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Non distogliamo l’attenzione
Avevamo dato notizia lunedì scorso, nella rubrica Prossimo Futuro, di un presidio indetto dall’assemblea “Palermo solidale con la Palestina – Blocchiamo tutto” per domenica mattina all’ingresso del porto, per contestare l’attracco di una nave da crociera israeliana. La nave non farà più tappa in Sicilia. Possiamo considerarlo un risultato? Un segnale di una nuova attenzione alle proteste in difesa dei diritti umani e contro le guerre? Non sappiamo… Ecco intanto il comunicato degli organizzatori Stop alle collaborazioni con Israele! Fuori i sionisti dalla nostra terra! La nave Crown Iris, crociera israeliana della compagnia Mano Cruise, domani non attraccherà a Palermo. L’itinerario iniziale, che prevedeva le città siciliane di Catania e Palermo, è stato modificato (forse per timore di contestazioni?): l’unica tappa italiana effettuata finora è stata a Brindisi, dove i sionisti scesi dalla nave hanno trovato un presidio di protesta ad accoglierli. A seguito del diffondersi della notizia, i comitati territoriali avevano prontamente annunciato manifestazioni contro il genocidio e a fianco della popolazione palestinese. Adesso possiamo affermarlo con certezza: la Sicilia ha per il momento respinto la nave, ma non cantiamo vittoria! Le complicità militari, istituzionali e commerciali con Israele sono ancora numerose. Per questo è necessario tenere alta l’attenzione e fare quello che i governi occidentali complici non vogliono fare: blocchiamo gli accordi con la macchina del genocidio e con l’economia di guerra! Invitiamo tutte le persone solidali con la Palestina a tenere alta l’attenzione e a monitorare la Crown Iris: Palermo è pronta a scendere in piazza! Oggi pomeriggio alle 17, resta invece confermato il presidio silenzioso di Palermo per la Palestina in via Ruggero Settimo: È questa la pace in Palestina? Dal “cessate il fuoco” dell’11 ottobre a GAZA sono state uccise da Israele almeno 360 persone e oltre 900 ferite. Ancora bombe e uccisioni indiscriminate (bambini in cerca di pane) o mirate (gli ultimi giornalisti). Le testimonianze di medici e operatori umanitari ancora presenti sono racconti dell’orrore: famiglie accampate nel fango in tende inzuppate di pioggia. Cibo, acqua potabile, medicine ancora bloccati oltre frontiera o disponibili solo da acquistare (per chi non ha più nulla!). Ancora FAME, FREDDO, UCCISIONI, MALATTIE non curate. In CISGIORDANIA le aggressioni dei coloni sono sempre più feroci: case demolite, oliveti devastati, arresti indiscriminati, insediamenti in espansione sui terreni palestinesi e per chi si ribella DECINE di MORTI anche qui. Come è possibile che il mondo taccia e faccia finta che la “guerra” sia finita? Che Israele sia ancora considerato un normale “paese democratico” con cui ancora fare affari e riempire di armi (l’Italia tra i 4 maggiori fornitori). Non ci stancheremo di richiamare i diritti del popolo palestinese, oppresso da 80 anni di occupazione sionista e mai rassegnato. Così come di opporci alle folli spese militari in Europa che alimentano e preparano altre guerre. NO al RIARMO! FINE dell’OCCUPAZIONE! FINE del GENOCIDIO! LIBERTÀ e AUTODETERMINAZIONE per il POPOLO PALESTINESE! Presidio Palermo per la Palestina Redazione Palermo
Le nostre lotte valgono più dei vostri profitti
La repressione si abbatte contro il movimento per la Palestina a Catania Piovono a Catania misure cautelari e multe per decine di migliaia di euro nei confronti di attivist3 che hanno partecipato ai blocchi del porto e della stazione durante gli Scioperi Generali del 22 settembre e del 3 ottobre. Migliaia di persone in piazza, equipaggi di terra che hanno accompagnato dall’inizio alla fine la partenza delle navi verso Gaza dai porti siciliani e un corpo collettivo che ha risposto alla chiamata del “blocchiamo tutto”, partita dai portuali di Genova per rifiutare ogni complicità con il genocidio. La Costituzione e il ripudio della guerra ai tempi del genocidio e del riarmo diventano carta straccia; il Diritto internazionale e gli obblighi degli Stati di non concorrere nelle violazioni di diritti umani pure. Il genocidio non deve avere disturbatori: le cose, le merci e l’economia non contano nulla in confronto alle vite umane. Il blocco della produzione e dei transiti, storica pratica di