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Uffici immigrazione – Direttiva per uniformare le procedure amministrative ed operative delle articolazioni territoriali
La circolare affronta in maniera organica il tema del funzionamento degli Uffici Immigrazione delle Questure, con l’obiettivo esplicito di uniformare le prassi amministrative e operative a livello nazionale. Fin dalle prime pagine si comprende che il Ministero intende intervenire su un sistema che presenta criticità diffuse, sia nella gestione ordinaria dei permessi di soggiorno sia nelle attività più delicate legate ai rimpatri, ai trattenimenti nei luoghi idonei e alla protezione internazionale. La Direzione Centrale sottolinea che negli ultimi anni il carico di lavoro è cresciuto in modo significativo, ma il problema non risiede soltanto nella quantità delle pratiche: ciò che emerge è un quadro caratterizzato da difformità territoriali, mancanza di coordinamento, ritardi consolidati e un utilizzo non efficiente delle risorse disponibili. La circolare richiama più volte l’esigenza di riportare ordine e coerenza nella gestione delle procedure. Per questo dedica ampio spazio all’organizzazione interna degli uffici, alla formazione del personale, alla programmazione degli orari di apertura e alla corretta pianificazione delle agende. In particolare, si richiama l’attenzione sul fatto che le prassi adottate in molte Questure – come la limitazione degli appuntamenti, la richiesta sistematica del passaporto per i respingimenti, l’inefficienza nelle fasi di fotosegnalamento o nella trasmissione dei dati – contribuiscono ad aggravare ritardi già rilevanti, compromettendo l’efficacia complessiva dell’azione amministrativa. Una parte importante del documento riguarda il rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno, settore nel quale la Direzione riconosce esplicitamente la presenza di ritardi frequenti e di una gestione irregolare delle tempistiche. Nel segmento dedicato alla protezione internazionale, la circolare insiste sulla necessità di garantire modalità di accesso effettive e organizzate, evitando prassi restrittive che riducono gli spazi di presentazione delle domande e generano immobilismo amministrativo. Nel complesso, la circolare è un richiamo forte alla responsabilità e alla riorganizzazione degli uffici territoriali. Pur riconoscendo le difficoltà oggettive, il Ministero chiede un cambio di passo, orientato alla razionalizzazione, alla trasparenza, alla continuità del servizio e alla capacità di gestire con professionalità e coerenza un settore altamente sensibile. Ne emerge il quadro di un’amministrazione consapevole delle proprie disfunzioni che richiede di introdurre azioni volte a correggerle attraverso una maggiore uniformità, un più rigoroso monitoraggio e una collaborazione più stretta tra centro e periferia.  Circolare del Ministero dell’Interno del 12 settembre 2024
Illegittima l’espulsione della cittadina albanese che ha rinunciato alla richiesta di asilo: è mancata la valutazione del caso
Il caso di una cittadina albanese che aveva chiesto la protezione internazionale ed a seguito di rinuncia veniva espulsa con divieto di rientro per la durata di 5 anni. La decisione del Tribunale risulta molto importante perché le amministrazioni, ogni volta che lo straniero rinuncia alla richiesta di protezione emettono il decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera senza che ci sia una valutazione del caso per caso ritenendo detto provvedimento un atto dovuto. IL CASO DI SPECIE Nel mese di febbraio del corrente anno una coppia di coniugi, cittadini albanesi, presentavano presso la Questura di Bari istanza di protezione internazionale e consegnavano il passaporto. In seguito veniva rilasciato a loro il modello C3. Pochi giorni dopo, il padre della cittadina albanese, per motivi di sangue, veniva trovato morto sparato e la notizia del crimine efferato raggiungeva la figlia in Italia solo grazie agli organi di stampa e della tv. Ella si presentava alla Questura di Bari – Ufficio Immigrazione chiedeva di essere autorizzata a recarsi in Albania alla casa del padre perché lo doveva identificare in quanto la Procura della Repubblica D’Albania – aveva aperto un procedimento penale e stava svolgendo indagini sull’omicidio commesso a danno del padre. Forniva alla amministrazione il giustificato motivo ossia tutti gli atti della procura albanese e poneva in visione ciò che era stato pubblicato dai media in merito all’omicidio. Il Prefetto di Bari e la Questura di Bari emettevano il provvedimento di espulsione con ordine di lasciare il territorio e divieto di reingresso. La cittadina albanese tornava in Albania e forniva il biglietto, l’imbarco, il timbro di uscita dal t.n. al fine di ottenere la revoca del divieto d’ingresso ma l’amministrazione non riteneva di adottare alcun provvedimento. Decideva quindi di rivolgersi al Giudice di Pace di Bari dove allegava tutti gli atti relativi al delitto commesso ai danni del padre, per giustificare il rientro in Albania, e forniva tutti gli altri elementi relativi ai legami familiari nel t.n. Il Giudice di Pace di Bari dopo una accurata istruttoria accoglieva il ricorso come segue: “Rilevare che, la sig.ra (…), con ricorso iscritto a ruolo l’08.04.2025 si opponeva al decreto di espulsione, (…), emesso dal Prefetto della Provincia di Bari il 25.02.2025 e notificato in pari data nonché all’ordine di lasciare il t.n. nel termine di 7 giorni, (…), emesso in data 25.02.2025 e notificato in pari data dal Questore della Provincia di Bari, oltre ad ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale chiedendone