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Protezione speciale: una tutela che evita una compressione grave e irreversibile della vita privata e familiare
Sei decisioni del Tribunale di Genova che riconoscono la protezione speciale a richiedenti asilo provenienti da Bangladesh, Marocco e Pakistan, confermando un orientamento giurisprudenziale ormai cristallino: la tutela va garantita quando il rimpatrio comporterebbe una compressione grave e irreversibile della vita privata e familiare, alla luce dell’art. 8 CEDU e dell’art. 19, co. 1.1 TUI. Le decisioni sottolineano come, in tutti i casi, i ricorrenti abbiano costruito in Italia percorsi di integrazione lavorativa, sociale e linguistica solidi, spesso accompagnati da impegni formativi, contratti stabili e reti amicali o familiari. Si tratta di un progetto di vita e radicamento territoriale dopo esperienze di estrema vulnerabilità: anni di povertà e indebitamento nei Paesi di origine, detenzione e torture in Libia, naufragi, problemi di salute e cura affrontati in Italia. I giudici riconoscono che interrompere bruscamente questi percorsi costituirebbe, di per sé, una condizione degradante. Le sentenze richiamano anche le condizioni oggettive dei Paesi di provenienza: l’instabilità politica e la violenta repressione delle proteste in Bangladesh, l’invivibilità socio-economica e ambientale che caratterizza intere aree del paese, aggravata da eventi climatici estremi, erosione, inondazioni e insicurezza alimentare; le gravi violazioni dei diritti umani in Pakistan, soprattutto a danno delle minoranze religiose. In altri casi incide la mancanza di qualsiasi rete familiare nel Paese di origine dopo decenni trascorsi all’estero. La valutazione complessiva porta il Tribunale a ritenere che il rimpatrio forzato vanificherebbe percorsi di integrazione ormai sostanziali, creando un vulnus grave e attuale ai diritti fondamentali dei ricorrenti. Queste sei pronunce rafforzano ulteriormente il ruolo della protezione speciale come strumento imprescindibile per garantire continuità di vita, dignità e tutela effettiva per chi, in Italia, ha già costruito una parte significativa della propria esistenza. 1) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto dell’1 agosto 2025 2) Ricorrente del Pakistan – Tribunale di Genova, decreto del 4 agosto 2025 3) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto del 10 ottobre 2025 4) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto del 14 ottobre 2025 5) Ricorrente del Marocco – Tribunale di Genova, sentenza del 21 ottobre 2025 6) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto dell’11 novembre 2025 Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per le segnalazioni.
Autorizzato l’ingresso dei nonni in Italia per accudire la minore e garantire il benessere dell’intero nucleo familiare
L’importante decisione della Corte d’Appello di Trento offre una lettura ampia e coerente dell’art. 31, comma 3, del Testo Unico Immigrazione, correggendo l’impostazione restrittiva adottata dal Tribunale per i Minorenni di Trento. Quest’ultimo aveva purtroppo concluso che non emergessero “elementi sufficienti a giustificare adeguatamente la necessità dell’ingresso” dei nonni della minore e che la bambina fosse “già adeguatamente accudita dai genitori”, negando quindi il carattere indispensabile della presenza dei nonni – anche per sostenere i genitori nell’accudimento – e la sussistenza di un grave pregiudizio derivante dalla loro lontananza. La Corte d’Appello riforma totalmente però questo approccio, chiarendo che il Tribunale non aveva correttamente applicato i principi consolidati in materia, né svolto il necessario giudizio prognostico richiesto dalla norma. Nel richiamare la cornice normativa e giurisprudenziale, il Collegio sottolinea come i “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” debbano essere interpretati alla luce sia delle disposizioni interne sia degli obblighi derivanti dal diritto internazionale ed europeo, con particolare riguardo al superiore interesse del minore. La Corte ricorda che tali motivi ricorrono quando il mancato ingresso del familiare comporti “una seria compromissione dell’equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile”, e ribadisce che, pur non essendo un criterio assoluto, l’interesse del minore si trova “in una posizione di preminenza tale da imporre al giudice di considerare, in ogni singolo caso, quale delle soluzioni possibili sia ad esso più favorevole”. È in questa prospettiva che deve essere condotto anche il giudizio di proporzionalità richiesto dalla Corte EDU, volto a verificare se il diniego costituisca una misura necessaria e non eccessiva rispetto allo scopo perseguito. In appello emerge invece un quadro familiare e sanitario che il Tribunale non aveva valutato adeguatamente. La minore, nata in Italia e affetta da una gravissima e rara patologia congenita, “non è in grado di compiere alcuna attività della vita quotidiana e necessita di continua assistenza”, presenta disabilità fisiche, cognitive e sensoriali. Il nucleo familiare, proveniente da un paese dell’Asia meridionale e privo in Italia di qualunque rete parentale, sostiene da anni un carico assistenziale totalizzante. La madre, che non può lavorare per l’impegno giornaliero, è “particolarmente affaticata”, mentre il padre, impegnato in attività accademica spesso anche all’estero, presenta sintomi riconducibili a “stress da sovraccarico”. Le relazioni dei servizi territoriali confermano che i genitori stanno adempiendo con grande dedizione ai loro compiti, ma che le loro energie sono messe a dura prova dalla condizione della bambina. In questo contesto, la Corte riconosce che i nonni, residenti nel paese d’origine, costituirebbero un supporto essenziale, non sostituibile mediante altre soluzioni. Il Collegio sottolinea