ribellione contro le ingiustizie economico-sociali, diventa una questione di ordine pubblico. La crisi economica morde e il conflitto sociale organizzato va represso sul nascere. Il movimento in solidarietà della Palestina cresce in tutto il mondo e l’unico modo che i Governi hanno per cercare di fermarlo è la sua criminalizzazione. In Italia, come in Germania, in Inghilterra la deriva autoritaria corre alla velocità dei droni che ogni giorno incombono sulle teste di chi subisce l’occupazione coloniale e la distruzione in Palestina e in Cisgiordania. Non a caso sono in discussione disegni di legge che mirano a equiparare antisemitismo e antisionismo con ciò aggiungendo un ulteriore tassello alla deriva repressiva che il nostro Paese sta vivendo. Non è un caso che l’economia di guerra trovi consacrazione nella legge di bilancio. La guerra non è lontana: entra nelle nostre vite, nelle nostre buste paga, nei tagli ai servizi pubblici, nelle infrastrutture a pezzi, nella precarietà, nell’ipoteca del futuro delle giovani generazioni. La Palestina non solo è un laboratorio di colonialismo, violenza, società fondate sull’ipercontrollo tecnologica e lo sfruttamento delle risorse ma anche lo squarcio del velo sulla linea che i Governi non sono disposti a tollerare quando le piazze iniziano a dire “non nel nostro nome”. USB fa della solidarietà una pratica di lotta reale e rigetta al mittente l’antica tecnica del divide et impera che mira a spaccare i movimenti. Per queste ragioni siamo a fianco di tutti i multati e denunciati a Catania, tra cui nostri dirigenti sindacali e attivisti, ai quali abbiamo già offerto piena tutela legale: se toccano uno, toccano tutt3. Non ci faremo intimidire. Dal fiume al mare la solidarietà non la cancellate. Le nostre lotte valgono più dei vostri profitti.   Unione Sindacale di Base
Negato il teatro all’evento “Democrazia in tempo di guerra”, le reazioni
Ferrero (PRC): la prima vittima della guerra è la democrazia! Ma noi non ci arrendiamo e pratichiamo una escalation di democratica. Martedì sit-in di protesta in piazza palazzo di città. “Quello che sta accadendo a Torino da un po’ di tempo a questa parte evidenzia come la prima vittima della guerra siano la verità, la libertà e la democrazia. Com’è noto, il Professor Angelo D’Orsi – in seguito a pressioni politiche –  non aveva potuto tenere la conferenza contro la russofobia al Polo del ‘900 un mese fa e quindi l’iniziativa venne riorganizzata presso il circolo ARCI La poderosa, con una grande partecipazione popolare. Oggi apprendiamo che il Teatro Grande Valdocco, che era stato affittato al Circolo ARCI della Poderosa per tenervi martedi 9 dicembre, una Conferenza dal titolo “Democrazia in tempo di guerra” a cui avrebbero partecipato Alessandro Barbero e Angelo D’Orsi, non è più disponibile. A questo punto è del tutto evidente che la prima vittima della guerra è la democrazia. Ma noi non ci arrendiamo e pratichiamo una escalation democratica. Invitiamo tutti i cittadini e le cittadine a partecipare Martedì prossimo 9 dicembre alle ore 18 al sit in di protesta che si terrà nella piazza Palazzo di città ed a prepararsi a partecipare alla nuova organizzazione del dibattito tra Barbero e D’Orsi, che si terrà in una location ovviamente molto più grande di quella prevista. Perché ai ladri di democrazia rispondiamo allargando la democrazia e la partecipazione popolare.” Redazione Torino
Negato il teatro all’evento “Democrazia in tempo di guerra”, il comunicato di Angelo D’Orsi
A pochi giorni dall’evento “Democrazia in tempo di guerra. Disciplinare la cultura e la scienza, censurare l’informazione”, previsto per il giorno 9 dicembre al Teatro Grande Valdocco di Torino, nel quale il sottoscritto avrebbe dialogato con il collega Alessandro Barbero, con l’adesione di importanti nomi della cultura, della scienza, del giornalismo, della comunicazione (Elena Basile, Alberto Bradanini, Luciano Canfora, Alessandro Di Battista, Donatella Di Cesare, Margherita Furlan, Enzo Iacchetti, Marc Innaro, Roberto Lamacchia, Tomaso Montanari, Piergiorgio Odifreddi, Moni Ovadia, Marco Revelli, Carlo Rovelli, Vauro Senesi, Marco Travaglio), ci viene comunicato questa mattina dalla proprietà del teatro, col quale si era giunti alla firma di un regolare contratto dopo una lunga gestazione, che lo spazio non ci verrà concesso. Al di là delle