l’annullamento previa sospensiva esponendo: a) In data 19.02.2025 la ricorrente, unitamente al coniuge (…), presentava istanza di protezione internazionale e consegnava il passaporto e le veniva rilasciato il modello c3; b) In data 24.02.2025 il padre della ricorrente, per motivi di sangue, viene trovato morto sparato con arma da fuoco e della notizia del crimine efferato raggiunge la figlia qui in Italia solo grazie agli organi di stampa e della tv si allegano alcuni giornali on line che riportano la notizia; c) In data 25.02.2025 la ricorrente si presentava alla Questura di Bari – Ufficio Immigrazione in preda al panico e chiedeva di essere autorizzata a recarsi in Albania alla casa del padre perché lo doveva identificare in quanto la Procura della Repubblica D’Albania – sede di (…) aveva aperto un procedimento penale (…) del 24.02.2024 e sta svolgendo indagini sull’omicidio del padre a seguito dell’omicidio; d) In data 25.02.2025 il Prefetto di Bari e la Questura di Bari adottava il provvedimento di espulsione con ordine di lasciare il territorio; e) In data 25.02.2025 la ricorrente tornava in Albania con un volo Bari – Milano – Tirana come da copia del biglietto, del timbro di uscita dal t.n., del certificato personale di nascita da dove si evince il legame di parentela; Considerati i motivi a fondamento del ricorso: a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 comma 2-ter D.Lgs. 287/98.Violazione della Direttiva Direttiva 2008/115/CE atteso che,art. 13 comma 2-ter, introdotto dalla L. 129/2011, il quale prevede che: “L’espulsione non è disposta, né eseguita coattivamente qualora il provvedimento sia stato già adottato, nei confronti dello straniero identificato in uscita dal territorio nazionale durante i controlli di polizia alle frontiere esterne”. Nel caso de quo la procedura che è stata adottata è esattamente difforme a quella prevista e disciplinata dall’art. 13, comma 2-ter TUIMM, trattandosi di un particolare favor riconosciuto allo straniero che, sebbene irregolare, abbia deciso spontaneamente di lasciare il territorio, ciò evita, dapprima, che nei suoi confronti sia adottato un provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica con divieto di reingresso, e per lo Stato che viene lasciato, la possibilità di un risparmio delle risorse pubbliche per il suo rimpatrio; b) rilevanza dei legami familiari: Violazione art. 13, comma 2 bis TUIMM; Violazione dell’art. 8 Cedu atteso che, vive con il coniuge e dimora con lui in Santeramo in Colle (come da copia della comunicazione di ospitalità per entrambi). Il coniuge è richiedente protezione internazionale come la ricorrente ed in data 19.02.2025 ad egli veniva rilasciato il modello C3. Il Prefetto di Bari ha adottato il decreto di espulsione in violazione dell’art. 13 comma 2 bis, così come interpretato dalla recente giurisprudenza di legittimità. Tenuto conto della produzione documentale quale prova di ogni circostanza a fondamento del ricorso ed in particolar modo alle ragioni che hanno indotto la ricorrente che, seppur nello stato di richiedente protezione internazionale la inducevano a lasciare il territorio nazionale dovendosi recare in Albania per procedere all’identificazione del padre assassinato, elemento da cui consegue profilo di illegittimità del provvedimento impugnato; Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento di espulsione adottato dal Prefetto della Provincia di Bari…”. Giudice di Pace di Bari, sentenza n. 1307 del 9 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Uljana Gazidede per la segnalazione e il commento.
Quattro anni di ingiustizia: libertà per Abdulrahman Al Khalidi
Da oltre 4 anni Abdulrahman Al Khalidi 1 è rinchiuso nel centro di detenzione di Busmantsi, a Sofia, in Bulgaria. Anni di privazione, isolamento e ingiustizia: il caso di detenzione amministrativa più lungo nella storia dell’Unione Europea, simbolo di un sistema che calpesta il diritto e la dignità umana. Insieme ad altre venti organizzazioni internazionali, abbiamo rinnovato la nostra richiesta: rilascio immediato di Abdulrahman e trasferimento in un paese terzo sicuro. Abdulrahman è un prigioniero politico saudita, un padre di due bambini – una dei quali gravemente malata – che non vede da troppo tempo. Vive in un limbo giudiziario senza fine, minacciato ogni giorno dal rischio di deportazione verso l’Arabia Saudita, dove lo attende la pena di morte. Ma in questi anni, anche dietro le sbarre, Abdulrahman ha trasformato la sua prigionia in una lotta collettiva per la libertà di tutte e tutti. La sua voce, che resiste al silenzio, parla anche per noi. Non lo lasceremo solo. Di seguito, pubblichiamo il testo integrale dell’appello, tradotto in italiano, sottoscritto da oltre venti organizzazioni internazionali per chiedere giustizia e libertà per Abdulrahman Al Khalidi. APPELLO CONGIUNTO PER LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI UN DIFENSORE DEI DIRITTI UMANI SAUDITA DETENUTO IN BULGARIA DA OLTRE QUATTRO ANNI Noi, le organizzazioni della società civile firmatarie, siamo profondamente preoccupate per l’imminente minaccia di espulsione dalla Bulgaria verso l’Arabia Saudita che grava sul difensore dei diritti umani saudita Abdulrahman AlBakr al-Khalidi, dopo oltre quattro anni di detenzione, dove correrebbe un rischio reale di gravi violazioni dei diritti umani a causa del suo attivismo pacifico. Esortiamo le autorità bulgare a sospendere immediatamente l’espulsione di al-Khalidi in conformità con i loro obblighi giuridici ai sensi del diritto internazionale, europeo e nazionale, a rilasciarlo dalla detenzione e a concedergli protezione