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Il tesoro di Luisa Muraro
Riprendiamo dal sito della Libreria delle donne di Milano La pubblicazione nell’ultimo dei Quaderni di Via Dogana della conversazione integrale inedita di Luisa Muraro con Clara Jourdan svoltasi nel 2003 (Esserci davvero, Libreria delle donne, Milano 2025) ha anzitutto il pregio di farci scoprire gli aspetti meno scontati e più sorprendenti della personalità della ben nota filosofa della differenza sessuale. Sollecitata con garbata finezza da Clara Jourdan che non si limita a formulare domande ed esporre le proprie osservazioni, ma contestualizza, mette a punto, sottolinea rimandi a vita e opere, Luisa Muraro coglie e accoglie suggestioni, schizza una sorta di autoritratto enunciando i propri pensieri con audacia e nondimeno con sobrietà, si sofferma con franchezza sui tratti spinosi del proprio percorso esistenziale-politico sino ad affievolire l’alone di una certa baldanza caratteriale e a tentare di svelarne il punto cieco. Esserci davvero si apre con il riferimento di Luisa Muraro alla madre che ogni due mesi «sentiva l’esigenza interiore di andare al Santuario di Monte Berico» edificato sui colli di Vicenza e dedicato alla Madonna: un pellegrinaggio in forma di «divertimento autorizzato delle donne»; «una specie di allungamento religioso del cristianesimo, ma, sappiamo, era la religione precristiana della grande dea», data la presenza della Madonna sotto il cui manto trovano rifugio tutti; un viaggio verso un luogo di devozione mantenuto in vita dal sentimento religioso dell’umanità femminile. Ma non c’è traccia di una rappresentazione idealizzata della madre, giacché Luisa Muraro puntualizza: «[…] l’importanza di mia madre nella mia vita e per me è anche problematica e oscura. Io non sono una donna che ha avuto un rapporto buono con sua madre, nel senso di un rapporto felice. Ho avuto un rapporto buono nel senso di un rapporto che c’era effettivamente». Poche pagine più avanti le sue risposte acquisiscono una tonalità sempre più confidenziale: confessa che i suoi studi, in particolare nella giovinezza, sono stati orientati da qualcosa di instabile, nondimeno presente dentro di lei «in una maniera molto segreta»; invece, «per esserci concretamente in carne e ossa», dichiara di aver avuto bisogno di appoggiarsi a delle persone in una relazione, nella quale gioca «una parte non piccola di egocentrismo. Cioè, sono io che ho bisogno, e l’altro, l’altra, sono l’appoggio simbolico. Non è tanto una relazione di scambio. Certo che la relazione si stabilisce, e lo scambio si stabilisce, ma è uno scambio dispari». Così di volta in volta le è capitato di appoggiarsi «a chi ha l’aria di sapersi orientare» (Bontadini, Rosetta Infelise, Fachinelli, Lia Cigarini) e via via di sganciarsene, tranne nel caso dell’incontro con il femminismo della Cigarini, ovvero «una pratica di relazione, il partire da sé e l’efficacia che ha la modificazione di sé, della propria relazione con le cose». Grazie a questo incontro Luisa Muraro è infatti uscita dall’esserci «truccando i dadi», «facendo carte false», e ha avvertito finalmente con felicità un «esserci in prima persona in qualcosa che accade», un esserci davvero. Il desiderio fisiologico di scrittura che caratterizza il suo itinerario esistenziale, o meglio la sua strategia esistenziale, finisce dunque con il trovare casa e dimora nella pratica politica delle donne assunta come forma simbolica che le avrebbe permesso di scrivere. È ciò che le accadde con La Signora del gioco. Episodi della caccia alle streghe (Feltrinelli, 1976), il libro che segna un cambiamento di rotta nella rappresentazione storiografica delle donne: «Avevo un materiale, perché la caccia alle streghe mi interessava da tempo; avevo un materiale emotivo e anche contenutistico, culturale, gli ho dato la forma di una pratica politica che ha reso possibile la scrittura». È ciò che accadrà con le opere che più risolutamente aderiscono a questa strategia esistenziale, ne dà conferma la stessa autrice non senza cercare di snidare un altro suo aspetto radicato in profondità: «Certo, non è solo la scrittura, è l’avere a disposizione una domanda di scrittura – Luisa, scrivi! – che motiva e autorizza che io possa dedicarmi a questa attività che probabilmente fa dentro di me un ordine simbolico. Qualcosa che ha a che vedere con il dare forma, a me». Dopo essere stata sviata dalla ricerca su Della Porta (Giambattista Della Porta mago e scienziato, Feltrinelli 1978) e dopo la virata sulla linguistica che le ha ispirato quel piccolo grande libro che s’intitola Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia (Feltrinelli 1981), Luisa Muraro racconta come è andata con Guglielma e Maifreda. Storia di un’eresia femminista (La Tartaruga 1985), «una storia di grandezza femminile». Commuove leggere delle relazioni intrattenute con altri studiosi/e, va dritta al cuore la straordinaria passione che ha accompagnato il suo lavoro alla Biblioteca Ambrosiana: «… ero come in perenne estasi, perché ero tutta presa da questa ricerca, proprio in una maniera che dice qualcosa di questo rapporto che ho, quando la materia della storia, o della mia vita, o della vita degli altri, si può trasformare in scrittura». Ammaliata dagli sprazzi narrativi e dai brevi inserti speculativi – un’alternanza-commistione che è la cifra della scrittura di Muraro – vengo così a conoscenza anche del prezioso lavorìo di tessitura che sta dietro la sua composizione di Non credere di avere dei diritti (Rosenberg & Sellier, 1987), una messa in parole di una pratica politica, «una narrazione libera di donne che vogliono raccontare la loro storia», quella vissuta fra il 1966 e il 1986 a Milano e non solo. E questo vale altresì per l’impresa di Diotima, la comunità filosofica femminile nata tra il 1984 e il 1985 all’Università di Verona, e per il primo testo di Diotima, Il pensiero della differenza sessuale (La Tartaruga, 1987) come per quelli successivi. E ovviamente in Esserci davvero non può mancare il riferimento all’apporto fondamentale dato da Luisa Muraro fin dal primo numero, del giugno 1991, a Via Dogana, la rivista della Libreria delle donne di Milano che era stata inaugurata nel lontano 1975 e di cui ricorre quest’anno il cinquantenario. Una rivista di politica delle donne, vale a dire una politica che non mira alla spartizione del potere, perché quando è in gioco la libertà femminile il cambiamento «si