Non esiste nessuna richiesta né progetto che preveda di aprire l’aeroporto di Bresso al traffico commerciale. Le notizie che sono state diffuse nelle scorse settimane sono infondate. Quello che esiste è uno studio realizzato dalla Fondazione PWC Italia che ha esaminato le potenzialità di questa area per lo sviluppo di vari servizi sul territorio, come per esempio il trasporto sanitario di farmaci di nuova generazione con droni a propulsione elettrica e a idrogeno e il trasporto di organi e materiale biologico. Servizi per i quali sono in essere collaborazioni con aeroporti già operativi su questo fronte e con ospedali che sarebbero interessati a fruire di questi servizi”. Così si è difeso l’Amministratore Unico di Enac Servizi Srl Marco Trombetti che però ha firmato con Enac un contratto di programma dal 2025 al 2027 che prevede che dal 1° febbraio 2026 l’aeroporto di Bresso sarà affidato in gestione totale alla sua società la cui missione principale è quella di sviluppare la Regional Air Mobility (RAM), una rete nazionale di scali di aviazione generale come quello di Bresso. Qui un passaggio del documento: 𝐋’𝐞𝐫𝐨𝐠𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 (dei finanziamenti a Enac Servizi Srl) 𝐞̀ 𝐭𝐞𝐬𝐚 𝐚 […] 𝐚 𝐬𝐯𝐢𝐥𝐮𝐩𝐩𝐚𝐫𝐞 𝐞 𝐚 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐞𝐧𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐜𝐞𝐬𝐬𝐚𝐫𝐢𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐧𝐜𝐞𝐧𝐭𝐢𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐥’𝐢𝐦𝐩𝐥𝐞𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐫𝐨𝐭𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥 𝐀𝐢𝐫 𝐌𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐲, 𝐢𝐧 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐢𝐜𝐨𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐬𝐮𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐞𝐫𝐨𝐩𝐨𝐫𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐜𝐮𝐢 𝐚𝐥𝐥’𝐚𝐫𝐭. 𝟒, 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐚𝐝 𝐄𝐍𝐀𝐂 𝐮𝐧 𝐩𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐧𝐞𝐜𝐞𝐬𝐬𝐚𝐫𝐢𝐞. Questo progetto aprirebbe gli aeroporti demaniali statali territoriali a voli commerciali nell’ambito della mobilità aerea territoriale tramite l’utilizzo di velivoli di massimo 19 passeggeri con un raggio d’azione che varia dai 300 a 600 chilometri.   Redazione Italia
20 anni dopo l’8 dicembre NoTav a Venaus: in mostra a Susa quell’epica stagione
Nell’ambito delle iniziative per il ventennale dei fatti avvenuti in Valsusa dal 31 ottobre all’8 dicembre 2005, si è inaugurata lo scorso week end al Castello della Contessa Adelaide di Susa una ricca mostra per rievocare non solo quell’epica giornata, ma tutto ciò che successe in Valle prima e anche dopo. Un racconto per immagini (oltre 80 le foto che il Movimento NoTav ha recuperate dagli archivi delle testate Luna Nuova e Valsusa che ringraziamo) ma non solo, perché aggirandosi tra i pannelli esposti sarà possibile rivedere quelle straordinarie “creature” con cui l’artista Piero Gilardi espresse tutta la sua solidarietà e partecipazione al nostro movimento. Il percorso della mostra segue un tragitto cronologico partendo dall’epica battaglia del Seghino (31ottobre 2005), quando popolazioni e sindaci da una parte e forze dell’ordine dall’altra si fronteggiarono: i primi per impedire l’installazione di una trivella che avrebbe significato l’avvio dei cantieri della linea TAV Torino-Lione, i secondi per scortare la trivella stessa. Quel giorno segnò una prima vittoria per il fronte della cittadinanza che insieme ai suoi amministratori si era compattamente opposta all’abuso di una decisione imposta dall’alto e in disaccordo con l’intero territorio. Ma nella notte, centinaia di mezzi di Polizia tornarono sul luogo per militarizzare il comune di Mompantero e completare l’opera. La mostra prosegue quindi con le immagini delle proteste del giorno successivo, con l’occupazione di strade e ferrovie. Fino a quella grande marcia che il 16 novembre disegnò uno straordinario serpentone da Bussoleno fino a Susa, con oltre 50.000 persone, tra loro parecchi parlamentari, esponenti politici, delegazioni da tutt’Italia… ma soprattutto noi, studenti, vigili del fuoco, medici, semplici cittadini, abitanti della Valle. Le foto documentano poi l’escalation di tensione, quando alla fine di novembre le FFOO si attestarono a Venaus per permettere a LTF (oggi TELT) di installare il cantiere per l’inizio degli scavi del tunnel di base. Di nuovo ci fu una vera e propria insurrezione popolare, che creò una situazione di stallo e presidi permanenti per alcuni giorni e notti seguenti, fino a che, nella notte fra il 5 ed il 6 dicembre, i reparti speciali della Polizia diedero l’assalto alla tendopoli dei presidianti, ferendo decine di inermi cittadini, alcuni in modo grave. Su quella notte e sui giorni che seguirono la documentazione fotografica è particolarmente emozionante, soprattutto per quell’epica giornata dell’8 dicembre, quando una moltitudine di persone, si parlerà di 60.000, marciò verso il cantiere, occupandolo e costringendo le forze dell’ordine a battere in ritirata. La mostra si conclude infine con le immagini della grande e festosa manifestazione che si tenne anche a Torino il 17 dicembre: un altro bel serpentone di 50.000 persone, tra loro anche Dario Fo, Franca Rame, Marco Paolini, che arrivati al Parco della Pellerina presero la parola. Fu quello il momento che proiettò l’opposizione al TAV a livello nazionale. Manifestazione a Torino, 17 dicembre 2005 | Foto di Enzo Gargano A corredo di questa ricca carrellata di immagini, volti e ricordi, la mostra offre una rara occasione di rivedere alcune opere ritenute disperse (e che per fortuna siamo riusciti a recuperare) del compianto Piero Gilardi, artista, ambientalista e da sempre vicino alle istanze del Movimento NOTAV. Una foto datata proprio 8 dicembre 2005 lo immortala mentre si porta sulle spalle la “nostra Talpa”, in contrarietà con “la Talpa LTF” che avrebbe dovuto scavare il tunnel nelle viscere della montagna. Oppure nella scultura intitolata Le tre scimmie, ecco rappresentata la connivenza che sostiene il potere politico, insieme a quello finanziario, per non dire della mafia. Ed ecco anche il mitico Giacu, creatura mitica e notturna, con cui per anni il “folletti” del Movimento NOTAV continuarono a disturbare il personale TELT oltre le reti, che nel 2012 Gilardi tradusse in scultura, per una marcia da Susa a Bussoleno. Molto efficace anche un lungo striscione che occupa quasi un intero muro, concepito in collaborazione con alcuni giovani NOTAV, che seguendo una linea del tempo dal ‘93 ad oggi, rievoca con molta efficacia i momenti chiave di 32 anni del Movimento. Dopo l’inaugurazione dello scorso week end, la mostra sarà nuovamente visitabile dal 5 dicembre fino al giorno 8, dalle 14,30 alle 18.00. L’ingresso è gratuito e il visitatore potrà portarsi a casa, con un’offerta volontaria, il libro riccamente illustrato dal titolo L’autunno contro, che la testata Luna Nuova pubblicò pochi mesi dopo quell’epica stagione: con testi di Tiziano Picco, Massimiliano Borgia, Claudio Rovere, Andrea Spessa, Daniele Fenoglio, Paola Meinardi, Davide Chiarbonello e oltre 300 foto a colori di Gabriele Basso, Danilo Calonghi, Alessandro Contaldo, Luca Croce, Marco Giavelli, Claudio Giorno, Renzo Miglio, Eva Monti, Norma Raimondo, Stefano Snaidero. Giorgio Mancuso
Brasile di Lula tra la Cop30, i territori indigeni e le promesse mancate. Intervista a Loretta Emiri