internazionale attraverso un processo di asilo equo e imparziale. Al-Khalidi è intrappolato in un lungo processo di asilo in Bulgaria dal novembre 2021 e dal 2024 è soggetto a un ordine di espulsione. Il 15 luglio 2025 la Corte amministrativa suprema bulgara ha respinto il ricorso di al-Khalidi contro il suo ordine di detenzione, mettendolo in imminente pericolo. Al-Khalidi ha iniziato la sua attività pacifica durante la Primavera araba del 2011, aderendo all’Associazione saudita per i diritti civili e politici (ACPRA) e partecipando a proteste in favore delle riforme. A seguito di un’ondata di arresti di altri attivisti nel 2013, e dopo essere stato convocato per un interrogatorio, è fuggito dall’Arabia Saudita e ha continuato la sua attività di advocacy in esilio. In seguito ha aderito al progetto “Electronic Bees Army” del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, volto a contrastare la disinformazione di Stato. Nel 2021, di fronte alle crescenti minacce in Turchia, al-Khalidi ha deciso di chiedere asilo nell’Unione Europea. Tuttavia, è stato arrestato all’arrivo in Bulgaria poco dopo aver attraversato il confine turco-bulgaro il 23 ottobre 2021. Da allora ha trascorso oltre quattro anni in detenzione – che secondo i dati pubblici della Corte europea dei diritti dell’uomo è uno dei periodi più lunghi per qualsiasi richiedente asilo in Europa – la maggior parte dei quali in condizioni dure e degradanti nel centro di detenzione di Busmantsi a Sofia. Il 26 settembre 2025, la Direzione per l’immigrazione ha deciso di prorogare la detenzione di al-Khalidi per altri sei mesi. Il 16 novembre 2021 al-Khalidi ha presentato domanda di asilo in Bulgaria, citando il rischio di gravi violazioni dei diritti umani in caso di ritorno in Arabia Saudita. Tuttavia, l’Agenzia statale bulgara per i rifugiati ha respinto la sua domanda, sostenendo che l’Arabia Saudita avesse “adottato misure per democratizzare la società”. Il suo ricorso è ancora in corso. Nonostante diverse sentenze a suo favore, comprese sentenze definitive che ne ordinavano il rilascio, le autorità bulgare le hanno ignorate o aggirate. Nel febbraio 2024 l’Agenzia per la sicurezza nazionale ha emesso un ordine di espulsione nei confronti di al-Khalidi, definendolo, senza prove, una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Questo ordine, successivamente confermato dal Tribunale amministrativo di Sofia, viola il principio internazionale di non respingimento, poiché esiste un rischio ben documentato che, se rimpatriato in Arabia Saudita, al-Khalidi subirebbe torture, un processo iniquo e forse la pena di morte. Durante la detenzione, al-Khalidi avrebbe subito ripetuti maltrattamenti, tra cui pressioni psicologiche e abusi fisici. Nel marzo 2024 il difensore dei diritti umani ha riferito di essere stato brutalmente picchiato da agenti di polizia. Ha tentato il suicidio, ha intrapreso uno sciopero della fame durato più di 100 giorni e gli è stato diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico complesso (C-PTSD). Nonostante le preoccupazioni sollevate dai tribunali bulgari, dagli esperti delle Nazioni Unite, dalle ONG e dai membri del Parlamento europeo, le autorità bulgare continuano a detenerlo illegalmente e a minacciarlo di espulsione. Uno studio sulla repressione transnazionale dei difensori dei diritti umani 2, pubblicato il 12 giugno 2025 dalla sottocommissione per i diritti umani (DROI) del Parlamento europeo, ha evidenziato il caso di al-Khalidi come esempio chiave della tattica della detenzione utilizzata nella repressione fisica transnazionale. L’espulsione di al-Khalidi verso l’Arabia Saudita costituirebbe una grave violazione degli impegni assunti dalla Bulgaria ai sensi del diritto internazionale, dell’Unione europea (UE) e del diritto interno, compresa la sua stessa costituzione, che stabilisce che la Bulgaria deve concedere asilo agli stranieri perseguitati per le loro opinioni e attività in difesa dei diritti e delle libertà riconosciuti a livello internazionale. NOI, LE ORGANIZZAZIONI FIRMATARIE, CHIEDIAMO QUINDI ALLE AUTORITÀ BULGARE DI: 1. rilasciare immediatamente e incondizionatamente Abdulrahman al-Khalidi in conformità con le sentenze emesse dai tribunali bulgari; 2. garantire che non sarà espulso in Arabia Saudita o in qualsiasi altro paese in cui rischia di essere respinto; 3. facilitare il suo reinsediamento in un paese terzo sicuro, in coordinamento con i partner internazionali; 4. avviare un’indagine indipendente sui maltrattamenti subiti durante la detenzione, compreso il pestaggio del marzo 2024, e assicurare i responsabili alla giustizia; e 5. garantire che il sistema di asilo bulgaro sia conforme agli standard dell’UE e internazionali in materia di diritti umani, prevenendo future violazioni di questo tipo. PER QUANTO RIGUARDA L’UNIONE EUROPEA (UE), CHIEDIAMO: 1. alla Commissione europea di valutare la sospensione o la riprogrammazione di qualsiasi sostegno europeo legato ai centri di detenzione pre-espulsione in Bulgaria fino a quando non sarà garantita la piena conformità con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CFR); 2. alla Commissione europea di condurre una revisione di qualsiasi possibile sostegno della Commissione europea legato al centro di detenzione di Busmantsi per valutarne la conformità con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CFR); 3. al Parlamento europeo (commissioni LIBE/DROI) di tenere una sessione urgente e organizzare una missione di accertamento dei fatti presso il centro di detenzione di Busmantsi; e 4. al Consiglio (gruppo FREMP) di includere questo caso nell’ordine del giorno; Qui le organizzazioni firmatarie Comunicati stampa e appelli PETIZIONE PER ABDULRAHMAN AL-KHALIDI RINCHIUSO NEL CENTRO DI DETENZIONE DI BUSMANTSI (SOFIA) Firma e condividi l'appello per il riconoscimento della protezione internazionale al giornalista e attivista 24 Maggio 2025 1. La pagina autore su Melting Pot ↩︎ 2. Transnational repression of human rights defenders: The impacts on civic space and the responsibility of host states ↩︎
