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Il Bar Sport è chiuso per lutto: addio a Stefano Benni
Abbiamo riso pensando, ci siamo divertiti riflettendo, con lui l’umorismo è stato soprattutto ragionamento, presa di posizione, punto di vista. Dario Fo inventò il famoso aforisma “Sarà una risata che vi seppellirà”, usata sulla foto dell’arresto di un anarcosindacalista che sghignazzava in catene tra due carabinieri. Benni, invece, non voleva […] L'articolo Il Bar Sport è chiuso per lutto: addio a Stefano Benni su Contropiano.
La risposta giusta – di Effimera
La giornata di manifestazioni che ha attraversato Milano il 6 settembre 2025, in risposta allo sgombero del centro sociale Leoncavallo, è stata un avvenimento di grande valore che ha spezzato, almeno per un attimo, la narrazione negativa che ci circonda da ogni lato con i suoi corollari di impotenza e di paura. A nostro [...]
Vogliamo tutt'altro: 8 settembre assemblea nazionale
Intorno alle parole IMMAGINARE/ORGANIZZARE/CONVERGERE/INSORGERE lunedì 8 settembre le/i lavorat_ dello spettacolo convocano un'assemblea nazionale, una grande giornata di mobilitazione e pensiero collettivo, a La Pelanda, piazza O. giustiniani, 4 dalle ore 9 alle 18. A seguire programma dello Short theatre e cena palestinese e festa all'Angelo Mai. Due attivist* di Campo Innocente e Vogliamo tutt'altro presentano i lavori dell'assemblea e riattraversano i percorsi di lotta del movimento Vogliamo tutt'altro che in questi ultimi due anni ha costruito una mobilitazione locale e nazionale per contestare dal basso il porgretto di occupazione sistematica da parte del governo Meloni delle strutture di produzione e diffusione culturale del paese. Qui il documento e il programma
Abuso dei social e socializzazione degli abusi
Fatti Il 21 agosto scorso una ragazza di 23 anni denuncia di aver subito un commento sessista da un operatore, mentre la stessa si preparava per una TAC. È in corso un’indagine interna da parte del Policlinico Umberto I di Roma, per far luce su quanto accaduto. Modi La suddetta […] L'articolo Abuso dei social e socializzazione degli abusi su Contropiano.
Catania si candida a Capitale della cultura ma chiude le biblioteche
Catania vuole candidarsi a Capitale della cultura 2028? Pare proprio di sì, tanto che il Comune sta preparando un dossier con tutte le credenziali cittadine. Noi vorremmo contribuire a questa raccolta di informazioni sui meriti culturali della nostra città e soprattutto sull’impegno delle nostre istituzioni locali per far crescere la […] L'articolo Catania si candida a Capitale della cultura ma chiude le biblioteche su Contropiano.
Crisi della città e crisi dell’arte
L’OMNIMERCIFICAZIONE DEL MONDO, COMPLEMENTO LOGICO DELLA SOCIETÀ DI CRESCITA, HA CONSEGUENZE DISTRUTTIVE SULLA QUALITÀ DELLA VITA IN TUTTE LE CITTÀ. MA AL FALLIMENTO DELLA «POLITICA URBANA» HA CONTRIBUITO ANCHE QUELLA CHE È STATA CHIAMATA LA «CRISI DELLA CULTURA», UNA DISTRUZIONE DEL GUSTO, DELLA SENSIBILITÀ, DELLO STILE DI VITA. L’INTRODUZIONE DEL LIBRO IL DISASTRO URBANO E LA CRISI DELL’ARTE CONTEMPORANEA (ELÈUTHERA) DI SERGE LATOUCHE: UNA RIFLESSIONE SULL’ESTETICA ACCOMPAGNATI DA BAUDRILLARD E CASTORIADIS Milano. Foto unsplash.com -------------------------------------------------------------------------------- All’origine di questo libro c’è anzitutto la pubblicazione, in Italia, di un saggio scritto su impulso e in collaborazione con Marcello Faletra, docente di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Palermo, intitolato Hyperpolis. Architettura e capitale[1]. Il termine «Hyperpolis» che ho suggerito per il titolo allude all’opera Les Géants del grande romanziere francese J.M.G. Le Clézio, che rappresenta una delle critiche più feroci alla società dei consumi. Hyperpolis designa una sorta di città-supermercato gigante, simbolo del mondo