Cop30, le trame oscure del “green capitalism”, la colonizzazione dei crediti di carbonio, le false soluzioni tecnocratiche alla crisi climatica, la lotta per il riconoscimento dei territori indigeni amazzonici e le mancate promesse del governo Lula, ormai totalmente dipendente dal Congresso Nazionale in mano alla destra neoliberista. In questa intervista c’è tutta la passione di una ecologista e indigenista italiana che ha vissuto con gli indigeni amazzonici del Brasile e con loro ha respirato la loro lingua, la loro cultura, la loro spiritualità, la profonda connessione con la Natura, la difesa dei loro sistemi di medicina tradizionale, la lotta per la difesa dell’Amazzonia e dei territori indigeni dall’estrattivismo e dalla deforestazione. Nel 1977 Loretta Emiri si è stabilita nell’Amazzonia brasiliana dove, per 18 anni, ha sempre lavorato con o per gli indios. I primi quattro anni e mezzo li ha vissuti con gli indigeni Yanomami delle regioni del Catrimâni, Ajarani e Demini. Fra di loro ha svolto lavori di assistenza sanitaria e un progetto chiamato Piano di Coscientizzazione, del quale l’alfabetizzazione di adulti nella lingua materna faceva parte. In quell’epoca ha prodotto saggi e lavori didattici, fra i quali: Gramática pedagógica da língua yãnomamè (Grammatica pedagogica della lingua yãnomamè), Cartilha yãnomamè (Abbecedario yãnomamè), Leituras yãnomamè (Letture yãnomamè), Dicionário Yãnomamè-Português (Dizionario Yãnomamè-Portoghese). Nel 1989 è stato pubblicato A conquista da escrita – Encontros de educação indígena (La conquista della scrittura – Incontri di educazione indigena), che Loretta ha organizzato insieme alla linguista Ruth Monserrat, e che include il capitolo Yanomami di cui è autrice. Nel 1992 ha pubblicato la raccolta poetica Mulher entre três culturas – Ítalo-brasileira ‘educada’ pelos Yanomami (Donna fra tre culture – Italo-brasiliana ‘educata’ dagli Yanomami). Alcune sue poesie sono state incluse nel volume 3 della Saciedade dos poetas vivos. Nel 1997 ha pubblicato Parole italiane per immagini amazzoniche, opera che riunisce ventisette poesie; tredici sono in portoghese, lingua nella quale sono state generate, accompagnate da versioni in italiano. Nel 1994 ha pubblicato il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver. Nel 2022 ha pubblicato Educada pelos Yanomami (Educata dagli Yanomami), libro di poesie e foto scattate tra gli Yanomami. In italiano, Loretta ha pubblicato i libri di racconti Amazzonia portatile, A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta, Discriminati che ha ottenuto il Premio Speciale Migliore Opera a Tematica Sociale del 12º Concorso Letterario Città di Grottammare-2021; le presentazioni degli ultimi due libri sono entrate nel programma ufficiale del Salone Internazionale del libro di Torino, rispettivamente nel 2017 e 2019; invece per Amazzone in tempo reale  ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria per la Saggistica del Premio Franz Kafka Italia 2013. Nel 2020 ha pubblicato Mosaico indigeno, che riunisce testi con taglio giornalistico sulla congiuntura indigena. Loretta è anche autrice del romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne, 2011, e di Romanzo indigenista, 2023. Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più è stato divulgato in versione pdf nel gennaio del 2023. Suoi testi appaiono in blogs e riviste on-line, tra cui Sagarana, La macchina sognante, Fili d’aquilone, El ghibli, I giorni e le notti, AMAZZONIA ­– fratelli indios, Euterpe, Pressenza, La bottega del Barbieri, Sarapegbe, Atlante Residenze Creative, Cartesensibili. Nel maggio del 2018 è stata insignita del Premio alla Carriera “Novella Torregiani – Letteratura e Arti Figurative”, per la difesa dei diritti dei popoli indigeni brasiliani. Come è andata la Cop30 a Belem, in Brasile? Le conferenze climatiche sono sempre servite per stilare accordi tra capi di governo e esponenti del capitale globale. A ogni anno che passa, questa realtà è sempre più squallidamente evidente.   Tali accordi mascherano le disuguaglianze storiche e perpetuano le strutture coloniali. Ciò che cambia negli anni, sono le parole e le strategie usate per mantenere gli interessi autocratici e geopolitici determinati da coloro che detengono il potere economico. A Belem si è ripetuto il teatrino: nonostante la massiccia presenza di indigeni, comunità tradizionali, lavoratori, movimenti sociali, il processo ufficiale è stato dominato totalmente dai suddetti interessi economici. L’espressiva presenza delle minoranze e delle classi oppresse è servita, però, a mettere in evidenza, in modo eclatante, definitivo, proprio il distanziamento che c’è tra il potere costituito, asservito al capitalismo, e le popolazioni. La Cop30 in molti avevano previsto che sarebbe stata l’ennesima occasione persa, per via della prospettiva completamente eurocentrica che sembra aver preso in questi anni trattando fondamentalmente del tema del net-zero, della retorica sulla “neutralità carbonica” e delle false soluzioni tecnocratiche alla crisi climatica: quello che il presidente della Bolivia Luis Arce aveva definito “colonizzazione dei crediti di carbonio” e “capitalismo green”. Ha riscontrato anche lei questa tendenza? Rispondendo alla prima domanda, ho risposto parzialmente a questa. Ma il quesito posto merita un approfondimento a partire dalla definizione “green capitalism”. Dietro questo termine così moderno e accattivante si nasconde tutto il marciume del capitalismo selvaggio, dell’ipocrisia, del colonialismo tuttora vivo e vegeto. Ripeto: ciò che cambia sono le parole e le strategie. Vi faccio un esempio concreto parlandovi degli Yanomami, con i quali ho avuto il privilegio di vivere per oltre quattro anni nella loro patria/foresta, e di cui sono un’alleata storica. La gioielleria francese Cartier ha creato una fondazione attraverso la quale finanzia pubblicazioni e mostre che hanno a che vedere con gli Yanomami. Il territorio di questo popolo è sistematicamente violato dai cercatori d’oro; durante l’invasione organizzata nel 1987 dalle oligarchie locali, l’etnia ha rischiato l’estinzione; nel 1992 il suo territorio è stato ufficialmente omologato, ma ciò non ha fermato le invasioni; durante il governo Bolsonaro gli Yanomami hanno di nuovo rischiato di scomparire; nel marzo del 2024, il governo Lula ha ordinato la rimozione dalla Terra Indigena Yanomami dei cercatori d’oro, con la distruzione delle loro sofisticate armi e dei potenti macchinari di cui oggigiorno dispongono. Quest’ultima è stata senz’altro una iniziativa lodevole ma, storicamente, succede che i cercatori vengono allontanati per poi sempre tornare invadendo altre aree; i politici parlano di successi e conquiste, gli Yanomami continuano a denunciare le sistematiche nuove invasioni (che potrebbero essere evitate adottando provvedimenti più efficaci già identificati e ripetutamente suggeriti).  Come vogliamo definire la Cartier, potente gioielleria francese che finanzia iniziative relative gli Yanomami minacciati di estinzione proprio a causa dell’estrazione dell’oro nel loro territorio? È ipocrisia anche cercare di convincere l’opinione pubblica che l’estrazione legale dell’oro è differente da quella illegale, dato che gli habitat sono ugualmente distrutti, le popolazioni locali sono ugualmente sfruttate e si ammalano a causa dello stravolgimento dell’ambiente, mentre i capitalisti mondiali divengono più oscenamente obesi di quello che già sono.  