sviluppa con la presa di coscienza e questa ha la stessa natura del fuoco, si accende, si alimenta e non diventa possesso» – come si legge sul sito https://www.libreriadelledonne.it/categorie_pubblicazioni/viadogana/. A proposito del libro coevo alla pubblicazione del primo numero di Via Dogana, L’ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, 1991), che segna un taglio nella storia del pensiero, Luisa Muraro ne espone la genesi e riconosce che pur essendo autentico è per lei un libro oscuro: «l’ho scritto in condizioni che me lo rendono non uno specchio per me, e d’altra parte io sono una che non si specchia volentieri. Però le altre donne, non tutte, ma molte altre donne si sono specchiate nel libro e me lo hanno detto, diventando loro lo specchio per me. E allora ho capito. Più che nei miei prodotti io confido nelle lettrici. […] i lettori, le lettrici sono fondamentali per l’esistenza di un’opera – questo viene sempre più riconosciuto – ma possono essere fondamentali anche per la sopravvivenza degli autori». L’ultima tappa di questa conversazione così variegata e piroettante che è Esserci davvero riguarda la decisione di Luisa Muraro di dedicarsi allo studio di Margherita Porete (si veda Lingua materna scienza divina. La filosofia mistica di Margherita Porete, D’Auria M. 1995) e la sua dedizione alla scrittura mistica di donne. Sono pagine nelle quali si percepisce l’intensità del fervore che connota la scoperta della «libertà delle donne [che] diventa proprio un’apertura d’infinito», la scoperta di una teologia in lingua materna – e il pensiero corre a Le amiche di Dio. Scritti di mistica femminile (D’Auria M. 2001) e soprattutto a Il Dio delle donne (Mondadori 2003). La più bella intuizione che grazie a questo suo attraversamento delle mistiche mi/ci viene donata è che «tutto è storia ma la storia non è tutto. C’è qualcosa che eccede e questo qualcosa è vuoto, non è nominabile, non è dicibile, è un niente, è un niente che però io considero un passaggio all’essere». C’è altro, sostiene Muraro, ovvero c’è «il senso della incompiutezza di ogni impresa umana. Non è che vada sanata con la dimensione religiosa che per noi è perduta, ma la consapevolezza del c’è altro, il senso della incompiutezza e della fragilità, va salvaguardato, e senza cadere nel nichilismo e nella disperazione: come nella mistica, è nell’attesa che questo altro venga a noi». Si tratta di disfare la maglia di questo mondo per fare posto ad altro: «Altro, che cosa?». Luisa Muraro ha cercato la risposta nei testi delle scrittrici beghine e delle poetesse preferite e ha trovato, «come risposta, che questo “altro” è l’impossibile: la teologia in lingua materna insegna in pratica (e, entro certi limiti, anche in teoria) a stare al mondo con la certezza che in esso ha luogo, o può trovarlo, anche l’impossibile» (Il Dio delle donne, 2003, p. 84). In tempi di apparente agonia dell’umano imposta dai potenti di turno il tesoro di Luisa Muraro si racchiude in definitiva nella potenza del c’è altro, che tradotto nella nostra quotidianità consiste per l’appunto nella salvaguardia della fragilità e dell’incompiutezza e prepara ogni singolo/a a un altro ordine di rapporti ora, qui, su questa Terra.       Redazione Palermo
Siracusa: vietato un breve testo che parlava di pace
L’altro ieri sera si è svolta a Palazzo Vermexio la presentazione del libro La Giudecca del ‘400 di Amalia Daniele Di Bagni.  L’evento, che si poneva come momento culturale sulle orme di un pezzo di storia importante della nostra città, è stato presentato e moderato da tre appartenenti all’UCEI (Unione Comunità Ebraiche Italiane) e precisamente dalla presidente Noemi Di Segni, dal vicepresidente Giulio Di Segni e dal delegato della sezione di Catania e componente della comunità ebraica di Napoli Moshe Ben Simon. Alcune donne del gruppo UDI di Siracusa, vista l’occasione di incontrare persone così autorevoli della comunità ebraica, hanno pensato che fosse importante partecipare con il proposito di chiedere, alla fine degli interventi, la parola per leggere un breve testo scritto per richiamare l’attenzione sulla necessità e possibilità di una soluzione di pace giusta e rispettosa dell’esistenza dei due popoli e in grado di porre fine alla tragica condizione di Gaza e Cisgiordania, martoriate nei suoi abitanti da morte, fame e malattie. Quando siamo arrivate, insieme ad alcune altre donne che hanno aderito alla nostra proposta, siamo state avvicinate dagli agenti della Digos che gentilmente, ma con nostra sorpresa, ci hanno chiesto di guardare nelle borse e di conoscere il motivo della nostra partecipazione e anche di visionare il testo che intendevamo leggere. Solo con il nostro piccolo gruppo hanno mostrato tanta attenzione e abbiano avuto la chiara impressione che sapessero già di noi e del nostro testo prima ancora di farci domande. Ci ha lasciate stupefatte l’ingente schieramento di forze dell’ordine, del tutto anomalo per un incontro culturale come è o dovrebbe essere la presentazione di un libro sulla storia di un quartiere siracusano. All’inizio della presentazione la presidente Di Segni ha esordito con un discorso in cui avevano un posto centrale parole come memoria, libertà di culto, nonché la vergogna di identità cancellate. O ancora “cosa rimane di una comunità quando viene espulsa?” e, passando poi dalla storia al contemporaneo, ha lamentato i tanti attacchi antisemiti verbali e non verbali, sino alla targa imbrattata qualche giorno fa all’esterno della sinagoga Beth Michael di Roma. Abbiamo ascoltato con stupore le argomentazioni accorate che abbiamo sentito disumanizzanti e senza alcuna misura al confronto con quanto è avvenuto e continua ancora ad avvenire in Palestina.  