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CPR di Gjadër e inadeguatezza cure sanitarie: immediata liberazione del trattenuto alla luce della sentenza costituzionale n. 96/2025
Il tribunale di Roma dopo un ricorso d’urgenza ex art. 700 ordina l’immediata liberazione di un cittadino straniero trattenuto nel CPR albanese. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Il Giudice anzitutto ribadisce quanto già affermato in precedenza 1 e ormai definitivamente confermato da Corte Costituzionale n. 96/2025, ossia che questa autorità rimane sempre competente quando al di fuori dei casi specificamente regolati dalla legge si debba richiedere la tutela di un diritto fondamentale del cittadino italiano o straniero che sia. Guida legislativa/CPR, Hotspot, CPA LA CORTE COSTITUZIONALE APRE A NUOVE BATTAGLIE CONTRO LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA Avv.ti Salvatore Fachile e Gennaro Santoro Avv. Gennaro Santoro (Roma), Studio Legale Antartide (Roma) 4 Luglio 2025 Richiamando la sopracitata sentenza, in mancanza di una normativa che sancisca le competenze, i diritti e le garanzie al diritto alla salute considera inadeguate le cure apprestate dal CPR (posto che non è previsto che nei CPR l’assistenza sanitaria venga fornita direttamente dal Servizio Sanitario Nazionale, a differenza di quanto previsto per gli istituti penitenziari. L’effettiva gestione della presa in carico sanitaria ricade, infatti, sull’ente gestore privato del centro, il quale eroga i servizi secondo quanto previsto dal capitolato d’appalto specifico. Deve, pertanto, ritenersi che nel caso di specie l’unica misura idonea a tutelare il diritto alla salute del ricorrente sia la cessazione del trattenimento e la immediata liberazione). Un passaggio contenuto nella decisione (ndR.): “Consultando il diario clinico e il consenso alle cure ivi contenuto, nulla di tutto ciò sembra essere avvenuto. Non solo, quindi, il ricorrente non sta ricevendo cure adeguate alla sua condizione di salute, che appare essere in continuo peggioramento, ma la terapia appare essere stata somministrata al di fuori delle condizioni e delle garanzie previste dalla legge. Inoltre, la terapia psicologica consigliata fin dal suo ingresso a Gjader non risulta essere stata attivata, risultando essere stati effettuati solo colloqui di monitoraggio. Dal diario clinico non si evince nemmeno a quale ordine appartengano i medici che hanno in cura il ricorrente e se appartengano o meno al servizio sanitario italiano. Infatti, non risulta essere presente in Albania un presidio fisso del Servizio Sanitario Nazionale italiano, mentre appare evidente la necessità che il ricorrente debba essere preso in carico da una struttura adeguata quale il centro di salute mentale presso la ASL. Deve, pertanto, ritenersi che le modalità con cui attualmente il ricorrente è trattenuto presso il CPR di Gjader siano lesive del suo diritto fondamentale alla salute. L’irreparabilità dei danni che possono derivare dalla carenza delle cure e dal peggioramento costante delle condizioni di salute del ricorrente, dagli esiti imprevedibili, giustifica, poi, l’adozione del decreto inaudita altera parte“. In conclusione, il tribunale richiama la recente sentenza della Corte Costituzionale, ma ricorda come quest’ultima non ha fornito indicazioni in ordine ai poteri spettanti al giudice civile. E quindi si riserva eventualmente di interrogare la Corte di Cassazione con un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art 363 bis c.p.c., al fine di chiarire quali siano le prerogative del giudice civile anche in ordine alle misure alternative, al trasferimento da un determinato Cpr etc. . Tribunale di Roma, decreto del 28 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione e il commento. 1. Si veda: Tribunale di Roma, ordinanza del 2 settembre 2024 ↩︎
Protezione speciale per madre tunisina con cinque figli: riconosciuto il diritto all’unità familiare
