Cittadinanza per residenza: la valutazione del reddito deve tener conto dell’invalidità e dell’impegno nel reinserimento lavorativoIl Consiglio di Stato è ritornato a pronunciarsi sui poteri discrezionali della
P.a. in merito alla concessione della cittadinanza italiana, ovvero dei criteri
che quest’ultima deve tenere in considerazione ai sensi dell’art. 3 d.l. 25
novembre 1989, n. 382, conv. in l. 25 gennaio 1990, n. 8.
Nel caso di specie, il cittadino extracomunitario aveva presentato l’istanza a
settembre del 2014, allegando – tra l’altro – anche la documentazione relativa
ai redditi dell’ultimo triennio.
Tuttavia, il Ministero dell’Interno – con il decreto del 7 agosto 2019 – aveva
negato la concessione della cittadinanza per carenza dei criteri reddituali,
poiché “lo straniero deve dimostrare di possedere una certa stabilità e
continuità nel possesso del requisito, che va mantenuto fino al momento del
giuramento”.
Invero, l’Amministrazione non aveva tenuto in debita considerazione la
circostanza che l’istante, in data 3 dicembre 2013, fosse stato giudicato
invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 74% al 99%, con
decorrenza dal 14 giugno 2013, risultando anche iscritto nell’elenco degli
aventi diritto all’assunzione obbligatoria.
Inoltre, avanzato ricorso avverso il suddetto provvedimento, il Tar – rigettando
la domanda -aveva annunciato che “l’erogazione a titolo di pensione di
invalidità “non assume rilievo ai fini del calcolo e della formazione del
reddito, avendo di contro la funzione solidaristica di sostegno al reddito”.
Ebbene, il Tribunale Amministrativo Regionale aveva omesso di considerare nella
sua interezza il contenuto del ricorso introduttivo, con il quale si evidenziava
che il cittadino – nonostante le condizioni di salute – aveva cercato di
inserirsi nel mondo del lavoro, essendo stato iscritto dal 15 maggio 2015
nell’elenco di cui all’art. 8 l. n. 68/1999; difatti, successivamente si era
iscritto al Centro d’Impiego; aveva svolto un percorso di tirocinio formativo,
fino ad essere nuovamente e regolarmente assunto nel 2020.
Il Consiglio di Stato, difatti, ha ritenuta la censura meritevole di
accoglimento poiché “l’Amministrazione appellata – ha omesso di attribuire
rilevanza, ai fini dell’accertamento del requisito reddituale che concorre ad
integrare i presupposti per la concessione della cittadinanza italiana, alla
peculiare condizione di inabilità al lavoro concretizzatasi in data antecedente
alla presentazione della domanda”.
Pertanto, il criterio reddituale di cui all’art. 3 d.l. 25 novembre 1989, n.
382,, se rigidamente applicato senza tenere conto della peculiare condizione di
inabilità dell’istante, assumerebbe carattere discriminatorio, in contrasto con
il principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, comma 2, Cost.
Quindi, il Giudice di Secondo Grado – accogliendo totalmente l’appello – ha
evidenziato che “l’Amministrazione avrebbe dovuto vagliare, nel rispetto di un
esercizio costituzionalmente orientato del relativo potere e per evitare che il
riscontro del dato reddituale si risolva indirettamente in un elemento
illegittimamente discriminatorio, la prospettiva di inserimento lavorativo del
ricorrente, in specifica relazione alle peculiari condizioni dello stesso”.
Consiglio di Stato, sentenza n. 6090 dell’11 luglio 2025
Si ringrazia l’Avv. Gentian Alimadhi per la segnalazione e il commento.