Per non parlare di un altro fenomeno che sta sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno affronta: professionisti (antropologi, fotografi, scrittori, e persino filosofi o pseudo-tali) che hanno raggiunto notorietà e fama internazionale, nelle loro attività sono finanziati da fondazioni simili a quella della Cartier; fondazioni create da colossi mondiali che, attraverso il “capitalismo green”, perpetuano il colonialismo. Dal gennaio del 2023, cioè da quando Lula è tornato al potere, sono impegnata in una battaglia persa: fomento la creazione di un Centro di Formazione Yanomami, che potrebbe essere facilmente creato nell’unica area del loro territorio raggiungibile attraverso la strada. Una delle finalità della proposta è quella di incentivare l’unione e la collaborazione tra i gruppi locali, storicamente nemici fra di loro, perché solo l’unione e l’organizzazione permetterà agli Yanomami di sopravvivere fisicamente e culturalmente. Un’altra finalità è quella di preparare professionalmente i giovani, affinché assumano funzioni e ruoli a tutt’oggi svolti o controllati dai bianchi, mettendoli in condizione di prendere decisioni autonomamente e dispensare gli “intermediari”, cioè le poche persone che decidono per loro. L’unione e la formazione sono strumenti di lotta che rafforzerebbero l’organizzazione e l’autonomia della società yanomami. Io penso e scrivo le stesse cose da oltre quarant’anni, ma coloro che potrebbero concretizzare la proposta della formazione rivolta a tutta il popolo, e non solo ad alcuni privilegiati individui o gruppi locali, continuano, imperterriti, a fare “orecchie da mercante”. Come si sta muovendo il governo di Lula di fronte ai temi dell’ambiente? Sta portando avanti i temi della deforestazione, della fine dell’estrattivismo e della consegna delle terre agli indigeni come aveva promesso? Naturalmente, in occasione della Cop30 Lula ha omologato alcune poche terre indigene, tanto per dare un contentino; ma ce ne sono oltre sessanta di cui il processo amministrativo è stato completato e alle quali manca solo la sua firma. Lula è potuto tornare al governo facendo accordi a dir poco “ambigui”, così che può decidere ben poco. Chi decide è il Congresso Nazionale, nel cui seno sono confluiti loschi figuri legati al governo anteriore e quindi all’estremissima destra. E il Congresso non dà tregua: mi riferisco al Progetto di Legge definito Della Devastazione; al Senato che in cinque minuti ha approvato una legge che beneficia termoelettriche a carbone; alla crescente offensiva dell’agribusiness contro i popoli indigeni, offensiva incentivata dall’indecente tesi del Marco Temporale, tesi che contraddice quanto stabilito dal STF (Supremo Tribunale Federale), e cioè che la data della promulgazione della Costituzione Federale non può essere utilizzata per definire l’occupazione tradizionale delle terre indigene. Dato che era già stato approvato nella Camera dei Deputati, il suddetto progetto di legge venne inviato a Lula che ne vietò la tesi e altri dispositivi; i veti presidenziali vennero poi rigettati dal Congresso, cosi il progetto è diventato la Legge Nº 14.701/2023. Lo scienziato Philip Fearnside, ricercatore dell’INPA (Istituto Nazionale di Ricerche dell’Amazzonia), reputa che la Cop30 sai stata caratterizzata da una generalizzata mancanza di coraggio politico per affrontare i temi centrali della crisi climatica. Nell’intervista concessa alla rivista Amazônia Real, egli afferma che la conferenza ha ignorato i combustibili fossili e non ha fatto passi in avanti per combattere la deforestazione; decisioni queste che, secondo lui, mettono a rischio immediato la sopravvivenza dei popoli indigeni e delle comunità tradizionali dell’Amazzonia. Inoltre, Fearnside afferma che il Brasile sbaglia anche nella transizione energetica, mantenendo contraddizioni come l’asfaltatura della strada BR-319 e nuovi progetti di estrazione del petrolio, mentre i provvedimenti emergenziali in atto non hanno la capacità di accompagnare la velocità con cui avviene il surriscaldamento della terra. Alla vigilia della Cop30 l’Ibama (Istituto Brasiliano dell’Ambiente e delle Risorse Naturali Rinnovabili, che è un’autarchia federale) ha autorizzato la Petrobras a realizzare ricerche per rendere viabile l’esplorazione del petrolio a cinquecento km. dalla Foce del Fiume Amazonas, nel cosiddetto Margine Equatoriale, in alto mare, a confine tra gli Stati di Amapá e Pará. Mentre, appena la Cop30 si è conclusa, il Congresso ha rigettato i veti che erano stati suggeriti e ha autorizzato nuovi interventi in punti critici della strada BR-319; notizia, questa, del 27 novembre 2025. Durante la Cop30 sono successe cose che, per un spettatore esterno sembrerebbero assurde. Le proteste degli indigeni alla Cop30 sono state represse duramente. Cosa è successo precisamente? Il fatto che la Cop30 sia stata realizzata in Brasile ha permesso che un grande numero di indigeni ed esponenti di popolazioni tradizionali si facessero presenti a Belem, che è la capitale simbolica dell’Amazzonia brasiliana. La loro massiccia presenza, la coloratissima diversità culturale che li caratterizza, le manifestazioni che hanno saputo organizzare, le loro accorate dichiarazioni, che sono frutto di oltre cinquecento anni di soprusi e sofferenze, hanno messo sotto i riflettori le contraddizioni dell’attuale governo. A stento Lula si barcamena tra ciò che potrebbe fare, ma non ha il coraggio sufficiente per fare, e ciò che fa, costretto dall’estremissima destra che controlla il Congresso Nazionale. Le forze dell’ordine hanno represso i manifestanti, proprio come accade in qualsiasi altro Paese che pensa di essere democratico: le popolazioni vengono represse quando osano mettere in discussione le scelte di Stato. Txulunh Natieli, che è una giovane leader del popolo Laklãnõ-Xokleng, ha riassunto brillantemente il risultato della Cop30 dicendo che la conferenza ha esposto le contraddizioni stesse del Brasile, la cui politica è molto esterna e poco interna. Invece Luene, del popolo Karipuna, ha affermato che il Brasile potrà guidare la transizione climatica soltanto se dichiarerà l’Amazzonia “zona libera dai combustibili fossili”. Il documento finale della conferenza invita alla cooperazione globale, ma evita di citare paroline quali “petrolio”, “carbone”, “gas”; dal documento è stata esclusa anche la locuzione “eliminazione graduale”. Gli accordi firmati durante la Cop30 rivelano la squallida farsa della sostenibilità, le lobby dei fossili, dell’oro, dell’agribusiness. Nonostante siano stati fatti alcuni pontuali passi in avanti, la conferenza è terminata lasciando grandemente frustrati leader indigeni, specialisti, osservatori, cioè tutti coloro che si rifiutano di essere servi di un sistema sociale piramidale. Cosa è successo tra Raoni e Lula e perché ha fatto così scalpore? Raoni è molto amato dagli indigeni e dai loro alleati, ma è molto conosciuto anche all’estero da quando il cantante Sting lo aiutò a far uscire la problematica indigena dall’ambito brasiliano per proiettarla a livello mondiale. È un adorabile vecchietto, dai più considerato e amato come “nonno”.  