motivazioni pretestuose e della rottura unilaterale di un regolare contratto – per cui abbiamo già allertato il nostro team legale per avviare azione di richiesta risarcitoria dei danni che questo comportamento ci procura – non possiamo non rilevare che il fatto conferma perfettamente le nostre preoccupazioni sulla limitazione degli spazi di libertà nel Paese e in generale l’inquietante deriva politica e culturale di una democrazia ormai palesemente illiberale, a dispetto della facciata. Di questo avremmo voluto parlare nel corso della serata. Intanto mentre a nome dei soggetti organizzatori, che hanno lavorato per settimane per preparare l’evento, esprimo rammarico a chi aveva prenotato i posti, e a quanti, colleghi e amici che avevano data la loro disponibilità, a partecipare (a cominciare dal prof. Barbero), chiedo a quanti mi sono stati vicini in questo mese di “passione”, a quanti hanno a cuore i principi della legalità democratica sancita dalla nostra Costituzione, a quanti anelano soltanto ad essere correttamente informati, per poter assumere una posizione in merito alle gravissime problematiche del nostro tempo, di sostenermi in questo nuovo capitolo di lotta. Ancora una volta non si tratta solo di Angelo d’Orsi, ma di coloro che, esponendosi in prima persona, mirano semplicemente a esprimere il loro pensiero anche quando esso non sia “in linea” con quello dei poteri forti, palesi o occulti che siano. In ogni caso, l’evento si terrà. Nei primi giorni della prossima settimana comunicheremo data e luogo. Però, intanto, annuncio che alle 18.00 del 9 dicembre, nel giorno dell’evento negato, faremo un sit-in di protesta davanti alla sede del Comune di Torino, come luogo simbolo di una città che è di tutti, e deve essere di tutti, una città medaglia d’oro della Resistenza, la città di Gramsci e di Gobetti, per semplificare, di Norberto Bobbio e di Gastone Cottino, e di tanti e tante che si sono battuti per la libertà. Redazione Torino
Dossier Leonardo in Parlamento il 9 dicembre
9 dicembre 2025 conferenza stampa alla Camera dei Deputati per la presentazione del dossier su Leonardo S.p:A.: piovono euro sull’industria “necessaria” di Crosetto e Leonardo S.p.A. Martedì 9 dicembre, su invito della deputata Stefania Ascari (M5S, Presidente dell’Intergruppo per la Pace tra la Palestina e Israele), BDS ITALIA presenterà un dossier sulle complicità di Leonardo S.p.A. nei crimini di guerra commessi in Palestina. Interverranno: Stefania Ascari (Deputata M5S), Arnaldo Lomuti (Commissione Difesa), Anthony Aguilar (ex contractor Gaza Humanitaria Foundation), Stefania Maurizi (giornalista d’inchiesta), Michela Arricale (avvocata), Rossana De Simone (attivista Peacelink), Raffaele Spiga (attivista BDS Italia). Diretta streaming sulla Web TV della Camera dei Deputati. Negli ultimi decenni l’Italia è diventata uno dei partner europei più fedeli a Israele. Con Leonardo in prima fila, la nostra industria è parte integrante del circuito che alimenta i crimini contro l’umanità e legittima il colonialismo. Il dossier denuncia tali complicità, evidenziando come le scelte politiche e industriali italiane non siano neutrali ma contribuiscano concretamente a rafforzare il regime israeliano di apartheid e occupazione. Leonardo S.p.A. intrattiene da oltre un decennio una cooperazione strutturale con il settore militare israeliano. Nel 2012 Israele ha acquistato 30 aerei M-346, oggi impiegabili con oltre dieci tipologie di armamenti, mentre l’Italia ha acquisito 1 satellite Optsat-3000 e 2 velivoli radar G550 CAEW nell’ambito dello stesso accordo. La presenza industriale diretta di Leonardo in Israele comprende tre sedi della controllata DRS RADA Technologies e una partecipazione del 12% nella società Radsee Technology. Il dossier rileva inoltre che Israele può rivendere a terzi i M-346 ricevuti, come avvenuto con la Grecia tramite Elbit Systems. Leonardo ricopre un ruolo significativo anche nel programma internazionale F-35, di cui l’Italia ospita la linea di assemblaggio e produzioni critiche. Tali elementi delineano un quadro di integrazione industriale e tecnologica che contribuisce alla disponibilità operativa dei sistemi in uso nelle forze armate israeliane. Il movimento globale BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), che rappresenta la più grande coalizione della società civile palestinese