Il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso presentato dalla cittadina tunisina a cui era stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari a causa di un’assenza prolungata dal territorio nazionale. Il Giudice ha riconosciuto in suo favore il diritto alla protezione speciale, con possibilità di conversione del titolo in permesso per motivi di lavoro, valorizzando il radicamento familiare e sociale comunque maturato in Italia. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 La ricorrente, madre di cinque figli minori e moglie di un cittadino tunisino regolarmente soggiornante in Italia sin dal 1991, si era temporaneamente allontanata dal Paese per assistere la madre gravemente malata in Tunisia. Tale circostanza, pur avendo determinato un’interruzione della continuità del soggiorno, è stata ritenuta dal Tribunale giustificata e non tale da far venir meno i legami significativi costruiti sul territorio italiano. Il Giudice ha ritenuto prevalente il diritto alla vita familiare della donna e l’interesse superiore dei figli a mantenere l’unità del nucleo in Italia, richiamando il combinato disposto dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico sull’Immigrazione. In particolare, è stato sottolineato come l’allontanamento forzato della madre avrebbe compromesso in modo grave ed irreparabile la stabilità affettiva e lo sviluppo dei minori. La decisione rappresenta un rilevante precedente in materia di protezione speciale, ribadendo l’obbligo per l’amministrazione e la giurisdizione di tenere conto, nei procedimenti di espulsione e rinnovo del permesso di soggiorno, dei vincoli affettivi e dell’inserimento sociale del cittadino straniero, in un’ottica di effettiva tutela dei diritti fondamentali. Tribunale di Bologna, sentenza del 3 luglio 2025 Il procedimento è stato patrocinato dall’Avv. Nicola Montefiori, con la collaborazione della Dott.ssa Antonella Nediani, avvocata argentina con esperienza in diritto dell’immigrazione. * Consulta altre decisioni relative al permesso di soggiorno per protezione speciale
Mali, protezione sussidiaria per i richiedenti: minaccia alla vita per la violenza indiscriminata
Il Tribunale di Potenza si è pronunciato sul ricorso presentato da due cittadini maliani contro il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari, che aveva rigettato la loro domanda di protezione internazionale. La Commissione aveva tuttavia ritenuto sussistenti i presupposti per la trasmissione degli atti al Questore, ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 32, comma 3, del d.lgs. 25/2008 e s.m.i. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 I ricorrenti, in particolare, chiedevano al Giudice adito l’annullamento della decisione ed alla luce dell’instabilità che comunque caratterizza lil Mali nella sua interezza che venisse accertato e riconosciuto il diritto dei ricorrenti al riconoscimento della protezione internazionale, quale protezione sussidiaria o, in via gradata, qua le status di rifugiato ed In via ulteriormente gradata, il riconoscimento allo straniero del diritto di asilo costituzionalmente sancito ex art. 10 co. 3. Il tribunale dopo aver elencato numerose fonti internazionali concludeva per il riconoscimento della protezione sussidiaria in quanto vi era un serio pericolo per la loro vita per la sola presenza sul territorio a causa della violenza indiscriminata, oltre alla continua e radicata violazione dei diritti fondamentali della persona. Questo esimeva i ricorrenti dal fornire prova del rischio specifico (v.si, in tal senso, CGUE Grande sezione sentenza del 17 febbraio 2009 nel procedi mento C-465/07, caso Elgafaji), non rilevando, dunque, alcun giudizio di comparazione tra la condizione individuale in cui si troverebbero i ricorrenti in caso di rimpatrio e quella medio tempore raggiunta in Italia. 1) Tribunale di Potenza, decreto del 18 giugno 2026 2) Tribunale di Potenza, decreto del 18 giugno 2026 Si ringrazia l’Avv. Andrea Fabbricatti per la segnalazione e il commento. -------------------------------------------------------------------------------- * Consulta altri provvedimenti relativi all’accoglimento di richieste di protezione da parte di cittadini/e del Mali * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali” VEDI LE SENTENZE * Status di rifugiato * Protezione sussidiaria * Permesso di soggiorno per protezione speciale
