
Trame di memoria e forme di riconciliazione
Pressenza - Saturday, November 15, 2025Il progetto espositivo ICONE di Rita Giliberto in mostra a Palermo allo spazio XXS Aperto al contemporaneo (dal 14 al 22 novembre 2025) si configura come un’indagine sulla sopravvivenza delle immagini familiari e sul loro potenziale trasformativo nel presente. Il titolo evoca la forza di questi ricordi visivi, capaci di oltrepassare la sfera privata per diventare “icone laiche”: non figure sacre, ma fulcri di memoria dove passato e presente si sfiorano, risvegliandosi nel gesto creativo dell’artista.
Il punto di avvio — il ritrovamento di un nucleo di fotografie nella casa di famiglia — costituisce un archivio minimo ma denso, in cui si intrecciano memoria privata, stratificazioni storiche e risonanze sociali. La scelta dell’artista di assumere tali materiali come fondamento del processo creativo indica un orientamento specifico: non la ricostruzione filologica del passato, ma la sua riattivazione attraverso dispositivi visivi capaci di generare nuovi significati.

Rita Giliberto, Lutto data di scadenza, 2025
La pratica adottata è fortemente processuale. Tecniche miste, collage, velature, sovrapposizioni pittoriche sono impiegate come strumenti di interrogazione dell’immagine. Le fotografie subiscono un trattamento materico che ne altera la leggibilità, sottolineando la loro natura ambigua di documenti e, al tempo stesso, di superfici espressive. Questa modalità operativa, che integra anche inserzioni di materiali d’epoca, frammenti testuali e ritagli, mette in campo un dispositivo di stratificazione che richiama pratiche della memoria basate sulla sedimentazione, sulla cancellazione e sulla riemersione. L’immagine non è mai un dato, ma un campo di tensioni, la superficie si fa pelle della memoria, luogo di contatto tra il visibile e l’invisibile.
L’artista esplora la genealogia recuperando volti e presenze che, pur appartenendo all’ambito familiare, si aprono a una dimensione più ampia. L’anonimato parziale, la sfocatura, la perdita di riferimenti contestuali trasformano questi soggetti in figure liminari: non ritratti, ma “presenze”; non rappresentazioni, ma soglie. Li attiva come icone laiche della memoria, custodi di una verità affettiva che supera il privato. In questo senso, l’avvicinamento a pratiche come quelle di Boltanski e Kiefer non è citazionistico, ma analitico: ciò che si condivide è la capacità di far diventare la materia un luogo di storia, ferita e possibilità.
L’allestimento è pensato come un percorso non lineare, articolato secondo criteri di prossimità emotiva e visiva. Tuttavia, dietro questa apparente fluidità si riconosce una costruzione rigorosa dei rapporti formali: analogie di luce, continuità cromatiche, contrappunti gestuali e densità materiche organizzano un ambito espositivo che funziona come dispositivo di lettura. L’assenza di una cronologia esplicita sottolinea che il tempo evocato dalle opere non è storico, ma psichico: un tempo che ritorna, si modifica, si sovrappone. Chi visita l’esposizione è chiamato a muoversi in una topografia della memoria piuttosto che nella sequenza narrativa di un album.

Rita Giliberto, Casca il mondo (giro giro tondo)
A livello teorico, il progetto interroga la memoria come processo di cura. Non si tratta di un’elaborazione nostalgica, ma di un lavoro di riconciliazione che assume la fragilità dell’immagine come valore critico. Tale prospettiva si colloca nella tradizione di una cultura visuale delle donne intesa come pratica relazionale, capace di trasformare l’origine in un movimento continuo di ascolto e restituzione. In questo contesto, il riferimento al femminismo va oltre la dimensione critica — presente in opere come Lutto: data di scadenza o La scelta giusta, dove vengono messi in discussione modelli patriarcali di comportamento imposti alle donne — e si estende alla costruzione di un’etica della relazione che informa il metodo stesso: il lavoro sulla memoria come atto di responsabilità, di continuità e di rigenerazione simbolica.
La collocazione del lavoro nell’orizzonte più ampio delle ricerche contemporanee sulla memoria permette, infine, di leggerlo come dispositivo di traduzione: tra personale e collettivo, tra documento e immaginazione, tra ferita e riparazione.
Il processo si manifesta come un movimento continuo, in cui la materia e il visibile diventano strumenti di ascolto e di apertura, creando connessioni tra passato e presente, tra memoria e immaginazione. E ogni opera diviene così un’unità concettuale autonoma e, al tempo stesso, parte di un sistema: un nodo della rete che ritessendo l’origine rinnova il rapporto tra soggetto, storia e mondo.