Durante tutta la vita, è stato coraggioso e coerente; il tema più ricorrente nei suoi discorsi riguarda il riconoscimento e l’ufficializzazione delle terre indigene. Come può sopravvivere un popolo senza un territorio dove vivere bene e perpetuarsi? Quando Lula è stato rieletto, il giorno della cerimonia ufficiale per l’inizio del suo nuovo mandato di presidente, ha voluto Raoni accanto a sé. Ha salito la rampa che lo ha condotto nel Palazzo del Planalto, sede del Potere Esecutivo Federale, tenendo a braccetto il vecchio leader indigeno. Durante la Cop30, senza usare mezzi termini, Raoni ha manifestato la sua profonda delusione di fronte al fatto che alle solite promesse non fanno mai seguito le scelte politiche che andrebbero fatte e, naturalmente, la sua presa di posizione ha avuto una grande ripercussione sia in Brasile che all’estero. Gli indigeni, come sempre, sono solo usati, strumentalizzati. Le foto scattate a Lula al fianco di Raoni sono l’espressione visiva delle promesse mancate contrapposte alla cruda realtà dei fatti. Quale è la situazione delle popolazioni indigene amazzoniche ora e cosa bisogna cambiare? In Brasile gli indigeni dovrebbero rifiutare di farsi cooptare dal governo federale, dal momento che molto poco riescono a fare: molti di loro si sono già “bruciati”, cioè hanno deluso il movimento indigeno organizzato perché difendono o tacciono su molte scelte ambigue fatte dal governo. In Italia, quello che andrebbe fatto sarebbe smettere di definire “di sinistra” persone e governi. La sinistra esiste ancora solo attraverso i movimenti e le organizzazioni popolari. Se Lula è stato un solido leader sindacale, fondatore del Partito dei Lavoratori, non significa che per arrivare ad essere eletto e rieletto presidente di un paese continentale come il Brasile non abbia dovuto modificare principi e posizioni, non abbia dovuto allearsi alle più disparate e ambigue forze politiche. Inoltre, come spiegare il fatto che all’interno del suo partito, apparentemente, sembra non esserci nessuno in condizione di sostituirlo? Corre voce che si candiderà per l’ennesima volta; e questa, almeno per me, non è democrazia, ma il perpetuarsi di una posizione di potere. Quello che andrebbe fatto sarebbe di analizzare con più equilibrio, più attenzione, meno retorica la situazione politica brasiliana ma, soprattutto, dovrebbe essere denunciato coraggiosamente, senza mezzi termini, il “capitalismo green”, che è fortemente praticato anche da multinazionali di origine italiana. Ciò che andrebbe fatto è denunciare e porre fine al colonialismo, che continua vivo e vegeto attraverso l’invenzione di nuovi termini e nuove strategie, che sono così efficaci da ingannare individui e intere popolazioni.  Ciò che gli indigeni fanno, da oltre cinquecento anni, è resistere per esistere.   Bibliografia Amazônia Real https://amazoniareal.com.br/repercussao-da-cop30-oscila…/ Apib Oficial https://apiboficial.org/2025/10/13/as-vesperas-da-cop-povos-indigenas-cobram-demarcacao-de-terras-67-so-dependem-de-uma-assinatura-de-lula/? Mídia Ninja https://www.facebook.com/MidiaNINJA Loretta Emiri, “Amazzonia – Il piromane ha nome e cognome” https://www.pressenza.com/it/2019/09/amazzonia-il-piromane-ha-nome-e-cognome/ Centro de Formação Yanomami no Ajarani – Dossier https://drive.google.com/file/d/1O_A3dR4u28VLB_iyrj3Xpxk–xRyYkC0/view?usp=share_link Durante la privilegiata, come lei stessa sostiene, convivenza con gli Yanomami, ha raccolto oggetti della cultura materiale di questo popolo. Di particolare rilievo è il nucleo dedicato all’arte plumaria, collane ed orecchini. Per lunghi anni ha accarezzato il sogno di sistemare i materiali in luogo pubblico. Il sogno si è concretizzato all’inizio del 2001, quando il Museo Civico-Archeologico-Etnologico di Modena ha accolto i 176 pezzi della Collezione Emiri di Cultura Materiale Yanomami. Nel maggio del 2019, una parte della collezione è stata esposta al pubblico e ufficialmente inaugurata. Durante tutto il 2023 e 2024 si è dedicata, sistematicamente, al fomento della creazione del Centro di Formazione Yanomami, da strutturarsi nell’area indigena Ajarani, producendo e divulgando vari testi riuniti nel Dossier “Moyãmi Thèpè Yãno – A Casa dos Esclarecidos – Centro de Formação Yanomami – Dossiê”, Loretta Emiri, CPI/RR, 01-24. Lorenzo Poli
“Olocausto palestinese”, un libro da leggere per capire e discutere
Autrice di questo saggio, appena pubblicato da Edizioni Al Hikma di Imperia, è Angela Lano, scrittrice, giornalista professionista, ricercatrice presso l’Università di Salvador de Bahia in Brasile e direttrice dell’agenzia di stampa InfoPal.it. Il testo dell’Autrice è anticipato da un’interessante prefazione di Pino Cabras e arricchito da un’appendice giuridica curata da Falastin Dawoud. Il volume è composto di 191 pagine, prezzo di copertina 14 euro e il ricavato dalle vendite finanzierà la campagna “1000 coperte per Gaza”. Il titolo si rifà a “Olocausto Americano” dello storico David Stannard che indaga sul genocidio dei nativi americani commesso dai colonizzatori europei. Questo tema fa da sfondo all’analisi dell’Autrice circa il dramma vissuto dai palestinesi dal giorno in cui iniziò l’insediamento dei pionieri del progetto coloniale sionista, basato sul suprematismo “bianco” e avente l’obiettivo di sostituirsi alla popolazione nativa utilizzando strumentalmente la narrazione biblica come fonte di un presunto diritto. La Palestina, si legge, non è solo la fonte di un immenso dolore, ma è anche “il simbolo attuale di migliaia di anni di ingiustizie, di genocidi, di pulizie etniche in nome di una superiorità razzista e suprematista” che caratterizza la “civiltà” europea, la stessa che 500 anni fa iniziò lo sterminio dei nativi americani, ed è sui resti di oltre 60 milioni di indigeni che si sono formati i democratici States, principali sostenitori di Israele, esecutore impunito del genocidio incrementale dei palestinesi . Il genocidio, afferma l’Autrice ricordando vari genocidi della storia “non è solo una componente del colonialismo occidentale: ne è il suo fondamento, da sempre” e oggi Gaza può essere definita “il capolinea dell’umanità e della legalità internazionale”. Senza l’abile e servile ammortizzatore mediatico non sarebbe stato possibile occultare l’essenza propria del progetto sionista, delle sue orripilanti pratiche disumane e della rete di complicità politiche, governative, finanziarie ed economiche che ne garantiscono l’impunità. Pagina dopo pagina cresce nel lettore la consapevolezza che gli arresti arbitrari, le illegali e continue appropriazioni di terre, le stragi di innocenti, le orrende torture dei prigionieri, il sadismo mostrato con criminale fierezza dai militari dell’IDF, l’uccisione mirata di centinaia di giornalisti, sanitari e operatori umanitari, le proposte di legge da Stato nazista, il disprezzo per la legalità internazionale e le sue  massime Istituzioni, tutto questo “non è un epifenomeno o una conseguenza accidentale dell’oppressione sionista” ma è la violenza propria, “radicata nell’ideologia del sionismo e una produzione sistematica delle mentalità colonialiste” e sarebbe un errore, afferma l’Autrice, considerare le criminali azioni commesse dall’Idf in questi due anni come reazione all’azione armata del 7 ottobre 2023 denominata Al Aqsa Flood, l’operazione guidata dall’ala militare di Hamas che viene spiegata dall’Autrice con pregevole schiettezza, nonostante la più che probabile, quanto strumentale accusa di antisemitismo. Scrive infatti Angela Lano che “Assaltando basi militari e kibbutz, i militanti palestinesi miravano a catturare il maggior numero possibile di soldati e civili israeliani” per liberare attraverso gli scambi le migliaia di palestinesi di ogni età arrestati e spesso rapiti dall’IDF in tutta la Palestina, ma spiega anche che “l’azione della Resistenza va intesa all’interno di un più ampio processo geopolitico internazionale: si tratta di una battaglia de-coloniale, di una ribellione… del popolo palestinese contro il suo centenario oppressore… contro il sionismo e i suoi coloni…”. Segue la documentazione circa  l’andamento dei fatti di quelle drammatiche ore che i nostri media hanno definito “pogrom” contro gli ebrei  arricchendo le loro narrazioni di orrori mai avvenuti, come dimostrato dalle stesse inchieste israeliane. La scelta di definire pogrom un’azione indubbiamente violenta, ma di rivolta contro l’oppressore e non di natura razzista, rivela il cedimento al razzismo, questo sì, dei sostenitori del suprematismo bianco di cui Israele è parte a pieno titolo. L’Autrice nota che i nostri media non hanno rettificato o