che il loro aiuto rappresenterebbe “un indispensabile ausilio alla gestione del ménage familiare, a vantaggio del benessere della nipote e a garanzia della sua sicurezza”, e valorizza anche la dimensione affettiva e culturale, evidenziando come la comunanza linguistica e culturale possa favorire ulteriormente il rapporto con la minore, soprattutto considerato il suo gravissimo deficit comunicativo. Per la Corte è dunque “evidente che la vicinanza fisica e psicologica dei nonni” apporterebbe un contributo determinante all’equilibrio del nucleo e, in via diretta, al benessere della minore. Alla luce di questi elementi, il Collegio ritiene che il diniego del Tribunale costituisca una misura “ingiustificata e sproporzionata” e che questa possa incidere negativamente sul diritto della bambina alla vita familiare, intesa come rete di affetti, relazioni e solidarietà. Il ragionamento della Corte si sviluppa in modo strettamente aderente al dettato dell’art. 31 TUI, ricordando che la tutela accordata dal legislatore è posta esclusivamente nell’interesse del minore, mentre l’interesse del familiare è solo riflesso e strumentale. Con queste motivazioni, l’appello è accolto e viene disposta un’autorizzazione alla permanenza dei nonni per due anni, prorogabile previa verifica dei requisiti: una soluzione che, nel rispetto del carattere temporaneo dell’istituto, consente tuttavia di dare piena tutela alla situazione eccezionalmente delicata emersa nel caso concreto. La Corte ribadisce così che, in presenza di una condizione di vulnerabilità estrema, l’intervento della rete familiare allargata può diventare elemento decisivo per la protezione complessiva del bambino, e che tale esigenza merita pieno riconoscimento anche attraverso l’uso della norma derogatoria prevista dal Testo Unico. Corte d’Appello di Trento, decreto del 25 settembre 2025 Il ricorso è stato patrocinato dall’avv. Giovanni Barbariol nell’ambito del progetto “Annick. Per il diritto all’unità familiare” a cura di Melting Pot ODV, in collaborazione con Circolo Arci Pietralata e il supporto dei legali dell’Associazione Spazi Circolari, dedicato ad Annick Mireille Blandine. Il progetto è stato finanziato nel 2024 da ActionAid International Italia E.T.S e Fondazione Realizza il Cambiamento nell’ambito del progetto “THE CARE – Civil Actors for Rights and Empowerment” cofinanziato dall’Unione Europea. Il contenuto di questo articolo rappresenta l’opinione degli autori che ne sono esclusivamente responsabili. Né L’Unione europea né l’EACEA possono ritenersi responsabili per le informazioni che contiene né per l’uso che ne venga fatto. Analogamente non possono ritenersi responsabili ActionAid International Italia E.T.S. e Fondazione Realizza il Cambiamento.
Sospeso il trattenimento in CPR del richiedente asilo gambiano con domanda reiterata di asilo in corso
Il Tribunale di Potenza ha accolto l’istanza di sospensiva dell’ordine di trattenimento presso il CPR di Palazzo San Gervasio (PZ), emesso dal Questore della Provincia di Potenza nei confronti di un cittadino del Gambia che aveva presentato una domanda reiterata di protezione internazionale, già respinta e impugnata con il ricorso introduttivo del medesimo giudizio. Dopo un colloquio difensivo svolto all’interno del CPR di Palazzo San Gervasio, sono subentrata nella difesa del cittadino gambiano trattenuto in esecuzione dell’ordine del Questore della Provincia di Potenza. Ho accettato la revoca del precedente difensore poiché, all’interno del CPR, è prassi che i trattenuti nominino come difensori di fiducia avvocati che non conoscono, ma che vengono loro “indicati o suggeriti” dalle forze dell’ordine o dai giudici di pace durante le udienze di convalida del trattenimento. L’Ordine è stato emanato in quanto il cittadino gambiano è stato arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti e rintracciato sul territorio nazionale privo di permesso di soggiorno. In sede dei prescritti controlli del Questore, sono emersi, a suo carico, numerosi precedenti di polizia per spaccio e presenza illegale in Italia ed è stata contestata, anche, la reiterazione pretestuosa della domanda di protezione Internazionale. A tutela del mio assistito che, in regime di trattenimento, ha ritenuto opportuno riproporre istanza di Protezione Internazionale, ho depositato ricorso ex art. 35bis D.L.vo 25/2008 con contestuale istanza di sospensiva dell’ordine di trattenimento del Questore. I motivi del ricorso sono emersi in fase di colloquio difensivo: presenza in Italia dal 2013; istanze di protezione internazionale denegate ma mai notificate e, quindi, mai opposte in sede giurisdizionale; scarsa integrazione sociale e lavorativa sul Territorio Nazionale a causa della mancanza di permesso di soggiorno; precedenti di polizia legati esclusivamente alla commissione di due soli tipi di reato (spaccio per quantità minime che andavano considerate, al massimo, come detenzione per uso personale – e reati legati alla mancanza di un titolo di soggiorno); provenienza da un paese considerato “sicuro” e, quindi, forte rischio di rimpatrio prima dell’udienza in Tribunale per esperire il libero interrogatorio del richiedente protezione internazionale. Fissata l’udienza per il libero interrogatorio del ricorrente, il Tribunale di Potenza, in composizione collegiale, nella persona del Giudice Relatore, Dott. Palumbo e, a seguito di due colloqui in cui ho insistito sul fumus boni iuris e sul periculum in mora, ha notificato al Ministero dell’Interno il provvedimento con il quale si chiedeva di replicare alla mia istanza di sospensiva entro 3 giorni. Il Ministero non ha provveduto in tal senso. All’esito, il Giudice ha accolto la mia istanza di sospensiva e, per l’effetto, ha anche ordinato il rilascio di un permesso di un soggiorno per “attesa asilo”. Il provvedimento è degno di