richiama l’Italia ai propri obblighi derivanti dalle sentenze della Corte internazionale di giustizia, tra cui l’imposizione di un embargo militare totale a Israele compreso il commercio bilaterale, il trasferimento e il transito di materiale militare e a duplice uso, i partenariati, la formazione congiunta, la ricerca accademica e altre forme di cooperazione militare. Questo tipo di sanzioni è tra gli obiettivi a cui il movimento BDS si pone di arrivare attraverso campagne d’informazione, pressione pubblica  e denuncia delle complicità. DOSSIER DA SCARICARE QUI: Piovono euro sull’industria “necessaria” di Crosetto e Leonardo SpA Le relazioni con Israele.  Redazione Italia
10 dicembre: testimonianze e flash-mob in tutta Italia
In occasione della Giornata Internazionale dei Diritti Umani le reti di operatrici e operatori della sanità #DigiunoGaza e Sanitari per Gaza lanciano la mobilitazione nazionale per chiedere la liberazione degli oltre 90 sanitari palestinesi detenuti illegalmente nelle carceri israeliane. Le iniziative verranno svolte mercoledì 10 dicembre tra le ore 10 e 19 davanti a e all’interno di ospedali e strutture sanitarie di tutta Italia. LA SANITÀ NON SI IMPRIGIONA I sanitari palestinesi ancora detenuti nelle prigioni israeliane sono circa 94, lo scorso ottobre Israele ne ha liberati 55 in seguito all’accordo di cessate il fuoco. La loro età media è 38 anni, 80 provengono da Gaza e il resto dalla Cisgiordania e sono 17 medici, 30 infermieri, 14 paramedici, 15 dirigenti e impiegati amministrativi, 2 farmacisti e 1 tecnico sanitario. Nell’ultimo report di Healthcare Workers Watch sono riportati i loro nomi e informazioni su di loro e sulla loro detenzione. Ricordiamo che il personale sanitario palestinese ha pagato un costo altissimo nel genocidio compiuto dall’esercito israeliano: sono oltre 1.700 i sanitari palestinesi uccisi in questi due anni (qui l’elenco). La più grande strage di personale sanitario mai registrata in questo secolo. Chiediamo al personale sanitario di tutta Italia di mobilitarsi mercoledì 10 dicembre per manifestare la propria solidarietà ai colleghi palestinesi illegalmente imprigionati e chiedere al governo, alle istituzioni sanitarie e scientifiche italiane che si attivino al più presto per ottenere da Israele la liberazione immediata dei sanitari palestinesi illegalmente imprigionati dal governo israeliano. Tra loro il pediatra Hussam Abu Safiya, direttore dell’ospedale Kamal Adwan nella Striscia di Gaza, arrestato nel dicembre 2024 dall’esercito israeliano, ancora detenuto senza nessuna accusa formale e sottoposto a “condizioni estreme di fame, tortura e isolamento”, come tutti i sanitari palestinesi incarcerati. Ecco le azioni previste per mercoledì 10 dicembre a cui sono invitati a partecipare tutti gli operatori e le operatrici del sistema sanitario, e non solo: * indossare su camici e divise i cartellini con i nomi e le foto dei sanitari palestinesi detenuti (scarica i cartellini, stampali a colori e distribuiscili tra colleghe e colleghi) e continuiamo ad indossarli fino a che non saranno liberati; * all’interno o all’esterno degli ospedali esporre i poster per tutta la giornata; * postare foto e video sui social-media, sempre con la ‘parola chiave’ #LiberiTutti; * tra le 10 e le 19 organizzare flash mob davanti a ospedali e strutture sanitarie di tutta Italia con i poster (scarica i poster e stampali a colori) e con cartelli che chiedono il rilascio dei sanitari palestinesi  detenuti; * scattare foto del flash mob e pubblicarle sui social-media con la ‘parola chiave’ #LiberiTutti; * partecipare alla maratona online “Una giornata di lavoro e solidarietà per Gaza” che si svolgerà dalle ore 17 sul canale Youtube @digiunogaza con collegamenti dagli ospedali di tutta Italia e durante la quale verrà lanciata la raccolta fondi a sostegno dell’ospedale Emergency di Al-Qarara, nella striscia di Gaza. Sono già 31 gli ospedali che parteciperanno alla mobilitazione: Toscana, Piemonte, Emilia Romagna e Lazio le regioni con il numero più alto di ospedali coinvolti, ospedali in Lombardia, Campania, Liguria, Umbria, Puglia, Trentino-Alto Adige e altri potrebbero aggiungersi nei prossimi giorni. In alcuni la mobilitazione si estenderà per tutta o parte della giornata e vedrà, oltre ai flash mob, altre iniziative. Ad esempio, a Trento, oltre a due