della merce nel villaggio globale. «Quando si è dentro Hyperpolis è come se si fosse dentro l’universo. Tutt’a un tratto le mura sono così lontane che non si riesce a vederle, sono sparite ai confini dello spazio. Il soffitto è tanto alto, il pavimento tanto basso, che è come se non ci fossero limiti. Lo spazio si è espanso molto velocemente, ha respinto le superfici dure e piatte, largo, tanto largo, ha spostato i suoi muri e le sue finestre, e ora non se ne vedono più le frontiere. Si è in lui, si fluttua». Questo luogo inumano invoca la sua distruzione. Si presenta allora come un ritornello ossessivo il mantra «Bisogna bruciare Hyperpolis», cosa che il protagonista, Machines, compirà alla fine del romanzo[2]. L’omnimercificazione del mondo, complemento logico della società di crescita, ha conseguenze talmente distruttive sulla qualità della vita che in effetti si può perfino arrivare ad augurarsi la scomparsa di questo mondo. La deterritorializzazione, ovvero la dinamica extra suolo dell’attività umana, devasta sia la campagna sia la città e saccheggia il paesaggio, a dispetto della buona volontà e del talento di architetti, urbanisti e paesaggisti che, spesso consapevoli del disastro, tentano invano di porvi rimedio. Se la megapolis nella quale viviamo non è altrettanto inumana di Hyperpolis è perché eredita una storia e una cultura che hanno preceduto il regno della merce e perché la colonizzazione del nostro immaginario da parte dell’economia fatica a distruggere fino in fondo la nostra capacità di resistenza. L’analisi del disastro urbano non pertiene solo alla dimensione territoriale della logica di distruzione materiale compiuta dall’economia di crescita. Questa costituisce di certo un elemento importante nei disordini che hanno avuto luogo di recente nelle banlieues francesi e che hanno portato il presidente Macron a parlare di «decivilizzazione». Ma al fallimento della «politica urbana» ha contribuito anche quella che è stata chiamata la «crisi della cultura», ovvero una radicale perdita di valori, un’altrettanto radicale distruzione del gusto, della sensibilità, dello stile di vita. Tale distruzione, che si può qualificare come di natura estetica, deriva in ultima istanza dallo stesso processo di colonizzazione dell’immaginario da parte del fattore economico presente anche nella deterritorializzazione. La capacità di resistenza mentale al processo distruttivo si nutre e si rinforza grazie alle distruzioni materiali. Siamo coinvolti in una lotta titanica – dove è in gioco nientemeno che la sopravvivenza della specie – che a vari livelli e con modalità diverse investe tutti. Il caso ha voluto che questa riflessione sul disastro urbano sia avvenuta in concomitanza con una riflessione più generale sull’estetica, nata da un invito a partecipare al festival di Trani (cittadina pugliese, non lontana da Bari, ricca di storia), il cui tema era «la Bellezza». Dal momento che l’estetica non sfugge al collasso dei valori generato dal trionfo del valore economico, gli organizzatori del festival hanno pensato, non senza ragione, che la decrescita avesse qualcosa da dire al riguardo. Tanto la crisi dell’arte contemporanea, spesso denunciata, quanto il disastro urbano, risultano incontestabilmente da quel collasso. E il grande caos estetico tocca tutte le belle arti: l’architettura (e il suo prolungamento, l’urbanistica) così come la pittura o la musica, anche se la prima è toccata sia dall’impatto materiale della mercificazione sia dalle sue ricadute sull’estetica. Ecco verosimilmente la ragione per cui, nel progetto della decrescita, architetti e urbanisti sono stati interpellati molto più di pittori, musicisti o danzatori, anche se, in fin dei conti, tutti ne sono stati colpiti. L’ambizione di architetti e urbanisti è di risolvere la crisi sociale con l’utopia delle cités