Tag - Permesso di soggiorno per protezione speciale (art. 32, co. 3, del D.lgs n.25/2008)

Protezione speciale: una tutela che evita una compressione grave e irreversibile della vita privata e familiare
Sei decisioni del Tribunale di Genova che riconoscono la protezione speciale a richiedenti asilo provenienti da Bangladesh, Marocco e Pakistan, confermando un orientamento giurisprudenziale ormai cristallino: la tutela va garantita quando il rimpatrio comporterebbe una compressione grave e irreversibile della vita privata e familiare, alla luce dell’art. 8 CEDU e dell’art. 19, co. 1.1 TUI. Le decisioni sottolineano come, in tutti i casi, i ricorrenti abbiano costruito in Italia percorsi di integrazione lavorativa, sociale e linguistica solidi, spesso accompagnati da impegni formativi, contratti stabili e reti amicali o familiari. Si tratta di un progetto di vita e radicamento territoriale dopo esperienze di estrema vulnerabilità: anni di povertà e indebitamento nei Paesi di origine, detenzione e torture in Libia, naufragi, problemi di salute e cura affrontati in Italia. I giudici riconoscono che interrompere bruscamente questi percorsi costituirebbe, di per sé, una condizione degradante. Le sentenze richiamano anche le condizioni oggettive dei Paesi di provenienza: l’instabilità politica e la violenta repressione delle proteste in Bangladesh, l’invivibilità socio-economica e ambientale che caratterizza intere aree del paese, aggravata da eventi climatici estremi, erosione, inondazioni e insicurezza alimentare; le gravi violazioni dei diritti umani in Pakistan, soprattutto a danno delle minoranze religiose. In altri casi incide la mancanza di qualsiasi rete familiare nel Paese di origine dopo decenni trascorsi all’estero. La valutazione complessiva porta il Tribunale a ritenere che il rimpatrio forzato vanificherebbe percorsi di integrazione ormai sostanziali, creando un vulnus grave e attuale ai diritti fondamentali dei ricorrenti. Queste sei pronunce rafforzano ulteriormente il ruolo della protezione speciale come strumento imprescindibile per garantire continuità di vita, dignità e tutela effettiva per chi, in Italia, ha già costruito una parte significativa della propria esistenza. 1) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto dell’1 agosto 2025 2) Ricorrente del Pakistan – Tribunale di Genova, decreto del 4 agosto 2025 3) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto del 10 ottobre 2025 4) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto del 14 ottobre 2025 5) Ricorrente del Marocco – Tribunale di Genova, sentenza del 21 ottobre 2025 6) Ricorrente del Bangladesh – Tribunale di Genova, decreto dell’11 novembre 2025 Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per le segnalazioni.
Class action sulla protezione speciale: il Tar Marche condanna i gravi ritardi di Questura e Commissione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche si è espresso sulla class action di ASGI e Spazi Circolari 1 contro la violazione sistematica con ritardi di oltre i due anni nell’evasione delle domande di protezione speciale. La sentenza contiene alcuni elementi che meritano attenzione. Secondo l’Avv. Daniele Valeri, il TAR cambia approccio: invece di liquidare il ricorso come inammissibile – come era successo in passato con azioni simili – riconosce che si tratta davvero di una class action e non di un semplice caso di silenzio-inadempimento da parte dell’amministrazione. Chiarisce perciò anche un punto importante: non basta che l’amministrazione, a giudizio in corso, risolva le singole pratiche dei ricorrenti per chiudere la questione. Il problema è più ampio e riguarda tutti coloro che hanno presentato l’istanza di protezione speciale, non solo chi ha fatto ricorso. Viene poi ribadito il limite dei 180 giorni entro cui le procedure dovrebbero essere concluse. È un riferimento utile, che potrà essere richiamato anche in futuro per tutte le nuove domande presentate alle Questure. Infine, la parte più significativa della sentenza: il TAR riconosce apertamente che c’è una violazione sistematica e continua dei tempi previsti per rilasciare i permessi per protezione speciale. Non è un ritardo occasionale: è un problema strutturale. La stessa relazione dell’amministrazione evidenzia carenze organizzative che impediscono di recuperare il ritardo accumulato, e viene messa in luce anche la grave difficoltà operativa della Commissione territoriale competente. T.A.R. per le Marche, sentenza n. 932 del 21 novembre 2025 1. La class action è frutto di un lavoro collettivo di diversi legali delle associazioni, tra questi gli Avv.ti Daniele Valeri e Salvatore Fachile e le Avv.te Roberta Sforza e Giulia Crescini. ↩︎