Abbiamo aspettato la fine di tutti gli interventi per chiedere la parola confidando di poterla avere visto che in apertura era stato detto che mancando uno dei relatori ci sarebbe stato più spazio per le interlocuzioni. La reazione è stata scomposta. Ci è stata negata con durezza ogni possibilità di intervento. Una netta determinazione a negare il diritto alla parola che è dovuto in un consesso democratico, senza rispetto né per le persone né per l’istituzione pubblica che le ospitava. Riteniamo questo episodio profondamente grave perché si è evitato per l’ennesima volta il confronto grazie al potere e alla forza, nonostante ci fosse da fronteggiare solo un piccolo gruppo di donne e un breve testo che parla di pace e di responsabilità reciproche. Ecco il testo che avremmo voluto leggere: > In occasione della presentazione di questo libro che riguarda la nostra città, > alla presenza di tante personalità della cultura e delle istituzioni, come > gruppo UDI di Siracusa vogliamo confermare la scelta (espressa da una gran > parte della cittadinanza, dalle associazioni e > organizzazioni operanti sul territorio e anche dalle più alte cariche del > governo della città) di sostenere le ragioni della pace e della legalità > internazionale. > > Invitiamo i presenti e in particolare i due autorevoli rappresentanti della > comunità ebraica a riflettere ancora sulla necessità di promuovere la pace > come orizzonte trasformativo della realtà, basato sulla giustizia e sul > riconoscimento delle responsabilità, proprie oltre che altrui. > Ci riferiamo in particolar modo al lungo e sanguinoso conflitto in Medio > Oriente, in particolare a Gaza rasa al suolo, alla Cisgiordania sempre più > occupata. È un conflitto che ha portato al genocidio della popolazione civile, > disumanizzata e già stremata da fame, sete, mancanza di medicine, sfollamento, > distruzione delle infrastrutture civili. > > Confidiamo che chi governa la città sia in accordo su questi fatti e sulla > necessità di giustizia, visto che al balcone principale di questo palazzo è > stata a lungo appesa la bandiera palestinese. Alcune donne dell’UDI Siracusa Redazione Sicilia
Rosi, il tazebao, la libertà e la pace
In occasione della presentazione a Palermo della “Carta dell’impegno per un mondo disarmato”, elaborata dalla rete “10,100,1000 piazze di donne per la pace”, il 2 dicembre 2025, Sandra Rizza ha proposto questo Breve ricordo di Rosi Castellese che desideriamo condividere Vi ringrazio per avermi dato l’opportunità, oggi, mentre lanciamo la Carta dell’impegno per un mondo disarmato, di ricordare la testimonianza politica e civile della nostra compagna Rosi Castellese, che ha combattuto tutta la vita per la libertà e per le libertà, precondizione essenziale per costruire un mondo di pace. Forse vi chiederete: ma che c’entra Rosi con la pace internazionale? Che c’entra la militanza di una femminista, attivista storica del movimento LGBTQ+ , che si è sempre battuta per i diritti civili/umani, con i negoziati di pace, con la diplomazia per un mondo disarmato, con il movimento per la pace? C’entra, eccome. Perché la pace, secondo me, non è solo un’idea o un’utopia irrealizzabile: è un impegno quotidiano, che deve partire da ciascuno e ciascuna di noi, nelle nostre comunità, nelle nostre scelte quotidiane, nei percorsi individuali e collettivi delle nostre vite. Per questo, forse, oggi, nel secondo anniversario della scomparsa di Rosi, è importante ricordare come la sua militanza e la sua continua lotta contro tutte le forme di oppressione e di violenza siano interconnesse intimamente, ma soprattutto politicamente, con l’impegno per un mondo disarmato. L’intera vita di Rosi e tutto il suo attivismo politico incarnano infatti i principi fondamentali di una pace intesa non solo come assenza di guerra, ma come giustizia sociale e rispetto per i diritti umani. Vogliamo vedere come? La pace è innanzitutto ascolto, dialogo, riconoscimento: e la lotta del movimento LGBTQ+ è, in essenza, una lotta per il diritto di esistere, di amare e di essere se stessi in pace, senza paura, discriminazione o violenza. Rosi si è battuta affinché Palermo, e la società in generale, fossero un luogo più accogliente per tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. La pace è il superamento dell’odio. E l’omofobia e la transfobia sono forme di violenza e odio. L’attivismo di Rosi è stato un baluardo contro tutte le forme di sopruso e coercizione, promuovendo una cultura del rispetto che è l’antidoto naturale alla violenza e al conflitto. La pace, ancora, è costruire ponti, non muri: e Rosi ha lavorato per creare comunità e solidarietà, costruendo ponti tra le persone, facendosi in quattro per tessere reti tra compagni e compagne, per fabbricare relazioni politiche e civili tra uomini e donne desiderosi di costruire un mondo più giusto. L’impegno per la pace e per un mondo disarmato ha lo stesso obiettivo: superare le divisioni, i confini e i muri ideologici che portano al conflitto, in favore della cooperazione e della comprensione reciproca. Poi c’è il coraggio della testimonianza: vivere apertamente la propria identità, come ha fatto Rosi in tempi e contesti a volte difficili, richiede coraggio. Questo coraggio è lo stesso che serve per opporsi alla guerra e promuovere il dialogo in tempi di tensione. Ecco perché la storia di Rosi, a due anni dalla sua scomparsa, ci ricorda che la pace non si costruisce solo nei palazzi del potere o nelle conferenze internazionali, ma nelle piazze delle nostre città, nelle nostre relazioni quotidiane e nel nostro impegno a lottare per un mondo in cui la dignità di ogni persona sia sacra e inalienabile. Ecco perchè la immagino qui, Rosi, oggi, in prima fila insieme a noi: con la sua forza e la sua determinazione gentile, con i suoi ricci pazzi e i suoi occhioni azzurri, e la sua ferrea volontà di credere in un futuro migliore. La immagino qui a darci fiducia e speranza. Come chi sa, nel profondo del suo cuore, che non c’è Golia che possa resistere alla fionda tenace, persistente e inesorabile di Davide. E che nonostante l’America di Trump, gli appelli guerrafondai di Kaja Kallas e dei cosiddetti Volenterosi, le bugie di Meloni e Tajani, la corsa al riarmo e tutta la propaganda bellicista che pervade il discorso pubblico, ci sarà sempre una Rosi, da qualche parte nel mondo, con la sua febbrile determinazione, a rimboccarsi le maniche per inventare uno slogan, accendere un megafono o disegnare un tazebao, inseguendo l’utopia possibile di un mondo senza guerre, bombe e genocidi.   Redazione Palermo
Tessere la pace, custodire il futuro: presentata a Palermo la Carta dell’impegno per un mondo disarmato