radieuses, mentre quella dei poeti, dei pittori, dei musicisti e degli altri artisti è di farci sognare, dimenticare la miseria del presente e reincantare il mondo. L’estetica si trova pertanto al crocevia delle riflessioni sulla decrescita. La si incontra sia quando ci si interroga sul ruolo del sacro o sull’arte di vivere, sia quando ci si preoccupa di pedagogia o di colonizzazione dell’immaginario3. Nonostante ciò, è ancora possibile ritrovare il senso e il gusto del bello? Ci si può inventare un’estetica adatta al progetto di costruire società di abbondanza frugale? Ne esistono già segni premonitori e anticipazioni? La decrescita non sfugge al malinteso dei progetti utopici, incastrati fra la pregnanza del presente e il futuro sognato: città di decrescita, abitazioni di decrescita ecc. Ci sono state anche rivendicazioni di decrescita nella pittura, nella musica, e perfino nella pedagogia. Si tratta di pretese largamente, se non totalmente, ingiustificate. Si può essere urbanisti, architetti, pittori o musicisti e aderire al movimento della decrescita, e certamente questa adesione può e deve avere un impatto sul modo di praticare la propria arte. Tuttavia, non bisogna mettere il carro davanti ai buoi. L’arte non può essere arruolata per un progetto sociale e politico, proprio come non può essere sottomessa agli imperativi del mercato. «Il tentativo di strumentalizzare l’arte» scrive Castoriadis «porta alla sua pura e semplice distruzione»[4]. Anche se è possibile tratteggiare quelle che potrebbero essere città sostenibili e conviviali alternative alla società di crescita, è un azzardo troppo grande pretendere di anticipare un’estetica del futuro, nonostante essa costituisca una dimensione centrale del progetto della decrescita. Questa riflessione sull’estetica nei suoi intrecci con il progetto della decrescita non ha la presunzione di presentare un’analisi esaustiva della crisi dell’arte contemporanea, tema che ha suscitato contributi molto approfonditi da parte degli specialisti, del cui novero non pretendiamo di fare parte[5]. Motivata dalla connessione con la decrescita, essa sfrutta largamente la critica poderosa di Jean Baudrillard enucleata nel suo pamphlet sul «complotto dell’arte», ma poggia al contempo sulle analisi della distruzione della cultura nella società capitalista condotte da Cornelius Castoriadis, disseminate nella sua opera e poi raccolte nel libro postumo Fenêtre sur le chaos[6]. Ovviamente l’analisi di Castoriadis, a differenza di quella di Baudrillard, non porta direttamente alla «nullità dell’arte contemporanea»: i giudizi che esprime sull’argomento, molto cauti[7], derivano dalla sua diagnosi della crisi della cultura occidentale, ovvero sostanzialmente dei suoi «valori». Tali valori – «consumo, potere, status, prestigio, espansione illimitata del governo della ‘razionalità’» – hanno esaurito il loro potere creativo e stanno ormai portando la civiltà occidentale al collasso. Seppur in forma diversa, la sua analisi si collega alla nostra sull’autodistruzione della società di crescita e sulla necessità di una «rivalorizzazione», ovvero di un’autentica rivoluzione culturale. Solo che la dialettica della cultura e della base materiale, che alcuni tentano perfino di negare, è tutto fuorché semplice. Nel momento in cui si tocca l’estetica, i giudizi inevitabilmente coinvolgono la soggettività del loro autore. E, per ben argomentati che siano, resteranno pur sempre molto discutibili. Al termine di un’analisi magistrale, in alcune pagine magnifiche nelle quali il suo acuto sguardo filosofico si combina con la finezza di chi ha a lungo frequentato la psicoanalisi, Castoriadis ammette la propria impotenza a penetrare tutti i misteri che l’estetica pone[8]. Noi non pretendiamo di fare di meglio… La rilettura di Castoriadis in occasione della pubblicazione francese dei suoi