Riconosciuta la protezione speciale con interpretazione art. 19 TUI post cd. DL Cutro
Il Tribunale di Roma riconosce la protezione speciale ad un ricorrente originario del Bangladesh, la particolarità della decisione è relativa al fatto che l’istanza di protezione è stata avanzata dal richiedente nel 2024 e quindi post legge Cutro.  L’audizione escludeva potenziali rischi di persecuzioni ai danni del ricorrente (per sua stessa ammissione) sicché la richiesta di protezione speciale rimaneva l’unica opzione valida e percorribile, evidenziato l’elevato grado di integrazione del ricorrente e la “sopravvivenza” al DL Cutro del comma 1 art. 19 e soprattutto dell’interpretazione alla luce dell’art. 8 Cedu. La decisone del Tribunale riconosce il permesso per protezione speciale, applicata alla fattispecie in esame, secondo il combinato disposto dell’art. 19, c. 1 e primo–secondo periodo del c.1.1 TUI (inespellibilità per violazione art. 5, c.6 TUI), art. 5, c.6 TUI (obbligo di rispettare gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato) e della tutela diretta di cui all’art. 8 CEDU. La sentenza inoltre richiama la giurisprudenza CEDU (Narjis c. Italia; Üner c. Paesi Bassi, GC; Maslov c. Austria, GC) e della Cassazione (Cass. 28162/2023; Cass. SS.UU. 24413/20219) a fronte della quale viene conferma la ratio della protezione speciale affermando che, di fatto, l’allontanamento del ricorrente costituirebbe: * violazione del diritto al rispetto della vita privata ex art. 8 CEDU; * violazione degli obblighi costituzionali e internazionali ex art. 5, c.6 TUI; * regressione materiale e sociale incompatibile con i parametri della Corte EDU. Tribunale di Roma, decreto del 29 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Denis Ferri per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative al permesso di soggiorno per protezione speciale
La Corte di Cassazione conferma che il d.l. n. 20/2023 non ha abrogato la protezione complementare e non poteva farlo
AVV. NICOLA DATENA E AVV. GIULIA VICINI 1. IL D.L. N. 20/2023 E L’ULTIMA MODIFICA ALL’ART. 19 DEL T.U. SULL’IMMIGRAZIONE Il decreto-legge 20 marzo 2023, n. 20, convertito nella legge 18 maggio 2023, n. 50, ha soppresso il terzo e il quarto periodo del comma 1.1 dell’art. 19 del d.lgs. 286/1998, che – introdotti dal d.l. n. 130/2020 – prevedevano espressamente il divieto di allontanamento ed il diritto al rilascio di un titolo di soggiorno per “protezione speciale” nei casi in cui: “vi siano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, di cui all’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, tenuto conto della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”. Nonostante questa rimozione testuale, nel comma 1.1 dell’art. 19 è rimasto invariato il rinvio all’art. 5, comma 6, del medesimo T.U., il quale vieta il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno nei casi in cui “ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”. Sebbene il legislatore, con la riforma immediatamente successiva alla strage di Steccato di Cutro, abbia eliminato dall’art.19 del testo unico immigrazione l’esplicito riferimento al diritto al rispetto della vita privata e al diritto al rispetto della vita familiare, il rinvio all’art. 5 comma 6 del medesimo testo unico e, in ogni caso, la cogenza delle disposizione della Carta Costituzionale, della Carta Europea dei Diritti dell’uomo e delle altre convenzioni internazionali a cui ha aderito l’Italia , hanno fatto affermare a molti interpreti e giudici di merito che, nella sostanza, nulla era cambiato e nulla poteva cambiare. L’obiettivo alla base della modifica normativa è noto e oggetto di esplicite dichiarazioni della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che il 14 aprile 2023 ha riferito alla stampa: «Io mi do come obiettivo l’eliminazione della protezione speciale, perché si tratta di una protezione ulteriore rispetto a quello che accade nel resto d’Europa». Nonostante i rilievi di cui sopra circa l’effetto cogente delle norme costituzionali e sovranazionali, il dichiarato ed inequivocabile intento del legislatore di voler abrogare la protezione speciale “all’italiana” ha generato alcuni dubbi interpretativi circa la possibilità di rilasciare un titolo di soggiorno per protezione speciale a protezione del diritto della vita privata e familiare. Con l’intento di risolvere tali dubbi, il Tribunale di Venezia, in un procedimento di impugnazione di una decisione di diniego della protezione internazionale e della protezione speciale, ha sottoposto la questione alla Corte di Cassazione. 