È stata presentata martedì 2 dicembre, nei locali dell’Istituto Gramsci di Palermo, la Carta dell’impegno per un mondo disarmato, pensata ed elaborata da una comunità di donne che, già attive in diverse regioni d’Italia in presidi e iniziative per la pace, il disarmo, la giustizia sociale e ambientale, si sono riunite in 10, 100, 1000 piazze di donne per la pace. L’incontro è stato organizzato dalle Donne per la pace di Palermo, ormai da tre anni in piazza contro tutte le guerre con lo slogan “Fuori la guerra dalla storia”, e dalla Biblioteca delle donne di Palermo. Il sottotitolo, Tessere la pace, custodire il futuro, esplicita immediatamente gli intenti e la proposta, che, partita dal mondo dell’impegno al femminile con tutte le sue differenze e contraddizioni, si offre all’umanità tutta per un approccio alternativo a quello della narrazione patriarcale della storia fatta di conflitti armati e ricorso alla violenza e alla sopraffazione. Il ricco dialogo tra tutti e tutte le intervenute si apre con la lettura, fatta da Danila Giardina, di un contributo di Sandra Rizza nel ricordo di Rosi Castellese e della sua testimonianza politica e civile di donna per la pace in un percorso individuale e collettivo che ha tenuto insieme, tessuto appunto, le lotte per i diritti di tutte e tutti con quelle per la giustizia sociale. Interconnessione evidente sin dal suo impegno nella lotta LGTBQ plus per il superamento dell’odio dell’omofobia e della transfobia, da costruttrice di ponti fra le persone nelle relazioni politiche e civili con lo stesso coraggio necessario per opporsi alla guerra, convinta che la pace non si costruisce solo nelle conferenze internazionali ma nelle strade delle nostre città. Che ci sia sempre una Rosi nel mondo così infestato da guerrafondai, è l’augurio che tutti e tutte qui riunite facciamo a noi stesse e al mondo. E di prospettiva femminista, come recita il primo punto della Carta, parla Mariella Pasinati, nell’introdurre gli interventi degli e delle ospiti che hanno risposto all’invito. Così le donne, nella consapevolezza dell’ormai pervasività della guerra e del suo linguaggio bellicista nell’orizzonte quotidiano, possono e devono recuperare il valore della loro estraneità alla guerra, con riferimento al pensiero di Virginia Woolf, e pensare la pace, non solo come assenza di guerra ma come un modo di stare al mondo, come pratica incarnata, non per essere incluse nella storia degli uomini ma per trasformarla. L’impegno nelle piazze, coinvolgendo scuola ed università e attraversando i quartieri, punta a disarmare le città, invitando i comuni a non ospitare eventi e installazioni e a non stringere accordi riferiti alla guerra. Piuttosto si proporranno iniziative che rendano visibile la scelta delle città per la pace come la tessitura, non solo simbolica e virtuale, di un tappeto che raccolga la parola pace più e più volte ripetuta, scritta, dipinta, ricamata. E all’arte del cucito, pratica tradizionalmente assegnata alle donne, fa riferimento anche Alessandra Sciurba, nell’osservare come il documento, che è manifestamente femminile nell’essere essenziale e centrato, tiene insieme diversi contesti facendo una vera e propria opera di cucitura.  Evidente è anche lo stretto legame tra patriarcato e guerra, sessismo e razzismo. Nel ricordarci che la violenza sulle donne è trasversale a tutte le culture, Sciurba critica il femonazionalismo, concetto coniato da Sara Farris e purtroppo assecondato anche da alcune femministe, per cui “l’uso contemporaneo del femminismo e dell’uguaglianza di genere” diventa copertura ideologica di politiche razziste stigmatizzando categorie umane in base all’appartenenza etnica e o religiosa, al colore della pelle, ecc… Sembra essersi perduto il pudore degli anni passati e oggi si fanno esplicitamente discorsi brutali a favore della guerra e contro le donne, nel tentativo di cancellarne sguardo e forza di pace, per imporre logiche bellicistiche. Le donne, con le loro lotte, si pensi a quelle delle nere americane, hanno imposto di declinare in soggetti incarnati diritti nati vuoti per un soggetto maschio, bianco, adulto, di chiara matrice coloniale, diritti che, per quanto imperfetti, sembrano scomparire oggi dalla retorica del potere. Con la criminalizzazione dei migranti, e il loro abbandono in mare, sperimentati a lungo nel Mediterraneo, si è testato il livello di sopportazione dell’opinione pubblica per arrivare al genocidio in diretta. In nome della sicurezza si sdogana la necessità della guerra in un paradigma tutto maschile che estromette dalla storia le donne e il loro modello alternativo di società basato sulla loro storica estraneità alla guerra e sulla decostruzione dell’idea di sicurezza. Basti pensare che sicurezza, dal latino, significa senza cura! Non è un caso che siano simili le parole di una donna, la filosofa Luisa Muraro, e di un migrante vittima della criminalizzazione, Alaa Faraj, e che il loro significato sia la sintesi della proposta di impegno della Carta: rispondere senza aggredire, difendere senza offendere, esporsi disarmato. Quando è il turno di Annibale Raineri la sala viene sorpresa dalla ripetizione della parola “grazie”. Perché è con un ringraziamento alle donne, la mamma, le sorelle e infine le donne per la pace, che inizia, con il suo corpo e la sua esperienza di uomo, il suo intervento. È la gratitudine, dice, la prima postura per uscire dal paradigma della guerra e imparare un sentimento del corpo che apre l’anima all’altro. Ci tiene ad affermarla la necessità del sentire ed è ai maschi che rivolge la sua esortazione a rompere l’ordine vigente, a imparare a sentire, cambiare vocabolario, cancellando, accogliendo, risignificando le parole. La nonviolenza non è solo una scelta morale o un posizionamento etico, ma la consapevolezza storica dell’essere l’unica via di salvezza da un precipitare mortifero. Spiega la scelta delle parole, con pacato convincimento. Mortifero perché l’evidenza della cancellazione di tante forme di vita per gli interessi del sistema capitalistico e la presenza sempre più pervasiva della guerra fanno intravedere un’ombra apocalittica. È evidente il connubio crisi di civiltà-guerra e sul paradigma della coppia amico-nemico si sono costruite le società patriarcali dove il padre è il signore della morte. Allora bisogna, tornando all’etimo greco della parola apokalypsis, che significa rivelazione di una nuova vita, imparare da ciò che le donne hanno fatto per millenni in una storia parallela. L’impegno assunto nell’Arca, di cui fa parte, a fare comunità, richiama quello della Carta femminista per un mondo disarmato, per offrirci tutte e tutti disarmati e nudi di fronte al mondo che ci interpella. Anche Manuela Patti vuole ricordare Rosi e, rischiando di andare contro corrente e sembrare in contraddizione con quanto finora detto, rivendica per lei l’appellativo di guerriera, con riferimento a quanto Audre Lorde, attivista americana nera, lesbica