saggi mi ha portato tuttavia a prendere coscienza delle significative differenze tra le nostre analisi, cosa che mi ha spinto ad aggiungere in conclusione un breve «post scriptum». La decrescita, abbiamo scritto per parte nostra, è un’arte di vivere. L’arte di vivere bene, in sintonia con il mondo. L’arte di vivere con arte. L’obiettore di crescita è al contempo un artista. Qualcuno per il quale il godimento estetico è una parte importante della gioia di vivere. L’etica della decrescita implica dunque necessariamente un’estetica della decrescita, anche se l’etica della decrescita non si riduce a un’estetica. Fare della propria vita un’opera d’arte non è di per sé l’obiettivo primario della decrescita, ma piuttosto una delle sue conseguenze. È quindi naturale che, avendo presentato Castoriadis e Baudrillard come precursori della decrescita, questi saggi si iscrivano nel loro solco, come, in misura minore, in quello di altri precursori quali William Morris, Jacques Ellul o Pier Paolo Pasolini, nel tentativo di portare un po’ di luce «decrescente» sui misteri dell’estetica[9]. -------------------------------------------------------------------------------- Note all’Introduzione 1. Serge Latouche e Marcello Faletra, Hyperpolis. Architettura e capitale, Meltemi, Milano, 2019. 2. Ivi, p. 116. «All’ingresso di Hyperpolis non c’è nessuno. L’uomo che si chiama Machines avanza verso il centro e rovescia il primo bidone al suolo, vicino a una colonna. Accende un fiammifero e la fiamma gialla divampa alta. Un po’ più in là l’uomo Machines rovescia il secondo bidone. Già risuonano le sirene. L’uomo accende un secondo fiammifero e la fiamma divampa alta verso il soffitto. Poi l’uomo chiamato Machines arretra un po’, si siede, la schiena contro un pilastro. Guarda le fiamme che formano grandi onde verticali verso il soffitto, sente le sirene e i fischietti. Ma per lui fa lo stesso, attende» (Les Géants, Gallimard, Paris, 1973, p. 333). 3. Si vedano i nostri saggi: Penser un nouveau monde. Pédagogie et décroissance. Entretiens avec Simone Lanza, Payot & Rivages, Paris, 2023 [trad. it. Il tao della decrescita. Educare a equilibrio e libertà per riprenderci il futuro, Il margine, Trento, 2021]; L’Abondance frugale comme art de vivre. Bonheur, gastronomie et décroissance, Payot & Rivages, Paris, 2020 [trad. it. L’abbondanza frugale come arte di vivere. Felicità, gastronomia e decrescita, Bollati Boringhieri, Torino, 2022]; Comment réenchanter le monde. La décroissance et le sacré, Payot & Rivages, Paris, 2019 [trad. it. Come reincantare il mondo. La decrescita e il sacro, Bollati Boringhieri, Torino, 2020]. 4. Cornelius Castoriadis, Fenêtre sur le chaos, Seuil, Paris,15 2007, p. 45 [trad. it. Finestra sul caos, scritti su arte e società, elèuthera, Milano, 2007]. 5. I curatori dei testi di Castoriadis [Fenêtre sur le chaos, cit.] includono una bibliografia sulla questione, di cui si segnala in particolare l’opera di Yves Michaud La Crise de l’art contemporain, puf, Paris, 1997. Bisogna inoltre menzionare il libro più recente di Marc Jimenez, La Querelle de l’art contemporain, Gallimard, Paris, 2005. 6. Castoriadis, Fenêtre sur le chaos, cit. 7. «La riflessione è dunque piena di trappole e di rischi»; ivi, p. 12. 8. «Sono quarant’anni che questo interrogativo mi assilla: perché lo stesso pezzo, diciamo la Sonata n. 33 di Beethoven, composta da qualcuno oggi sarebbe considerata una sorta di scherzo, ma scoperta per caso in un solaio di Vienna sarebbe considerata un capolavoro immortale? […] Non ho visto nessuno riflettere seriamente sulla questione»; ivi, p. 33. 9. Si vedano questi autori nella collana Les précurseurs de la décroissance da me curata per le Éditions Le Passager clandestin. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Crisi della città e crisi dell’arte proviene da Comune-info.