Assolto perché aveva titolo a restare: la pregressa autorizzazione ex art. 31 T.U. esclude il reato di inottemperanza dell’espulsione
La sentenza di assoluzione in oggetto è degna di rilievo in quanto configura una causa particolare di esclusione dell’elemento soggettivo del reato (dolo). In questo caso il conseguimento di un permesso di soggiorno, benché successivo all’ordine di espulsione e all’Ordine di allontanamento del Questore, si fondava su situazioni di fatto e di diritto preesistenti al decreto espulsivo, quali in particolare l’esistenza di un nucleo familiare con un figlio minore .   L’imputato aveva infatti richiesto la speciale autorizzazione ex art. 31 T.U. 286/98 innanzi al Tribunale per i Minorenni, che aveva accolto la richiesta, così legittimando la successiva regolare permanenza e consentendo l’ottenimento di un permesso di soggiorno. Secondo la sentenza “E’ incontroverso, quindi, che la situazione che ha poi legittimato la permanenza nel territorio nazionale da parte del cittadino extracomunitario era preesistente all’ordine di allontanamento. Ne segue che l’imputato aveva titolo per restare, ancorché riconosciuto solo con successivo provvedimento”. I presupposti del reato oggetto del procedimento penale venivano cioè incisi dalla situazione (pregressa) legittimante l’autorizzazione del Tribunale per i minorenni, ossia la tutela dell’unità familiare e della minore, peraltro nata in Italia nel 2008. Dunque tale condizione rendeva inesigibile l’ottemperanza all’ordine di allontanamento del Questore (del 2022) e comportava l’assoluzione dell’imputato. Giudice di Pace di Roma, sentenza del 14 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Matteo Megna per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative al decreto di espulsione
Non convalida del trattenimento in CPR del cittadino salvadoregno: la richiesta di asilo deve essere valutata nel merito
La Corte di Cassazione esamina due provvedimenti di convalida del trattenimento del Tribunale di Milano, entrambi relativi allo stesso cittadino salvadoregno, in Italia da diversi anni, che formalizzava domanda di protezione internazionale nel CPR di Milano, dopo l’ordine di trattenimento ex art. 14 d.lgs. n. 286/1998, manifestando il timore, in caso di rimpatrio in El Salvador, di essere arrestato a causa dei suoi vecchi legami con la mara, evincibili da una serie di tatuaggi sul corpo, anche, all’interno della bocca, e di essere così esposto, quantomeno, al serio pericolo di un danno grave per le note condizioni carcerarie riservate nel Paese di rimpatrio alle persone sospettate di avere e/o avere avuto legami con le maras.  La Corte di Cassazione, previa riunione dei due ricorsi per l’unitarietà sostanziale delle due controversie, pur rigettando i primi due motivi del primo ricorso, relativi ad eccezioni riguardanti gli atti presupposti al trattenimento (provvedimento di convalida del Giudice di Pace e decreto di espulsione), cassa senza rinvio i due provvedimenti impugnati, ritenendo fondato l’ ultimo motivo del primo ricorso e l’unico motivo del secondo ricorso, con cui si eccepiva che il Tribunale di Milano nel decidere non aveva esaminato le motivazioni poste a fondamento della domanda di protezione internazionale, neanche, in modo sommario. Il Tribunale di Milano, infatti, con il primo provvedimento aveva convalidato il trattenimento del richiedente asilo esaminando esclusivamente i tempi di presentazione della domanda rispetto alla data di ingresso in Italia (2004), tenuto conto anche della scolarità del richiedente asilo, motivazione ripresa nel secondo provvedimento del medesimo Tribunale, che convalidava il trattenimento ritenuto immutato il quadro giuridico e fattuale. La Corte di cassazione nell’accogliere il sopra esposto motivo osserva che “i fondati motivi per ritenere che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del respingimento o dell’espulsione” integrano la fattispecie legale del trattenimento ex art. 6 comma 3 d.lgs. n. 142/2015, dal che consegue che la decisione sulla richiesta di convalida non può prescindere dall’esame di quanto dedotto, allegato o dimostrato dalle parti al fine di evidenziare la sussistenza o meno di questo presupposto. La Corte di cassazione, infine, nell’accogliere il ricorso, conclude affermando che nel caso di specie, in entrambi i casi, nemmeno sommariamente veniva preso in considerazione quanto dedotto a fondamento della domanda di protezione – e cioè il rischio di subire trattamenti inumani e degradanti in caso di rimpatrio in El Salvador a causa di tatuaggi- che avrebbero reso il richiedente asilo trattenuto sospettato di appartenere alle bandi criminali locali con il rischio di essere arrestato e sottoposto alle pessime condizioni carcerarie riservate in El Salvador a chi è anche solo sospettato di legami con le maras.  Corte di Cassazione, ordinanza n. 27143 del 10 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Anna Moretti per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative alla non convalida del trattenimento nei CPR
La CEDU condanna nuovamente la Croazia per le espulsioni illegali