e poeta, diceva di sé. La guerra è per i soldati, le guerriere fanno lotte e battaglie, e chiama a supporto Carla Lonzi che già negli anni Sessanta sottolineava come alla guerra si associasse la figura di maschio virile. Il femminismo dell’uguaglianza, equiparando le donne al maschio, nell’inclusione di un mondo non pensato, ha fatto perdere autorevolezza alle donne, costrette così ad “emanciparsi dall’emancipazione”. Sempre Carla Lonzi aveva già visto il pericolo che l’identificazione della donna con l’uomo eliminasse l’opportunità di un’altra via. Si interroga, poi, sulla mancanza di riflessione, nel femminismo, intorno alla violenza e se piuttosto non si debba parlare di violenze, facendo distinzione tra quella istituzionale e quella dei singoli. Entra subito in argomento Andrea Cozzo che, nel riconoscere come il mondo sia sempre più “maschilizzato” anche nella scelta di donne che assumono caratteristiche più maschili dei maschi, ritorna alla tessitura della pace come dote, capacità, virtù antica attribuita alle donne e usata anche metaforicamente. Così Lisistrata, nell’omonima commedia greca, alla domanda su come le donne intendano prevenire la guerra risponde  che possono districarla come una matassa. E le fa eco, più avanti, Virginia Woolf, rispondendo all’odio con la diserzione, richiamata al punto due della Carta. Questa impone di stare con tutte le vittime della guerra, senza distinzione di parte, non solo tra i civili ma anche tra gli aguzzini, uscendo dall’unico orizzonte culturale, esclusivamente maschile, a cui si è abituati e che ha sempre escluso la donna con la sua visione alternativa della storia. È la cultura femminile che deve resistere, cultura propria della nonviolenza. Lo stesso Ghandi, noto come “bapu”, padre, si comportava come una madre e dovremmo chiamare il sociologo Galtung madre, e non padre, della nonviolenza. Per questo le donne dovrebbero essere almeno il 50% delle forze disarmate di interposizione nei processi di pace dei conflitti armati. I numerosi interventi susseguitisi hanno ribadito e arricchito quanto emerso nel confronto con il riferimento alle donne pacifiste della storia e alle loro pratiche, come Rosa Parks e Maria Occhipinti, ricordate da Enzo Sanfilippo, che propone di aggiungere nel documento, accanto al richiamo alla diserzione come estraniamento e fuga dal sistema, anche quello all’obiezione di coscienza come offerta di alternativa. Ricorda l’iter della legge italiana che, per la prima volta nel mondo, cita la difesa nonviolenta e  afferma la possibilità di servirsene per la tutela della patria con il servizio civile, senza però prevedere un addestramento specifico alternativo a quello del servizio militare. Tra le cose che si possono fare oggi c’è l’opportunità di coinvolgere i giovani diciassettenni, inseriti ancora nelle liste di leva di ogni comune, per informarli della possibilità di dichiararsi, nell’eventualità di un ritorno all’obbligatorietà, obiettori di coscienza, e la stessa cosa possono fare anche tutti i richiamabili. Sulle pratiche pone ancora l’attenzione Mimma Grillo che si augura di poter aumentare il numero delle persone contrarie alla guerra per chiedere alle Istituzioni in modo più incisivo di rispettare i principi costituzionali. Da più parti, insieme alla gratitudine per la Carta, si auspica la possibilità di diffonderla nelle scuole e nelle università per coinvolgere ragazzi e ragazze e di farne strumento di tessitura di pace tra tutte le molteplici realtà che per la pace e il disarmo si attivano nei territori.     Maria La Bianca
“Numeri che gridano: la realtà della violenza di genere in Italia” il 4 dicembre al Centro Pace di Forlì
Giovedì 4 dicembre 2025 si svolgerà presso il Centro Pace di Forlì la serata “Numeri che gridano: la realtà della violenza di genere in Italia”, dove verrà presentato da Chiara Tamarro (Centro Pace) il progetto “InclusiVoice”, finanziato dal Programma Erasmus+. Si tratta di un’iniziativa collaborativa volta a fornire ai/alle giovani gli strumenti per sviluppare competenze di advocacy nonviolenta e a sensibilizzare sul tema della parità di genere, con un’attenzione specifica al fenomeno del femminicidio.  Il progetto, intitolato “InclusiVoice”, si svolge dal 1° maggio 2025 al 31 ottobre 2026, e coinvolge tre partner principali: l’Associazione Centro per la Pace Forlì (Italia), l’EuroMed Feminist Initiative (Francia) e il Women’s NGOs Cooperation Network of Latvia (Lettonia).  Durante l’incontro inoltre, Alessia Prenjasi e Valentina Vannini presenteranno il report “Feminicides in Italy: A Critical Investigation Based on Data and Dynamics Analysis”.  Questo incontro fa parte della serie di eventi organizzati in occasione della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.    Raffaele Barbiero, per il Centro Pace di Forlì Redazione Romagna
Roma, Tor Tre Teste: basta strumentalizzazioni e campagne d’odio sul corpo delle donne
Il comitato provinciale dell’ANPI di Roma e la sezione “Giordano Sangalli” di Centocelle, quartiere Medaglia d’Oro al Merito Civile per il suo ruolo nella Resistenza antifascista durante l’occupazione nazista di Roma, esprimono la più totale vicinanza e solidarietà alla ragazza vittima di gravissima violenza sessuale il 25 ottobre scorso nel parco di Tor Tre Teste da parte di un gruppo di uomini, alcuni dei quali arrestati dalle forze dell’ordine in questi giorni. Denunciano altresì la strumentalizzazione del fatto da parte di elementi neofascisti, i quali, pescando nel torbido ne approfittano per straparlare di reimmigrazione e di ronde. Trattasi di mero sciacallaggio sulla pelle delle donne. Le stesse forze di governo che in queste ore parlano di castrazione chimica, oltre a rimandare a data da destinarsi l’introduzione a livello giuridico del “consenso libero e attuale” nella normativa sulla violenza sulle donne, combattono l’introduzione di una vera educazione sessuo-affettiva nelle scuole, come richiesto a gran voce dalle studentesse e dagli studenti, dalle associazioni e dai movimenti transfemministi. La stragrande maggioranza delle violenze sulle donne avviene nell’ambito domestico, familiare e “affettivo”, è un problema da affrontare immediatamente, a partire da un lavoro quotidiano di prevenzione nelle scuole e nei territori. Secondo gli ultimi dati Istat una donna su tre ha subito violenza da parte di un uomo nella sua vita, e si contano 91 femminicidi in Italia solo nel 2025 (osservatorio nazionale NUDM). Una violenza patriarcale che è trasversale alla provenienza geografica e sociale, alle età e ai territori. Basta strumentalizzazioni e campagne d’odio sul corpo delle donne. Quanto ai fascisti che vorrebbero infestare i nostri quartieri chiediamo l’applicazione delle leggi della Repubblica democratica antifascista, nata dalla Resistenza vittoriosa e dalla Guerra di Liberazione dall’ignominia nazifascista. Nessuno spazio va concesso a chi semina odio, razzismo, sessismo.   Il comitato provinciale dell’ANPI di Roma La sezione ANPI “Giordano Sangalli” Redazione Italia