nota e di menzione con riferimento ai seguenti aspetti: * Puntuale ricostruzione della normativa da applicarsi alle istanze di sospensione dopo l’entrata in vigore dei nuovi commi 4 e 4bis dell’art.35 D.L.vo 25/2008: “il ricorso risulta iscritto in data successiva al 10.01.2025, dunque dopo il decorso di trenta giorni dall’entrata in vigore (11.12.2024) della legge n. 187/2024, di conversione del d.l. 145/2024, sicché, in virtù dell’art. 19 di tale atto normativo, deve farsi applicazione del nuovo regime procedimentale relativo all’istanza di sospensione del provvedimento impugnato, così come attualmente disciplinato dai nuovi commi 4 e 4-bis dell’art. 35-bis d.lgs. 25/2008, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 16 del citato d.l. 145/2024, conv. nella legge n. 187/2024”; * Comparazione delle esigenze cautelari avanzate dalla Difesa ritenute prevalenti rispetto a quanto ritenuto dalla Commissione Territoriale: “ritenuto che, allo stato degli atti, salvi gli esiti della cognizione della causa ed impregiudicata ogni valutazione e decisione definitiva nel merito – appaiono sussistere gravi e circostanziate ragioni per l’accoglimento della suindicata istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, valutate comparativamente con la decisione della Commissione Territoriale”; * La reiterazione delle domande di protezione internazionale ed il lungo tempo trascorso in Italia senza permesso di soggiorno meritano un approfondimento nel corso del giudizio con necessario libero interrogatorio del richiedente: “osservato che, nel caso di specie, le gravi e circostanziate ragioni di cui sopra sono da individuarsi negli indici di sussistenza di profili di esigenze di tutela della vita privata e familiare, anche ai sensi dell’art. 8 CEDU, atteso che il cittadino straniero risulta presente sul T.N. dal 2013 e risulta aver nello stesso anno presentato istanza di protezione (cfr. quanto riportato nel decreto di trattenimento emesso dal Questore di Potenza il 08.10.2025, in atti), presentandone, dopo il primo rigetto, una successiva, anch’essa rigettata, sicché può ritenersi che la risalente manifestazione di volontà di richiedere protezione (fin dal 2013, anno dell’ingresso sul T.N.) e il lungo tempo trascorso sullo stesso T.N. costituiscano profili meritevoli di ulteriore approfondimento nel corso del giudizio”; * Esatta ricognizione della mancanza di pericolosità sociale avuto riguardo a soli precedenti di polizia e alla presunta commissione di reati legati alla condizione di irregolarità amministrativa per la mancanza del permesso di soggiorno: “osservato inoltre che, allo stato degli atti, non appare evincibile una concreta ed effettiva pericolosità sociale, atteso che risultano indicati unicamente alcuni precedenti di polizia a carico del cittadino straniero (spaccio del 2022, ordine del Questore ai fini di espulsione del 2023-2024, soggiorno irregolare 2024 e immigrazione clandestina 2025), in ordine ai quali, tuttavia, deve rilevarsi, da un lato, che non risulta alcuna specificazione in ordine allo stato e all’esito di eventuali procedimenti penali e, dall’altro, che risultano sostanzialmente connessi allo stato di irregolarità sul territorio del cittadino straniero piuttosto che ad una precipua inclinazione a delinquere dello stesso”. Tribunale di Potenza, ordinanza del 19 novembre 2025 Si ringrazia l’Avv.ta Francesca Viviani per la segnalazione e il commento.
Class action sulla protezione speciale: il Tar Marche condanna i gravi ritardi di Questura e Commissione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche si è espresso sulla class action di ASGI e Spazi Circolari 1 contro la violazione sistematica con ritardi di oltre i due anni nell’evasione delle domande di protezione speciale. La sentenza contiene alcuni elementi che meritano attenzione. Secondo l’Avv. Daniele Valeri, il TAR cambia approccio: invece di liquidare il ricorso come inammissibile – come era successo in passato con azioni simili – riconosce che si tratta davvero di una class action e non di un semplice caso di silenzio-inadempimento da parte dell’amministrazione. Chiarisce perciò anche un punto importante: non basta che l’amministrazione, a giudizio in corso, risolva le singole pratiche dei ricorrenti per chiudere la questione. Il problema è più ampio e riguarda tutti coloro che hanno presentato l’istanza di protezione speciale, non solo chi ha fatto ricorso. Viene poi ribadito il limite dei 180 giorni entro cui le procedure dovrebbero essere concluse. È un riferimento utile, che potrà essere richiamato anche in futuro per tutte le nuove domande presentate alle Questure. Infine, la parte più significativa della sentenza: il TAR riconosce apertamente che c’è una violazione sistematica e continua dei tempi previsti per rilasciare i permessi per protezione speciale. Non è un ritardo occasionale: è un problema strutturale. La stessa relazione dell’amministrazione evidenzia carenze organizzative che impediscono di recuperare il ritardo accumulato, e viene messa in luce anche la grave difficoltà operativa della Commissione territoriale competente. T.A.R. per le Marche, sentenza n. 932 del 21 novembre 2025 1. La class action è frutto di un lavoro collettivo di diversi legali delle associazioni, tra questi gli Avv.ti Daniele Valeri e Salvatore Fachile e le Avv.te Roberta Sforza e Giulia Crescini. ↩︎
Illegittima l’espulsione della cittadina albanese che ha rinunciato alla richiesta di asilo: è mancata la valutazione del caso