flash mob alle 13 e alle 17, è prevista all’interno dell’ospedale S. Chiara una mostra sui sanitari palestinesi detenuti e la doppia proiezione del film Gaza: doctors under attack alle ore 17.30 e alle 19.30 presso l’Auditorium dell’ospedale. Promossa da personale sanitario delle reti #DigiunoGaza e Sanitari per Gaza la giornata “La sanità non si imprigiona” è aperta alla partecipazione di cittadine, cittadini, associazioni e movimenti. Chiunque voglia organizzare presso il proprio ospedale un flash mob o altre iniziative per i sanitari palestinesi detenuti trova indicazioni e materiali utili a questo link (è importante comunicare sede e orario scrivendo a digiunogaza@gmail.com). Redazione Italia
Germania: “Obiettiamo perché la pace richiede coraggio”
Nella notte tra giovedì 4 e venerdì 5 dicembre gli attivisti della campagna Wir verweigern! (Obiettiamo!) hanno modificato alcuni manifesti dell’esercito tedesco per richiamare l’attenzione sul diritto all’obiezione di coscienza e contrastare la propaganda a favore della guerra e della violenza. “Per me, che sono giovane, è inquietante vedere ovunque questa pubblicità a favore della guerra, una guerra in cui lo Stato vuole mandarmi con il servizio militare obbligatorio. La mia vita non è una vostra risorsa!”, spiega uno degli attivisti. Wir verweigern! è una campagna di un gruppo giovanile che invita alla disobbedienza civile di massa e oppone resistenza al riarmo e al servizio militare obbligatorio. All’inizio di settembre gli attivisti hanno scritto con lo spray sulla parete esterna dell’asilo nido del Bundestag: «Obbligate anche i vostri figli a uccidere?». Scritte in bianco: Fai quello che conta davvero. 70 motivi per l’esercito tedesco. Perché non possiamo cedere ad altri la responsabilità. Trova i tuoi motivi. 70 anni dell’esercito tedesco. Scritta in rosso su “responsabilità”: uccidere. Scritte in bianco: Perché i diritti fondamentali non si difendono da soli. Trova i tuoi motivi. 70 anni dell’esercito tedesco. Scritta in rosso su “diritti fondamentali”: Capitalisti. La protesta contro il servizio militare obbligatorio sta crescendo. Organizzazioni giovanili e studentesche di tutta la Germania invitano oggi, venerdì, a uno sciopero nazionale contro la visita medica obbligatoria. Uno degli attivisti ha commentato: «Non vogliamo morire per uno Stato che non si prende cura di noi. Le nostre scuole e le nostre università stanno cadendo a pezzi, le nostre pensioni stanno svanendo e stiamo vivendo il pieno impatto della catastrofe climatica. Come se non bastasse, ora dovremmo anche uccidere ed essere uccisi in prima linea per gli interessi di potere di altri. Ma siamo chiari: rifiuteremo il servizio militare». Comunicato stampa widerstands-kollektiv.org del 5 dicembre 2025 Pressenza Berlin
Sgomberi e morte di persone migranti: uno scandalo che non scandalizza
I fatti del 3 dicembre 2025 (ennesimo sgombero dei magazzini di Porto vecchio che stavolta ha interessato 150 persone migranti/transitanti e richiedenti asilo, e morte di Hichem Billal Magoura, cittadino algerino di 32 anni) mettono la città dinanzi a un nodo tragico. Lo sgombero è stata l’ulteriore dimostrazione di come, confrontate a problemi strutturali, le istituzioni reagiscono rispondendo ad altri criteri, e cioè a urgenze mediatiche di bassissimo profilo, da loro stesse create ad arte. Senza umanità, senza visione politica. Nel pomeriggio, poi, è stato trovato il corpo senza vita di un giovane algerino, Hichem Billal Magoura, in uno dei locali di Porto vecchio. Questa morte, per freddo e per le situazione spaventosa in cui le persone migranti vivono, segue quella di due pakistani in un caseggiato abbandonato tra i campi di Beivars (vicino a Udine) e quella di un richiedente asilo afghano (a Pordenone), tutti e tre uccisi dalle esalazioni di monossido di carbonio mentre tentavano di proteggersi dal gelo di questo già terribile autunno. Sono vittime annunciate di sciagurate politiche di accoglienza e di campagne xenofobe. Se la città e le sue istituzioni volessero ritrovare dignità, dovrebbero da subito attuare politiche diverse, sulla base del rispetto dei più elementari diritti dell’essere umano, calpestati con accanimento anche nella nostra città e nella nostra Regione. Gianluca Paciucci PRC – Trieste Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Seán Binder rischia vent’anni di carcere per aver salvato vite