Riconosciuta la protezione speciale al richiedente nigeriano, dopo violazione dei termini della cd. procedura accelerata
Il Tribunale di Napoli ha riconosciuto la protezione speciale in seguito alla presentazione dell’istanza ex art. 7-quinquies del D.L. n. 20/2023. Ciò che rende peculiare questa decisione è il fatto che, all’epoca, il ricorrente aveva presentato una nuova domanda di protezione internazionale presso la Questura di Taranto. La domanda era stata dichiarata inammissibile dalla Commissione Territoriale di Caserta. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Successivamente, il richiedente si è rivolto al difensore legale, quando ormai erano trascorsi i 15 giorni previsti per proporre ricorso secondo la procedura accelerata. La difesa ha quindi sollevato un’eccezione, sostenendo che non erano stati rispettati i termini della procedura accelerata e che, di conseguenza, dovevano applicarsi i termini ordinari di 30 giorni. Il Tribunale di Napoli ha accolto questa eccezione, ritenendo il ricorso tempestivo. Ne deriva che l’effetto sospensivo del provvedimento impugnato è automatico e che il termine per proporre ricorso non è di 15, ma di 30 giorni. A questo proposito, va ricordato che – per quanto riguarda i termini procedurali previsti dall’art. 28-bis del D.Lgs. 25/2008 – la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, è da tempo consolidata. È stato infatti affermato il principio secondo cui, in caso di superamento dei termini per l’audizione del richiedente o per la decisione della Commissione, si ripristina la procedura ordinaria. In tal caso, si applica nuovamente il principio generale della sospensione automatica del provvedimento della Commissione Territoriale e il termine per impugnare torna ad essere quello ordinario di trenta giorni, previsto dall’art. 35-bis, comma 2, del medesimo decreto. Nel merito, il ricorrente ha dimostrato una solida integrazione sociale e lavorativa. Come rilevato dal Tribunale: “L’acclarata stabilità lavorativa rende l’istante inespellibile ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico sull’Immigrazione, poiché il rimpatrio violerebbe i suoi diritti fondamentali alla vita privata, tutelato dall’art. 8 della CEDU, nonché i diritti al cibo, all’abitazione e a un ambiente salubre, riconosciuti dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 3 gennaio 1976 e ratificato dall’Italia con la legge n. 881/1977”. Tribunale di Napoli, decreto del 15 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Mariagrazia Stigliano per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative al riconoscimento della protezione speciale
Assegno sociale negato a rifugiato, l’INPS condannato per condotta discriminatoria
Il Tribunale di Roma – Sezione Lavoro condanna l’Inps per aver negato l’assegno sociale ad un rifugiato politico siriano che non aveva prodotto l’attestazione da parte dell’ambasciata del paese di origine circa l’assenza di redditi. La sentenza si segnala in quanto riconosce la natura discriminatoria della condotta posta in essere dall’INPS. Il provvedimento impugnato pregiudica i rifugiati politici che non hanno possibilità di accedere senza rischi nelle ambasciate del loro paese per richiedere una documentazione reddituale superflua e priva di riscontro normativo. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Secondo il provvedimento del Tribunale: “Detta pretesa si traduce in una violazione del vincolo di parità di trattamento in ragione del fatto che porre quale condizione necessaria ad un rifugiato la produzione di documentazione personale e reddituale da richiedere alle autorità del proprio Paese di cittadinanza – lo stesso dal quale il cittadino straniero è fuggito per un pericolo di persecuzione e ha ottenuto protezione in Italia – equivale ad impedire allo stesso di accedere in concreto alla prestazione sociale alla quale avrebbe diritto per legge”. Tribunale di Roma, sentenza n. 7872 del 3 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Marco Galdieri per la segnalazione e il commento.