Il caso di una cittadina albanese che aveva chiesto la protezione internazionale ed a seguito di rinuncia veniva espulsa con divieto di rientro per la durata di 5 anni. La decisione del Tribunale risulta molto importante perché le amministrazioni, ogni volta che lo straniero rinuncia alla richiesta di protezione emettono il decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera senza che ci sia una valutazione del caso per caso ritenendo detto provvedimento un atto dovuto. IL CASO DI SPECIE Nel mese di febbraio del corrente anno una coppia di coniugi, cittadini albanesi, presentavano presso la Questura di Bari istanza di protezione internazionale e consegnavano il passaporto. In seguito veniva rilasciato a loro il modello C3. Pochi giorni dopo, il padre della cittadina albanese, per motivi di sangue, veniva trovato morto sparato e la notizia del crimine efferato raggiungeva la figlia in Italia solo grazie agli organi di stampa e della tv. Ella si presentava alla Questura di Bari – Ufficio Immigrazione chiedeva di essere autorizzata a recarsi in Albania alla casa del padre perché lo doveva identificare in quanto la Procura della Repubblica D’Albania – aveva aperto un procedimento penale e stava svolgendo indagini sull’omicidio commesso a danno del padre. Forniva alla amministrazione il giustificato motivo ossia tutti gli atti della procura albanese e poneva in visione ciò che era stato pubblicato dai media in merito all’omicidio. Il Prefetto di Bari e la Questura di Bari emettevano il provvedimento di espulsione con ordine di lasciare il territorio e divieto di reingresso. La cittadina albanese tornava in Albania e forniva il biglietto, l’imbarco, il timbro di uscita dal t.n. al fine di ottenere la revoca del divieto d’ingresso ma l’amministrazione non riteneva di adottare alcun provvedimento. Decideva quindi di rivolgersi al Giudice di Pace di Bari dove allegava tutti gli atti relativi al delitto commesso ai danni del padre, per giustificare il rientro in Albania, e forniva tutti gli altri elementi relativi ai legami familiari nel t.n. Il Giudice di Pace di Bari dopo una accurata istruttoria accoglieva il ricorso come segue: “Rilevare che, la sig.ra (…), con ricorso iscritto a ruolo l’08.04.2025 si opponeva al decreto di espulsione, (…), emesso dal Prefetto della Provincia di Bari il 25.02.2025 e notificato in pari data nonché all’ordine di lasciare il t.n. nel termine di 7 giorni, (…), emesso in data 25.02.2025 e notificato in pari data dal Questore della Provincia di Bari, oltre ad ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale chiedendone l’annullamento previa sospensiva esponendo: a) In data 19.02.2025 la ricorrente, unitamente al coniuge (…), presentava istanza di protezione internazionale e consegnava il passaporto e le veniva rilasciato il modello c3; b) In data 24.02.2025 il padre della ricorrente, per motivi di sangue, viene trovato morto sparato con arma da fuoco e della notizia del crimine efferato raggiunge la figlia qui in Italia solo grazie agli organi di stampa e della tv si allegano alcuni giornali on line che riportano la notizia; c) In data 25.02.2025 la ricorrente si presentava alla Questura di Bari – Ufficio Immigrazione in preda al panico e chiedeva di essere autorizzata a recarsi in Albania alla casa del padre perché lo doveva identificare in quanto la Procura della Repubblica D’Albania – sede di (…) aveva aperto un procedimento penale (…) del 24.02.2024 e sta svolgendo indagini sull’omicidio del padre a seguito dell’omicidio; d) In data 25.02.2025 il Prefetto di Bari e la Questura di Bari adottava il provvedimento di espulsione con ordine di lasciare il territorio; e) In data 25.02.2025 la ricorrente tornava in Albania con un volo Bari – Milano – Tirana come da copia del biglietto, del timbro di uscita dal t.n., del certificato personale di nascita da dove si evince il legame di parentela; Considerati i motivi a fondamento del ricorso: a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 comma 2-ter D.Lgs. 287/98.Violazione della Direttiva Direttiva 2008/115/CE atteso che,art. 13 comma 2-ter, introdotto dalla L. 129/2011, il quale prevede che: “L’espulsione non è disposta, né eseguita coattivamente qualora il provvedimento sia stato già adottato, nei confronti dello straniero identificato in uscita dal territorio nazionale durante i controlli di polizia alle frontiere esterne”. Nel caso de quo la procedura che è stata adottata è esattamente difforme a quella prevista e disciplinata dall’art. 13, comma 2-ter TUIMM, trattandosi di un particolare favor riconosciuto allo straniero che, sebbene irregolare, abbia deciso spontaneamente di lasciare il territorio, ciò evita, dapprima, che nei suoi confronti sia adottato un provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica con divieto di reingresso, e per lo Stato che viene lasciato, la possibilità di un risparmio delle risorse pubbliche per il suo rimpatrio; b) rilevanza dei legami familiari: Violazione art. 13, comma 2 bis TUIMM; Violazione dell’art. 8 Cedu atteso che, vive con il coniuge e dimora con lui in Santeramo in Colle (come da copia della comunicazione di ospitalità per entrambi). Il coniuge è richiedente protezione internazionale come la ricorrente ed in data 19.02.2025 ad egli veniva rilasciato il modello C3. Il Prefetto di Bari ha adottato il decreto di espulsione in violazione dell’art. 13 comma 2 bis, così come interpretato dalla recente giurisprudenza di legittimità. Tenuto conto della produzione documentale quale prova di ogni circostanza a fondamento del ricorso ed in particolar modo alle ragioni che hanno indotto la ricorrente che, seppur nello stato di richiedente protezione internazionale la inducevano a lasciare il territorio nazionale dovendosi recare in Albania per procedere all’identificazione del padre assassinato, elemento da cui consegue profilo di illegittimità del provvedimento impugnato; Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento di espulsione adottato dal Prefetto della Provincia di Bari…”. Giudice di Pace di Bari, sentenza n. 1307 del 9 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Uljana Gazidede per la segnalazione e il commento.