È possibile rischiare vent’anni di carcere per aver aiutato delle persone a non morire in mare? È quello che sta accadendo a Seán Binder, 31enne tedesco cresciuto in Irlanda, esperto di soccorso subacqueo. Tutto inizia nel 2018 a Lesbo, in Grecia, quando viene arrestato dalla polizia insieme alla rifugiata siriana Sarah Mardini e accusato di vari reati, alcuni dei quali molto gravi. Passa 106 giorni in carcere fino al dicembre 2018, quando esce su cauzione. Da allora si apre per lui un percorso fatto di indagini, perquisizioni, informazioni parziali quando non del tutto assenti. Le accuse legate a reati minori – falsificazione, spionaggio, uso illegale delle frequenze radio – vengono annullate nel gennaio 2023 per vizi procedurali, ossia la mancata traduzione degli atti. L’impianto accusatorio connesso ai reati più gravi è ancora in piedi. Il processo si apre il 4 dicembre. Seán deve difendersi dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, appartenenza a un’organizzazione criminale e riciclaggio e rischia fino a 20 anni di carcere. Oggi Seán vive a Londra e insieme a Valeria Solarino siamo andati a trovarlo per farci raccontare la sua storia. Valeria Solarino ha curato la regia del video; le riprese e il montaggio sono di Anna Coccoli e le musiche sono a cura dei Mokadelic. “Se vedi qualcuno annegare, lo aiuti” Seán Binder ha scelto di andare in Grecia nel 2016, quando aveva 23 anni. Di fronte ai blocchi, ai respingimenti, all’indifferenza dell’Europa nei confronti delle persone migranti e richiedenti asilo che perdevano la vita in mare, ha pensato che quell’Europa non lo rappresentava ed è andato a Lesbo per attivarsi con una Ong locale. Il caso di Seán rientra in una dinamica di criminalizzazione della migrazione e di chi opera in solidarietà con le persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate. Un approccio che si ritrova trasversalmente in tutta Europa e che, attraverso un uso distorto della normativa, colpisce singoli individui e Ong. Chi opera in solidarietà verso altre persone è in realtà un difensore dei diritti umani e, come sancito dall’omonimo Protocollo delle Nazioni Unite, il suo lavoro deve essere tutelato, non ostacolato. Siamo al fianco di Seán Binder e di tutte le persone criminalizzate solo per aver aiutato altri esseri umani. La solidarietà non è reato! Fai sentire la tua vicinanza a Seán, mandagli un messaggio e noi glielo consegneremo di persona. Cosa dice il diritto internazionale La lotta al traffico di esseri umani, su cui generalmente si basano i processi di criminalizzazione della solidarietà, dovrebbe al contrario incardinarsi nella creazione di percorsi di accesso regolari e sicuri, che tutelino i diritti delle persone in fuga. Le norme adottate dall’Unione Europea nel 2002 con l’obiettivo dichiarato di reprimere il traffico di esseri umani armonizzando la legislazione degli Stati membri in questo ambito – note come “pacchetto facilitatori” – e su cui attualmente sono in fase di negoziazione alcune proposte di riforma, devono essere in linea con il diritto internazionale: secondo il Protocollo delle Nazioni Unite sul traffico di esseri umani, perché una condotta possa essere soggetta a criminalizzazione deve esserci l’intenzione “di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico o materiale di altro genere” (articolo 6). Il riferimento esplicito alla necessità che vi sia l’elemento del profitto affinché una persona possa essere perseguita penalmente è volto a tutelare le persone migranti, i loro familiari, le Ong e i difensori dei diritti, riconoscendo inoltre che l’attraversamento irregolare delle frontiere è spesso l’unica possibilità per le persone in pericolo. L’attuale quadro normativo europeo e dei Paesi membri ha invece consentito la criminalizzazione e il perseguimento penale di chi agisce in solidarietà. Approfondisci il nostro lavoro sul tema.   Amnesty International
Rapporto di Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione USA Alligator Alcatraz e Krome
