Trame di memoria e forme di riconciliazione
Il progetto espositivo ICONE di Rita Giliberto in mostra a Palermo allo spazio
XXS Aperto al contemporaneo (dal 14 al 22 novembre 2025) si configura come
un’indagine sulla sopravvivenza delle immagini familiari e sul loro potenziale
trasformativo nel presente. Il titolo evoca la forza di questi ricordi visivi,
capaci di oltrepassare la sfera privata per diventare “icone laiche”: non figure
sacre, ma fulcri di memoria dove passato e presente si sfiorano, risvegliandosi
nel gesto creativo dell’artista.
Il punto di avvio — il ritrovamento di un nucleo di fotografie nella casa di
famiglia — costituisce un archivio minimo ma denso, in cui si intrecciano
memoria privata, stratificazioni storiche e risonanze sociali. La scelta
dell’artista di assumere tali materiali come fondamento del processo creativo
indica un orientamento specifico: non la ricostruzione filologica del passato,
ma la sua riattivazione attraverso dispositivi visivi capaci di generare nuovi
significati.
Rita Giliberto, Lutto data di scadenza, 2025
La pratica adottata è fortemente processuale. Tecniche miste, collage, velature,
sovrapposizioni pittoriche sono impiegate come strumenti di interrogazione
dell’immagine. Le fotografie subiscono un trattamento materico che ne altera la
leggibilità, sottolineando la loro natura ambigua di documenti e, al tempo
stesso, di superfici espressive. Questa modalità operativa, che integra anche
inserzioni di materiali d’epoca, frammenti testuali e ritagli, mette in campo un
dispositivo di stratificazione che richiama pratiche della memoria basate sulla
sedimentazione, sulla cancellazione e sulla riemersione. L’immagine non è mai un
dato, ma un campo di tensioni, la superficie si fa pelle della memoria, luogo di
contatto tra il visibile e l’invisibile.
L’artista esplora la genealogia recuperando volti e presenze che, pur
appartenendo all’ambito familiare, si aprono a una dimensione più ampia.
L’anonimato parziale, la sfocatura, la perdita di riferimenti contestuali
trasformano questi soggetti in figure liminari: non ritratti, ma “presenze”; non
rappresentazioni, ma soglie. Li attiva come icone laiche della memoria, custodi
di una verità affettiva che supera il privato. In questo senso, l’avvicinamento
a pratiche come quelle di Boltanski e Kiefer non è citazionistico, ma analitico:
ciò che si condivide è la capacità di far diventare la materia un luogo di
storia, ferita e possibilità.
L’allestimento è pensato come un percorso non lineare, articolato secondo
criteri di prossimità emotiva e visiva. Tuttavia, dietro questa apparente
fluidità si riconosce una costruzione rigorosa dei rapporti formali: analogie di
luce, continuità cromatiche, contrappunti gestuali e densità materiche
organizzano un ambito espositivo che funziona come dispositivo di lettura.
L’assenza di una cronologia esplicita sottolinea che il tempo evocato dalle
opere non è storico, ma psichico: un tempo che ritorna, si modifica, si
sovrappone. Chi visita l’esposizione è chiamato a muoversi in una topografia
della memoria piuttosto che nella sequenza narrativa di un album.
Rita Giliberto, Casca il mondo (giro giro tondo)
A livello teorico, il progetto interroga la memoria come processo di cura. Non
si tratta di un’elaborazione nostalgica, ma di un lavoro di riconciliazione che
assume la fragilità dell’immagine come valore critico. Tale prospettiva si
colloca nella tradizione di una cultura visuale delle donne intesa come pratica
relazionale, capace di trasformare l’origine in un movimento continuo di ascolto
e restituzione. In questo contesto, il riferimento al femminismo va oltre la
dimensione critica — presente in opere come Lutto: data di scadenza o La scelta
giusta, dove vengono messi in discussione modelli patriarcali di comportamento
imposti alle donne — e si estende alla costruzione di un’etica della relazione
che informa il metodo stesso: il lavoro sulla memoria come atto di
responsabilità, di continuità e di rigenerazione simbolica.
La collocazione del lavoro nell’orizzonte più ampio delle ricerche contemporanee
sulla memoria permette, infine, di leggerlo come dispositivo di traduzione: tra
personale e collettivo, tra documento e immaginazione, tra ferita e
riparazione.
Il processo si manifesta come un movimento continuo, in cui la materia e il
visibile diventano strumenti di ascolto e di apertura, creando connessioni tra
passato e presente, tra memoria e immaginazione. E ogni opera diviene così
un’unità concettuale autonoma e, al tempo stesso, parte di un sistema: un nodo
della rete che ritessendo l’origine rinnova il rapporto tra soggetto, storia e
mondo.
Redazione Palermo