Riconosciuta la protezione speciale con interpretazione art. 19 TUI post cd. DL Cutro
Il Tribunale di Roma riconosce la protezione speciale ad un ricorrente originario del Bangladesh, la particolarità della decisione è relativa al fatto che l’istanza di protezione è stata avanzata dal richiedente nel 2024 e quindi post legge Cutro.  L’audizione escludeva potenziali rischi di persecuzioni ai danni del ricorrente (per sua stessa ammissione) sicché la richiesta di protezione speciale rimaneva l’unica opzione valida e percorribile, evidenziato l’elevato grado di integrazione del ricorrente e la “sopravvivenza” al DL Cutro del comma 1 art. 19 e soprattutto dell’interpretazione alla luce dell’art. 8 Cedu. La decisone del Tribunale riconosce il permesso per protezione speciale, applicata alla fattispecie in esame, secondo il combinato disposto dell’art. 19, c. 1 e primo–secondo periodo del c.1.1 TUI (inespellibilità per violazione art. 5, c.6 TUI), art. 5, c.6 TUI (obbligo di rispettare gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato) e della tutela diretta di cui all’art. 8 CEDU. La sentenza inoltre richiama la giurisprudenza CEDU (Narjis c. Italia; Üner c. Paesi Bassi, GC; Maslov c. Austria, GC) e della Cassazione (Cass. 28162/2023; Cass. SS.UU. 24413/20219) a fronte della quale viene conferma la ratio della protezione speciale affermando che, di fatto, l’allontanamento del ricorrente costituirebbe: * violazione del diritto al rispetto della vita privata ex art. 8 CEDU; * violazione degli obblighi costituzionali e internazionali ex art. 5, c.6 TUI; * regressione materiale e sociale incompatibile con i parametri della Corte EDU. Tribunale di Roma, decreto del 29 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Denis Ferri per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative al permesso di soggiorno per protezione speciale
Status di rifugiata alla richiedente nigeriana per la sussistenza degli indici tipici della tratta
La donna aveva già raccontato in sede di audizione avanti la competente Commissione territoriale di essere vittima tratta poiché rinchiusa, durante i mesi trascorsi in Libia, in una connection house e qui costretta alla prostituzione. Tuttavia, la Commissione non l’ha ritenuta credibile. Di diverso avviso invece il Tribunale secondo il quale: “(…) ritiene il Collegio di non condividere il giudizio della Commissione Territoriale, dal momento che le dichiarazioni della ricorrente, valutate alla luce dei principi di interpretazione elaborati dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, in realtà confermano la sussistenza e il fondato rischio di atti persecutori, compresa la possibile ed anzi verosimile ricaduta nelle maglie dei trafficanti per le ragioni che si diranno. Non si condividono le contestazioni di genericità e scarsa verosimiglianza delle dichiarazioni della ricorrente, che invece appaiono precise e coerenti con le fonti istituzionali e con i criteri indicativi della tratta. Si sottolinea inoltre che le plurime dichiarazioni rese negli anni in diversi contesti e innanzi a diverse autorità non hanno mai fatto emergere contraddizioni o circostanze inverosimili, ma anzi sono state sempre coerenti e dettagliate. Va soltanto chiarito, a questo ultimo proposito, che nessuna perplessità può derivare dal fatto che la narrazione si sia arricchita progressivamente e non sia apparsa fin dall’inizio completa, determinando la necessità di due ulteriori audizioni. In presenza di vicende profondamente traumatiche, come quelle narrate dalla richiedente, è necessario adottare un approccio che tenga conto della condizione di vulnerabilità derivante dalle esperienze subite, senza pretendere una esposizione immediata, perfetta e lineare dei fatti.” Il Tribunale ha poi valutato la sussistenza degli indici tipici della tratta, e cioè: * la storia familiare; * la strategia di reclutamento; * la presenza di un rito magico cui la vittima si sente avvinta; * le fasi di pianificazione del viaggio; * lo sfruttamento nel Paese di transito o di destinazione; * la presenza di un debito da ripagare a mezzo di un lavoro illecito. Il conseguente accertamento della condizione di vulnerabilità della richiedente (il rientro in Nigeria la esporrebbe ad un elevato rischio di re-trafficking) ha quindi portato il Tribunale a ritenere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiata ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e degli arti. 7 e 8 del D.Lgs 251/07. Tribunale di Milano, decreto del 29 settembre 2025 Si ringrazia l’Avv. Michele Pizzi per la segnalazione e il commento. -------------------------------------------------------------------------------- * Consulta altri provvedimenti relativi all’accoglimento di richieste di protezione da parte di cittadini/e della Nigeria * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali” VEDI LE SENTENZE: * Status di rifugiato * Protezione sussidiaria * Permesso di soggiorno per protezione speciale
Cittadinanza: il TAR annulla il diniego e riconosce la piena validità della residenza fittizia
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio si esprime su un tema sempre più ricorrente nei procedimenti di cittadinanza: la cosiddetta “residenza fittizia”. Il caso riguarda il diniego per l’inammissibilità dichiarato dalla Prefettura di Roma a un cittadino richiedente cittadinanza ai sensi dell’art. 9, lett. f) della l. 91/1992, ritenendo che l’iscrizione anagrafica presso un indirizzo virtuale non provasse una reale presenza sul territorio né un adeguato livello di integrazione. Inoltre, il diniego fondava un’ulteriore motivazione nella presunta insufficienza dei redditi dichiarati negli anni 2020 e 2021. Il TAR chiarisce anzitutto un punto cruciale: l’utilizzo della residenza fittizia non può essere interpretato come un indizio, di per sé, di mancata integrazione o di assenza dal territorio nazionale. Richiamando il quadro normativo – dalla legge anagrafica alla circolare del Ministero dell’Interno del 18 maggio 2015 – il Tribunale ribadisce che l’iscrizione presso indirizzi virtuali è uno strumento pienamente previsto dall’ordinamento per garantire l’esercizio dei diritti fondamentali alle persone senza fissa dimora, inclusi gli stranieri regolarmente soggiornanti. L’anagrafe, anche quando registra una “via fittizia”, attesta comunque una situazione di legalità della residenza, poiché la legge attribuisce rilevanza proprio all’iscrizione anagrafica come criterio di verifica del radicamento. La “residenza fittizia” pertanto deve