La cultura come motore del turismo, ma nel settore culturale persistono precarietà e sfruttamento
Negli ultimi cinque anni lo stanziamento statale per la cultura, budget MiC, ha avuto un andamento altalenante con un forte incremento negli anni del Covid e post-Covid quando è arrivato intorno ai 4 miliardi di euro, per iniziare poi a ridursi dal 2023, attestandosi sui 3 miliardi di euro. Guardando ai dati previsionali fino al 2026, si segnalano flessioni tra il 7% e il 12% tra 2024 e 2025 e un dato stabile per il 2026. Nell’ambito delle risorse statali per il settore culturale quelle destinate allo spettacolo e al cinema risultano sostanzialmente stabili: il Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo nella programmazione 2025 è pari a 446 milioni di euro in aumento rispetto al 2024 del 5,3%. Invariato invece il Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo, che anche nel 2025 ammonta a 696 milioni di euro. Sono i dati del ventunesimo Rapporto Annuale di Federculture. Per quanto riguarda le amministrazioni comunali, i dati mostrano una progressiva crescita degli stanziamenti per il capitolo tutela e valorizzazione dei beni e delle attività culturali fino al 2023, trend con cui i Comuni sembravano, non solo aver pienamente recuperato gli anni di restrizione finanziaria della crisi (2020-2021), ma anche aver preso un accelerazione: rispetto al 2019 le risorse stanziate erano infatti in crescita del 36%. Con il 2024 questa crescita ha una piccola battuta d’arresto: le risorse per la cultura complessivamente arrivano, infatti, a 2,73 miliardi, segnando un -2,2% sul 2023. Nelle Province, superato il biennio di crisi 2020-2021, le risorse per il settore della cultura nel 2023 (ultimo dato consuntivo) sono in crescita: 79,5 milioni di euro, +9,3% sul 2022. Rispetto ai bilanci delle Regioni (anche qui dati disponibili al 2023), la voce destinata a beni e attività culturali risulta nel 2023 in crescita, attestandosi poco sopra gli 1,1 miliardi di euro nel totale nazionale, corrispondente ad un +20% sul 2022. Con questo incremento anche le Regioni si avvicinano al recupero delle risorse che venivano stanziate fino al 2019 rispetto alle quali rimane un gap negativo del 2,6%. I dati relativi alla spesa delle famiglie italiane per l’anno 2024 a giugno 2025 non sono ancora disponibili. Non è possibile quindi analizzarne l’andamento nello scorso anno. Sono però stati pubblicati a ottobre 2024 i dati definitivi del 2023 che confermano, con lievi ritocchi al rialzo, quanto evidenziato nelle stime preliminari pubblicate lo scorso anno. Per quanto riguarda la spesa media mensile delle famiglie in cultura, sport e ricreazione è pari a 101,83 euro contro i 91,94 del 2022. A tutto il 2023 rimane ancora un gap negativo dell’1,3% rispetto al valore della spesa che si registrava nel 2019. Con l’aggiornamento di ottobre 2024 sono stai pubblicati anche i dati riguardanti la spesa nelle regioni che confermano la nota maggiore dinamicità delle regioni del Nord e Nord-Est. Prime per spesa familiare in cultura sport e ricreazione sono infatti il Trentino Alto-Adige, la Lombardia e il Friuli Venezia Giulia. In coda Campania, Puglia e Calabria. Significativo il rapporto tra la prima e l’ultima: in Trentino Alto Adige la spesa familiare culturale è oltre 4 volte superiore a quella in Calabria. I dati Istat relativi alla fruizione di intrattenimenti culturali e ricreativi (persone di 6 anni e più per spettacoli a cui hanno assistito almeno una volta nell’ultimo anno) aggiornati al 2024 mostrano un consolidamento della crescita già registrata nel 2023 e il superamento dei livelli di fruizione del 2019. È il caso del teatro i cui fruitori crescono dell’11,6% rispetto al 2023 e del 6,6% su 2019; ma anche dei concerti che incrementano del 14,5% in un anno e del 20% sul quinquennio. Meno ampia ma comunque significativa la fruizione di musei e mostre (+3,5 vs 2023 e +3,8% vs 2019) e quella dei siti archeologici e monumenti che vedono aumentare i fruitori del 4,4% sul 2023 e del 10,7% rispetto al 2019. Il cinema che pure nel 2024 cresce dell’11,7% sul 2023, registra ancora una variazione negativa dell’8% sul 2019. Sul territorio, il Mezzogiorno rimane la ripartizione geografica dove si riscontrano i livelli più bassi di fruizione culturale, generalmente al di sotto delle medie