Il 4 dicembre 2025 Amnesty International ha diffuso un rapporto sui trattamenti crudeli, inumani e degradanti all’interno di due centri di detenzione per persone migranti della Florida, Usa: l’Everglades Detention Facility (noto come “Alligator Alcatraz”) e il Krome North Service Processing Center. Il rapporto, basato su una missione di ricerca svolta nel settembre 2025, denuncia violazioni dei diritti umani di tale gravità da costituire in alcuni casi tortura, in un contesto di crescente ostilità nei confronti delle persone migranti che vede l’amministrazione del governatore Ron DeSantis ricorrere sempre più alla criminalizzazione e agli arresti di massa di persone in cerca di salvezza. “Le nostre conclusioni confermano l’esistenza di un intenzionale sistema di punizione, disumanizzazione e occultamento della sofferenza delle persone detenute. Le politiche sull’immigrazione non possono operare al di fuori della legge o sentirsi esonerate dal rispetto dei diritti umani. Quello a cui stiamo assistendo in Florida dovrebbe allarmare l’intera regione americana”, ha dichiarato Ana Piquer, direttrice di Amnesty International per le Americhe.  “Alligator Alcatraz”: un disastro per i diritti umani prodotto dallo Stato della Florida Dalla ricerca di Amnesty International è emerso che le persone detenute arbitrariamente ad “Alligator Alcatraz” vivono in condizioni inumane e insalubri: gabinetti traboccanti con feci che invadono i dormitori, accesso limitato alle docce, esposizione a insetti senza prodotti o sistemi di protezione, luci accese 24 ore al giorno, scarsa qualità del cibo e dell’acqua e mancanza di riservatezza con telecamere collocate persino sopra i gabinetti. Le persone intervistate hanno concordemente dichiarato che l’accesso alle cure mediche è incostante, inadeguato o del tutto negato con conseguenti gravi rischi per la salute fisica e mentale. Anche all’aperto sono sempre coi ceppi. C’è poi la cosiddetta “scatola”, una gabbia di due metri per due usata come luogo di punizione, dove si resta a volte per ore, esposti agli elementi atmosferici, praticamente senza acqua e con mani e piedi bloccati ai ceppi fissati sul pavimento. “Alligator Alcatraz” non è supervisionata a livello federale e mancano i sistemi di tracciamento usati nelle strutture gestite dall’Ice (Immigration and Customs Enforcement), l’agenzia federale per l’immigrazione). L’assenza di meccanismi di registrazione o tracciamento favorisce la detenzione senza contatti col mondo esterno e costituisce una forma di sparizione forzata nella misura in cui i familiari delle persone detenute non hanno informazioni o queste ultime non possono contattare i loro avvocati. “Le spregevoli e nauseanti condizioni di ‘Alligator Alcatraz’ fanno parte di un sistema di intenzionale diniego dei diritti, congegnato per disumanizzare e punire le persone detenute. È una situazione irreale: dov’è la supervisione su tutto ciò?”, ha affermato Amy Fischer, direttrice del programma Diritti delle persone migranti e rifugiate di Amnesty International Usa. Krome: un luogo sovraffollato, caotico e pericoloso Krome è un centro di detenzione che fa capo all’Ice, diretto da un’agenzia privata for-profit. Nonostante sia dotato di servizi medici, le persone detenute hanno denunciato gravi negligenze, come la mancata fornitura di medicinali e l’assenza di valutazioni diagnostiche. La ricerca di Amnesty International ha confermato precedenti denunce di violazioni dei diritti umani: sovraffollamento, isolamento arbitrario e per lunghi periodi di tempo, mancanza di assistenza medica, gabinetti traboccanti, assenza di docce, illuminazione costante e sistema d’aria condizionata non funzionante. Le persone detenute hanno riferito episodi di violenza e maltrattamenti da parte degli agenti penitenziari. Il personale di Amnesty International ha visto uno di loro colpire con la parte metallica di una porta di una cella d’isolamento la mano ferita di un detenuto. Sono stati denunciati anche casi di persone detenute picchiate e prese a pugni. È stata segnalata poi la difficoltà nell’accedere ai servizi di assistenza legale: le persone non sapevano per quanto tempo sarebbero rimaste all’interno della struttura, né cosa sarebbe loro accaduto in seguito. “L’estremo sovraffollamento, il diniego di assistenza medica e le denunce di trattamenti umilianti e degradanti costituiscono un quadro di orrende violazioni dei diritti umani a Krome”, ha commentato Fischer. “Ogni persona che si trovi in un centro di detenzione sta soffrendo”: la gestione dell’immigrazione e la detenzione in Florida Nel febbraio 2025 lo Stato della Florida ha emanato leggi durissime e discriminatorie