ritenersi equiparabile alla residenza “reale” per accedere ai principali diritti derivanti da quest’ultima (diritto al rinnovo del permesso di soggiorno, a rinnovare la carta d’identità, il diritto a prestazioni previdenziali, il diritto di voto etc.). La Prefettura, secondo i giudici, ha introdotto un’interpretazione priva di base normativa, che rischia di creare disparità territoriali e di scardinare la funzione stessa delle residenze virtuali. Il diniego, infatti, ha applicato un automatismo errato, ossia che “la residenza fittizia rappresenti una assenza di integrazione“. Il TAR respinge questo metodo e precisa che eventuali abusi o elusioni devono essere accertati caso per caso, con istruttorie accurate e motivate. Sul profilo reddituale, il TAR rileva un’ulteriore carenza istruttoria. La Prefettura aveva segnalato una presunta insufficienza dei redditi relativi agli anni 2020 e 2021. Tuttavia, nella propria memoria difensiva la stessa amministrazione riconosce che, tenendo conto della composizione del nucleo familiare e compensando i redditi delle diverse annualità, il requisito risulta soddisfatto. Inoltre, la flessione del reddito nel biennio pandemico non può essere considerata un elemento ostativo senza una specifica valutazione del contesto eccezionale. Alla luce di tutto ciò, il TAR accoglie il ricorso e annulla il provvedimento, imponendo alla Prefettura un nuovo esame dell’istanza conforme ai principi espressi. La decisione ha rilievo significativo: afferma la piena legittimità della residenza fittizia come modalità di iscrizione anagrafica e ne vieta l’uso come presunzione negativa automatica nei procedimenti di cittadinanza. Inoltre, richiama le amministrazioni a un dovere di istruttoria rigoroso, soprattutto quando si valutano oscillazioni reddituali legate a eventi straordinari come la pandemia. T.A.R. per il Lazio, sentenza n. 20649 del 19 novembre 2025 Si ringrazia l’Avv. Antonella Consono per la segnalazione. * Consulta altre decisioni relative alla cittadinanza italiana
La “protezione umanitaria” resiste al decreto Cutro
La Corte Suprema di Cassazione, nel giudizio per rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., formulato dal Tribunale di Venezia, ha enunciato il seguente principio di diritto: «La rivisitazione … dell’istituto della protezione complementare non ha determinato il venire meno della tutela della vita privata e familiare dello straniero che si trova in Italia, tanto più che il tessuto normativo continua a richiedere il rispetto degli obblighi costituzionali e convenzionali. Ne deriva che la protezione complementare può essere accordata in presenza di un radicamento del cittadino straniero sul territorio nazionale sufficientemente forte da far ritenere che un suo allontanamento, che non sia imposto da prevalenti ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, determini una violazione del suo diritto alla vita familiare o alla vita privata. Nessun rilievo ostativo assume il fatto che il radicamento sia avvenuto nel tempo necessario ad esaminare le domande del cittadino straniero di accesso alle protezioni maggiori. La tutela della vita privata e familiare esige una valutazione di proporzionalità e di bilanciamento nel caso concreto, secondo i criteri elaborati dalla Corte EDU e dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 24413/2021, tenendo conto dei legami familiari sviluppati in Italia, delle relazioni sociali intessute, del grado di integrazione lavorativa realizzato e del legame con la comunità anche sotto il profilo del necessario rispetto delle sue regole.» Pertanto, possiamo affermare che, nonostante l’abrogazione del riferimento normativo all’art. 8 CEDU ad opera del decreto Cutro, la protezione umanitaria ritorni in vita e quindi la tutela della vita privata e familiare sia garantita non solo dai vincoli costituzionali, ma anche da quelli internazionali che, in virtù dell’art. 117 Cost., non possono essere disattesi. Condividiamo alcune riflessioni portate all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione. Queste difese hanno fin da subito evidenziato come l’abrogazione delle parti dell’art. 19 TUI, in cui si faceva espresso riferimento all’art. 8 CEDU e quindi alla necessità di tutelare la vita privata e familiare, non abbia mai sortito effetto alcuno, in quanto la normativa italiana – come ricorda la Suprema Corte – va comunque interpretata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost.). A rafforzare questa tutela multilivello interviene lo stesso art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, che sottolinea come l’Unione abbia aderito alla CEDU. Sebbene tale adesione non implichi l’applicazione diretta dell’obbligo internazionale, non essendo ancora equiparato a quello comunitario, determina comunque un obbligo per l’Autorità giudiziaria di interpretare la normativa nazionale alla luce di quella sovranazionale, in particolare quando si tratta di tutelare i diritti fondamentali dell’individuo. Inoltre, ai sensi dell’art. 52 della Carta di Nizza, gli articoli che tutelano la vita privata (art. 8 CEDU e art. 7 della Carta) possono essere invocati innanzi all’Autorità giudiziaria e, laddove la Carta dei diritti dell’Unione europea contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, «il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione», con la possibilità che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa. Pertanto, l’operatore del diritto ha più strumenti da utilizzare e può scegliere l’interpretazione che tuteli maggiormente il proprio assistito, forte dei riferimenti internazionali e costituzionali. Tra questi merita particolare attenzione l’art. 10 Cost., secondo cui «lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge», indipendentemente dal riconoscimento di protezioni superiori, come ricordano gli artt. 19 e 5, comma 6, del TUI, che positivizzano un principio fondamentale presente nella nostra Carta. Alla luce di queste considerazioni e del principio enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione, si fa sempre più strada, ad avviso delle scriventi, il principio secondo il quale, nell’ambito della tutela dei diritti fondamentali, va applicata l’interpretazione che maggiormente tuteli l’individuo. Corte di Cassazione, sentenza n. 29593 del 10 novembre 2025 Si ringraziano le Avv.te Caterina Barbiero e Chiara Pernechele per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni: * della Corte di Cassazione; * relative al permesso di soggiorno per protezione speciale.