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha nuovamente condannato la Croazia (caso Y.K. contro Croazia) per aver espulso un cittadino turco di etnia curda senza garantirgli l’accesso effettivo alla procedura d’asilo e senza dare la possibilità di ricorrere a un rimedio giuridico in grado di sospendere automaticamente la sua espulsione. La Corte ha riconosciuto la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, che vieta trattamenti inumani o degradanti, e dell’articolo 13, che tutela il diritto a un ricorso effettivo, e ha disposto un risarcimento di 8.500 euro per danno morale e 3.300 euro per spese legali. Y.K., nato nel 1984, aveva raccontato di essere stato perseguitato e torturato in Turchia per il suo attivismo politico. Dopo essere fuggito dal Paese, nel febbraio 2021 era entrato irregolarmente in Croazia dalla Serbia. Arrestato a Zagabria e trasferito nel centro di detenzione per stranieri di Ježevo, si era trovato di fronte a diverse barriere burocratiche. Nonostante avesse espresso più volte la volontà di chiedere asilo (anche in presenza dei rappresentanti della Difensora civica croata e tramite il proprio avvocato), le autorità non avevano registrato la richiesta e avevano continuato a trattarlo come una persone migrante da espellere. Secondo la Corte, la polizia croata approfittò della vulnerabilità del richiedente – privato della libertà, senza contatti con il suo legale e sottoposto a isolamento con il pretesto della quarantena Covid – per indurlo a firmare documenti di “rimpatrio volontario” verso la Macedonia del Nord. Quel consenso, osservano i giudici di Strasburgo, non fu affatto libero: Y.K. era stato dissuaso dal presentare domanda d’asilo con la minaccia di restare a lungo detenuto e con la promessa di una partenza “tranquilla” se avesse accettato di lasciare il Paese. La Corte ha sottolineato che le autorità croate erano perfettamente consapevoli del rischio di persecuzione che l’uomo avrebbe corso in caso di ritorno in Turchia e che, in ogni caso, prima di allontanarlo, avrebbero dovuto valutare se la Macedonia del Nord fosse davvero un Paese sicuro, verificando l’effettivo accesso alla procedura d’asilo. Nulla di tutto ciò è stato fatto. Inoltre, il legale di Y.K. non aveva ricevuto copia dei provvedimenti di espulsione e non aveva potuto presentare ricorso, perché nessuno dei rimedi giuridici disponibili in Croazia prevedeva la sospensione automatica della misura di allontanamento. Per la Corte di Strasburgo, la partenza di Y.K. non fu quindi volontaria ma il risultato di una pressione esercitata dalle autorità con l’obiettivo di evitare che potesse formalizzare la richiesta di protezione internazionale. In questo modo, la Croazia ha violato i suoi obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, privando un richiedente asilo del diritto a essere ascoltato e a ottenere una valutazione reale del rischio di persecuzione. «La Corte europea condanna nuovamente la Croazia per violazioni dei diritti dei richiedenti asilo – commenta il Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) – Ufficio Rifugiati -. La sentenza, ormai definitiva, riconosce che la Croazia ha violato il diritto d’asilo nei confronti di Y. K., cittadino turco di origine curda, che cercava protezione dopo essere fuggito da persecuzioni politiche e torture. Invece di garantirgli accesso alla procedura d’asilo, le autorità croate lo hanno detenuto e poi espulso, esponendolo al rischio di nuove violenze». L’ICS sottolinea che la decisione «conferma quanto denunciato da anni dal Centro per gli Studi sulla Pace di Zagabria e da numerose organizzazioni per i diritti umani: la Croazia espelle sistematicamente e illegalmente i rifugiati, negando loro il diritto di asilo, la rappresentanza legale e l’accesso alla giustizia». Il Consorzio accoglie la sentenza come «una vittoria della giustizia e un riconoscimento delle gravi violazioni in atto alle frontiere europee» e rinnova l’appello alle istituzioni «a porre fine ai respingimenti, garantire accesso all’asilo, assistenza legale e rimedi effettivi a tutte le persone in cerca di protezione». La sentenza, effettivamente, ribadisce un principio già affermato in precedenti decisioni come M.H. e altri c. Croazia 1: uno Stato non può eludere il principio di non refoulement fingendo che un richiedente asilo abbia “scelto” di partire, se quella scelta è stata estorta in un contesto di detenzione e isolamento. Si richiama così ancora una volta i Paesi europei al rispetto sostanziale, e non solo formale, del diritto d’asilo e delle garanzie procedurali che ne sono parte integrante. 1. Il capolinea dello stato di diritto: la Croazia e la rotta balcanica, tra Schengen, l’Unione europea e violazioni sistematiche dei diritti umani alle frontiere, Francesco Luigi Gatta – Diritto, Immigrazione e Cittadinanza. ↩︎
Annullata l’espulsione del cittadino eritreo soccorso in mare: ha diritto a essere informato sulla possibilità di chiedere asilo