25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Milano non manca all’appello
Milano non resta a guardare. Il 25 novembre da Porta Venezia fino alla fermata della metro di Lodi, migliaia di persone hanno riempito le strade rispondendo all’appello di Non Una di Meno, trasformando la giornata contro la violenza sulle donne in una potente mobilitazione. Tra cartelli e tamburi, risuonavano slogan come: “La notte ci piace, lasciateci uscire in pace. Ci piace pure il giorno, levatevi di torno” e l’ormai celebre “Non una, Non una, Non una di Meno “, che hanno ribadito un messaggio semplice e urgente: la libertà e la sicurezza non devono essere negoziabili, né di notte né di giorno. La manifestazione ha attraversato le vie milanesi con energia, portando al centro del dibattito i dati sempre più allarmanti: secondo le rilevazioni più recenti, nel 2025 in Italia sono già state uccise oltre ottanta donne, nella maggior parte dei casi da partner o ex partner. Un numero che dimostra come la violenza di genere continui a rappresentare un’emergenza strutturale e sistemica. Accanto alle rivendicazioni contro la violenza maschile sulle donne, erano presenti anche numerosi slogan e cartelli a sostegno della Palestina, richiamando la dimensione intersezionale della lotta. Molte manifestanti hanno ribadito che non può esserci liberazione per alcune senza giustizia per tutte, collegando battaglie diverse ma unite dalla stessa richiesta di diritti, autodeterminazione e fine delle oppressioni. Molti interventi hanno sottolineato anche la necessità di un riconoscimento giuridico più chiaro e incisivo: in Italia, infatti, il femminicidio non costituisce ancora un reato autonomo, ma viene inquadrato all’interno dell’omicidio aggravato. Da qui la richiesta di misure più efficaci, sia sul piano legislativo sia nel sostegno concreto ai centri antiviolenza. Rivendicazioni che, almeno in parte, sembrano aver trovato ascolto. Il 25 novembre, proprio in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità un disegno di legge volto a introdurre nel Codice penale il reato di femminicidio, tipizzando in maniera autonoma l’omicidio di una donna in quanto tale e prevedendo un aggravamento specifico delle pene. Il disegno di legge non è ancora stato approvato in via definitiva, ma rappresenta un importante passo verso il riconoscimento di una fattispecie di reato spesso rimasta invisibile agli occhi della giustizia.   Giulia Camuffo
Una donna emancipata assassinata a Tripoli e le notizie da Gaza, Cisgiordiania e Libano
Rassegna delle informazioni oggi raccolte e divulgate su Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo. Un crimine contro una donna moderna e indipendente, assassinata in pieno giorno a Tripoli: la 34enne Khansaa Al-Mujahid era una blogger molto apprezzata che molto probabilmente è stata uccisa per il fatto di essere la moglie di un politico di Zawia, Muadh al-Manfukh. La campagna promossa da AssoPace Palestina per salvare Marwan Barghouti, “il Mandela palestinese”, da 23 anni imprigionato nelle carceri israeliane, verrà lanciata il prossimo 28 novembre, alla vigilia della Giornata Internazionale di solidarietà con il popolo palestinese indetta dall’ONU. Oggi  presso la Corte di cassazione palestinese si apre il procedimento nei confronti di Hisham Harb, il colonnello in pensione della polizia palestinese arrestato a Ramallah, il 15 settembre scorso, pochi giorni prima del riconoscimento dello Stato palestinese da parte della Francia, che ne chiede l’estradizione perché accusato di aver compiuto l’attacco contro un ristorante ebraico a Parigi nell’agosto 1982. Situazione umanitaria a Gaza – Piogge e maree hanno reso la vita un inferno alle famiglie palestinesi accampate nella spiaggia di Khan Younis, Al-Mawassi. Centinaia di tende sono crollate sulla testa degli abitanti nella notte, mentre dormivano. Per l’ennesima volta, le famiglie colpite hanno perso tutto. Volontari e protezione civile hanno lavorato tutta la notte a salvare le persone in difficoltà, soprattutto bambini e anziani. Genocidio a Gaza – L’aggressione israeliana su Gaza non è cessata neanche un giorno. Bombardamenti continui su Khan Younis e Gaza città. Artiglieria, elicotteri e droni hanno compiuto attacchi con missili. I cecchini completano il lavoro con la mira agli sfollati che si avvicinano alle postazioni dell’esercito. Due ragazzi minorenni sono stati assassinati ieri mentre cercavano legna ad est di Gaza città. L’esercito israeliano ha esteso la cosiddetta linea gialla, che segna, sulle carte i limiti del ritiro, rioccupando vaste zone soprattutto nei pressi dei ruderi dei “centri urbani”. Secondo i rapporti giornalistici, sono stati uccisi ieri 23 civili e altri 87 sono rimasti feriti. Le squadre della protezione civile hanno estratto 8 persone uccise da un bombardamento israeliano nei giorni precedenti. Le vittime sono i componenti della stessa famiglia. La loro casa di tre piani era stata presa di mira da un drone con un missile che l’ha distrutta completamente. Le vittime sono 6 bambini e 2 donne. Cisgiordania – Scontri ieri a Nablus tra militanti palestinesi e truppe speciali dell’occupazione israeliana. L’esercito ha fatto intervenire l’aeronautica, bombardando una casa con gli elicotteri. È stato ucciso un combattente palestinese e catturati altri due. I rastrellamenti hanno toccato la maggior parte delle città e villaggi palestinesi. Particolarmente violenti sono stati gli attacchi dell’esercito nella provincia di el-Khalil ed a Hawwara (un villaggio a sud di Nablus incendiato dai coloni nel febbraio 2023, prima ancora del 7 ottobre). Stamattina, in un villaggio vicino a Jenin, l’esercito dopo un lungo assedio ha centrato una casa con un razzo anti carro, uccidendo gli abitanti. In due anni, le aggressioni israeliane compiute dall’esercito e dai coloni ebrei hanno causato l’uccisione di 1066 persone e il ferimento di oltre 10 mila. Sono stati arrestati oltre 20 mila palestinesi tra i quali 1600 minorenni. Libano – L’esercito israeliano sta preparando una nuova invasione del sud Libano. I segnali sono evidenti nei preparativi dell’esercito di Tel Aviv e nelle dichiarazioni dei “garanti” della tregua. L’amministrazione Trump ha collaborato all’attacco per l’uccisione del capo militare di Hezbollah, Tabtabayi con un bombardamento sulla capitale libanese Beirut. Il commento del presidente francese è stato molto chiaro: non una condanna dell’aggressione israeliana, ma un incitamento a colpire Hezbollah. Il presidente del parlamento libanese ha fotografato i contatti diplomatici tra il vertice libanese e i due paesi garanti della tregua, USA e Francia: “Non ci sono garanzie per la fine degli attacchi israeliani sulla capitale”. Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo / 25 NOVEMBRE 2025 * Blogger libica assassinata a Tripoli * Campagna internazionale per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi * Il caso Hisham Harb e gli scheletri negli armadi dell’ANP. ANBAMED
Rilevazioni ISTAT 2025: in Italia una donna su tre ha subito violenza
L’indagine sulla violenza contro le donne, denominata “Sicurezza delle donne”, che è armonizzata a livello internazionale e produce dati comparabili a livello europeo, è frutto della collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO) presso la Presidenza del Consiglio (sulla base dell’Accordo Istat – DPO del 2017). Nel 2025 mostra che il numero di vittime di violenza fisica o sessuale nei cinque anni precedenti l’intervista è sostanzialmente stabile rispetto allo stesso dato rilevato nel 2014, ma con importanti aumenti delle violenze subite dalle giovanissime (16-24 anni). Attraverso interviste rivolte a un campione rappresentativo di donne, questo strumento di rilevazione permette di conoscere l’ammontare delle vittime della violenza maschile, includendo anche le esperienze subite e mai denunciate alle autorità, ovvero il sommerso della violenza, nel 2025 ancora elevatissimo. “Si può affermare che la violenza rilevata sia ancora molto sommersa – sottolinea l’ISTAT – Considerando le donne che hanno subito più violenze nella loro vita da parte di qualsiasi autore, il 13,3% (circa 537mila donne) ha denunciato almeno una delle violenze fisiche o sessuali che ha subìto. I livelli di denuncia sono molto bassi soprattutto per le violenze fisiche o sessuali perpetrate dal partner attuale (circa 9.800 vittime, il 3,8% di quelle con partner attuale), mentre sono le violenze da ex partner ad essere maggiormente denunciate (circa 286mila, pari al 19,1% delle vittime di queste violenze), così come gli stupri, le forme più gravi della violenza sessuale”. Le donne italiane dai 16 ai 75 anni di età che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita (a partire dai 16 anni di età) sono circa 6 milioni e 400mila (il 31,9%). Il 18,8% ha subìto violenze fisiche e il 23,4% violenze sessuali; tra queste ultime, a subire stupri o tentati stupri sono il 5,7% delle donne. Il 26,5% delle donne ha subito violenza fisica o sessuale da parenti, amici, colleghi, conoscenti o sconosciuti. Considerando le donne che hanno un partner o lo hanno avuto in passato, sono il 12,6% le donne vittime di violenza fisica o sessuale nell’ambito della coppia. Dai partner si subisce anche violenza psicologica (17,9%) e violenza economica (6,6%). Il quadro fornito dai risultati dell’indagine evidenzia una maggiore consapevolezza dei rischi da parte delle donne; si registra, infatti, una diminuzione delle esperienze di violenza subite dal partner attuale, sia di natura fisica e sessuale sia psicologica ed economica. Una maggiore consapevolezza si manifesta anche nell’aumento delle vittime che considerano un reato quanto hanno subito e di quelle che ricercano aiuto presso i Centri antiviolenza e i servizi specializzati, soprattutto per le violenze subite da parte dei partner. Rimangono stabili invece i comportamenti di denuncia (10,5% le vittime che hanno denunciato la violenza subita da parte dei partner o ex partner negli ultimi cinque anni), diminuiscono le violenze che hanno comportato delle ferite e per cui si teme per l’incolumità della propria vita. Le donne più a rischio sono le giovanissime e le donne con problemi di salute. Considerando la diffusione delle violenze fisiche e sessuali negli ultimi cinque anni, le donne nubili sono le più esposte al rischio di subire violenza: sono circa il doppio le nubili che subiscono la violenza sia dai partner (7,9% rispetto al 3,9% del valore medio, calcolato sulle donne con partner attuale o precedente) sia dai non partner (19,1% contro 8,7%). Seguono le donne separate o divorziate (10,3%) che, sebbene presentino tassi minori rispetto al 2014, subiscono livelli più elevati di violenze da parte dei partner (5,7%, a fronte di una media del 3,9%). Al contrario subiscono meno violenze da uomini non partner (5,6% contro 8,7% della media), confermando la maggiore esposizione alla violenza all’interno della relazione di coppia. Percentuali più alte della media si riscontrano per le studentesse (36,2%) e le donne più giovani di 16-24 anni (37,6%) e 25-34 anni. Lo stesso avviene anche per le laureate (13,9%) e le diplomate (12,2%). Le donne che hanno dei problemi fisici (riferiscono di stare male o molto male, hanno limitazioni dell’autonomia personale o hanno malattie croniche) sono pari a 6milioni 500mila (il 32,5% delle donne di 16-70 anni). Il 36,1% dichiara di avere subito violenze fisiche o sessuali (circa 2milioni 350mila), con una percentuale più elevata rispetto al valore medio (31,9%). La violenza fisica o sessuale è più frequente tra chi dichiara di sentirsi male o molto male (38,8%, 332.783), chi è affetto da malattie croniche (37,1%, 2.109.160) e chi ha limitazioni gravi (39,4%, 230.074). Considerando invece le violenze subite negli ultimi cinque anni, è minore la prevalenza delle donne che hanno problemi di salute e subiscono violenza (9,5%, 540.560 donne, rispetto all’11% del dato medio). Sono circa 60mila le vittime in cattiva salute, circa 39mila hanno limitazioni gravi e circa 479mila segnalano malattie croniche.   ISTAT – Sicurezza delle donne: La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia – Primi risultati anno 2025 Giovanni Caprio
Un uomo su tre giustifica la violenza economica, uno su quattro gli abusi