smentito le loro precedenti accuse basate su menzogne ormai conclamate, perché lo stereotipo che vuole arabi e musulmani generalmente ignoranti e violenti consolida la percezione negativa nei loro confronti e rafforza  “l’idea di inferiorità” disumanizzando e collocando “queste popolazioni  … in posizioni subordinate e oggetto di campagne diffamatorie difficili da decostruire”. Sostanzialmente, scrive, “ci troviamo di fronte a forme neocoloniali… al suprematismo bianco e alla visione orientalista del mondo islamico…”. Pertanto l’opinione pubblica va tenuta in una bolla che le impedisca la comprensione d’insieme della disumanità razzista insita nel colonialismo d’insediamento e, quindi, di capire che è indispensabile “un processo di decolonizzazione che smantelli l’ideologia e la struttura coloniale… che smantelli il ‘Progetto Israele’.” L’autrice afferma che Hamas, insieme ad altri movimenti minori, rappresenta il rifiuto della colonizzazione della Palestina e rivendica il diritto del suo popolo all’autodeterminazione, se necessario anche con la resistenza armata, come ammesso dallo stesso Diritto internazionale. Spiega quindi al lettore che “La nascita di Hamas, a fine anni ’80, e la sua vittoria in elezioni democratiche nel 2006, il suo approccio politico e pratico verso la liberazione della Palestina” e infine l’operazione del 7 ottobre 2023, hanno riportato la questione palestinese sullo scenario globale… (sulla) necessità/diritto di ricorrere alla resistenza”. Aggiunge poi che “chi ancora sostiene che Hamas, anziché essere una genuina espressione del popolo palestinese che lotta, sia una ‘creatura/creazione di Israele’… o è in malafede o è semplicemente un prodotto umano del colonialismo occidentale duro a morire”. Paradossalmente, scrive ancora Angela Lano, l’olocausto di Gaza sta sterminando proprio i discendenti di quegli ebrei che circa 2500 anni fa avevano occupato la terra di Canaan, quelli che rimasero o tornarono in Palestina e che in parte mantennero la loro religione, in parte si convertirono al cristianesimo e, successivamente, in parte si convertirono all’Islam. Praticamente un olocausto di semiti commesso da sionisti in nome della difesa dall’antisemitismo! Del resto, la combinazione di interessi tra l’impero coloniale britannico e il progetto sionista di inizio “900 non si curava di questo, visto che “Il sionismo si definiva chiaramente come ‘ un movimento ebraico per la colonizzazione dell’Oriente’.” Olocausti e pulizia etnica, come mostra questo libro, sono una costante storica della cosiddetta civiltà occidentale e con pochi esempi, dalle leggi razziali USA prese a modello da Hitler, all’eugenetica USA, ancora utile esempio per il nazismo, ai campi di concentramento africani e al conseguente genocidio tedesco di Herero e Nama trent’anni prima che il nazismo si affermasse, all’apartheid statunitense vigente fino alla metà del secolo scorso, l’Autrice espone una poco indagata e molto amara verità: il nazismo non fu un male esterno dell’Occidente ma un suo prodotto, una filiazione del colonialismo. È “nato nel suo grembo e ancora vi alberga”: il genocidio in corso in Palestina, supportato dai suoi complici e tollerato dai loro vassalli ne è una prova, e il potere del sistema informativo di guidare ad hoc la percezione e di scegliere “un lessico che anestetizza l’orrore” ne è il sostegno ancillare. In conclusione, questo libro apre alla discussione con coraggio e onestà intellettuale e questo è uno dei motivi per cui merita di essere letto. Le prime presentazioni si avranno il 6 dicembre a Ladispoli (provincia di Roma) e il 13 a Rovato (provincia di Brescia). Patrizia Cecconi
Germania: sciopero scolastico contro il servizio militare obbligatorio il 5 dicembre
Il 5 dicembre 2025 è stato annunciato in diverse città tedesche uno sciopero scolastico nazionale contro la reintroduzione del servizio militare obbligatorio, nell’ambito di una giornata di azione promossa dagli studenti. Il 5 dicembre, infatti, il Bundestag dovrebbe approvare la nuova legge sul servizio militare. Ciò ha suscitato un’ampia opposizione da parte dei giovani interessati e dei gruppi pacifisti. Gli organizzatori sono principalmente l’alleanza studentesca “Schulstreik gegen Wehrpflicht am 05.12.” (Sciopero scolastico contro il servizio militare obbligatorio il 5 dicembre), “Nein zur Wehrpflicht” (No al servizio militare obbligatorio, associazioni giovanili di sinistra) e il Bundesausschuss Friedensratschlag (Comitato federale per la pace), che ha deciso la giornata di azione durante il suo congresso a Kassel. Inoltre, tradizionali gruppi pacifisti come la DFG-VK e vari gruppi giovanili e scolastici, ad esempio le associazioni locali dei Falken, molte iniziative scolastiche locali e reti informali sui canali dei social media. Il 12 novembre 2025 la coalizione di governo ha concordato una visita di leva obbligatoria per TUTTI i maschi di 18 anni che sono cittadini tedeschi (tagesschau e mdr). Se tra coloro che sono stati giudicati “idonei al servizio militare” non si trovano abbastanza volontari per il servizio militare, verrà introdotto un servizio militare obbligatorio e si procederà a un sorteggio per decidere chi dovrà prestare servizio nell’esercito! Ai giovani non viene chiesto nulla riguardo al servizio obbligatorio. La ragion di Stato e la preparazione alla guerra hanno la priorità per la coalizione nero-rossa. Bessere Welt Info offre una piattaforma indipendente, neutrale e aggiornata quotidianamente dedicata allo sciopero scolastico e alle proteste degli studenti contro il servizio militare obbligatorio. Inoltre, forniamo informazioni sul servizio militare obbligatorio, sulla Bundeswehr e sulla NATO, sull’obiezione di coscienza e sui concetti di sicurezza alternativi. Siamo un’organizzazione senza scopo di lucro e senza pubblicità. Ora sta a voi: esplorate, utilizzate, condividete e diffondete. Siamo aperti a suggerimenti di miglioramento dal punto di vista degli studenti e dei giovani: Contatto. Si sta mobilitando e si invita a scioperi scolastici e manifestazioni. La decisione di scegliere il 5 dicembre come data è stata presa dall’alleanza giovanile “No al servizio militare obbligatorio” ed è stata sostenuta dal Consiglio per la pace di Kassel in una riunione con circa 500 attivisti e rappresentanti dei giovani. L’alleanza definisce esplicitamente la data come una “giornata di azione contro il servizio militare obbligatorio e la militarizzazione della società”. L’alleanza mette in guardia contro una crescente militarizzazione della società e vede nel dibattito sul servizio militare non solo una decisione di politica di sicurezza, ma soprattutto una decisione di politica sociale. Mentre il servizio militare obbligatorio era sospeso in Germania dal 2011, a partire da luglio 2027 dovrebbe essere reintrodotto in una nuova forma: tutti i giovani uomini nati a partire dal 2008 saranno sottoposti a visita medica obbligatoria, mentre le donne potranno arruolarsi volontariamente. Sulla base di un questionario e di visite mediche, la Bundeswehr deciderà chi sarà effettivamente arruolato. Inizialmente il servizio rimarrà volontario, ma in caso di carenza di personale è prevista la coscrizione obbligatoria. Flickr | IPPNW Deutschland – CC BY-NC-SA 4.0 Il Friedensratschlag (Consiglio per la pace) vede in questo un tentativo di “rendere la Germania pronta alla guerra invece che alla pace”. La giornata di azione vuole quindi lanciare un segnale chiaro che i giovani non intendono accettare passivamente questo sviluppo. Il 5 dicembre sono quindi previsti scioperi scolastici, manifestazioni, stand informativi e azioni di protesta creative in numerose città. Soprattutto a