Il provvedimento del Giudice di Pace di Imperia si inserisce nel consolidato orientamento giurisprudenziale che limita l’applicazione dell’art. 13, comma 2, lett. a) del Testo Unico sull’Immigrazione, norma che consente l’espulsione quando lo straniero “è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera”. Nel caso esaminato, il ricorrente era stato soccorso in mare, sbarcato a Lampedusa e immediatamente identificato e fotosegnalato, circostanza che esclude l’irregolarità dell’ingresso e rende illegittimo il decreto prefettizio. Il giudice richiama la giurisprudenza di legittimità, in particolare la Cassazione civile n. 5402/2022, secondo cui: > “Questo Collegio condivide la tesi giuridica del ricorrente, secondo cui, nel > caso di specie come da lui descritto, non ricorrerebbe la fattispecie > dell’ingresso clandestino del cittadino straniero nello Stato. Quest’ultimo > sarebbe stato, infatti, sottoposto a controllo da parte delle Forze > dell’Ordine, e quindi identificato e fotosegnalato, una volta giunta nel porto > di (OMISSIS) la nave a bordo della quale lo stesso era trasportato. Ed è > proprio a seguito di tale controllo di frontiera che sarebbe stato adottato > nei suoi confronti il provvedimento espulsivo a base del trattenimento di cui > qui si discute. Nè rileverebbe che tale controllo sia stato effettuato > all’esito di una operazione di soccorso marittimo. Il ricorrente non si > sarebbe, dunque, “sottratto ai controlli di frontiera”, come prevede la > disposizione normativa posta a fondamento del decreto di espulsione, essendo > stato un controllo invece effettuato, pur occasionalmente collegato > all’operazione di soccorso marittimo. (Cass. civ., Sez. I, Ord. 18/02/2022, n. > 5402)” L’identificazione all’arrivo costituisce un controllo di frontiera effettivo e l’operazione di soccorso non può essere assimilata a un ingresso clandestino. In assenza della “sottrazione ai controlli”, il provvedimento prefettizio è privo di fondamento giuridico e deve essere annullato. Il giudice inoltre ribadisce che non è possibile sostituire d’ufficio la motivazione del decreto con un’altra ipotesi espulsiva, poiché l’atto ha natura vincolata e le cause di espulsione sono tassative. La decisione riafferma così il principio di tutela del diritto dello straniero soccorso in mare a essere informato e a poter richiedere protezione internazionale. Giudice di Pace di Imperia, sentenza del 9 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per la segnalazione. * Consulta altre decisioni relative al decreto di espulsione
Dal CPR alla protezione speciale: riconosciuta la condizione di vulnerabilità e il radicamento sociale
Il caso riguarda un cittadino albanese che vive in Italia da oltre vent’anni e che, dopo un percorso tortuoso – che lo ha visto anche trattenuto presso il CPR di Bari Palese – ha finalmente ottenuto dal Tribunale di Bari il riconoscimento del diritto alla protezione speciale. Il 2 agosto 2023, mentre si trovava trattenuto nel CPR di Bari Palese, il cittadino formalizzava la richiesta di protezione internazionale. Il 10 agosto 2023 compariva dinanzi alla Commissione territoriale per l’audizione personale, durante la quale raccontava la propria vita di migrante di lungo corso. Emergeva in particolare che egli vive in Italia dall’età di 16 anni e che aveva lasciato l’Albania già a 14 anni per emigrare in Grecia. Gli anni vissuti in Albania con la famiglia gli avevano procurato forti disagi, essendo stato vittima di violenza domestica da parte del padre. Queste vicende hanno condizionato l’intera sua vita, con effetti deleteri anche sugli altri membri della famiglia: anche i fratelli, infatti, hanno sviluppato forme di depressione. In Italia ha lavorato con turni massacranti, fino a 15 ore al giorno, ma col tempo è rimasto vittima di uno stile di vita segnato dall’abuso di alcol e sostanze psicoattive, che lo ha condotto a più tentativi di suicidio, nel 2014 e nel 2020. Negli ultimi tre anni è stato inserito in un programma residenziale riabilitativo, con esiti positivi: ha manifestato la volontà di condurre una vita sana, rispettando le regole della comunità, distaccandosi dall’uso delle sostanze e avviando un percorso di emancipazione anche dalla terapia farmacologica. Durante il periodo di affidamento in prova presso la comunità, ha potuto elaborare i traumi legati alla violenza familiare subita. Il Magistrato di sorveglianza aveva concesso l’affidamento in prova ai sensi dell’art. 94, comma 2, del DPR n. 309/90, ritenendo significativa la sua storia di vita e tenendo conto della relazione comportamentale, che sottolineava: * la crescita in una famiglia disfunzionale, con un padre alcolista e violento anche davanti ai figli; * la presenza di depressione cronica nel fratello e di disturbi depressivi nella sorella; * indici intellettivi inferiori alla media, tratti di introversione, ritiro sociale e dipendenza affettiva; * il trauma “cumulativo” conseguente alla violenza assistita; * un nucleo depressivo radicato e un disturbo d’ansia legato sia a fattori organici sia ambientali. All’audizione in Commissione il ricorrente produceva ampia documentazione: gli atti relativi all’affidamento in prova, il percorso psicoterapeutico svolto in comunità e, a dimostrazione del proprio inserimento lavorativo, l’estratto contributivo INPS, dal quale risultava un’attività ininterrotta a partire dal 1° agosto 2002. Nonostante ciò, il 21 agosto 2023 la Commissione territoriale di Bari rigettava la domanda, negando qualsiasi forma di protezione. Il provvedimento veniva impugnato, contestando l’omessa valutazione dei documenti forniti e la mancata applicazione della protezione speciale per vittime di violenza domestica. La Commissione, infatti, non aveva svolto alcun giudizio di comparazione, ossia la valutazione tra il livello di integrazione sociale del richiedente in Italia e la sua condizione personale e oggettiva nel Paese di origine. Tale valutazione avrebbe dovuto verificare se la compressione dei diritti umani fosse tale da ledere il nucleo minimo della dignità della persona, soprattutto considerando che il ricorrente vive in Italia da quando aveva 16 anni, dove risiedono anche la madre (coniugata con un cittadino italiano), il fratello e i nipoti. Il giudizio di comparazione avrebbe dovuto tener conto della condizione di vulnerabilità del richiedente, segnata dalla