La violenza contro le donne è l’esito di disuguaglianze strutturali radicate nella vita quotidiana. Attraverso l’analisi di una giornata tipo di ragazze e donne – tra casa, spazi pubblici, trasporti, cultura e digitale – l’ultima ricerca di ActionAid, realizzata con il supporto dell’Osservatorio di Pavia, dal titolo “Perché non accada. La prevenzione primaria come politica di cambiamento strutturale”, fa emergere gli stereotipi e le norme di genere che ne condizionano libertà, sicurezza e opportunità di partecipazione. Per quanto riguarda i carichi di cura, il 74% delle donne si occupa da sola dei lavori domestici, contro il 40% degli uomini, con divari più ampi tra le Boomers (80% vs 27%) e le Gen X (83% vs 34%). Anche nella genitorialità il carico è sbilanciato: il 41% delle madri si occupa da sola dei figli/e, contro appena il 10% dei padri. I Millennials segnano un punto di svolta: il divario di genere si restringe a soli 2,1 punti percentuali, indicando un cambiamento culturale che spinge verso una genitorialità più condivisa ed equilibrata. Il 37% delle donne si prende poi cura da sola dei genitori contro il 33% degli uomini, ma il divario cresce tra le Boomers (40% vs 27%). Solo tra i Millennials emerge una parziale inversione: il 41% degli uomini si occupa dei genitori, contro il 33% delle donne. Il ricorso a figure retribuite è minimo (2%), a conferma del modello di cura mediterraneo, fondato sulla solidarietà familiare come dovere morale e affettivo. Quanto al divario finanziario, che alimenta la violenza economica: il 51% degli uomini gestisce da solo le finanze domestiche, contro il 38% delle donne, con divari più ampi tra i Boomers (52,6% vs 37,1%) e nella Generazione X (57% vs 46%). Nel Centro Italia il divario raggiunge il massimo (60% uomini vs 31% donne), mentre le donne Millennials (30%) mostrano la più alta propensione alla gestione condivisa. Dalla ricerca emerge, inoltre, che il 38% del campione ha avuto paura almeno una volta di viaggiare sui mezzi pubblici, con un forte divario di genere (32% delle donne vs 19% degli uomini). Tra le giovani della Gen Z, quasi due su tre (65,5%) dichiarano timore o evitano i mezzi (vs 33,8% tra le Boomers). La paura cresce nelle aree periferiche e rurali, tra le persone LGBTQ+ (50% donne non etero vs 43% etero; 37,9% uomini non etero vs 30,5% etero) e tra le persone con disabilità (46,2% donne vs 42,6% senza; 42,1% uomini vs 29,6% senza), confermando che la mobilità resta uno spazio attraversato da disuguaglianze e insicurezze. Un quarto del campione (25%) ritiene che una donna sia al sicuro solo se accompagnata, mentre solo il 13% considera i mezzi pubblici sempre sicuri e il 40% lega la sicurezza alla luce del giorno. Tra gli uomini, il 28% condivide l’idea che una donna sia sicura solo se accompagnata (vs 21% delle donne), segno di un atteggiamento ancora paternalistico. La percezione condizionata è altissima tra le giovani generazioni (88,5% Gen Z; 86,9% Millennials) e resta elevata anche tra le Boomers (79,9%). Le differenze territoriali sono minime, con un picco nel Nord-Ovest (89%), confermando che il limite è soprattutto culturale e trasversale tra generi e generazioni. Sono gli uomini a frequentare maggiormente gli spazi pubblici (49% vs 44%). La partecipazione femminile cala con l’età (62% Gen Z -> 30% Boomers) e risente dei carichi di cura, che rendono la mobilità spesso “necessitata”, ovvero legata a esigenze pratiche più che al tempo libero. Tra le donne con disabilità la presenza scende al 37,6% (vs 45,6%).” Maggiore soddisfazione per le donne non etero rispetto alle etero (63,3% vs. 57,6%). La rilevazione di ActionAid fa emergere come le disuguaglianze di genere siano poco affrontate: solo il 50% del campione ritiene che i contenuti culturali stimolino la riflessione sulle disuguaglianze di genere; il 25% non ne percepisce alcun riferimento e il 9% segnala la presenza di stereotipi. Le giovani donne (58,4% vs 52,3% coetanei) risultano le più sensibili al tema, mentre tra le Boomers la quota scende al 42,1%. La percezione che i prodotti culturali non favoriscano uno sguardo critico sulle disuguaglianze cresce tra le donne non eterosessuali (65% vs 49% etero) e tra le persone occupate (58,8% donne; 54% uomini), ma cala tra chi non lavora (41,9% donne; 39,4% uomini). E quasi la metà del campione (47%) si è sentita svalutata nei contenuti culturali (55% donne vs 38% uomini). Tra le giovani donne della Gen Z, la mancata rappresentazione raggiunge il 70,8%, e resta elevata anche tra le Millennials (60,2%). Il senso di esclusione cresce tra le donne non etero (65% vs 49% etero) e tra le lavoratrici (59,4% vs 52% non occupate), mentre tra gli uomini i valori restano molto più bassi (26,3% Boomers). La violenza continua però a non essere vista. Infatti, solo un terzo agisce, mentre oltre la metà non vede la violenza. Solo il 34% del campione ha dichiarato di aver agito di fronte a episodi di violenza, mentre il 57% afferma di non aver mai assistito o saputo di casi simili. La propensione ad agire cresce tra la popolazione giovanile (50% Gen Z; 45% Millennials) e cala con l’avanzare dell’età (29% Gen X; 25% Boomers). Le donne non etero e quelle con disabilità mostrano maggiore consapevolezza (36,7% e 43,6% non hanno mai assistito a episodi, vs 57,3% e 58,3% delle altre). Anche la partecipazione lavorativa aumenta l’attenzione (51,4% lavoratrici vs 60,2% non occupate; 51,9% uomini vs 68,6%), segno che l’esposizione sociale favorisce il riconoscimento della violenza. “Alla luce di questi dati, si legge nel report, la prevenzione primaria deve diventare una responsabilità sistemica e continuativa delle istituzioni, fondata sull’applicazione effettiva del gender mainstreaming. In Italia, il principio è da tempo recepito, ma resta più dichiarato che praticato, con politiche frammentate. I Piani nazionali antiviolenza riconoscono l’importanza di agire sulle cause culturali, ma si limitano a interventi di sensibilizzazione, discontinui e finanziati con risorse inadeguate. Anche la Strategia nazionale per la parità di genere 2021–2026 non presenta un approccio di reale impatto trasformativo. Serve una visione strutturale e intersettoriale, capace di tradurre l’uguaglianza di genere in politiche concrete e durature: la vera rivoluzione culturale necessaria per prevenire la violenza maschile contro le donne in Italia”. Qui per scaricare il Rapporto: https://www.actionaid.it/pubblicazioni/perche-non-accada/.     Giovanni Caprio