Riconosciuta la protezione speciale per povertà inemendabile in Bangladesh
Il Tribunale di Roma riconosce la protezione speciale a un cittadino del Bangladesh che aveva rinunciato in corso di giudizio alle protezioni superiori. La parte più interessante della pronuncia riguarda il riconoscimento della protezione a causa della povertà inemendabile cui il ricorrente e la famiglia andrebbero incontro in caso di rimpatrio. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Il Tribunale afferma infatti che: “Nel caso di specie è, dunque, evidente come il ricorrente stia compiendo numerosi sforzi per potersi integrare compiutamente nel nostro territorio, dove egli sta ricostruendo la sua intera esistenza ed un eventuale rimpatrio costituirebbe uno sconvolgimento radicale della sua vita privata, trasferendolo in una realtà notoriamente connotata da forti criticità, specie sotto il profilo socio-economico, dove correrebbe inoltre il rischio di rivittimizzazione. Sotto quest’ultimo profilo, va ricordato che, infatti, che anche se il Bangladesh nell’ultimo decennio è stato protagonista di una costante crescita economica che ha aiutato a contrastare la forte povertà presente, le fonti consultate dal Collegio descrivono chiaramente una diffusa situazione di povertà (…) Tanto consente di ritenere probabile che un eventuale rimpatrio esporrebbe in concreto il ricorrente al rischio di una grave compromissione dei suoi diritti fondamentali; ciò anche in considerazione dello stato di povertà inemendabile in cui versa la sua famiglia in Bangladesh, nonché dei numerosi debiti contratti dal ricorrente. In conclusione, è chiaro che il rimpatrio forzato del ricorrente costituirebbe una violazione certa del suo diritto alla vita privata, nel significato di nuova identità e stabilità che di tale nozione ha offerto la giurisprudenza della Corte di Strasburgo (Corte EDU, 14 febbraio 2019, Narjis c. Italia, n. 57433/15; Corte EDU, Grande Camera, Üner c. Paesi Bassi, n. 46410/99; si veda anche Corte EDU, Grande Camera, 23 giugno 2008, Maslov c. Austria, n. 1638/03). Considerate le sue circostanze personali, egli andrebbe, infatti, incontro alle difficoltà di un nuovo radicamento territoriale, perderebbe quanto conquistato in questo tempo nel nostro Paese, soprattutto dal punto di vista professionale, e incontrerebbe gravi difficoltà oggettive nel condurre una vita dignitosa, ritrovandosi senza lavoro, né mezzi di sussistenza per sé e per la propria famiglia. La permanenza in Italia preserverebbe, quindi, il ricorrente da uno scadimento estremamente significativo delle sue condizioni di vita e di quelle della sua famiglia in Bangladesh, da lui dipendente“. Tribunale di Roma, decreto del 9 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Anna Pellegrino per la segnalazione e il commento. Il caso è stato seguito insieme all’Avv. Giulia Crescini. -------------------------------------------------------------------------------- * Consulta altri provvedimenti relativi all’accoglimento di richieste di protezione da parte di cittadini/e del Bangladesh * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali” VEDI LE SENTENZE * Status di rifugiato * Protezione sussidiaria * Permesso di soggiorno per protezione speciale
Procedura accelerata “Paesi sicuri”: la manifestazione della volontà di asilo coincide quantomeno il 1° appuntamento in Questura
Il Tribunale di Milano ha ribadito l’orientamento secondo il quale vi è deroga al principio generale di sospensione automatica del provvedimento impugnato solo nel caso in cui la Commissione Territoriale abbia applicato una corretta procedura accelerata, utilizzabile quando ricorra ipotesi di manifesta infondatezza della richiesta protezione (Cass. SSUU n. 11399/2024). Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Nel caso di specie, in data 29.10.2024, il richiedente prenotava l’appuntamento, tramite il sistema “prenotafacile – procedure per la presentazione”, per il giorno 17.01.2025 presso la Questura competente per procedere con la richiesta di protezione internazionale. Alla data dell’appuntamento, la Questura rinviava la compilazione del modello C3 al giorno 18.02.2025. In data 18.02.2025, si era tenuto l’appuntamento di elaborazione del modello C3, con formalizzazione della domanda di asilo e il rilascio dell’id. Vestanet.  