2. IL CASO CONCRETO E LE QUATTRO TESI INTERPRETATIVE INDIVIDUATE DAL TRIBUNALE DI VENEZIA NEL RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI CASSAZIONE. Il rinvio pregiudiziale del Tribunale di Venezia nasce da un ricorso promosso da A.A., cittadino senegalese, avverso la decisione della Commissione territoriale di Verona – sezione di Padova, che aveva rigettato per manifesta infondatezza la sua domanda di protezione internazionale. Il ricorrente aveva invocato la conversione al cristianesimo come motivo di persecuzione, ma la Commissione ha ritenuto non credibile il racconto e, pertanto, ha rigettato l’istanza di protezione internazionale. Richiamando l’art. 19 d.lgs. 286/1998 nella sua nuova formulazione, la Commissione Territoriale aveva altresì ritenuto insussistenti i presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale protezione speciale. Giurisprudenza italiana LA “PROTEZIONE UMANITARIA” RESISTE AL DECRETO CUTRO Corte di Cassazione, sentenza n. 29593 del 10 novembre 2025 19 Novembre 2025 Nel giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia, A.A. ha prodotto documentazione inerente alla sua stabile attività lavorativa, nonché attestati di formazione attestanti la sussistenza di un radicamento sul territorio nazionale e, invocando il rispetto del diritto alla vita privata e familiare, ha insistito per l’accertamento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale anche sulla base della nuova norma e in applicazione dell’art. 8 CEDU. Il Tribunale di Venezia, valutata l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una delle forma di protezione internazionale, accertato il radicamento sul territorio nazionale di A.A., rilevato che la giurisprudenza di merito nel corso degli ultimi mesi ha adottato decisioni diverse e divergenti in merito ai presupposti per il riconoscimento della protezione speciale, ha ritenuto di dover chiedere l’intervento interpretativo della Corte di Cassazione. Il Giudice veneto ha rilevato che, di fronte alla soppressione dei due periodi dell’art. 19, comma 1.1, sono emerse quattro diverse tesi ermeneutiche, passate in rassegna le quali il Tribunale di Venezia, ha posto alla Corte di Cassazione, il seguente quesito interpretativo. “Se, per effetto dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 20 del 2023 […] si debba ritenere che la tutela della vita privata e familiare dello straniero a) è esclusa dall’ambito della protezione complementare e non è più garantita dall’ordinamento; b) è assicurata […] secondo i presupposti e i limiti individuati dalla Convenzione europea […] conformemente all’interpretazione che di essa ha dato la Corte europea dei diritti dell’uomo; c) è garantita secondo l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità […] in particolare dalla sentenza della Corte di cassazione, a Sezioni Unite, n. 24413 del 2021; d) è assicurata dall’applicazione diretta dell’art. 10 Cost.” 3. LE ARGOMENTAZIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte con la Sentenza in commento, pubblicata il 10 novembre 2025 in risposta alla sollecitazione del Tribunale di Venezia, riafferma i principi di diritto già emersi nella giurisprudenza di merito.e Invero, secondo la prima tesi interpretativa individuata dal Tribunale di Venezia, a seguito dell’abrogazione dei due specifici riferimenti contenuti nell’art. 19 d.lgs. 286/1998 la protezione della vita privata e familiare è stata esclusa dall’ordinamento. La Corte respinge questa tesi, ricordando che: “È ancora presente, nel tessuto dell’art. 19 del testo unico, pur dopo le modifiche del 2023, il riferimento agli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano quale limite ad ogni forma di allontanamento della persona straniera, attraverso il richiamo espresso all’art. 5, comma 6” (§ 4). Tra tali obblighi rientra senza dubbio la tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 Cedu, nonché l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e gli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost. Pertanto: “Deve, pertanto, escludersi che il decreto-legge n. 20 del 2023 abbia la forza e rivesta il significato di precludere l’applicazione di norme e principi di valore sovraordinato […] e quindi di limitare l’incondizionata osservanza, nel diritto interno, degli obblighi nascenti dall’art. 8 della Cedu” (§ 4). La seconda tesi che il Tribunale di Venezia ritrova nella recente giurisprudenza italiana afferma che la tutela dei diritti previsti e disciplinati dall’art. 8 Cedu sia oggi garantita solo secondo l’interpretazione e la giurisprudenza della Corte EDU e cioè con una distinzione rigida tra settled migrants e non-settled migrants. La Corte rigetta questa prospettazione “rigidamente alternativa”, affermando: “Il Collegio non ritiene condivisibile la prospettazione […] tra una tutela, asseritamente più ristretta, derivante dall’applicazione dei criteri giurisprudenziali elaborati dalla Corte di Strasburgo […] e una tutela secondo il diritto vivente nazionale” (§ 13). E ancora: “Il giudice deve cogliere, nel congiunto operare degli obblighi convenzionali e costituzionali e nell’osmosi tra gli stessi, […] un completamento e un arricchimento delle posizioni soggettive coinvolte in vista di una tutela più intensa nel singolo caso” (§ 13). La terza tesi chiede se la tutela “è garantita secondo l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità […] in particolare dalla sentenza […] n. 24413/2021”. La Corte conferma esplicitamente questa prospettiva: “Lasentenza delle Sezioni Unite n. 24413 del 2021, significativamente protesa alla elaborazione di principi di diritto ancorati alla Costituzione e al sistema Cedu, continua tuttora a orientare il giudice nell’interpretazione del complesso delle disposizioni che disciplinano la materia a seguito del decreto-legge n. 20 del 2023” (§ 15). La SU n. 24413/2021 ha definito la protezione complementare come un “catalogo aperto”, fondato su obblighi costituzionali e internazionali, e ha introdotto il metodo del “giudizio comparativo” tra la situazione in Italia e quella nel Paese d’origine. Elementi come contratti di lavoro a tempo determinato, frequenza scolastica, conoscenza della lingua, partecipazione a reti sociali e legami familiari – anche con partner non convivente – rimangono rilevanti. Infine, la quarta tesi chiede se la tutela “è assicurata dall’applicazione diretta dell’art. 10 Cost.”. La Corte accolta pienamente questa prospettiva, ricorda che: “La protezione complementare nel nostro ordinamento rappresenta il ‘necessario completamento del diritto d’asilo costituzionale’” (§ 7.2). L’art. 10, terzo comma, Cost. non si esaurisce nello status di rifugiato: esso comprende ogni forma di tutela necessaria a garantire la dignità della persona, anche attraverso un titolo di soggiorno corrispondente. 4. IL PRINCIPIO DI DIRITTO ENUNCIATO DALLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte conclude enunciando il seguente principio di diritto: “La rivisitazione, a opera del decreto-legge n. 20 del 2023, convertito nella legge n. 50 del 2023, dell’istituto della protezione complementare non ha determinato il venir meno della tutela della vita privata e familiare dello straniero che si trova in Italia, tanto più che il tessuto normativo continua a richiedere il rispetto degli obblighi costituzionali e convenzionali. Ne deriva che la protezione complementare può essere accordata in presenza di un radicamento del cittadino straniero sul territorio nazionale sufficientemente forte da far ritenere che un suo allontanamento, che non sia imposto da prevalenti ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, determini una violazione del suo diritto alla vita familiare o alla vita privata. Nessun rilievo ostativo assume il fatto che tale radicamento sia avvenuto nel tempo necessario ad esaminare le domande del cittadino straniero di accesso alle protezioni maggiori. La tutela della vita privata e familiare esige una valutazione di proporzionalità e di bilanciamento nel caso concreto, secondo i criteri elaborati dalla Corte Edu e dalla pronuncia a Sezioni Unite 9 settembre 2021, n. 24413, tenendo conto dei legami familiari sviluppati in Italia, della durata della presenza della persona sul territorio nazionale, delle relazioni sociali intessute, del grado di integrazione lavorativa realizzato e del legame con la comunità anche sotto il profilo del necessario rispetto delle sue regole” (§ 17). La sentenza n. 29593/2025 si colloca in un andamento ciclico che richiama i “corsi e ricorsi” storici di Giambattista Vico: ogniqualvolta il legislatore, in nome di emergenze politiche o securitarie, abroga o restringe la protezione “nazionale” – dal d.l. n. 113/2018 al d.l. n. 20/2023 – la Corte di Cassazione interviene per ribadire lo stesso principio giuridico fondamentale, già espresso con chiarezza nelle sentenze n. 4455/2018, n. 24413/2021 e in numerose altre pronunce. Questo principio è chiaro e irrinunciabile: il diritto al rispetto della vita privata e familiare non può essere abrogato perché radicato in obblighi costituzionali e internazionali che vincolano lo Stato a prescindere dalla volontà del legislatore ordinario. Che la si chiami speciale, umanitaria, o in altro modo, la tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare è necessaria, garantisce la piena attuazione dell’asilo costituzionale, ed è quindi inabrogabile. Rilasciare il relativo permesso di soggiorno non è una concessione discrezionale, ma un obbligo giuridico.
