La Global March to Gaza smentisce il comunicato della Farnesina
In merito a quanto pubblicato dal Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale, insieme all’ambasciata d’Italia al Cairo, la Global
March to Gaza ci tiene a fare alcune precisazioni e correzioni rispetto a quanto
scritto.
L’iniziativa non ha mai avuto come scopo quello di “trasportare aiuti via terra
direttamente dentro la Striscia di Gaza”, come si legge nel comunicato. Abbiamo
sempre spiegato che la marcia sarà pacifica, non intende entrare nella Striscia
e raggiungere Gaza, come non intende trasportare aiuti. Il programma prevede
invece di raggiungere Al-Alrish, luogo turistico e di libero accesso, e da lì
marciare a piedi per circa 50 km fino a raggiungere il valico di Rafah da cui
passano pochissimi aiuti umanitari destinati alla popolazione palestinese
stremata. Non soltanto un sostegno simbolico: l’obiettivo è di negoziare
l’apertura del terminal con le autorità egiziane, in collaborazione con Ong,
diplomatici e istituzioni umanitarie, che marciano con noi, in modo pacifico e
senza forzare alcuna barriera.
Il tratto da Al-Arish, come comunicato ai partecipanti alla marcia, è una zona
militarizzata, impossibile da attraversare se non con permessi speciali. A oggi
non abbiamo questa autorizzazione. In caso di diniego o di blocco abbiamo sempre
comunicato che mai forzeremmo la decisione del governo egiziano o dei militari
ai checkpoint: non è nostra intenzione mettere in pericolo le persone che si
sono affidate a noi per questa impresa di solidarietà verso i palestinesi.
Al momento non esiste una comunicazione ufficiale da parte delle autorità
egiziane né sulle misure di sicurezza, né sull’autorizzazione alla marcia. Di
recente il Ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, ha ribadito l’urgente
necessità di un accesso illimitato e completo agli aiuti umanitari nella
Striscia di Gaza e ha condannato l’uso della fame come arma contro il popolo
palestinese.
Da fonti egiziane ci risulta che, dopo aver mandato la nostra richiesta per
l’autorizzazione alla marcia per tutte le delegazioni che parteciperanno, alcuni
degli scenari potrebbero essere i seguenti: 1) inserimento delle persone che
arrivano al Cairo in una black list che non permette di rientrare nel paese 2)
espatrio 3) che sia permessa la marcia accompagnati dalle forze militari
egiziane.
Gli incontri che altre delegazioni hanno avuto con le ambasciate egiziane sono
stati positivi e di apertura all’evento. Con l’augurio che la marcia riceva
tutti i permessi necessari. Proprio ieri è giunta la notizia che venti
parlamentari europei marceranno con noi verso Rafah, tra questi anche tre
rappresentanti italiani. I membri europei hanno scritto una lettera indirizzata
al presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi chiedendo l’autorizzazione ufficiale
e la facilitazione della marcia attraverso il territorio egiziano.
Nella sua storia l’Italia si è sempre distinta per aver promosso azioni
pacifiche in conflitti di guerra, per sensibilizzare l’opinione pubblica e per
chiedere la fine delle guerre laddove i governi non hanno trovato il modo di
impedire la strage di innocenti. Da mesi invece tutto questo accade a Gaza, nel
complice silenzio dei governi, italiano compreso, che mai hanno chiesto la fine
dei bombardamenti. Ricordiamo le carovane della pace a Sarajevo, promosse dal
movimento pacifista italiano nel 1991.
Sappiamo che il governo italiano ha interessi a mantenere saldi i rapporti con
Israele al quale fornisce armi che poi servono a compiere il genocidio del
popolo palestinese e per questo cerca di scoraggiare e sabotare una marcia
pacifica, abbandonando di fatto i propri cittadini e non garantendo loro una
protezione in territorio straniero.
«Non sarà una passeggiata: per questo motivo, tutti i partecipanti hanno
compilato un modulo di adesione in cui vengono informati della possibilità di
essere rimpatriati, interrogati o arrestati. Questo è dovuto all’indifferenza
dei politici italiani. Come ben sappiamo, la causa palestinese per molti è
diventata propaganda e quindi probabilmente il sapere che non avranno un podio
da esporre sui social media ha portato i politici italiani a voltarsi dall’altra
parte, senza rendersi conto dell’enorme errore che stanno commettendo. Perché
gli italiani questo lo ricorderanno» ha dichiarato alla stampa Antonietta
Chiodo, referente per l’Italia della Global March to Gaza.
Siamo 52 delegazioni da altrettanti Paesi con centinaia di persone che mosse
dalla causa palestinese hanno deciso di riunirsi pacificamente per mandare un
messaggio forte: fine del blocco su Gaza e un corridoio umanitario garantito. Ci
sostengono decine di associazioni in tutto il mondo, la lista completa si trova
sul nostro sito marchtogaza.net. Il nostro gruppo è composto da persone che da
decenni lavorano in situazioni di conflitto e crisi, a sostegno dei popoli e dei
diritti umani.
Ad affiancare via mare la marcia “per rompere l’assedio” ci sarà anche la
Freedom Flotilla Coalition, con cui la Global March to Gaza ha firmato una
dichiarazione congiunta, che è partita il primo giugno dal porto di Catania in
Sicilia con a bordo anche Greta Thunberg e la deputata europea Rima Hassan,
insieme ad altri attivisti. Oggi la Madleen si è imbattuta in una nave della
guardia costiera libica, che si è prima identificata come egiziana, mentre stava
riportando alcune persone verso le coste della Libia, contrariamente a quanto
dice il regolamento internazionale sull’accoglienza dei rifugiati. Quattro
persone per sfuggire a un destino di torture e prigione si sono gettate in mare,
rischiando di annegare, e sono state portate in salvo dalla Flotilla. I centri
libici sono finanziati dal governo italiano in barba a ogni diritto umano per le
persone che lì sono in trappola.
«I palestinesi, compresi quelli della Cisgiordania, sono topi in gabbia a cui è
negato da sempre di potere conoscere il mondo. Il Valico di Rafah è l’unico
budello di congiunzione con Gaza per uscire – continua Chiodo – ho documentato
negli anni passati come reporter l’umiliazione di chi si accampava al valico in
attesa di uscire nonostante fosse stato approvato il permesso mesi prima, e per
giorni vi erano donne, uomini, anziani e bambini sdraiati per terra in attesa di
questa apertura. C’è una vergogna più grande di questa? Non penso. Il valico va
aperto, non si può tenere in ostaggio una popolazione».
Aggiungiamo infine che il nome corretto dell’iniziativa è Global March to Gaza,
non “March for Gaza” come erroneamente scritto nel comunicato.
Redazione Italia