Illegittimità del trattenimento in CPR per assenza di un adeguato certificato medico attestante l’assenza di vulnerabilità psichiatrica
AVV. ANTONELLO CIERVO, AVV. GENNARO SANTORO Con decreto del 12 novembre 2025, la Corte di Appello di Roma ha disposto la liberazione di un richiedente asilo trattenuto presso il CPR di Roma ”stante la presumibile sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo incompatibile con il suo trattenimento presso il Centro di permanenza per i rimpatri” e l’assenza di “un adeguato certificato medico attestante detta compatibilità ai sensi dell’art. 3 del DM 19 maggio 2022”. La decisione si inserisce nel filone giurisprudenziale secondo il quale l’incompatibilità sanitaria al trattenimento in CPR non si limita alle patologie acute o in fase di scompenso, ma si estende anche a condizioni potenziali o pregresse che necessitino di monitoraggio specialistico continuativo. (cfr., tra le altre, Corte di Appello di Roma, decreto del 21 marzo 2025).  LA VICENDA E LA DIFESA IN SEDE DI CONVALIDA DEL TRATTENIMENTO Nel caso di specie, un cittadino marocchino, dopo la convalida del trattenimento del Giudice di Pace di Roma del 4 novembre 2025, ha manifestato la volontà di chiedere la protezione internazionale. Il successivo 12 novembre si è quindi celebrata l’udienza di convalida innanzi alla competente Corte di Appello di Roma.  La difesa, con una memoria di udienza e relativa documentazione, ha evidenziato che il richiedente asilo era consumatore abituale di sostanze stupefacenti e assuntore del farmaco antipsicotico Seroquel, la cui sospensione avrebbe potuto comportare gravi rischi anche dal punto di vista suicidario. Per questi motivi la difesa ha sin da subito richiesto la cartella clinica dello straniero, ha prontamente informato il medico dell’ente gestore e l’Asl Roma 3 del possibile stato di tossicodipendenza dell’interessato e della verosimile patologia psichiatrica, sollecitando una nuova visita di idoneità alla vita ristretta, come disposto dall’art. 4, comma 3 del D.M. 19 maggio 2022 (c.d. “Decreto Lamorgese”). Nonostante tale richiesta, nessuna risposta è pervenuta dalla Asl Roma 3, mentre l’ente gestore si è solo riservato di effettuare una eventuale nuova visita dopo l’esame della documentazione sanitaria. Tuttavia, alla data dell’udienza non sono stati comunicati gli eventuali ulteriori accertamenti sanitari effettuati. Ancora, è stata contestata l’inidoneità del primo certificato di idoneità alla vita ristretta limitato al solo accertamento dell’assenza di malattie infettive. Sul punto si osserva che di recente il Consiglio di Stato, con la sentenza del 7 ottobre 2025, nel dichiarare la parziale illegittimità dello schema di capitolato di appalto CPR, per carenze relative alla tutela del diritto alla salute e alla prevenzione del rischio suicidario, ha così stigmatizzato la prassi  – documentata anche nel caso di cui si occupa – relativa alla visita di idoneità per il trattenimento in CPR: “Le verifiche sanitarie all’ingresso sono sovente limitate all’accertamento dell’assenza di malattie infettive, senza considerare disturbi psichiatrici o patologie croniche degenerative che non possono ricevere un trattamento adeguato nelle strutture detentive. È stata rilevata una considerevole presenza di problemi di tossicodipendenza e psicologici tra i migranti trattenuti, il che renderebbe necessario un forte coinvolgimento dei servizi sanitari locali a supporto dei medici dell’ente gestore, per la fornitura di servizi specialistici. Tuttavia, persiste una scarsa coordinazione tra le strutture sanitarie interne ai CPR e il Servizio Sanitario Nazionale, con gravi criticità nella gestione della salute mentale e nella somministrazione dei farmaci specialistici. In alcuni CPR, le prescrizioni di farmaci specialistici vengono formalmente emesse da medici esterni che non conoscono la persona, su richiesta dei medici del centro, una pratica che solleva serie preoccupazioni, specialmente per i farmaci psicotropi e la continuità delle terapie”. D’altronde, l’assenza di approfondimenti sanitari era provata anche dalla cartella clinica dell’ente gestore, costituita esclusivamente dalla scheda di primo ingresso,  che non riportava l’assunzione dell’antipsicotico Seroquel e non conteneva informazioni essenziali per una reale presa in carico dello straniero. E’ stata quindi eccepita l’omessa attuazione dell’art. 3, comma 4 del Decreto Lamorgese nella parte in cui prevede la necessità di una nuova visita sulla idoneità alla vita ristretta, così come sollecitata, anche alla luce delle carenze organizzative e materiali del CPR di Roma Ponte Galeria.  Infine, ed in via subordinata, nel solco di quanto già accertato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 96 del 2025, si è sollecitato il Giudice della convalida a sottoporre nuovamente dinanzi alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 co. 2 del D.lgs n. 286/1998, in riferimento agli articoli 13, secondo comma, 24, 32 e 117, primo comma Cost., in relazione all’art. 5, par. 1 CEDU. LA DECISIONE La Corte di Appello, aderendo alla tesi difensiva, ha sancito che “la richiesta di convalida del trattenimento non può trovare accoglimento stante la presumibile sussistenza di una condizione di vulnerabilità del richiedente asilo incompatibile con il suo trattenimento presso il Centro di permanenza per i rimpatri […] allo stato vi sono elementi sintomatici e gravi che inducono a ritenere che il richiedente possa essere persona vulnerabile ai sensi dell’art. 17, comma 1 del D.lgs. n. 142/2015, in quanto affetto da gravi disturbi psichici, incompatibili con il trattenimento […] Sul punto, non può dunque assumere rilevanza decisiva la certificazione medica di compatibilità delle condizioni di salute del cittadino richiedente asilo con il trattenimento presso il CPR, là dove non sono state specificamente considerate le patologie di cui lo stesso soffre, nè sono state effettuate apposite visite specialistiche in tal senso, nonostante dette problematiche di salute siano state tempestivamente segnalate dalla difesa del trattenuto sia al medico dell’ente gestore sia alla ASL RM 3, con la conseguenza che non risulta in atti un adeguato certificato medico attestante detta compatibilità ai sensi dell’art. 3 del DM 19 maggio 2022. […] Peraltro, ciò vale a maggior ragione alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 96/2025 del 3 luglio 2025, con la quale, nonostante la dichiarazione di inammissibilità delle questioni sollevate, è stata accertata l’illegittimità della disciplina del trattenimento come disegnata dall’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, e, in