Cosenza e Crotone: prassi illegittime e diritti negati ai richiedenti asilo
Tempi d’attesa «biblici», dinieghi «copia e incolla», richieste arbitrarie di documenti, uffici inaccessibili persino agli avvocati. È il quadro che emerge dalle segnalazioni inviate il 14 novembre da una coalizione di oltre venti organizzazioni 1 – coordinate da ASGI Calabria – al Ministero dell’Interno, alla Prefettura e alla Questura di Cosenza, alla Commissione Nazionale Asilo e alla Commissione territoriale di Crotone. Lettere dettagliate che descrivono un sistema «cronico e in costante peggioramento», capace di negare diritti fondamentali ai richiedenti asilo e di gravare sul funzionamento della giustizia. L’iniziativa ha raccolto inoltre un’ampia adesione tra decine tra avvocati, operatori sociali, centri SAI. Nella lettera indirizzata alla Questura di Cosenza 2, le associazioni parlano di una situazione che «le persone sono costrette a subire da più di tre anni». L’Ufficio immigrazione «riceve quotidianamente un numero di persone molto inferiore al totale di quante vorrebbero accedervi», con la formazione di code interminabili e «persone costrette ad arrivare estremamente presto negli orari mattutini» per sperare di entrare. Le violazioni più gravi riguardano la fase iniziale della procedura di protezione internazionale. Le associazioni firmatarie denunciano l’«attuale sostanziale impossibilità di presentare domanda di protezione internazionale»: appuntamenti fissati per «marzo 2026», rinvii orali, settimane di tentativi a vuoto per accedere agli uffici. Tutto ciò lascia i richiedenti asilo «privi di un valido titolo di soggiorno», impossibilitati ad accedere a cure mediche, lavoro, alloggi e accoglienza, e potenzialmente esposti al rischio di espulsione. Non solo: l’amministrazione subordina la formalizzazione della domanda alla presentazione di documenti sull’ospitalità, richiesta non prevista dalla legge e in contraddizione con quanto la stessa Questura aveva dichiarato in un precedente accesso civico. Una prassi che il Tribunale di Catanzaro ha già più volte censurato, condannando l’Ufficio a provvedere entro 3–10 giorni. Le associazioni denunciano anche una totale incertezza sul rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno, con informazioni «contraddittorie» fornite oralmente e richieste di documentazione «non prevista da alcun disposto normativo». Le tempistiche superano «i previsti 60 giorni» e spesso perfino i 180 giorni massimi, arrivando «a svariati mesi, se non addirittura anni». Di particolare gravità, scrivono le organizzazioni, è il fatto che sia «sistematicamente impedito l’ingresso» agli avvocati e agli operatori legali che accompagnano i propri assistiti: una violazione palese del diritto di difesa all’interno di un ufficio «che è diretta espressione dell’amministrazione dello Stato sul territorio». Si segnalano inoltre «mancanza di mediatori» adeguati, rilascio ritardato dell’attestazione della domanda d’asilo, violazioni della legge 241/90 sul procedimento amministrativo e una serie di «comportamenti inurbani e aggressivi» da parte del personale di sportello. LA COMMISSIONE TERRITORIALE DI CROTONE: DINIEGHI STEREOTIPATI E TEMPI INTERMINABILI La seconda lettera, indirizzata alla Commissione territoriale di Crotone 3, descrive altrettante criticità. Viene riferito un «altissimo numero di provvedimenti di diniego» spesso formulati attraverso «mere formule di rito, dal contenuto stereotipato» e privi di qualunque ricerca COI (country of origin information). Questi rifiuti, si legge, vengono «nella grandissima maggioranza dei casi» ribaltati in Tribunale già in primo grado, con un aggravio inutile per la Sezione specializzata del Tribunale di Catanzaro. Allarmante anche quanto riferito su alcuni commissari di nuova nomina, che durante le audizioni avrebbero commentato: «tanto poi c’è il ricorso», mostrando «assoluta non consapevolezza del delicato ruolo ricoperto». I tempi di convocazione per le audizioni «arrivano anche a due anni dalla presentazione della domanda», mentre le decisioni possono richiedere 8-9 mesi. Ancora più critica la situazione dei pareri relativi alla protezione speciale: ritardi ingiustificati, pareri «nella stragrande maggioranza dei casi di senso negativo» e totale assenza della valutazione degli elementi previsti dalla legge. Nella lettera sono denunciate anche «ostilità verso la produzione documentale» da parte di legali e operatori durante le audizioni, trasferimenti immotivati di fascicoli ad altre Commissioni, e l’abbandono delle prassi virtuose di confronto con il territorio che in passato caratterizzavano l’ufficio. Le conseguenze, scrivono le associazioni, sono la «lesione dei diritti dei richiedenti asilo», l’aumento del contenzioso e un generale «svilimento» della procedura amministrativa. LE RICHIESTE DELLE ASSOCIAZIONI: VERIFICHE E MISURE CORRETTIVE Dinanzi a un quadro giudicato «cronico e strutturale», le organizzazioni firmatarie chiedono che le autorità competenti avviino «una verifica approfondita delle prassi contestate» e adottino misure urgenti per ristabilire legalità, trasparenza e il rispetto delle garanzie previste dalla legge italiana ed europea. Le associazioni si dichiarano inoltre disponibili a un incontro «con tutte le realtà operanti nel settore» per individuare soluzioni e ripristinare un dialogo con le istituzioni. 1. Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione – ASGI Associazione Don Vincenzo Matrangolo E.T.S. di Acquaformosa Agorà Kroton soc. coop. sociale onlus Ambulatorio medico “A. Grandinetti” e Auser Cosenza ArciRed Associazione Comunità Progetto Sud ETS Associazione Culturale “La Kasbah ETS” Carovane Migranti Centro Sai Cerchiara coop. soc. Medihospes Cidis Impresa sociale ETs CNCA Calabria Collettivo L’Altra Marea Equipe sociosanitaria-sopravvissuti a tortura Germinal APS La Base La Terra di Piero Lotta Senza Quartiere ODV Prendocasa Sabir Srl Sociale ETS Sportello legale “Stand-Up” Usb Cosenza Avvocati di strada di Cosenza. ↩︎ 2. Lettera indirizzata alla Questura di Cosenza ↩︎ 3. Segnalazione in merito all’attività della Commissione Territoriale di Crotone ↩︎
La “protezione umanitaria” resiste al decreto Cutro
La Corte Suprema di Cassazione, nel giudizio per rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., formulato dal Tribunale di Venezia, ha enunciato il seguente principio di diritto: «La rivisitazione … dell’istituto della protezione complementare non ha determinato il venire meno della tutela della vita privata e familiare dello straniero che si trova in Italia, tanto più che il tessuto normativo continua a richiedere il rispetto degli obblighi costituzionali e convenzionali. Ne deriva che la protezione complementare può essere accordata in presenza di un radicamento del cittadino straniero sul territorio nazionale sufficientemente forte da far ritenere che un suo allontanamento, che non sia imposto da prevalenti ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, determini una violazione del suo diritto alla vita familiare o alla vita privata. Nessun rilievo ostativo assume il fatto che il radicamento sia avvenuto nel tempo necessario ad esaminare le domande del cittadino straniero di accesso alle protezioni maggiori. La tutela della vita privata e familiare esige una valutazione di proporzionalità e di bilanciamento nel caso concreto, secondo i criteri elaborati dalla Corte EDU e dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 24413/2021, tenendo conto dei legami familiari sviluppati in Italia, delle relazioni sociali intessute, del grado di integrazione lavorativa realizzato e del legame con la comunità anche sotto il profilo del necessario rispetto delle sue regole.» Pertanto, possiamo affermare che, nonostante l’abrogazione del riferimento normativo all’art. 8 CEDU ad opera del decreto Cutro, la protezione umanitaria ritorni in vita e quindi la tutela della vita privata e familiare sia garantita non solo dai vincoli costituzionali, ma anche da quelli internazionali che, in virtù dell’art. 117 Cost., non possono essere disattesi. Condividiamo alcune riflessioni portate all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione. Queste difese hanno fin da subito evidenziato come l’abrogazione delle parti dell’art. 19 TUI, in cui si faceva espresso riferimento all’art. 8 CEDU e quindi alla necessità di tutelare la vita privata e familiare, non abbia mai sortito effetto alcuno, in quanto la normativa italiana – come ricorda la Suprema Corte – va comunque interpretata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost.). A rafforzare questa tutela multilivello interviene lo stesso art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, che sottolinea come l’Unione abbia aderito alla CEDU. Sebbene tale adesione non implichi l’applicazione diretta dell’obbligo internazionale, non essendo ancora equiparato a quello comunitario, determina comunque un obbligo per l’Autorità giudiziaria di interpretare la normativa nazionale alla luce di quella sovranazionale, in particolare quando si tratta di tutelare i diritti fondamentali dell’individuo. Inoltre, ai sensi dell’art. 52 della Carta di Nizza, gli articoli che tutelano la vita privata (art. 8 CEDU e art. 7 della Carta) possono essere invocati innanzi all’Autorità giudiziaria e, laddove la Carta dei diritti dell’Unione europea contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, «il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione», con la possibilità che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa. Pertanto, l’operatore del diritto ha più strumenti da utilizzare e può scegliere l’interpretazione che tuteli maggiormente il proprio assistito, forte dei riferimenti internazionali e costituzionali. Tra questi merita particolare attenzione l’art. 10 Cost., secondo cui «lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge», indipendentemente dal riconoscimento di protezioni superiori, come ricordano gli artt. 19 e 5, comma 6, del TUI, che positivizzano un principio fondamentale presente nella nostra Carta. Alla luce di queste considerazioni e del principio enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione, si fa sempre più strada, ad avviso delle scriventi, il principio secondo il quale, nell’ambito della tutela dei diritti fondamentali, va applicata l’interpretazione che maggiormente tuteli l’individuo. Corte di Cassazione, sentenza n. 29593 del 10 novembre 2025 Si ringraziano le Avv.te Caterina Barbiero e Chiara Pernechele per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni: * della Corte di Cassazione; * relative al permesso di soggiorno per protezione speciale.