che mettono in grave pericolo le comunità migranti. La modifica degli accordi 287 (g), che affidano alle agenzie locali per il mantenimento dell’ordine pubblico l’applicazione delle leggi federali in materia d’immigrazione, ha fatto sì che persone venissero arrestate per sbaglio, ha introdotto la profilazione razziale e ha diffuso una paura di massa tale da far sì che le persone migranti non frequentassero più le scuole, gli ospedali e luoghi dove poter ricevere servizi essenziali. La Florida è diventata un luogo dove si sperimentano politiche in materia d’immigrazione che violano i diritti umani, strettamente allineate con l’agenda razzista e anti-immigrazione dell’amministrazione Trump. Sotto il mandato del governatore Ron DeSantis, lo Stato della Florida ha intensificato la criminalizzazione delle persone migranti e ha fatto uso di poteri d’emergenza per aumentare rapidamente il numero degli arresti. Dal gennaio 2025 il numero delle persone detenute nei centri per persone migranti è aumentato di oltre il 50%. Solo tra luglio e agosto 2025, lo Stato ha concluso 34 contratti senza gara per “Alligator Alcatraz”, per un valore di oltre 360 milioni di dollari. Il costo annuo di questa struttura è calcolato in 450 milioni di dollari. Contemporaneamente, vengono tagliati milioni di dollari destinati a cure mediche essenziali, sicurezza alimentare, servizi di emergenza e programmi abitativi. “La scelta di dare priorità alla punizione, alla disumanizzazione e alla crudeltà rispetto ai servizi pubblici è miope e agghiacciante”, ha sottolineato Fischer. I centri di detenzione statunitensi per le persone migranti vantano una triste storia di violazioni dei diritti umani. Il presidente Trump ne ha aumentato l’uso di quasi il 70% dall’inizio del suo mandato e le condizioni al loro interno sono rapidamente peggiorate. Delle almeno 24 morti di persone migranti verificatesi dall’ottobre 2024 all’interno dei centri diretti dall’Ice, sei sono avvenute in quelli della Florida, quattro delle quali a Krome. Raccomandazioni Amnesty International chiede al governo dello Stato della Florida e all’amministrazione Usa di porre rimedio alle violazioni sistemiche dei diritti umani all’interno dei centri di detenzione per persone migranti. L’organizzazione chiede alle autorità della Florida di chiudere “Alligator Alcatraz” e di vietare l’uso di qualsiasi centro di detenzione gestito a livello statale. Dev’essere posta fine ai poteri di emergenza e alle assegnazioni di contratti senza gara. I fondi devono essere destinati alle cure mediche essenziali, ai programmi abitativi e a quelli di soccorso a seguito di disastri. Altre raccomandazioni comprendono: vietare l’uso dei ceppi, l’isolamento solitario e il confinamento durante l’ora d’aria; garantire accesso in condizioni di riservatezza all’assistenza legale e ai servizi d’interpretariato; condurre indagini trasparenti e indipendenti sulle denunce di tortura e di diniego di cure mediche e istituire un sistema di supervisione efficace e indipendente su tutti i centri di detenzione. Al governo federale, Amnesty International chiede di porre fine al suo crudele sistema di detenzione di massa delle persone migranti, alla criminalizzazione dell’immigrazione e all’uso di centri di detenzione statali per applicare le norme federali in materia d’immigrazione; di condurre indagini approfondite su tutte le morti nonché sulle denunce di tortura e di altre violazioni dei diritti umani e rispettare le norme internazionali sui diritti umani; di intraprendere una revisione complessiva sui contratti dell’Ice con agenzie statali e private, al fine di garantire il rispetto dei diritti umani; di ripristinare la protezione per “luoghi sensibili” come scuole, ospedali e chiese e di aumentare i fondi federali per rafforzare l’assistenza legale e i servizi d’interpretariato durante i procedimenti riguardanti l’immigrazione. “Le condizioni che abbiamo documentato ad ‘Alligator Alcatraz’ e a Krone non sono isolate, ma rappresentano un deliberato sistema di crudeltà inteso a punire le persone che cercano di rifarsi una vita negli Usa. Occorre cessare di arrestare le persone appartenenti alle nostre comunità migranti e in cerca di salvezza e agire, invece, per realizzare politiche in materia d’immigrazione umane e rispettose dei diritti”, ha concluso Fischer.   Amnesty International