Friburgo, Potsdam, Berlino, Kassel, Lipsia e Halle, associazioni giovanili e gruppi pacifisti stanno già mobilitando i giovani affinché scioperino e partecipino a manifestazioni pubbliche. Gli studenti di Potsdam invitano a «non stare a guardare in silenzio mentre noi e i nostri amici siamo costretti a uccidere e morire per sorteggio» e chiedono che gli istituti scolastici rimangano luoghi di pace e non diventino campi di reclutamento. Online circolano già hashtag e video di appello che invitano a partecipare allo sciopero. Gli organizzatori sottolineano che si tratta di una giornata di protesta della società civile, pacifica, democratica e motivata dalla politica giovanile. L’obiettivo è quello di rilanciare il dibattito pubblico sul servizio obbligatorio, la militarizzazione e la giustizia sociale. Si sostiene che il servizio militare obbligatorio, sia esso militare o civile, limiti i giovani nella loro libera pianificazione della vita, crei disuguaglianze sociali e contribuisca in misura minima alla moderna capacità di difesa. Invece di servizi obbligatori a breve termine, sono necessari investimenti a lungo termine nell’istruzione, per la pace e la diplomazia. La giornata di azione del 5 dicembre è quindi considerata un banco di prova per la capacità di mobilitazione del movimento pacifista e la voce politica dei giovani sulle questioni di politica di sicurezza. Se, come si spera, migliaia di studenti in tutta la Germania parteciperanno, il segnale potrebbe andare ben oltre la giornata stessa: contro la militarizzazione della vita quotidiana, per una cultura democratica della pace e contro l’idea che la sicurezza possa essere raggiunta solo attraverso l’esercito e il servizio militare obbligatorio. Il 5 dicembre è quindi simbolico per una generazione che non si limita più a stare a guardare, ma rivendica con sicurezza il diritto di avere voce in capitolo sulle questioni di guerra e pace e di partecipare alle decisioni sul proprio futuro. Tutte le informazioni importanti sullo sciopero scolastico e sulle proteste degli studenti sono disponibili qui sotto Sciopero scolastico – Molte città e gruppi sugli account Instagram dedicati. Ecco i nostri post sui social media da condividere: Twitter, Bluesky, Instagram, Facebook e LinkedIn. Il nostro URL breve è: betterl.ink/schulstreik. Fate passaparola. -------------------------------------------------------------------------------- Bessere Welt Info è una fonte centrale di informazioni su temi futuri come la pace, l’ambiente, i diritti umani e la giustizia sociale in tutto il mondo. Bessere Welt Info è una piattaforma partecipativa senza scopo di lucro per informare e mettere in rete le persone che vogliono rendere il nostro mondo un po’ migliore! Offre un elenco Internet con accesso facile e veloce a oltre 725.000 link e guide selezionati con cura su temi globali. Bessere Welt Info è una risorsa unica e uno strumento potente per chi si batte per un mondo migliore. Tutto questo in una piattaforma dinamica e collaborativa con link e testi inseriti da persone come te per persone come te! -------------------------------------------------------------------------------- TRADUZIONE DAL TEDESCO DI THOMAS SCHMID CON L’AUSILIO DI TRADUTTORE AUTOMATICO. Pressenza Hannover
Bombe termonucleari nelle basi militari di Aviano e Ghedi: le azioni degli attivisti
Associazioni e singoli firmatari delle denunce presentate per accertare la presenza di ordigni nucleari presso le basi militari di Ghedi e di Aviano organizzano il convegno che si terrà l’8 dicembre prossimo a Pordenone. La presenza in queste aerobasi delle nuove bombe termonucleari B61-12 sono state anche autorevolmente confermate da Hans Kristensen direttore del FAS / Federation of American Scientists, nella intervista a Stefania Maurizi riportata sul Il Fatto Quotidiano dell’8 marzo 2025 “Piano Riarmo, gli Usa hanno già inviato all’Italia le nuove atomiche”. Le denunce, che sono state depositate il 23 ottobre alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia e alla Procura presso il Tribunale di Pordenone, chiedono ai giudici di verificare eventuali responsabilità penali per importazione e detenzione di materiale esplosivo o armi nucleari in violazione della normativa nazionale e internazionale, in particolare della Legge 185/1990 e del Trattato di Non Proliferazione (TNP) ratificato dall’Italia nel 1975. Nella data dell’8 dicembre nel 1987 Michail Gorbačëv e Ronald Reagan firmarono a Washington il Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Force Treaty) che mise al bando gli Euromissili, che rischiano di essere ricollocati oggi, in configurazioni più avanzate e pericolose, a causa delle tensioni tra USA/NATO e Russia. In questo 37° anniversario che segna l’aumento ovunque di progetti nucleari e della spesa militare, il convegno sarà un’occasione di confronto transnazionale tra tecnici, scienziati, attivisti, giuristi, associazioni Premi Nobel per la Pace, saggisti, sui percorsi intrapresi – e da intraprendere – per prevenire future aree di sacrificio nucleare. Contro il passato, il presente e – come detto da Robert Junk nel 1977 – “il futuro totalitario dei tecnocrati”, che propugnano la scelta della deterrenza per l’autodifesa degli Stati, minacciano e annullano la sopravvivenza dell’umanità e dell’ambiente, il convegno darà massima evidenza al primato del consenso democratico, della prospettiva umanitaria, del diritto internazionale e nazionale, dell’indipendenza dei giudici, laddove gli spazi della discrezionalità politica siano circoscritti da vincoli posti da norme precise.   AVIANO E LE BOMBE, INIZIATIVE GIURIDICHE E IMPEGNO SOCIALE DAL GENOCIDIO IN PALESTINA ALL’OLOCAUSTO NUCLEARE Pordenone – sala congressi dell’Hotel Minerva, via Bertossi n° 22 dalle ore 09.30 alle 17.30 (con pausa pranzo dalle 12.30 alle 13.40)   INTERVENTI e RELATORI Gestione emergenze da esplosione nucleare ad Aviano, Nicola Spanghero con accompagnamento musicale di Alessandro Capuzzo ICAN e il TPNW: come procedere, di Susi Snyder (ICAN) Quale strategia per il disarmo nucleare? Situazione dei movimenti pacifisti francesi, di Luigi Mosca (fisico) WILPF e disarmo nucleare: approcci e scelte, di Annalisa Milani (presidente WILPF Italia) e Patrizia Sterpetti Austria: repubblica pacifista nella Terra Patria. Una visione, di Werner Wintersteiner Il Campo antinucleare di Lakenheath in Inghilterra, di Peter Lux La Campagna ‘Italia Ripensaci’ e il ruolo dei cattolici, di Carlo Cefaloni La lotta alle armi nucleari a Ghedi, di Beppe Corioni La lotta contro le armi nucleari ad Aviano, di Stefano Barazza Le denunce contro la presenza di armi nucleari in Italia, Ugo Giannangeli (avvocato) La Slovenia tra Aviano, Ucraina e Palestina, di Aurelio Juri (già sindaco di Koper Capodistria) La denuclearizzazione euro mediterranea; il Golfo internazionale di Trieste, di Alessandro Capuzzo Rischio sismico per centrali e basi nucleari, di Ezio Corradi Scienziati contro il militarismo e per la denuclearizzazione del Medio Oriente, di Flavio Del Santo (fisico) Armi nucleari contro la democrazia, di Daniela Padoan Considerazioni sulla crescente debolezza della deterrenza, di Carlo Rovelli (fisico) INFORMAZIONI: abbassolaguerra@gmail.com   Redazione Italia
Un agronomo romano trapiantato in Trentino e un pastore valdese al ritorno dalla Palestina