attuazione dello stesso, dall’art. 21, comma 8, del d.P.R. n. 394 del 1999 perché carente di elementi essenziali. […] Nel caso di specie, dunque, l’assenza di una specifica disciplina dei modi di trattenimento, incide in concreto su un diritto fondamentale della persona quale quello alla salute, la cui tutela allo stato è rimessa a norme regolamentari e provvedimenti amministrativi discrezionali, con conseguente lesione specifica di tale diritto, riscontrabile già nella fase della convalida e che rende illegittimo il trattenimento amministrativo”. La decisione in commento conferma (ed amplia) il principio per cui l’accertamento sanitario costituisce una condizione ineludibile di validità del trattenimento e deve essere effettuato prima della convalida della misura (così già Cass., n. 15106/2017): tale valutazione deve essere approfondita e non può trascurare la presenza di vulnerabilità psichiatriche. Sul punto si richiama anche il decreto della Corte di Appello di Roma del 20 ottobre 2025, ove si legge che “La valutazione delle condizioni di salute, fisica e psichica, del trattenuto deve essere completa e adeguata allo scopo e, pertanto, esaustiva, non potendo residuare dubbi sull’assenza di profili di vulnerabilità nell’accezione di legge e sul rischio di aggravare le possibili problematiche di salute già patite dal trattenuto. Tale accertamento deve logicamente precedere e non seguire la misura del trattenimento, pena la legittimità della misura […]”.  Nella medesima decisione si afferma inoltre che: “la Questura ha depositato un certificato medico di sanitario della Città Metropolitana di Milano, dal quale non emerge se le condizioni di salute del trattenuto consentano la permanenza dello stesso nel CPR, dandosi atto soltanto dell’idoneità al volo e all’inserimento in comunità ristretta del trattenuto, pur dandosi atto che non sono stati effettuati accertamenti strumentali o di laboratorio. Diversamente, il fascicolo sanitario depositato dalla difesa evidenzia la necessità di un percorso di assistenza e di vigilanza che allo stato non è possibile indicare se praticabile nel CPR”.  Non vi è dubbio che l’Autorità giudiziaria stia sempre più valorizzando il contenuto precettivo dell’art. 3 del Decreto Lamorgese, soprattutto con riferimento alla inderogabile necessità di una visita olistica ed esaustiva di primo ingresso dello straniero trattenuto. Viene tuttavia da domandarsi come sia possibile verificare le ipotesi di incompatibilità per vulnerabilità psichiatrica se sistematicamente le prime visite sull’idoneità sono effettuate in assenza di uno psichiatra. Accanto a questa sistematica violazione della norma rilevante – oltre che dell’art. 32 della Costituzione -, si riscontra, nella prassi, la mancata attivazione della nuova visita sulla idoneità del trattenimento allorquando sopravvengano fatti nuovi (come nel caso di tentativi di suicidio o di gesti anticonservativi e autolesionistici). Su questo aspetto, appare opportuno ricordare come sempre la sentenza del Consiglio di Stato del 7 ottobre 2025  ha dichiarato la parziale illegittimità dello schema di capitolato di appalto CPR, per carenze relative alla tutela del diritto alla salute e alla prevenzione del rischio suicidario. In particolare, il Collegio, parimenti a quanto denunciato in vari report dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, “concorda con la necessità che il capitolato impugnato sia reso più conforme alle seguenti disposizioni della direttiva ministeriale del 2022:- art. 3, comma 4, con riferimento alla necessità di una nuova valutazione della ASL, in caso emergano elementi che possano determinare l’incompatibilità con la vita in comunità ristretta e alla possibilità che gli stranieri vengano alloggiati in stanze di osservazione su disposizione del medico”. Ad oggi lo schema di capitolato non è ancora stato emesso: ciò nonostante, sempre la stessa sentenza citata rammenta che, nelle more della nuova attuazione, deve essere attuato quanto prescritto, in via diretta, dalla disposizione per ultimo citata, aggiungendo anche (fine punto 5.1. in diritto) che “Resta fermo, peraltro, che i gestori dei Centri devono rispettare quanto previsto dalla direttiva ministeriale, anche qualora le relative disposizioni non siano esplicitamente richiamate nel capitolato di gara”.  Dunque, anche in attesa del nuovo schema di capitolato, la disposizione da ultimo richiamata è da ritenersi cogente e, nell’esperienza quotidiana dei CPR viene frequentemente disattesa.  Soffermando l’attenzione al solo Centro di Roma Ponte Galeria, basti considerare che a seguito di accesso parlamentare dello scorso 27 maggio, dalla consultazione del registro eventi critici risultavano “66 eventi critici registrati in appena tre mesi, di cui 44 atti anticonservativi come tentativi di impiccagione, ingestione di oggetti e autolesionismo. Nonostante questo, «non sono previsti protocolli di prevenzione del rischio suicidario» e in diversi casi non è stato disposto il ricovero in Pronto soccorso”.  Pur in assenza di dati ufficiali con riferimento alle nuove visite sull’idoneità che dovevano conseguire ai 44 gesti anticonservativi trascritti nel registro eventi critici, può affermarsi che nella stragrande maggioranza dei casi le stesse non hanno avuto luogo, come del resto accertato anche dalla magistratura ordinaria A titolo esemplificativo, la Corte di Appello di Roma, con decreto del 7 luglio 2025, ha disposto l’immediata liberazione di un trattenuto rilevando dubbi in relazione alla sua vulnerabilità, avendo manifestato segni di disagio psichico anche prima dell’ingresso nel CPR, posto che la visita psichiatrica era stata fissata successivamente alla convalida, nonostante lo stesso avesse già commesso atti autolesivi prima ancora dell’ingresso nel CPR. Tale pronuncia – non isolata – viene richiamata in quanto evidenzia con chiarezza come l’assistenza sanitaria e psicologica all’interno del Centro di Roma Ponte Galeria sia del tutto insufficiente e come, di fatto, il trattenimento avviene anche nei confronti di persone inidonee alla vita ristretta. Senza la possibilità, neanche nel corso del trattenimento, che vi sia, in via sistematica e tempestiva, una nuova visita sull’idoneità. Sembra dunque possibile sostenere senza possibilità di essere smentiti che il divieto di trattenere persone con vulnerabilità psichiatrica nel Cpr di Roma Ponte Galeria è quasi sempre assicurato solo a seguito di intervento dell’Autorità giudiziaria e non è invece garantito, in via ordinaria, sistematica e tempestiva, dall’Autorità sanitaria. Corte di Appello di Roma, decreto del 12 novembre 2025