nazionali. Per l’anno 2024 i dati relativi all’occupazione culturale, rilevati tramite la Rilevazione sulle forze di lavoro condotta dall’Istat, stimano 843 mila occupati, pari al 3,5% dell’occupazione totale. Tra le caratteristiche dell’occupazione culturale vi è l’elevata presenza di lavoratori non dipendenti. Più nel dettaglio, la peculiarità dell’occupazione culturale riguarda la forte presenza di lavoratori autonomi, che includono anche le forme più vulnerabili del lavoro indipendente (prestatori d’opera occasionali, collaboratori e quant’altro). Qui la sintesi del 21° Rapporto Annuale Federculture 2025: https://www.federculture.it/wp-content/uploads/2025/06/Sintesi_dati_Rapporto-Annuale-Federculture-2025.pdf.  E del lavoro nel settore culturale si occupa un’indagine, rivolta a lavoratori,  disoccupati e accademici, che ha permesso di raccogliere dati utili relativi alle tipologie di contratti in uso ed alle condizioni lavorative nelle diverse sedi culturali pubbliche e private, messa a punto da Mi Riconosci, un collettivo nazionale e un’associazione riconosciuta che ha come suoi principali obbiettivi dignità ed eque retribuzioni per tutte e tutti i lavoratori e i professionisti del settore (https://www.miriconosci.it/). I primi dati dell’inchiesta ci dicono: che c’è chi lavora più di 50 ore a settimana; che per il 20,20% di chi ha risposto al questionario le ore lavorate non corrispondono/corrispondevano mai alle ore da contratto (per il 27,60% non sempre); che i lavoratori a tempo indeterminato sono il 42,03%, quelli a tempo determinato il 26,54%, mentre per il restante 31,43% si va dalla cessione dei diritti d’autore, all’apprendistato e addirittura al lavoro nero (2,66%); che il contratto di settore “Federculture” è applicato solo nel 6,10% dei casi; che solo per 41% le mansioni svolte corrispondono a quelle previste dal contratto; che il 10.80% dichiara di non essere pagata/o regolarmente in base a quanto riportato sul contratto di lavoro; che Il 68,93% guadagna meno di 8 euro netti all’ora. Qui alcuni risultati preliminari dell’Inchiesta di Mi riconosci “Lavorare nel settore culturale: contratti, condizioni, prospettive”:  https://docs.google.com/viewerng/viewer?url=https://www.miriconosci.it/wp-content/uploads/2023/01/questionario-lavoro_dati-preliminari.pdf.    Giovanni Caprio
Vogliamo tutt'altro
In questo redazionale abbiamo avuto come ospit* nello studio di via dei Volsci a Valerio e Margherita, membri del collettivo Vogliamo tutt'altro, l'assemblea di lavorat* dello spettacolo. Con loro abbiamo parlato dell'occupazione temporanea dell'ex Circolo degli Artisti, a Roma, come forma di protesta e denuncia contro la situazione di precarietà e abbandono di chi lavora nel settore della cultura, l'arte e lo spettacolo dal basso e di forma autonoma.  
Milano: fuori il sionismo dalla Triennale
Martedi 8 luglio, Galassia, Assemblea antisionista dell3 lavorator3 dell’arte e della cultura ha organizzato un’azione dimostrativa nella hall e sulla scalinata centrale della Triennale di Milano, dove è allestita l'installazione 471 Days, dedicata a Gaza. L’intento era quello di denunciare pubblicamente, all’interno degli spazi della Triennale, la complicità dell’Esposizione Internazionale Inequalities con il genocidio in corso a Gaza e con la colonizzazione sionista della Palestina. All’azione hanno preso parte circa 50 attivist3. Due striscioni verticali sono stati calati dal piano superiore, riportando le frasi: “640 giorni di genocidio + 75 anni di occupazione” – in riferimento diretto al titolo dell’opera 471 Days – e “Triennale, fuori il sionismo dalla cultura. Palestina libera”. Durante l’azione è stato letto un comunicato che ne spiegava le motivazioni, seguito da cori a sostegno della Palestina. L’iniziativa ha visto anche la partecipazione inattesa di visitatori e visitatrici dell’esposizione, oltre che di alcuni membri dello staff della Triennale, che hanno espresso il proprio supporto con applausi e unendosi ai cori. Ne parliamo con un compagno di Galassia
Come il governo e il ministro #Crosetto promuovono la ‘#cultura della #Difesa’ per portarci verso la #guerra, ai danni della cultura pacifista e internazionalista. https://www.fanpage.it/politica/come-il-governo-e-il-ministro-crosetto-promuovono-la-cultura-della-difesa-per-portarci-verso-la-guerra/