violenza domestica subita e dalla necessità di cure psicologiche e psichiatriche “salva-vita”, non sostituibili altrove per via del delicato rapporto di fiducia instaurato con i medici specialisti. Va inoltre evidenziato che, nel Paese d’origine, le strutture sanitarie pubbliche restano fortemente carenti e quelle private, pur di livello migliore, non sono in grado di garantire interventi complessi. La situazione igienico-sanitaria appare precaria e le cure farmacologiche restano difficilmente accessibili (fonte: ACLED Dashboard, 01.01.2023 – 31.12.2023). All’esito di una lunga istruttoria, il Tribunale di Bari ha accolto il ricorso, rilevando: “Considerando che, nel caso di specie, il ricorrente ha presentato domanda di protezione internazionale dinanzi alla Questura di Bari il 2 agosto 2023, ossia dopo l’entrata in vigore del DL n. 20/2023, va applicato l’art. 19 nella sua nuova formulazione. Il ricorrente ha prodotto documenti da cui emergono elementi tali da giustificare una valutazione positiva sulla domanda. (…) La documentazione depositata è indicativa della serietà dello sforzo compiuto dal richiedente per inserirsi nel tessuto socio-economico italiano. Ne emerge un percorso effettivo e duraturo di integrazione lavorativa in Italia, con un contratto di lavoro in essere. Deve pertanto essere riconosciuto il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 5, co. 6, e dell’art. 19, co. 1.1, del d.lgs. 286/1998. In caso di rimpatrio, il ricorrente subirebbe una grave lesione della propria vita privata, essendo ormai radicato in Italia, senza che emergano gravi ragioni ostative alla sua permanenza”. Anche questo caso mette in luce le gravi carenze esistenti in materia di espulsione e protezione per casi speciali. L’attuale normativa crea forti disfunzioni sociali e ostacola chi si impegna ad aiutare i migranti, vanificando percorsi positivi che rischiano di interrompersi bruscamente nei luoghi di detenzione amministrativa, solo per il mancato rinnovo di un permesso di soggiorno. Tribunale di Bari, decreto dell’11 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Uljana Gazidede per la segnalazione e il commento.
CPR di Palazzo San Gervasio: liberato il cittadino dominicano dopo l’ingiusta convalida del trattenimento
Il Giudice di Pace di Melfi convalidava illegittimamente il trattenimento di un cittadino dominicano e avverso il provvedimento veniva proposta istanza di riesame, la quale veniva accolta il 16.8.2025; nelle more del primo ricorso, il GdP di Roma con decreto dell’8.8.2025 accoglieva l’istanza di sospensiva proposta nel ricorso avverso l’espulsione. Giudice di Pace di Melfi, decreto del 16 agosto 2025 Giudice di Pace di Roma, decreto del 8 agosto 2025 Si ringrazia l’Avv. Antonello Andriuolo per la segnalazione e il commento. LA VICENDA DEL RICORRENTE Il 21.7.2025 alla Stazione Termini di Roma viene fermato un cittadino dominicano e dagli accertamenti della Polizia risulta che la Questura di Terni aveva disposto la revoca del permesso di soggiorno UE per la convivenza con una cittadina italiana, nonostante il permesso fosse stato rilasciato dalla Questura di Catania. Il Prefetto di Roma dispone l’espulsione e il competente Questore l’immediato ordine di trattenimento presso il CPR di Palazzo San Gervasio. La Polizia desume la sua pericolosità sociale sulla base di lievi precedenti penali risalenti al periodo della minore età e antecedenti al rilascio del PdS. La Questura di Roma non permette in alcun modo al cittadino dominicano di richiedere un permesso per motivi di famiglia, di lavoro o attesa occupazione, nonostante vi fossero i presupposti. Il trattenimento viene ingiustamente convalidato dal GDP di Melfi, competente per il CPR di Palazzo San Gervasio, e il sottoscritto avvocato congiuntamente al suo cliente decidono di non richiedere la protezione internazionale (prassi molto diffusa all’interno del CPR di Potenza) e di procedere con il riesame considerata la superficialità del primo giudice di Pace che non ha nemmeno esaminato la documentazione prodotta nel fascicolo telematico. Durante l’udienza di Convalida, il sottoscritto difensore si limita a riportarsi all’atto e alla documentazione prodotta, e il GDP, costatato che il ricorrente ha un figlio e una madre naturalizzata italiana, in accoglimento del ricorso, ordina l’immediata liberazione del trattenuto. Nelle more viene proposta l’impugnazione del provvedimento di espulsione e il Giudice di Pace di Roma, letto il ricorso, accoglie l’istanza di sospensiva rinviando, per il carico di ruolo, all’udienza del 23.9.2025. Dopo oltre 14 anni che tratto la materia dell’immigrazione, ritengo che in tanti casi la richiesta di protezione internazionale, all’interno dei CPR, possa compromettere i diritti dei cittadini stranieri oltre che per il periodo di trattenimento anche perché, cessate le misure di trattenimento, in tanti casi, potrebbero restare privi di qualunque tutela. L’istanza di protezione internazionale va esperita, in estrema ratio, quando si intuisce che sta per essere rilasciato il lascia passare necessario al rimpatrio coatto. La richiesta di protezione non è uno strumento che deve essere utilizzato per trasferire la competenza del caso alla CDA competente, illudendo il trattenuto di poter avere un’altra possibilità di ottenere la cessazione delle misure di trattenimento. E’ necessario che il difensore tuteli il diritto di soggiorno dello straniero anche dopo la sua liberazione dandogli la possibilità di avere un titolo di soggiorno altrimenti al primo controllo delle forze dell’ordine potrebbe essere nuovamente sottoposto alle misure di trattenimento.