Sempre in tale data, la Questura rinviava ulteriormente alla data del 27.03.2025 per la consegna del modello C3 e del primo permesso di soggiorno. La Questura, infine, trasmetteva i relativi atti alla Commissione Territoriale in data 27.03.2024. In data 01.04.2025 La Commissione Territoriale dichiarava la domanda manifestamente infondata per provenienza del richiedente da un Paese designato di origine sicura, ai sensi dell’articolo 2-bis D.lgs. n. 25/2008. Il ricorrente proponeva ricorso e, contestualmente, chiedeva la sospensione del sopra menzionato provvedimento ex art. 35 bis comma 4 D.lgs. 25/2008 per violazione dei termini per la procedura accelerata di cui all’art. 28 bis, comma 2, lett. c) D.lgs. n. 25/2008 (“La Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che, entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all’audizione e decide entro i successivi due giorni”), in combinato disposto con l’art. 26, comma 2 bis, del citato D.lgs. n. 25/2008 (“Il verbale di cui al comma 2 è redatto entro tre giorni lavorativi dalla manifestazione della volontà di chiedere la protezione ovvero entro sei giorni lavorativi nel caso in cui la volontà è manifestata all’Ufficio di polizia di frontiera. I termini sono prorogati di dieci giorni lavorativi in presenza di un elevato numero di domande in conseguenza di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti”). Orbene, il Tribunale di Milano, in accoglimento della domanda di sospensiva con riguardo alla allegata violazione dei termini, ha osservato che “la manifestazione della volontà di presentare la domanda di protezione internazionale è stata quantomeno espressa in concomitanza al primo appuntamento presso la Questura …., fissato il 17.01.2025 e successivamente rinviato al 18.02.2025 e da ultimo al 27.03.2025, data di formalizzazione della domanda, avvenuta pertanto oltre i termini previsti dall’art. 26 co 2 bis Dlgs 25/2008; l’audizione risulta fissata il 1/04/2025 e la decisione risulta intervenuta in pari data; … dal provvedimento impugnato non si evince che il caso in esame rientri nell’ipotesi contemplata dall’art. 28 bis co 5 Dlgs 25/2008”. Pertanto, “nel caso in esame i termini per impugnare il provvedimento negativo non sono quelli dimidiati previsti per la procedura accelerata bensì quelli ordinari e che il provvedimento impugnato dovrà intendersi sospeso come nei casi ordinari, così come ha concluso la Suprema Corte nella pronuncia menzionata”. Tribunale di Milano, decreto del 7 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Lorenzo Chidini per la segnalazione e il commento. Il caso è stato seguito con l’Avv. M. Beatrice Sciannamblo del Foro di Milano. * Consulta altre decisioni relative alla cd. procedure accelerata
Non convalida del trattenimento presso il CPR del richiedente asilo tunisino: la Corte distingue tra richiedente “primario” e “secondario”
Una decisione della Corte di Appello di Venezia molto importante in quanto le Corti di Appello non avevano mai differenziato i richiedenti in “primari” e “secondari” ed ogni volta, a fronte di una situazione giuridica tipica del richiedente con precedenti penali, si limitano a convalidare il trattenimento per tutta la durata della procedura di protezione internazionale, il che comporta la violazione della libertà personale per molto tempo. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Nel caso di specie, il cittadino tunisino aveva presentato in data 25.06.2025 la richiesta di protezione internazionale presso la Questura di Venezia e veniva trattenuto presso il CPR di Bari – Palese ai sensi dell’art. 6 comma 2 lett. b del D.lgs. n. 142/20215, trovandosi il prevenuto nelle condizioni di cui all’art. 13 comma 2 lett. c) del D.Lgs. n. 286/1998 ovvero essendo il medesimo abitualmente dedito a traffici delittuosi e che per condotta di vita debba ritenersi vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose. La Questura di Venezia applicava il trattenimento ai sensi dell’art. 6 comma 2 lett. c) del D.Lgs. n. 142/2015, costituendo egli un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica e risultando a suo carico una condanna per il reato di cui all’art. 73 comma 5 del D.P.R. 309/1990 ed essendo necessario determinare gli elementi su cui si basava la domanda di protezione internazionale che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento, ricorrendo il pericolo di fuga, non essendo il prevenuto in possesso di passaporto o altro equipollente