Annullato il provvedimento della Questura che ha rigettato l’istanza del cittadino marocchino di riconoscimento della protezione speciale
Il Tribunale di Genova ha annullato il provvedimento del Questore che aveva negato il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali a un cittadino marocchino residente in Italia da oltre quattordici anni, affetto da una grave patologia psichiatrica e ormai pienamente integrato nel tessuto sociale e familiare italiano. “L’inserimento così documentato è la testimonianza di un percorso di integrazione tenacemente perseguito, che trova il suo culmine nella posizione lavorativa conseguita, la quale, deve ritenersi, si accompagna ad una serie di esperienze anche se non evidenti, ma comunque, inevitabilmente vissute e rilevanti, perché facenti parte della quotidianità”, scrive il giudice, riconoscendo il valore umano e sociale del percorso del ricorrente. Nel motivare la decisione, il Tribunale ha evidenziato come il richiedente, dopo un lungo periodo di fragilità psichiatrica, abbia saputo ricostruire la propria autonomia grazie al sostegno del Dipartimento di salute mentale e alla stabilità familiare, tutti regolarmente residenti in Italia. La documentazione sanitaria e lavorativa, valutata complessivamente, dimostra una condizione di vulnerabilità che rende sproporzionato e contrario ai principi costituzionali e convenzionali un suo rientro in Marocco, dove non dispone più di alcun sostegno familiare né di un sistema sanitario in grado di garantire la continuità delle cure. Ritenendo dunque sussistenti i requisiti di cui all’art. 19, comma 1.1, del D.lgs. 286/98, il giudice ha affermato che la vita privata e familiare del ricorrente, ormai pienamente radicata in Italia, merita protezione, anche in considerazione della lunga permanenza, del percorso riabilitativo e della stabile occupazione lavorativa. Il Tribunale, infine, “visto l’art. 32, terzo comma, del d.lgs. 25/2008, dichiara la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 19, comma 1.1, terzo e quarto periodo, d.lgs. 286/98, applicabile ratione temporis, e conseguentemente dispone la trasmissione della presente sentenza al Questore di Savona per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi dell’art. 19 comma 1.2, primo periodo, TUI, convertibile alla scadenza in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, in favore del richiedente”. Tribunale di Genova, sentenza del 21 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Alessandra Ballerini per la segnalazione. * Consulta altre decisioni relative al permesso di soggiorno per protezione speciale
Riconosciuta la protezione speciale per il livello di integrazione raggiunto nel territorio nazionale dal ricorrente (art. 19, c. 1.1. TUI)
Il caso affrontato dal Tribunale di Potenza riguarda un cittadino della Repubblica di Guinea, accolto presso un centro di accoglienza, che si è visto negare ogni forma di protezione dalla Commissione territoriale. Il diniego è stato impugnato nei termini. All’esito del giudizio, il Tribunale di Potenza, richiamando l’art. 19 del D.Lgs. n. 286/1998, ha dichiarato che, stante l’elevato grado di integrazione nel territorio nazionale nel ricorrente, il suo allontanamento dal territorio italiano avrebbe comportato una violazione del diritto al rispetto della vita familiare, non essendoci ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico impeditive. La decisione del Tribunale si fonda sul fatto che il ricorrente si trova in Italia dal 2021 e sulla copiosa documentazione depositata che attesta il livello di integrazione raggiunto (contratti di lavoro, buste paga, contratto di locazione ad uso abitativo). Alla luce degli elementi sopra menzionati il Tribunale di Potenza ha ritenuto sussistenti i giusti motivi per riconoscere un permesso per protezione speciale anche in ragione delle conseguenze che sarebbero derivate dallo sradicamento a cui il ricorrente sarebbe stato sottoposto in caso di rimpatrio, subendo un pregiudizio dei diritti fondamentali e la violazione della vita privata intesa nella sua accezione più ampia, non legata cioè, esclusivamente all’esistenza di legami di carattere familiare. In conclusione, il Tribunale di Potenza ha ritenuto la fattispecie concreta rientrante nei casi di cui all’art. 19 commi 1 e 1.1. D.Lgs. 286/1998 e ha disposto la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi del combinato disposto dell’art. 19, commi 1.2, Decreto Legislativo 286/1998 e dell’art. 32, comma 3 del Decreto Legislativo n. 25/2008, come disciplinati dal Decreto Legge 130/2020 convertito in Legge 173/2020. Tribunale di Potenza, decreto del 15 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Arturo Raffaele Covella per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative al permesso di soggiorno per protezione speciale *
