La guerra è una scelta economica, non una fatalità geopolitica
FUORI LA GUERRA DALLA STORIA
In questi giorni, mentre a Gaza si continua a morire di fame e di bombe e in
Ucraina la guerra si trascina nel silenzio diplomatico, diventa sempre più
chiaro che la pace viene attivamente ostacolata, rallentata, sabotata. E a farlo
non sono i popoli coinvolti nei conflitti, ma i governi, le industrie, le
potenze che traggono vantaggio da ogni ulteriore giorno di guerra e vedono nella
“ricostruzione” futura una promessa di futuro lucro.
Occorre dire con chiarezza che la pace non c’è perché è resa impraticabile da
chi ha interesse a non farla. Nel 2025 l’UE stanzierà fino a 100 miliardi di
euro per le armi. NATO e governi nazionali aumentano le spese militari e
costruiscono nuovi sistemi d’arma, inclusi scudi spaziali e arsenali nucleari.
La corsa al riarmo globale è già in atto, guidata da interessi economici e
strategici.
La guerra è una scelta economica, non una fatalità geopolitica.
“Per alcuni, il genocidio è redditizio” è la lucida diagnosi economica
pronunciata da Francesca Albanese nell’ultimo rapporto al Consiglio per i
Diritti Umani delle Nazioni Unite, una delle tante denunce documentate con le
quali la relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi ha smascherato
complicità e profitti dietro il massacro a Gaza, diventando così bersaglio
politico e vittima di sanzioni da parte degli USA che hanno cercato di
delegittimare il suo lavoro.
Lo gridano le attiviste israeliane e palestinesi che chiedono la fine dei
bombardamenti e il ritorno dei prigionieri. Lo denunciano le femministe ucraine
che rifiutano tanto la logica della resa quanto quella del sacrificio infinito,
pretendendo invece un futuro autodeterminato, non deciso da mercati e arsenali.
Come femministe rifiutiamo la logica binaria che ci viene imposta: o con la
guerra o con il nemico. Noi siamo per la vita, non per i governi che alimentano
la guerra e la morte; per l’etica delle relazioni, non per le diplomazie che
barattano corpi e verità; per la giustizia incarnata, non per l’impunità armata.
Oggi, immaginare la pace significa affrontare una realtà strutturalmente ostile
alla sua realizzazione. La pace non verrà concessa da chi trae vantaggio dal
conflitto: richiede un lavoro collettivo, paziente e consapevole. Va costruita
dal basso, smascherando l’ipocrisia dei governi che predicano diritti e
commerciano morte. Va costruita nel tempo, attraverso relazioni di solidarietà
che superino i confini nazionali e tengano insieme esperienze diverse — tra
donne, popoli, movimenti. Va costruita fuori dall’ordine simbolico patriarcale
con strumenti nuovi, linguaggi capaci di nominare l’ingiustizia senza riprodurre
le logiche del potere.
La guerra non è un incidente inevitabile, ma una forma di organizzazione del
mondo. Interrogarla, disinnescarla, rifiutarla è un compito politico e, oggi più
che mai, un compito femminista.
Il 24 luglio saremo in piazza Massimo dalle ore 18.30 alle 20.00
UDIPALERMO – Le Rose Bianche – Donne CGIL Palermo- Coordinamento Donne ANPI –
Emily – Governo di Lei – CIF – Le Onde – Arcilesbica – Donne della Comunità
dell’Arca – Donne del Movimento nonviolento – Donne del Circolo Laudato si’
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Redazione Palermo