Non proroga del trattenimento: libero il cittadino del Congo trattenuto tra il CPR di Gjadër in Albania e il CPR di Bari – Palese
Il cittadino del Congo rientrava dal CPR di Gjadër in Albania in quanto la Corte di Appello di Roma non convalidava il decreto di trattenimento del Questore di Roma. La Questura di Roma appena rientrato in Italia, però, disponeva un nuovo trattenimento questa volta ex art. 14 TUIMM e lo inviava per la convalida presso il CPR di Bari – Palese. Il trattenuto manifestava la volontà di chiedere nuovamente protezione dinnanzi al Giudice di Pace di Bari che convalidava il trattenimento ex art. 14 D.Lgs. n. 268 /98. Avendo chiesto protezione internazionale la Questura di Bari chiedeva alla Corte di Appello di Bari di convalidare il decreto di trattenimento adottato, questa volta, ai sensi dell’art. 6 comma 5 D.Lgs. n. 142/2015. La Corte di Appello di Bari convalidava il trattenimento per la durata di 60 giorni valutando la domanda di protezione, strumentale e finalizzata solamente a ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione, in quanto presentata solo a seguito di trattenimento presso il CPR in attesa dell’esecuzione del provvedimento prefettizio di espulsione. Prima della scadenza dei 60 giorni la Questura di Bari chiedeva la proroga per ulteriori giorni 90 pur essendo decorsi i termini di cui all’art. 26, comma 2 bis del D.lgs. n. 25/2008 in quanto il cittadino straniero non aveva nemmeno compilato il modello C3. La Corte di Appello di Bari, in accoglimento delle deduzioni difensive, non prorogava il trattenimento con la seguente motivazione: “(…) rilevato che il cittadino straniero … , nato in Repubblica Del Congo …, è stato inizialmente attinto da un provvedimento di trattenimento emesso ex art. 6 co. 3 d.lgs. 142/15 dalla Questura di Bari l’8.7.2025, convalidato il 9.7.25 dalla Corte d’Appello di Bari, per un periodo di 60 gg. prorogabile; -letta l’istanza, avanzata il 2.9.25, con cui la Questura di Bari ha tempestivamente chiesto una proroga di detto trattenimento per ulteriori 60 gg.; rilevato che, all’odierna udienza camerale, la Questura ha insistito per la proroga, mentre la difesa dello straniero si è opposta, invocando la violazione del termine di 6 gg. lavorativi fissato dall’art. 26 co.2 bis D.Lgs.25/08 per la formalizzazione della manifestazione di volontà di chiedere la protezione internazionale, non essendo stato ancora compilato il modello C3; rilevato che, mentre lo straniero ha manifestato la volontà di chiedere protezione internazionale già in data 2.7.25 (in sede di convalida del suo primo trattenimento ex art.14 TUI davanti al Giudice di Pace), la redazione del modello C3, costituente adempimento necessario alla formalizzazione di tale domanda, non è stata ad oggi ancora effettuata, come confermato dalla stessa Questura, in violazione del termine di 6 giorni lavorativi richiesti dall’art.26 co.2 bis D.Lgs.25/08; ritenuto che la violazione del predetto termine (che per ormai consolidata giurisprudenza della S.C. – cfr. Cass.15984/25 – è termine di natura perentoria, la cui violazione è rilevabile d’ufficio né è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione e dall’intervenuta convalida del trattenimento, spettando al giudicante il rilievo officioso di eventuali vizi a monte della procedura di trattenimento) sia di per sé decisiva al fine di precludere la proroga del trattenimento dello straniero; P.Q.M. Non autorizza la proroga del trattenimento”. Questo caso è assai particolare perché ha dimostrato come il trattenimento prima in Albania e poi in Bari non hanno prodotto alcun risultato utile e positivo, ma anzi hanno comportato solo la privazione della libertà personale e il dispendio di denaro pubblico per un cittadino che è inespellibile e che se avesse avuto l’opportunità di essere ascoltato dalla Commissione territoriale avrebbe ottenuto, proprio perché originario del Congo, lo status e/o la protezione come accade di sovente. Corte di Appello di Bari, decisione del 3 settembre 2025 Si ringrazia l’Avv. Uljana Gazidede per la segnalazione e il commento.