Accertato il diritto al ricongiungimento familiare in favore di un cittadino straniero titolare di PdS per protezione speciale
Con ricorso ex art. 281-decies c.p.c. un cittadino pakistano titolare di permesso di soggiorno per protezione speciale ha impugnato il decreto del Prefetto di Torino che ha rigettato la sua istanza di ricongiungimento familiare sulla base del fatto che l’art. 28 comma 1 del T.U. 286/1998 non consente la possibilità di presentare istanza di ricongiungimento familiare ai titolari del suddetto permesso. Come noto, l’art. 28 del Testo Unico Immigrazione, che già non annoverava la protezione speciale tra i permessi che danno titolo al ricongiungimento familiare, è stato emendato nel 2024 in senso ulteriormente restrittivo (in luogo di “asilo” ora si parla specificamente di “protezione internazionale“). La decisione del Tribunale di Torino va oltre il dato letterale dell’art. 28 e valorizza invece una lettura organica e conforme a Costituzione e Direttiva 86/2003, che fa leva sulla natura della protezione speciale, volta a tutelare tra le altre cose proprio quell’unità familiare che il ricongiungimento è preordinato a ricostituire. La decisione evidenzia anche precedenti pronunce della Corte di Cassazione che già in passato hanno ritenuto non esaustivo il catalogo dell’art. 28, estendendo il diritto all’unità familiare in favore anche di titolari di permesso di soggiorno quali residenza elettiva e attesa cittadinanza. Secondo il Tribunale “la giurisprudenza di legittimità ha da sempre adottato un’interpretazione estensiva dell’art. 28 TUI, tale da includere anche tipologie di permesso di soggiorno non espressamente ricomprese dalla norma, purché soddisfacessero i requisiti di stabilità di cui all’art. 3 della Direttiva (vale a dire, titolarità di un permesso con “periodo di validità pari o superiore a un anno” e con “fondata prospettiva di soggiorno stabile”) […] va dunque affermata la natura non esaustiva del catalogo contenuto nell’art. 28 TUI, che deve essere interpretato alla luce dei criteri costituzionali (in particolare il diritto di asilo ex art. 10 comma 3 Cost., che – come detto – ha “ricevuto integrale attuazione grazie al concorso dei tre istituti concernenti la protezione dei migranti: la tutela dei rifugiati, la protezione sussidiaria di origine europea e la protezione umanitaria”; così Corte Cost. n. 194/2019) e unionali (applicazione della Direttiva 86/2003/CE in materia di ricongiungimento a tutti i casi in cui “il soggiornante è titolare di un permesso rilasciato … per un periodo di validità pari o superiore a un anno e ha una fondata prospettiva di soggiorno stabile”)“. Tribunale di Torino, sentenza del 27 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Elena Garelli e l’Avv. Alberto Pasquero per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative al ricongiungimento familiare
Protezione sussidiaria ad un cittadino curdo iracheno che in sede di Commissione aveva ottenuto solo la protezione speciale
Il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la domanda nella parte in cui si evidenzia che la zona di provenienza del ricorrente (Erbil) è tuttora interessata da molteplici conflitti armati che coinvolgono l’esercito turco, il PKK, cellule dell’ISIS e altri gruppi paramilitari. Tale situazione rende l’Iraq uno Stato instabile sotto il profilo della sicurezza, motivo per cui anche eventuali periodi di apparente miglioramento non possono, allo stato attuale, considerarsi duraturi o tali da escludere un rischio concreto. Alla luce di queste considerazioni, è stata riconosciuta la protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 14, lettera c), del D.Lgs. 251/2007. Tribunale di Roma, decreto del 30 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Marco Galdieri per la segnalazione e il commento. Il ricorso è stato redatto con la collaborazione dell’Avv. Maddalena Moratti.