
Dal CPR alla protezione speciale: riconosciuta la condizione di vulnerabilità e il radicamento sociale
Progetto Melting Pot Europa - Thursday, October 2, 2025Il caso riguarda un cittadino albanese che vive in Italia da oltre vent’anni e che, dopo un percorso tortuoso – che lo ha visto anche trattenuto presso il CPR di Bari Palese – ha finalmente ottenuto dal Tribunale di Bari il riconoscimento del diritto alla protezione speciale.
Il 2 agosto 2023, mentre si trovava trattenuto nel CPR di Bari Palese, il cittadino formalizzava la richiesta di protezione internazionale. Il 10 agosto 2023 compariva dinanzi alla Commissione territoriale per l’audizione personale, durante la quale raccontava la propria vita di migrante di lungo corso. Emergeva in particolare che egli vive in Italia dall’età di 16 anni e che aveva lasciato l’Albania già a 14 anni per emigrare in Grecia.
Gli anni vissuti in Albania con la famiglia gli avevano procurato forti disagi, essendo stato vittima di violenza domestica da parte del padre. Queste vicende hanno condizionato l’intera sua vita, con effetti deleteri anche sugli altri membri della famiglia: anche i fratelli, infatti, hanno sviluppato forme di depressione.
In Italia ha lavorato con turni massacranti, fino a 15 ore al giorno, ma col tempo è rimasto vittima di uno stile di vita segnato dall’abuso di alcol e sostanze psicoattive, che lo ha condotto a più tentativi di suicidio, nel 2014 e nel 2020.
Negli ultimi tre anni è stato inserito in un programma residenziale riabilitativo, con esiti positivi: ha manifestato la volontà di condurre una vita sana, rispettando le regole della comunità, distaccandosi dall’uso delle sostanze e avviando un percorso di emancipazione anche dalla terapia farmacologica. Durante il periodo di affidamento in prova presso la comunità, ha potuto elaborare i traumi legati alla violenza familiare subita.
Il Magistrato di sorveglianza aveva concesso l’affidamento in prova ai sensi dell’art. 94, comma 2, del DPR n. 309/90, ritenendo significativa la sua storia di vita e tenendo conto della relazione comportamentale, che sottolineava:
- la crescita in una famiglia disfunzionale, con un padre alcolista e violento anche davanti ai figli;
- la presenza di depressione cronica nel fratello e di disturbi depressivi nella sorella;
- indici intellettivi inferiori alla media, tratti di introversione, ritiro sociale e dipendenza affettiva;
- il trauma “cumulativo” conseguente alla violenza assistita;
- un nucleo depressivo radicato e un disturbo d’ansia legato sia a fattori organici sia ambientali.
All’audizione in Commissione il ricorrente produceva ampia documentazione: gli atti relativi all’affidamento in prova, il percorso psicoterapeutico svolto in comunità e, a dimostrazione del proprio inserimento lavorativo, l’estratto contributivo INPS, dal quale risultava un’attività ininterrotta a partire dal 1° agosto 2002. Nonostante ciò, il 21 agosto 2023 la Commissione territoriale di Bari rigettava la domanda, negando qualsiasi forma di protezione.
Il provvedimento veniva impugnato, contestando l’omessa valutazione dei documenti forniti e la mancata applicazione della protezione speciale per vittime di violenza domestica.
La Commissione, infatti, non aveva svolto alcun giudizio di comparazione, ossia la valutazione tra il livello di integrazione sociale del richiedente in Italia e la sua condizione personale e oggettiva nel Paese di origine. Tale valutazione avrebbe dovuto verificare se la compressione dei diritti umani fosse tale da ledere il nucleo minimo della dignità della persona, soprattutto considerando che il ricorrente vive in Italia da quando aveva 16 anni, dove risiedono anche la madre (coniugata con un cittadino italiano), il fratello e i nipoti.
Il giudizio di comparazione avrebbe dovuto tener conto della condizione di vulnerabilità del richiedente, segnata dalla violenza domestica subita e dalla necessità di cure psicologiche e psichiatriche “salva-vita”, non sostituibili altrove per via del delicato rapporto di fiducia instaurato con i medici specialisti.
Va inoltre evidenziato che, nel Paese d’origine, le strutture sanitarie pubbliche restano fortemente carenti e quelle private, pur di livello migliore, non sono in grado di garantire interventi complessi. La situazione igienico-sanitaria appare precaria e le cure farmacologiche restano difficilmente accessibili (fonte: ACLED Dashboard, 01.01.2023 – 31.12.2023).
All’esito di una lunga istruttoria, il Tribunale di Bari ha accolto il ricorso, rilevando:
“Considerando che, nel caso di specie, il ricorrente ha presentato domanda di protezione internazionale dinanzi alla Questura di Bari il 2 agosto 2023, ossia dopo l’entrata in vigore del DL n. 20/2023, va applicato l’art. 19 nella sua nuova formulazione. Il ricorrente ha prodotto documenti da cui emergono elementi tali da giustificare una valutazione positiva sulla domanda. (…) La documentazione depositata è indicativa della serietà dello sforzo compiuto dal richiedente per inserirsi nel tessuto socio-economico italiano. Ne emerge un percorso effettivo e duraturo di integrazione lavorativa in Italia, con un contratto di lavoro in essere. Deve pertanto essere riconosciuto il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 5, co. 6, e dell’art. 19, co. 1.1, del d.lgs. 286/1998. In caso di rimpatrio, il ricorrente subirebbe una grave lesione della propria vita privata, essendo ormai radicato in Italia, senza che emergano gravi ragioni ostative alla sua permanenza”.
Anche questo caso mette in luce le gravi carenze esistenti in materia di espulsione e protezione per casi speciali. L’attuale normativa crea forti disfunzioni sociali e ostacola chi si impegna ad aiutare i migranti, vanificando percorsi positivi che rischiano di interrompersi bruscamente nei luoghi di detenzione amministrativa, solo per il mancato rinnovo di un permesso di soggiorno.
Tribunale di Bari, decreto dell’11 giugno 2025Si ringrazia l’Avv. Uljana Gazidede per la segnalazione e il commento.