documento di identità. La Corte di Appello di Venezia – Consigliere – Dott. Luca Boccuni non convalidava il trattenimento con la seguente motivazione: “In primo luogo, ed a prescindere dalla ricorrenza del presupposto previsto dall’art. 6 D.Lgs. n. 142/2015, ovvero la sussistenza dello stato di richiedente protezione internazionale del prevenuto, non emergono in atti i presupposti per il disposto trattenimento, secondo l’art. 6 comma 2 lett. b) e c) del D.Lgs. n. 149/2015. In effetti, la questura di Venezia, nel disporre il trattenimento ed al fine di giustificare la sua richiesta di convalida indica unicamente la commissione di un reato relativo al traffico di sostanze stupefacenti per fatto di lieve entità, visto il richiamo all’art. 73 comma 5 del D.P.R. n. 309/1990. Mentre in atti non emerge in alcun modo, al di là della indicata condanna, quando illecito sarebbe stato commesso, tenuto conto che il prevenuto ha fatto ingresso in Italia, per quanto indicato dalla questura, nel dicembre del 2022 attraverso la frontiera di Domus De Maria. Dette circostanze impediscono di verificare positivamente, non solo l’abitualità ai traffici delittuosi, ma anche l’attualità e la gravità della pericolosità del trattenuto, intesa quale probabilità che il medesimo reiteri fatti di reato, non emergendo gli elementi che giustificano il trattenimento secondo le ipotesi normative richiamate. Peraltro, con considerazione che è, in ogni caso, assorbente e che, quindi, rileva anche ai fini della convalida del trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6 comma 2 lett. d) del D.Lgs. n. 142/2015, si osserva che la questura di Venezia dà contezza della circostanza che il prevenuto ha presentato domanda di protezione internazionale alla competente commissione territoriale di Cagliari che ha rigettato la sua istanza con decisione del 24 febbraio 2024, non risultando che il medesimo abbia proposto impugnazione avanti al Tribunale di detta decisione e neppure constando che egli abbia proposto nuova domanda di protezione trovandosi nel CPR di Bari – “Palese”, ove ora è ristretto, in modo da ritardare l’esecuzione di un provvedimento di respingimento o di espulsione all’esito del rigetto della sua domanda di protezione da parte della commissione di Cagliari. La conseguenza di quanto evidenziato è che il prevenuto non si trova nel CPR in quanto richiedente “primario” di protezione internazionale e nelle condizioni indicate dal questore nel suo provvedimento di trattenimento di cui all’art. 6 comma 2 D.Lgs. n. 142/2015, ma sostanzialmente in quanto in attesa dell’esecuzione di un provvedimento di espulsione ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. n. 286/1998, neppure risultando che il medesimo prevenuto abbia formulato in detta condizione di limitazione della sua libertà personale ulteriore domanda di protezione internazionale da reputarsi pretestuosa e presentata allo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione, a mente dell’art. 6 comma 3 D.Lgs. n. 142/2015 e per cui sia possibile trattenimento del richiedente “secondario””. Corte di Appello di Venezia, decisione del 27 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Uljana Gazidede per la segnalazione e il commento.
Diniego del visto per lavoro subordinato dall’Ambasciata d’Italia ad Abidjan. Il TAR Lazio sospende e ordina il rilascio del visto
A seguito del rilascio del nulla osta al lavoro subordinato da parte della Prefettura competente, l’Ambasciata d’Italia ad Abidjan negava il visto al richiedente, cittadino del Burkina Faso, motivando il diniego con il fatto che il Paese d’origine non rientrava tra quelli previsti dal Decreto Flussi e per il sospetto di un tentativo di elusione delle norme sul ricongiungimento familiare. Il lavoratore proponeva ricorso e il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio accoglieva l’istanza cautelare, ordinando il riesame della pratica. L’Amministrazione, in ottemperanza all’ordinanza del Tribunale, procedeva quindi al rilascio del visto richiesto, chiedendo contestualmente la cessazione della materia del contendere. T.A.R. per il Lazio, ordinanza n. 1522 del 7 marzo 2025 La difesa del ricorrente, tuttavia, insisteva per la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese. T.A.R. per il Lazio, sentenza n. 8921 dell’8 maggio 2025 Si ringrazia l’Avv. Lindita Tushaj per la segnalazione e il commento.