I due si incontreranno la sera di giovedì 4 dicembre al webinar, aperto alla partecipazione di tutti gli interessati, sul tema “Cisgiordania tra uccisioni, devastazioni e nuovi insediamenti. Quale pace?”. L’iniziativa è promossa dal gruppo DALLA PARTE DI ABELE. A riferire della situazione nei Territori Occupati e in particolare sui cristiani in Palestina sarà Michel Charbonnier, pastore della comunità valdese di Torre Pellice dal 2019, precedentemente a Trieste e Bologna, inoltre membro del Comitato centrale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (WCC), che nei giorni scorsi ha partecipato al Convegno di Kairos Palestina dove è stato approvato il documento KAIROS II – Momento di verità: la fede al tempo del genocidio, un appello rivolto ai cristiani palestinesi e di tutto il mondo per sollecitare il loro rifiuto dell’ingiustizia e dell’apartheid e a impegnarsi con coraggio per contrastare il genocidio, la colonizzazione e la pulizia etnica e per gettare le basi e consolidare le prospettive di una pace giusta e duratura. Insieme a lui interviene Pier Francesco Pandolfi De Rinaldis, agronomo, anche formatore e progettista nell’agricoltura sociale, che come volontario dell’Associazione Pace per Gerusalemme ha appena trascorso un periodo in Cisgiordania per cooperare alla raccolta delle olive e con l’Unione dei lavoratori agricoli palestinesi. L’incontro con loro è stato organizzato in sinergia con alcune realtà, non solo evangeliche: la Commissione Globalizzazione e Ambiente (GLAM) della FCEI, il Centro interconfessionale per la Pace (CIPAX) e la rete di Ambasciatori e Ambasciatrici di Pace dell’UCEBI.   CISGIORDANIA TRA UCCISIONI, DEVASTAZIONI E NUOVI INSEDIAMENTI. QUALE PACE? giovedì 4 dicembre, in serata – dalle 20:30 alle 22:30 * ZOOM https://us06web.zoom.us/j/89437655980 * ID riunione 894 3765 5980 Maddalena Brunasti
Il ‘caso’ di Mohamed Shahin: dal suo rilascio dipende la tutela di tanti diritti
L’appello già firmato da 390 docenti e ricercatori delle università italiane e l’intervento di Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa e Pax Christi Italia fanno esplicito riferimento all’Articolo 21 della Costituzione italiana e a principi e norme del diritto umanitario internazionale. E, anche ricordando che l’Egitto è la nazione dove è stato ucciso Giulio Regeni, chiedono la liberazione dell’egiziano residente a Torino che, a seguito di un decreto di espulsione ingiunto dal ministro degli interni, il 24 novembre scorso è stato arrestato mentre accompagnava a scuola i propri figli ed è recluso nel CPR di Caltanisetta per venire rimpatriato. Tali iniziative e il sostegno delle comunità religiose di ogni culto e confessione, in particolare il discorso pronunciato dal vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, rafforzano l’impegno del gruppo promotore delle manifestazioni pacifiche e della petizione a cui tutti possono aderire apponendo la propria firma.   LA PETIZIONE DEL COMITATO FREE SHANIN Guida spirituale e figura fondamentale della convivenza interreligiosa a Torino, l’imam Mohamed Shahin rischia di essere espulso in Egitto – un Paese noto per torture, sparizioni forzate e repressione politica. Il suo “reato”? Aver difeso Gaza, aver parlato di giustizia, aver partecipato alla vita civile del nostro Paese in modo pacifico e trasparente. Chiediamo che il decreto di espulsione venga immediatamente sospeso e che sia garantito a Mohamed Shahin il diritto alla libertà espressione, alla protezione internazionale e alla tutela dei diritti fondamentali. Ricordiamo i casi di Giulio Regeni, Patrick Zaki, Abu Omar: l’Egitto non è un Paese sicuro e consegnare un uomo innocente a quel regime significa metterlo nelle mani di chi pratica sistematicamente la tortura. Se permettiamo che un uomo venga sacrificato perché ha difeso Gaza, domani potrà accadere a chiunque di noi. Chiediamo al governo italiano di fermare questa ingiustizia. Chiediamo alle istituzioni, alla società civile e alle comunità religiose di mobilitarsi. Chiediamo che l’Italia resti un Paese che rispetta i diritti umani, non uno che li calpesta. seguono – al momento –  circa 16 MILA nominativi petizione online: Fermiamo l’espulsione di un uomo innocente: no alla consegna di Shahin al regime egiziano   L’APPELLO DI DOCENTI E RICERCATORI DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE Noi docenti, ricercatori e ricercatrici delle università italiane esprimiamo profonda preoccupazione per la situazione di Mohamed Shahin, imam della moschea Omar Ibn al-Khattab di Torino, attualmente trattenuto nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Caltanissetta a seguito di un decreto di espulsione emesso dal Ministero dell’Interno. La revoca del suo permesso di soggiorno di lungo periodo, e il conseguente rischio di rimpatrio forzato in Egitto, sollevano interrogativi gravi sul rispetto dei diritti fondamentali della persona. È noto che il sig. Shahin, prima del suo arrivo in Italia oltre vent’anni fa, era considerato oppositore politico del regime egiziano. La prospettiva di un suo ritorno forzato in Egitto lo esporrebbe concretamente a rischi di persecuzione, detenzione arbitraria e trattamenti inumani. Le motivazioni alla base della revoca del permesso appaiono collegate alle sue dichiarazioni pubbliche sulla situazione a Gaza e alle sue posizioni critiche rispetto all’operato del governo israeliano. Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un precedente estremamente preoccupante: l’uso di strumenti amministrativi per colpire l’esercizio della libertà di opinione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione e da convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce. Casi analoghi, registrati negli ultimi anni, confermano una tendenza a sanzionare cittadini stranieri per opinioni politiche o per manifestazioni di solidarietà nei confronti del popolo palestinese. L’impiego dei CPR in questo quadro rischia di trasformarsi in una forma di repressione indiretta del dissenso e di limitazione arbitraria dello spazio democratico. È importante ricordare che Mohamed Shahin è da lungo tempo impegnato in pratiche di dialogo interreligioso e cooperazione sociale. Numerose comunità religiose, associazioni civiche e gruppi interconfessionali hanno pubblicamente attestato il suo contributo alla costruzione di relazioni pacifiche tra diverse componenti della città di Torino, evidenziando la natura collaborativa e aperta della sua attività. In particolare, la Rete del dialogo cristiano islamico di Torino, in un comunicato indirizzato al Presidente delle Repubblica e al Ministro dell’Interno, ha evidenziato il ruolo centrale di Mohamed Shahin nel dialogo interreligioso e nella vita associata del quartiere San Salvario. Alla luce di tutto ciò, riteniamo indispensabile un intervento immediato per garantire il pieno rispetto dei principi costituzionali, della Convenzione di Ginevra e degli obblighi internazionali dell’Italia in materia di diritti umani e protezione contro il refoulement. Chiediamo pertanto: * la liberazione immediata di Mohamed Shahin e la sospensione dell’esecuzione del decreto di espulsione; * la revisione del provvedimento di revoca del permesso di soggiorno di Mohamed Shahin, garantendo un esame imparziale e conforme agli standard giuridici nazionali e internazionali; * la tutela del diritto alla libertà di espressione in ambito accademico, culturale e religioso, indipendentemente dalla provenienza o dalla fede delle persone coinvolte; * la chiusura dei CPR, luoghi di lesione dei diritti umani. Come docenti e ricercatori riconosciamo la responsabilità civica dell’università nel difendere i valori democratici, promuovere il pluralismo e opporci a ogni forma di discriminazione o compressione illegittima delle libertà fondamentali. seguono – attualmente – 390 FIRME modulo per le adesioni all’APPELLO IL COMUNICATO DI OPAL E PAX CHRISTI Un cittadino egiziano residente a Torino da oltre vent’anni, alcuni giorni fa Mohamed Shahin è stato espulso con un decreto del ministro Piantedosi poiché, a suo dire, “ha un ruolo di rilevo in ambienti dell’Islam radicale incompatibile con i principi democratici dell’Italia”. Il provvedimento è stato possibile in base al Testo Unico sull’Immigrazione, il decreto legislativo 23.7.1998 n° 286/98, che prevede si possa espellere un cittadino extracomunitario, assegnando un’amplissima discrezionalità al giudice o al ministro dell’Interno – com’è accaduto in questo caso – nel valutare se il soggetto in questione “costituisce un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico”. L’Imam torinese avrebbe detto che l’attacco del 7 ottobre “è stato un atto di resistenza, avvenuto dopo anni di occupazione”. Anche sottolineando con la massima chiarezza che quell’azione terroristica non potrebbe in alcun modo configurarsi come un’azione di resistenza, ed esprimendo la massima presa di distanza da quelle parole, ci troviamo davanti alla condanna di un’opinione che, per quanto inaccettabile, è garantita dall’articolo 21 della nostra Costituzione. Ed è questo il punto: se le opinioni – alcune opinioni! – possono costituire di per sé un pericolo per la sicurezza dello Stato, ci troviamo di fronte a una destrutturazione e un indebolimento dello stato di diritto che mina direttamente le fondamenta costituzionali del Paese. Le autorità politiche e giudiziarie sono tenute al rispetto della Costituzione, non a usare in modo arbitrario la norma, facendo ricorso alla repressione, alla coercizione o alla censura. Vi è inoltre una concreta possibilità che Shahin, oppositore di Al-Sisi, sia consegnato nelle mani della polizia egiziana che numerosi rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch riportano usare la tortura in modo sistematico, anche in relazione a casi come l’omicidio di Giulio Regeni. Questo provvedimento rischia così di contravvenire allo stesso T.U. sull’immigrazione che vieta espressamente di comminare espulsioni a danno di perseguitati per le opinioni politiche nei paesi di provenienza. Invitiamo tutti i gruppi e le associazioni pacifiste e nonviolente ad esprimere la più ferma condanna attorno a questo grave abuso. Ci uniamo anche all’appello delle comunità religiose e delle associazioni laicali di Torino al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e al Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, per chiedere il rilascio di Mohamed Shahin affinché possa riprendere la sua permanenza in Italia e la sua opera di dialogo e solidarietà. 2 dicembre 2025, O.P.A.L. e Pax Christi   IL COMUNICATO DELLA FCEI Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) chiede l’annullamento del provvedimento amministrativo che ha colpito l’imam della comunità islamica di Torino, Mohamed Shanin, attualmente in stato di fermo al Centro di permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta e in attesa di essere espulso in Egitto. Questa richiesta è legata a due motivazioni. Anzitutto, per quanto gravi possano essere le azioni contestate, la Corte di Cassazione ha ribadito che il diritto italiano vieta l’estradizione in un paese dove il soggetto rischia la pena di morte. L’imam è stato colpito da un provvedimento amministrativo che tuttavia rischia di aggirare i distinguo e le garanzie del processo penale. Riteniamo che la tutela della vita della persona debba essere preoccupazione prioritaria della Repubblica. Con l’occasione ricordiamo che da quasi dieci anni le autorità egiziane si sono dimostrate opache e complici rispetto alla morte di Giulio Regeni, torturato e ucciso quasi dieci anni fa. La memoria di Regeni dovrebbe essere ragione sufficiente per evitare qualunque ipotesi di estradizione o espulsione in Egitto, almeno finché le condizioni non cambino. In secondo luogo, pur giudicando le parole dell’imam Shanin riportate dalla stampa gravemente e profondamente sbagliate e mistificatorie della realtà, riteniamo che le opinioni sbagliate debbano essere contrastate con parole per noi giuste, non con la forza del privilegio di cittadinanza. Non possiamo accettare la discriminazione secondo cui una persona di cittadinanza italiana abbia maggior libertà di espressione rispetto a persone straniere residenti nel nostro paese, o che possa difendersi in un processo civile o penale con tutte le garanzie della legge mentre una persona straniera possa essere espulsa con un provvedimento amministrativo. Le frasi riportate dalla stampa farebbero dubitare che le posizioni dell’imam siano quelle di un uomo del dialogo. Rimane la questione di vedere se noi, persone di fede cristiana, possiamo aspirare a essere definiti donne o uomini del dialogo, nel caso in cui l’imam venga abbandonato al suo destino in Egitto, senza che abbiamo detto o fatto qualcosa per impedirlo. I toni e i modi in cui viene trattato questo caso rappresentano l’ennesima raffigurazione di un corto circuito, per il quale l’osteggiata “informalità” della fede musulmana è anche frutto della mancanza di una specifica intesa. Questo ci invita a sottolineare, ancora una volta, l’urgenza di una legge quadro sulla libertà religiosa, grande assente nell’agenda politica degli ultimi anni. Nel rilevare queste contraddizioni, ci troviamo insieme alle molte voci che convergono nella mobilitazione contro le espulsioni “facili”.  Fra queste voci, quella del nostro partner ecumenico di lunga data, il vescovo Derio Olivero. Sarebbe bello poter dire “prima gli italiani”, o “prima i cristiani”, nel senso di essere noi i primi a dare il buon esempio per la tutela dei diritti. Roma, 2 dicembre 2025 – Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia   Redazione Torino
“Un Panettone Fatto per Bene” di Emergency ad Alessandria, Asti, Casale Monferrato, Cuccaro e Novi Ligure
Dal 5 all’8 dicembre prossimi verrà distribuito ai banchetti allestiti in piazze, centri e ospedali. Il suo acquisto contribuisce a garantire cure gratuite alle vittime della guerra e della povertà nei Paesi in conflitto dove l’ONG opera attivamente, come a Gaza, in Ucraina e in Sudan. Appositamente realizzato dalla storica pasticceria VERGANI secondo la classica ricetta milanese, con farina di grano tenero italiano e lievito madre naturale, uvetta sultanina e scorze di arancia candite, Un Panettone Fatto per Bene pesa 1 kg ed è venduto sul sito emergency.it/panettone e nei temporary-shop EMERGENCY aperti dal 22 novembre al 24 dicembre in 25 città italiane: Milano, Roma, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Pisa, Brescia, Padova, Napoli, Bari, Catanzaro, Teramo, Cagliari, Catania, Ferrara, Aosta, Macerata, Mestre, Reggio Emilia, Livorno, Reggio Calabria, Trieste, Messina. Accompagnato da una shopper in cotone naturale decorata dall’artista e musicista @dario_sansone, al prezzo di 22 euro viene distribuito ai banchetti allestiti in 700 località italiane nelle giornate dal 5 all’8 dicembre. Ad Alessandria verrà distribuito in tre date e luoghi differenti: * giovedì 4 dicembre presso l’Ospedale Infantile dalle 9:30 alle 16:30; * venerdì 5 dicembre presso l’Ospedale Civile dalle 9 alle 17; * sabato 6 dicembre all’ICS ETS (via Dossena 27) dalle 10 alle 12 e dalle 15:30 alle 18:30. A Casale Monferrato sarà in distribuzione venerdì 5 dicembre, nell’androne dell’Ospedale Santo Spirito (ingresso da viale Giolitti 2) dalle 10 alle 17. Nella giornata di sabato 6 dicembre verrà distribuito a * Asti, in piazza Alfieri, dalle 10 alle 12; * Novi Ligure, presso il SOMS (via Cavanna 12) dalle 15 alle 18:30. Nella giornata di domenica 7 dicembre il banchetto sarà allestitito dalle 9 alle 17 nella ‘cornice’ del Mercatino di Natale di Cuccaro Monferrato, dove i volontari di EMERGENCY nella stessa data organizzano una camminata in costume.   Redazione Piemonte Orientale